Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 6 luglio 2023 - Ricorso n. 46412/21 - Causa Calvi e C.G. c. Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista dalla dott.ssa Martina Scantamburlo.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA CALVI E C.G. c. Italia

(Ricorso n. 46412/21)

SENTENZA

Art 8 • Applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno ad una persona anziana e ricovero di quest’ultima in una residenza sanitaria assistenziale in isolamento sociale dal mondo esterno per tre anni • Misura basata sulla sua eccessiva prodigalità e sul suo indebolimento fisico e psichico, senza che la persona interessata fosse stata dichiarata incapace • Interessato totalmente dipendente dal suo amministratore di sostegno in quasi tutti gli ambiti e senza limite di durata • Elusione del quadro legislativo della procedura iniziale del trattamento sanitario obbligatorio mediante ricorso abusivo all’amministrazione di sostegno • Assenza di un esame concreto e scrupoloso di tutti gli aspetti pertinenti della particolare situazione dell'interessato • Assenza di misure volte a permettere all’interessato di mantenere le sue relazioni sociali e a favorire il suo ritorno a casa • Assenza di garanzie effettive per prevenire gli abusi e garantire che fossero presi in considerazione i diritti, la volontà e le preferenze dell'interessato • Stati tenuti a favorire la partecipazione delle persone disabili o delle persone anziane «dipendenti» alla vita della comunità, e a prevenirne il loro isolamento o la loro segregazione • Misura non proporzionata né adeguata alla situazione individuale dell'interessato • Margine di apprezzamento oltrepassato

Art 34 • Locus standi • Qualità di un parente (cugino) per sollevare delle doglianze a nome dell'interessato in una situazione che non gli consente di presentare direttamente il ricorso dinanzi alla Corte • Circostanze eccezionali • Potere di sostituzione dell'amministratore di sostegno nei confronti dell'interessato • Doglianza relativa alle restrizioni imposte dall'amministratore con l'autorizzazione del giudice tutelare • Rischio accertato di privazione di una protezione effettiva per quanto riguarda i diritti dell'interessato derivanti dalla Convenzione • Gravi questioni sollevate in merito alle condizioni di vita delle persone anziane nelle case di riposo, questioni che sono di interesse generale data la vulnerabilità di queste persone

STRASBURGO

6 luglio 2023

Questa sentenza diverrà definitiva nelle condizioni di cui all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Calvi e C.G. c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:

Marko Bošnjak, presidente,
Alena Poláčková,
Krzysztof Wojtyczek,
Ivana Jelić,
Gilberto Felici,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere di sezione,

Visti:

il ricorso (n. 46412/21) proposto contro la Repubblica italiana da due cittadini di questo Stato, i sigg. Augusto Calvi e C.G. («i ricorrenti»), che il 20 settembre 2021 hanno adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),

la decisione di portare a conoscenza del governo italiano («il Governo»), le doglianze fondate sugli articoli 5 § 1 e) e 8 della Convenzione,

le osservazioni delle parti,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 27 giugno 2023,

Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. Il ricorso riguarda l’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno nei confronti del ricorrente C.G. e l’isolamento sociale che è derivato dal suo ricovero in una residenza sanitaria assistenziale («RSA»). Sono invocati gli articoli 5 e 8 della Convenzione.

IN FATTO

  1. Il sig. Augusto Calvi («il primo ricorrente») agisce nel presente procedimento in nome proprio e a nome del cugino C. G. («il secondo ricorrente») che è sottoposto alla misura dell’amministrazione di sostegno disposta dal giudice tutelare e che, dal 30 ottobre 2020, è ricoverato in una residenza sanitaria per persone anziane dipendenti. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1956 e nel 1930, e risiedono a Lecco. Sono stati rappresentati dall'avvocato M. Alfano.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia, avvocato dello Stato.
  3. Nel 2017 la sorella del secondo ricorrente presentò al giudice tutelare di Milano una domanda volta ad ottenere la nomina di un amministratore di sostegno[1] che fosse incaricato di sostituirsi all’interessato nell’esercizio di alcuni diritti e di assisterlo per altri. Sosteneva che suo fratello era anziano e che, pur essendo in grado di badare a se stesso, mostrava un comportamento improntato alla prodigalità.
  4. Con un provvedimento del 9 maggio 2017, dopo aver constatato la prodigalità del secondo ricorrente, che non sembrava essere pienamente consapevole delle situazioni di grave pregiudizio nelle quali poteva trovarsi, il giudice tutelare ritenne che una misura di amministrazione di sostegno costituisse una protezione adeguata. Il giudice tutelare rilevò che il secondo ricorrente seguiva i precetti «francescani», vivendo in modo semplice e donando il suo denaro a coloro che ne avevano bisogno, ma che era incapace di gestire i limiti di questa pratica, il che lo metteva in situazione di vulnerabilità.
  5. Ritenendo che non fosse necessario ricorrere a misure più vincolanti che prevedessero un’interdizione o un'incapacità, il giudice tutelare nominò l'avvocato B. come amministratore di sostegno ai fini dell'amministrazione del patrimonio dell'interessato.
  6. Il 4 dicembre 2017 fu eseguita una perizia psicologica sul secondo ricorrente. L'esperto concluse che non aveva riscontrato alcun elemento che giustificasse un trattamento psichiatrico, precisando che l'interessato non era affetto da alcuna patologia psichiatrica.
  7. Il 3 gennaio 2018 il secondo ricorrente fu sottoposto a una seconda perizia. Il bilancio cognitivo indicò che le funzioni esecutive e i processi cognitivi e motivazionali necessari per compiere azioni quotidiane ordinarie e straordinarie erano intatti.
  8. 31 gennaio 2018 fu nominato un altro amministratore di sostegno al posto del precedente.
  9. 31 ottobre 2018, a seguito di una nuova valutazione psicologica, l'esperto che aveva esaminato il secondo ricorrente rilevò l'esistenza di un disturbo narcisistico della personalità che aveva raggiunto un livello tale da influire, anche se solo parzialmente, sulla sua capacità di prendersi cura di se stesso e di compiere determinate azioni.
  10. Il 6 novembre 2018 il secondo ricorrente e sua sorella chiesero al giudice di porre fine alla misura di protezione, sostenendo che erano cambiate le condizioni che ne avevano giustificato l’applicazione.
  11. Il 5 novembre 2019 una relazione dei servizi sociali concluse che era necessario l'intervento di un amministratore per sostenere il secondo ricorrente in vari aspetti della sua vita.
  12. Il 12 febbraio 2020 fu depositata presso la cancelleria del tribunale una relazione dei servizi sociali. Secondo questo documento, l'interessato era rattristato di non poter gestire il suo patrimonio come desiderava e di dover sottostare alle decisioni del giudice, cosa di cui riteneva responsabile sua sorella, con la quale non aveva contatti da diversi anni e nei confronti della quale provava rancore. Inoltre, i servizi sociali indicavano che il ricorrente non capiva di essere esposto al rischio che si abusasse della sua debolezza a causa della sua generosità, che aveva rifiutato di essere aiutato per quanto riguarda l'insalubrità del luogo in cui viveva, e che si spostava in bicicletta nonostante fosse quasi cieco.
    In conclusione, i servizi sociali ritenevano che fosse necessario proteggere il secondo ricorrente e raccomandavano di effettuare una perizia psichiatrica.
  13. Lo stesso giorno, il giudice tutelare nominò un esperto incaricato, da un lato, di valutare le condizioni di vita e di salute dell'interessato e, dall'altro, di stabilire se quest'ultimo soffrisse di una patologia di ordine psicofisico e se tale patologia potesse eventualmente influire sulle sue capacità, nonché, infine, di pronunciarsi sulla questione se la nomina di un amministratore di sostegno fosse ancora pertinente nel caso di specie.
  14. Con un provvedimento del 27 maggio 2020, il giudice tutelare estese i poteri dell'amministratore di sostegno di C. G. a tutti gli aspetti delle cure personali di quest'ultimo, rilevando che la sua sicurezza fisica e il suo benessere erano gravemente compromessi e che faceva discorsi confusi e contraddittori. In particolare, il giudice tutelare autorizzò l'amministratore di sostegno a provvedere, in nome dell'interessato, a tutte le incombenze che riguardavano quest'ultimo, e lo incaricò, in particolare, di decidere la soluzione abitativa più adatta alla situazione di C. G. e di assicurarsi che lo stesso ricevesse cure e trattamenti che tenessero conto dei suoi bisogni e delle sue aspirazioni. In virtù di tale decisione, l'amministratore doveva anche intrattenere rapporti con l'autorità socio-sanitaria ed esprimere i consensi e le autorizzazioni richiesti relativamente alle azioni necessarie alla protezione del benessere e della salute di C. G. Il giudice precisò a tal fine che, all’occorrenza, poteva essere previsto l'inserimento in una adeguata struttura di cura e ricovero, autorizzando quindi l'amministratore a prestare il consenso in nome dell'interessato.
  15. Un rapporto medico redatto nel giugno 2020 indicò che C. G. non sembrava soffrire di alcuna patologia psichica, che aveva conservato la sua capacità di giudizio, soprattutto quella di discernere le conseguenze civili e penali dei suoi atti, e che non era stato constatato alcun decadimento mentale o cognitivo.
  16. Invece, secondo una perizia eseguita il 24 settembre 2020 su richiesta del giudice tutelare, l'interessato manifestava un disturbo della personalità ossessivo-compulsivo, al quale si aggiungevano degli aspetti depressivi, si trovava in uno stato di malessere in ragione di richieste di denaro che gli pervenivano, e le sue condizioni di vita, fra cui, in particolare, le condizioni igieniche, erano molto scarse. Di conseguenza, l'esperto riteneva che fosse indispensabile collocarlo in una residenza sanitaria assistenziale, poiché questa misura era, a suo parere, l'unica che lo potesse proteggere. Inoltre, indicava che i suoi beni immobili erano ancora occupati da terzi.
  17. Il 2 ottobre 2020 fu nominato un altro amministratore di sostegno in sostituzione del precedente.
  18. Secondo una relazione redatta successivamente, l'8 ottobre 2020, la suddetta proposta di ricovero in una residenza sanitaria assistenziale era il risultato di una riflessione lunga e attenta, e derivava dall'osservazione del fallimento di tutti i progetti precedentemente messi in atto per salvaguardare e proteggere l'integrità fisica del secondo ricorrente.
  19. Il 26 ottobre 2020 l'amministratore di sostegno chiese al giudice tutelare l'autorizzazione a far ricoverare C. G. in una residenza sanitaria assistenziale con l'aiuto della forza pubblica, spiegando che l'interessato non aveva più un medico di base né una tessera sanitaria, e che era stato avviato un procedimento penale contro i suoi assistenti domiciliari per aver abusato della sua debolezza. Di conseguenza, l'amministratore di sostegno raccomandava che C. G. fosse sottoposto a visita medica e poi collocato in una residenza sanitaria assistenziale, e chiedeva al giudice di accordargli il potere di ricorrere alla forza pubblica nel caso le circostanze lo richiedessero.
  20. Lo stesso giorno, il giudice autorizzò l'amministratore di sostegno a compiere tutto quanto necessario per provvedere all'ingresso di C. G. in una residenza sanitaria assistenziale.
  21. Il giorno successivo, il 27 ottobre 2020, l'amministratore, accompagnato dal medico E.M. e dai carabinieri, si presentò a casa del badante dell'interessato. Quest'ultimo, informato della decisione di ricovero che era stata adottata nei suoi confronti, manifestò la sua opposizione alla suddetta misura. Tuttavia, dopo aver riacquistato la calma, accettò di seguire il medico per sottoporsi ad un controllo sanitario, acconsentendo ad entrare in una residenza sanitaria assistenziale solo a titolo provvisorio e nella prospettiva di un successivo ritorno a casa sua. Due giorni dopo, cominciò a rifiutare il cibo, ad eccezione del pane e dell'acqua, per protestare contro il suo ricovero.
  22. Secondo un rapporto inviato dall'amministratore al giudice, l'interessato ebbe un colloquio telefonico con il primo ricorrente il 21 novembre 2020, in presenza di un'assistente sociale. Egli avrebbe detto loro che era trattato bene, ma desiderava tornare a casa sua e che, poiché il suo avvocato, secondo lui, stava facendo il necessario a tal fine, non voleva che fosse chiamato un altro avvocato.
  23. Pochi giorni prima, il 17 novembre 2020, una troupe di un programma televisivo, «Le Iene», aveva realizzato un reportage che metteva in discussione la legalità del ricovero in una residenza sanitaria assistenziale del secondo ricorrente, e che fu trasmesso a livello nazionale. Di conseguenza, l'amministratore di sostegno decise di impedire qualsiasi comunicazione diretta tra C. G. e terze persone, ad eccezione del sindaco della città di A.
  24. Il 26 novembre 2020 il giudice tutelare, prendendo in considerazione la suddetta decisione dell'amministratore di sostegno, che mirava a proteggere l'interessato dalla divulgazione della sua storia personale e dalle ripercussioni mediatiche del reportage trasmesso, nonché la suddetta perizia dell'8 ottobre 2020, che aveva suggerito di procedere a una rivalutazione psichiatrica di C.G., a sua volta vietò ogni incontro e conversazione telefonica di terze persone con il secondo ricorrente, salvo volontà contraria di quest'ultimo.
  25. Dal fascicolo risulta che, il 15 dicembre 2020, il secondo ricorrente fu sentito dal giudice tutelare.
  26. Il 7 gennaio 2021 il primo ricorrente e la sorella di quest'ultimo chiesero al giudice tutelare l'autorizzazione a fare visita a C. G. nella residenza sanitaria assistenziale in cui era ricoverato.
  27. L'8 gennaio 2021 il giudice tutelare incaricò un esperto di effettuare una valutazione della situazione clinica dell'interessato, chiedendo, inoltre, che gli fosse fornita qualsiasi informazione utile.
  28. Il 9 gennaio 2021 il giudice autorizzò la visita dei parenti di C. G., previo consenso dei responsabili della struttura o dell'amministratore di sostegno, precisando che, eventualmente, le condizioni dell'incontro sarebbero state fissate dalla struttura.
  29. Il 13 gennaio 2021 il primo ricorrente fu informato del fatto che C.G. si rifiutava di ricevere la sua visita, e che quest’ultimo aveva scritto una lettera in cui affermava che non voleva più che la sua situazione fosse oggetto di attenzione da parte dei media, e che voleva tornare a casa sua, indicando che solo in questo caso sarebbe stato disposto a ricevere i suoi familiari nella sua città.
  30. Il 28 gennaio 2021 il primo ricorrente e sua sorella si rivolsero nuovamente al giudice tutelare, sostenendo che il secondo ricorrente non aveva mai affermato, nella sua lettera, di non volerli incontrare e che, eventualmente, si impegnavano a rispettare la riservatezza di un colloquio con lui.
  31. Il 2 febbraio 2021 l'esperto nominato (paragrafo 28 supra) presentò la sua relazione in cui sosteneva che lo stato fisico di C. G. era migliorato, ma osservava che permanevano le sue difficoltà di natura psicologica.
  32. Il 5 febbraio 2021 il secondo ricorrente scrisse un'altra lettera al primo ricorrente e a sua sorella. Li ringraziava per l'interesse che gli avevano dimostrato, li informava che qualcuno si occupava del suo caso e che aveva la speranza che la stampa lo dimenticasse, e prometteva loro di andare a trovarli una volta uscito dalla residenza sanitaria assistenziale.
  33. Con decreto del 13 febbraio 2021, il giudice tutelare respinse la richiesta di contatto degli interessati in ragione del fatto che il secondo ricorrente non aveva espresso il desiderio di incontrarli, che l’amministratore di sostegno aveva fatto sapere che il secondo ricorrente li avrebbe incontrati dopo essere rientrato a casa sua, e che quest’ultimo non voleva che la sua situazione personale fosse mediatizzata.
  34. Il 17 marzo 2021 il primo ricorrente presentò una nuova istanza al giudice tutelare e, sostenendo che erano trascorsi due mesi dall’ultima decisione del giudice e che la situazione poteva essere cambiata, chiese che gli fosse concesso di contattare telefonicamente il secondo ricorrente e che il giudice definisse le modalità del suo ricovero nella residenza sanitaria assistenziale, soprattutto per quanto riguardava la durata del ricovero.
  35. Il 18 marzo 2021 il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della Libertà personale, («il Garante nazionale») indirizzò alla procura della Repubblica presso il tribunale di Lecco una Raccomandazione con la quale la invitava a considerare l'opportunità di chiedere al giudice tutelare una rivalutazione completa del contesto di vita del secondo ricorrente nella prospettiva di porre fine al suo internamento nella residenza sanitaria assistenziale. Il Garante nazionale portava all'attenzione della procura diverse problematiche derivanti dalla misura di protezione disposta dal tribunale di Lecco nel 2017 e dal ricovero del secondo ricorrente in una residenza sanitaria assistenziale, raccomandando di rivedere le misure adottate per la sua protezione e di individuare per il futuro un sistema di sostegno più adeguato.
    La Raccomandazione era così redatta nei passaggi pertinenti nel caso di specie:

«Il documento riguarda in primo luogo le misure attuate nell’ambito dell'amministrazione di sostegno, che rientrano nella competenza del Garante nazionale. A tale riguardo, il documento verte sull'autonomia decisionale di C.G. rispetto alle proprie scelte di vita di fronte alle vicende che lo hanno visto sottoposto dapprima a un'amministrazione di sostegno sempre più intrusiva rispetto a tali scelte, e poi a un ricovero in una residenza sanitaria assistenziale, al quale si è ripetutamente opposto. Un ricovero che, fin dall'inizio, è apparso come una misura di segregazione, non solo per la mancanza di una preventiva alternativa [offerta al] ricorrente, ma anche per la privazione di ogni contatto con il mondo esterno, apparentemente imposta dai responsabili della struttura. In effetti, ogni comunicazione con l'esterno deve essere filtrata dal responsabile del centro. Un ricovero inizialmente indicato come una misura temporanea volta ad avviare un progetto di rientro a casa, [ma] che dura già da più di cinque mesi e, a quanto risulta al Garante nazionale, nelle stesse condizioni, compromettendo gravemente la protezione dei principi relativi all'autodeterminazione e alla libertà di compiere le proprie scelte, ivi compreso il diritto al sostegno della propria capacità di agire.

In secondo luogo, questo documento riguarda la portata del mandato dell'amministratore di sostegno, che il decreto del giudice tutelare del 28 maggio 2020 estende al potere, attribuito in via esclusiva, di provvedere a tutte le incombenze connesse all'assistenza del beneficiario da un punto di vista personale, e di decidere la soluzione abitativa o di alloggio più appropriata, tenendo conto [dei] bisogni e [delle] aspirazioni [dell'interessato].

A tale riguardo, il Garante nazionale sottolinea, nella sua Raccomandazione alla procura della Repubblica, che le indicazioni contenute nella relazione dei servizi sociali del 5 novembre 2019, sulle quali si basava l'estensione dei poteri dell'amministratore di sostegno, avrebbero dovuto invece essere prese in considerazione dal giudice tutelare e dallo stesso amministratore di sostegno ai fini dell'elaborazione di un "progetto di vita" volto a sostenere in modo adeguato il percorso di vita di C.G. Un obiettivo che certamente sarebbe stato reso possibile dal ricorso a un servizio pubblico convenzionato di cure domiciliari in grado di garantire sia una quotidiana assistenza materiale igienica alla persona, sia una regolare valutazione medica e paramedica.

Infine, per quanto riguarda il protrarsi del ricovero che era stato presentato come temporaneo, il Garante nazionale, pur tenendo conto della comprensibile necessità di un termine per la formazione e il coordinamento del fascicolo, si stupisce, nella presente Raccomandazione, del fatto che l'amministratore di sostegno abbia lasciato trascorrere più di cinque mesi e mezzo dopo l'ingresso di C.G. in una residenza sanitaria assistenziale senza evocare concretamente la prospettiva di un ritorno al [suo] domicilio.

Un ritardo che, secondo il Garante nazionale, rende oggi tardiva la preparazione di un nuovo progetto di alloggio e di sostegno che risponda alle aspettative di C.G., con il coinvolgimento del servizio sociale territoriale e delle reti di prossimità. L'assenza di piani chiari per il rientro di C.G. nel suo ambiente domestico e per la gestione della sua vita quotidiana fa sì che, nonostante tutte le precauzioni peraltro prese, vi sia il rischio che si protragga a lungo un internamento ingiustificato, con una evidente violazione della libertà di autodeterminazione [dell'interessato] per quanto riguarda il suo corpo, la sua residenza e, in fin dei conti, la sua integrità fisica e psichica, che costituisce una forma di restrizione della libertà priva di base costituzionale.

È per questo motivo che il presente documento indirizzato alla procura della Repubblica conclude raccomandando a quest'ultima di prendere in considerazione l'opportunità di esercitare le sue prerogative per chiedere al giudice tutelare una rivalutazione completa del contesto di vita di C.G. nella prospettiva di una cessazione del suo internamento in una residenza sanitaria assistenziale e, se del caso, [per pronunciare] la revoca o la sostituzione dell'amministratore di sostegno o, quanto meno, una modifica delle prescrizioni, delle limitazioni e delle soluzioni attualmente in vigore, visto che si sono rivelate inadeguate a proteggere pienamente il beneficiario e hanno, al contrario, [portato] all'alterazione della sua autonomia decisionale nell'esercizio di diritti fondamentali quali la scelta autonoma della residenza e la piena libertà di comunicare e stabilire relazioni sociali con altre persone.

(...)».

  1. Con decisione del 23 marzo 2021, il giudice tutelare respinse l’istanza del primo ricorrente (paragrafo 35 supra).
  2. Il 3 maggio 2021 il Garante nazionale effettuò una visita nella residenza sanitaria assistenziale dove era ricoverato il secondo ricorrente. In tale occasione, il Garante sottolineò che il collocamento di C. G. era stato deciso contro la volontà dell’interessato stesso e limitava fortemente la sua libertà personale, e invitò le autorità ad adottare delle misure idonee per attenuare il suo isolamento e assicurare la sua uscita dalla struttura in tempi brevi in vista del rientro a casa sua.
  3. Con decisione del 21 maggio 2021, il giudice tutelare si pronunciò sul ricorso che il primo ricorrente aveva proposto al fine di ottenere informazioni sulle modalità di uscita del secondo ricorrente.
    Il giudice tutelare rilevò che la situazione clinica dell'interessato non era stabile, che un procedimento penale per abuso di debolezza a suo danno era ancora pendente, che i suoi beni immobili erano ancora occupati, e che lo stesso si era opposto alle altre soluzioni abitative che gli erano state proposte, aggiungendo che era ormai ben inserito nella residenza sanitaria assistenziale, dove socializzava con gli altri residenti, e che aveva a sua disposizione un cellulare che gli permetteva di chiamare le persone che voleva incontrare.
  4. Il 18 ottobre 2021 il giudice tutelare ordinò una nuova perizia psichiatrica di C. G. Nella sua relazione del 7 novembre 2021, l'esperto constatò un miglioramento delle condizioni fisiche dell'interessato, che attribuì in parte alla kinesiterapia. L’esperto rilevò che C. G. partecipava volentieri a tutte le attività proposte anche se continuava a chiedere di tornare a casa sua, e notò che dopo essere stato informato della mediatizzazione del suo ricovero in una residenza sanitaria assistenziale, aveva espresso il desiderio che la sua vita non fosse resa pubblica. Per quanto riguarda il quadro psichico, l’esperto indicò che era stato evidenziato un leggero peggioramento della situazione relativamente agli aspetti interpretativi e persecutori, che, a suo parere, potevano essere stati in parte esacerbati dal ricovero in una residenza sanitaria assistenziale, che il ricorrente aveva percepito come coercitivo. L'esperto raccomandava di assegnargli piccoli compiti idonei a motivarlo e gratificarlo affinché si sentisse utile e importante all'interno della residenza sanitaria assistenziale, e di organizzare uscite in luoghi che fossero per lui interessanti, una volta soddisfatte le condizioni necessarie e indispensabili per farlo. L’esperto concluse che era auspicabile prevedere un ritorno graduale di C. G. al suo domicilio grazie al sostegno di un educatore e di uno psicologo, precisando che tale progetto doveva coinvolgere i servizi sociali, essere protratto nel tempo ed essere costantemente monitorato.
  5. Il 18 dicembre 2021 il Garante nazionale si recò nuovamente nella residenza sanitaria assistenziale dove alloggiava il secondo ricorrente. Prese atto dell'attenuazione delle misure di isolamento sociale alle quali l'interessato era stato sottoposto per più di dodici mesi e raccomandò di organizzare momenti di incontro sempre più frequenti al fine di mantenere le sue relazioni sociali. Tuttavia, confermò l'esistenza di problemi legati a un collocamento inadeguato di C. G. in una residenza sanitaria assistenziale e raccomandò la creazione di un dispositivo adeguato alle sue esigenze specifiche.
  6. Il 6 giugno 2022 il giudice per le indagini preliminari di Brescia archiviò una denuncia che era stata presentata contro il giudice tutelare per abuso di potere.
  7. Il 12 febbraio 2023 il Garante nazionale effettuò una nuova visita nella residenza sanitaria assistenziale dove si trovava il secondo ricorrente.
  8. Il 13 febbraio 2023 il Garante nazionale incontrò il sindaco del comune di A., il vicesindaco e il responsabile dei servizi sociali, per discutere con loro della necessità di adottare una pianificazione efficace che garantisse il necessario equilibrio tra il bisogno di protezione dell'interessato e le sue aspirazioni soggettive.
  9. La Corte non è stata informata di un eventuale seguito dato dalla procura alla raccomandazione del Garante nazionale del 18 marzo 2021 (paragrafo 35 supra). Invece, la Corte è stata informata che era stato avviato un procedimento penale per violazione di domicilio contro una terza persona sospettata di essere entrata nella residenza sanitaria assistenziale e di avervi incontrato il secondo ricorrente senza l'autorizzazione dell'amministratore di sostegno. A seguito dell'indagine, nel giugno 2023, questa persona era stata condannata a un anno e dieci mesi di reclusione.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI PERTINENTI

I. IL REGIME GIURIDICO INTERNO

  1. La legge n. 6 del 9 gennaio 2004, entrata in vigore il 19 marzo 2004, ha riformato le disposizioni del codice civile riguardanti la protezione dei maggiorenni, modificando alcuni degli articoli relativi alla tutela e alla curatela e introducendo una nuova misura di protezione, «l'amministrazione di sostegno».
  2. Secondo l'articolo 1° di detta legge, questa misura riguarda le persone prive in tutto o in parte della loro autonomia, e mira a fornire loro un sostegno nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, con la minore limitazione possibile della loro capacità di agire.
    Essa ha lo scopo di proteggere le persone che una disabilità o un indebolimento, fisico o mentale, pone nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai loro interessi.
    La suddetta misura è disposta dal giudice tutelare su richiesta della persona da proteggere, di un familiare o del pubblico ministero, dei servizi sociali e sanitari che hanno l'obbligo di informare quest'ultimo se sono a conoscenza di fatti che richiedono l'attuazione di una misura di protezione. Il giudice nomina un amministratore al quale attribuisce competenza per sostituirsi alla persona protetta nell'esercizio di alcuni diritti e per assisterla nell'attuazione di altri.
    La persona protetta conserva la capacità di agire per tutti gli atti diversi da quelli per i quali è stato nominato l'amministratore.
  3. Le disposizioni del codice civile che disciplinano l'«amministrazione di sostegno» sono così formulate nei loro passaggi pertinenti nel caso di specie:

Articolo 404

«La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio.»

Articolo 405

«Il giudice tutelare provvede entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta alla nomina dell'amministratore di sostegno con decreto motivato immediatamente esecutivo, su ricorso di uno dei soggetti indicati nell'articolo 406.

(...)

Qualora ne sussista la necessità, il giudice tutelare adotta anche d'ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l'amministrazione del suo patrimonio. Può procedere alla nomina di un amministratore di sostegno provvisorio indicando gli atti che è autorizzato a compiere.

Il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno deve contenere l'indicazione:

  1. delle generalità della persona beneficiaria [della misura] e dell'amministratore di sostegno;
  2. della durata dell'incarico, che può essere anche a tempo indeterminato;
  3. dell'oggetto dell'incarico e degli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario;
  4. degli atti che il beneficiario può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore di sostegno;
  5. dei limiti, anche periodici, delle spese che l'amministratore di sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità;
  6. della periodicità con cui l'amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l'attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.

Se la durata dell'incarico è a tempo determinato, il giudice tutelare può prorogarlo con decreto motivato pronunciato anche d'ufficio prima della scadenza del termine.

(...)».

Articolo 406

«Il ricorso per l'istituzione dell'amministrazione di sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, ovvero da uno dei soggetti indicati nell'articolo 417.

Se il ricorso concerne persona interdetta o inabilitata, il medesimo è presentato congiuntamente all'istanza di revoca dell'interdizione o dell'inabilitazione davanti al giudice competente per quest'ultima.

I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all'articolo 407 o a fornire comunque notizia al pubblico ministero [di tali fatti].»

Articolo 409

«Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno.

Il beneficiario dell'amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.»

Articolo 410

«Nello svolgimento dei suoi compiti l'amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario.

L'amministratore di sostegno deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere, nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso. In caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l'interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste del beneficiario, questi, il pubblico ministero o gli altri soggetti di cui all'articolo 406 possono ricorrere al giudice tutelare, che adotta con decreto motivato gli opportuni provvedimenti.

(...)».

Articolo 411

«Si applicano all'amministratore di sostegno, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli da 349 a 353 e da 374 a 388.

All' amministratore di sostegno si applicano altresì, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 596, 599 e 779.

(...)

Il giudice tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l'amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, si estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, avuto riguardo all'interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni. Il provvedimento è assunto con decreto motivato a seguito di ricorso che può essere presentato anche dal beneficiario direttamente.»

Articolo 374

«Il tutore non può, senza l'autorizzazione del giudice tutelare:

(...)

promuovere giudizi, (...)».

  1. La procedura iniziale di trattamento sanitario obbligatorio («la TSO») è disciplinata dalla legge n. 833 del 1978, che dispone quanto segue nei suoi passaggi pertinenti nel caso di specie:

Articolo 33

«Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall'autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l'articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona.

Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del sindaco nella sua qualità di autorità sanitaria, su proposta motivata di un medico.

Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono attuati dai presidi e servizi sanitari pubblici territoriali e, ove, necessiti la degenza, nelle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate.

Articolo 34

«(...) Le misure di cui al secondo comma dell'articolo precedente possono essere disposte nei confronti di persone affette da malattia mentale.

Il trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale può prevedere che le cure vengano prestate in condizioni di degenza ospedaliera solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall'infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.

Il provvedimento che dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera deve essere preceduto dalla convalida della proposta di cui al terzo comma dell'articolo 33 da parte di un medico della unità sanitaria locale e deve essere motivato in relazione a quanto previsto nel presente comma. (...)»

Ai sensi dell'articolo 35 della legge, il provvedimento con il quale il sindaco dispone il trattamento sanitario obbligatorio deve essere notificato al giudice tutelare entro quarantotto ore. Quest'ultimo entro le successive quarantotto ore, assunte le informazioni e disposti gli eventuali accertamenti, provvede con decreto motivato a convalidare o non convalidare il provvedimento e ne dà comunicazione al sindaco. In caso di mancata convalida il sindaco dispone la cessazione del trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera.

Nei casi in cui il TSO debba protrarsi oltre il settimo giorno, il sanitario responsabile del servizio psichiatrico è tenuto a formulare in tempo utile una proposta motivata al sindaco che ha disposto il ricovero, il quale ne dà comunicazione al giudice tutelare indicando la ulteriore durata presumibile del trattamento stesso.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNAZIONALI

A. Le Nazioni Unite

1. La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità

  1. La Convenzione sui diritti delle persone con disabilità («CRDPH»), adottata il 13 dicembre 2006 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (Recueil des Traités des Nations unies, vol. 2515, p. 3) e poi firmata e ratificata dall’Italia rispettivamente il 30 marzo 2007 e il 15 maggio 2009, prevede, in particolare, quanto segue:

Articolo 12 – Uguale riconoscimento dinanzi alla legge

«1. Gli Stati Parti riaffermano che le persone con disabilità hanno il diritto al riconoscimento in ogni luogo della loro personalità giuridica.

  1. Gli Stati Parti riconoscono che le persone con disabilità godono della capacità giuridica su base di uguaglianza con gli altri in tutti gli aspetti della vita.
  2. Gli Stati Parti adottano misure adeguate per consentire l’accesso da parte delle persone con disabilità al sostegno di cui dovessero necessitare per esercitare la propria capacità giuridica.
  3. Gli Stati Parti assicurano che tutte le misure relative all’esercizio della capacità giuridica forniscano adeguate ed efficaci garanzie per prevenire abusi in conformità alle norme internazionali sui diritti umani. Tali garanzie devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario. Queste garanzie devono essere proporzionate al grado in cui le suddette misure incidono sui diritti e sugli interessi delle persone.

(...)».

Articolo 19 – Vita indipendente ed inclusione nella società

«Gli Stati Parti alla presente Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società, anche assicurando che:

  1. le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione;
  2. le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione;
  3. i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni.»

2. Il Comitato dei diritti delle persone con disabilità

  1. Nell’aprile 2014, il Comitato dei diritti delle persone con disabilità («il CDPD») ha adottato il commento generale n. 1 relativo all’articolo 12 della Convenzione, riguardante il riconoscimento della personalità giuridica in condizioni di uguaglianza. Le parti pertinenti, riguardanti le persone ricoverate contro la loro volontà, sono così formulate:

Articolo 5
Uguaglianza e non discriminazione

«28. Affinché la personalità giuridica possa essere riconosciuta, la capacità giuridica non deve essere negata in maniera discriminatoria. L'articolo 5 della Convenzione sancisce l'uguaglianza di tutte le persone dinanzi alla legge e in virtù di quest'ultima, nonché il diritto alla uguale protezione della legge. La discriminazione fondata sulla disabilità è definita dall'articolo 2 della Convenzione come «qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali». Negare la capacità giuridica, allo scopo o con l'effetto di pregiudicare il diritto delle persone con disabilità al riconoscimento della loro personalità giuridica in condizioni di uguaglianza, costituisce una violazione degli articoli 5 e 12 della Convenzione. Di fatto, lo Stato è autorizzato a limitare la capacità giuridica di una persona in alcune circostanze, ad esempio in caso di fallimento o di condanna penale. Tuttavia, il diritto al riconoscimento della personalità giuridica in condizioni di uguaglianza, e il diritto di non essere oggetto di discriminazioni richiedono che il fatto che lo Stato neghi la capacità giuridica sia basato sugli stessi motivi per tutte le persone. Questo diniego non può essere basato su un attributo della personalità come il sesso, la razza o la disabilità, né può avere come scopo o per effetto quello di trattare una persona diversamente dalle altre.

  1. La non-discriminazione nel riconoscimento della capacità giuridica ristabilisce l'autonomia e il rispetto della dignità umana della persona conformemente ai principi sanciti dall'articolo 3 a) della Convenzione. La libertà di fare le proprie scelte presuppone nella maggior parte dei casi la capacità giuridica. L'indipendenza e l'autonomia implicano il potere di far sì che le proprie decisioni siano giuridicamente rispettate. Il bisogno di un accompagnamento o di un accomodamento ragionevole per prendere decisioni non deve essere invocato per contestare la capacità giuridica di una persona. Il rispetto della differenza e l'accettazione delle persone con disabilità in quanto facenti parte della diversità umana e dell'umanità (art. 3 d)) sono incompatibili con la concessione della capacità giuridica sulla base dell'assimilazione.
  2. La non discriminazione comprende il diritto a accomodamenti ragionevoli nell'esercizio della capacità giuridica (art. 5, par. 3). Ai sensi dell'articolo 2 della Convenzione per accomodamento ragionevole si intendono le «modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali». Il diritto ad accomodamenti ragionevoli nell'esercizio della capacità giuridica è distinto e complementare rispetto al diritto a un accompagnamento nell'esercizio di tale capacità. Gli Stati sono tenuti a procedere alle modifiche e agli adattamenti necessari per permettere alle persone con disabilità di esercitare la loro capacità giuridica, a meno che questo non imponga loro un onere sproporzionato o indebito (...)»

Articoli 14 e 25
Libertà e sicurezza della persona e consenso

«36. (...) Privare della capacità giuridica le persone con disabilità e trattenerle in istituti contro la loro volontà, senza il loro consenso o quello di una persona autorizzata a sostituirsi ad esse per prendere decisioni che le riguardano, è un problema molto attuale. Questa prassi costituisce una privazione arbitraria della libertà e viola gli articoli 12 e 14 della Convenzione (...)

  1. Il diritto di godere del miglior stato di salute possibile (art. 25) implica il diritto a cure sanitarie sulla base del consenso libero e informato. Gli Stati parte hanno l'obbligo di esigere che tutti i medici e i professionisti sanitari (compresi gli psichiatri) ottengano il consenso libero e informato delle persone con disabilità prima di curarle.

(...)».

  1. Nel suo Commento generale n. 5 il CDPD ha formulato varie raccomandazioni volte a garantire l’applicazione integrale dell’articolo 19 negli Stati parte. IL CDPD ha raccomandato, tra l’altro, le seguenti misure:

«–abrogare tutte le leggi che impediscono a qualsiasi persona con disabilità, indipendentemente dal tipo di menomazione, di scegliere dove, con chi e come vivere, incluso il diritto di non essere confinati a causa di qualsiasi tipologia di disabilità;

– attuare e far rispettare leggi, norme e altre normative per rendere accessibili a tutte le persone con disabilità le collettività locali e l'ambiente urbano, comprese le informazioni e le comunicazioni;

– garantire che tutti i servizi sociali soddisfino le necessità delle varie tipologie di persone con disabilità sulla base dell’uguaglianza con gli altri;

– inserire il principio del design universale per ogni ambiente di vita, sia fisico che virtuale, nelle politiche, leggi, norme e altri provvedimenti;

– informare le persone con disabilità in merito al loro diritto di vivere in modo indipendente ed essere inclusi nella collettività per promuoverne la conoscenza, la diffusione, organizzando corsi per l’accrescimento della consapevolezza;

– adottare strategie chiare e mirate per la deistituzionalizzazione con scadenze e budget adeguati al fine di eliminare tutte le forme di isolamento, segregazione o istituzionalizzazione delle persone con disabilità;

– creare dei programmi di sensibilizzazione per contrastare i comportamenti e gli stereotipi negativi nei confronti delle persone con disabilità;

– avviare politiche per l’inclusione con linee guida apposite e allocare risorse finanziarie per la costruzione di abitazioni accessibili ed economiche, ambienti urbani, spazi pubblici e trasporti senza barriere rispettando i tempi stabiliti per la loro attuazione e applicando sanzioni efficaci, esemplari e proporzionate per le violazioni, anche da parte di autorità pubbliche o private;

– assegnare risorse per sviluppare servizi e sostegni rivolti alla persona / "utente", piani personalizzati per l’assistenza personale autogestita, adeguati e sufficienti per tutte le persone con disabilità e altre figure di supporto ad esempio: guide, lettori, interpreti qualificati per la lingua dei segni e altri interpreti professionali competenti.»

  1. Nel settembre 2015, il CDPD ha adottato delle Direttive relative all’articolo 14 della Convenzione. Nelle loro parti pertinenti nel caso di specie, per quanto riguarda le persone internate contro la loro volontà, tali direttive sono così formulate:

«B. Diritto alla libertà e alla sicurezza delle persone con disabilità»

  1. Il Comitato ribadisce che il diritto alla libertà e alla sicurezza della propria persona è uno dei diritti più preziosi ai quali ciascuno possa aspirare. Di fatto, tutte le persone con disabilità, in particolare le persone con disabilità mentale o psicosociale, hanno diritto alla libertà, in virtù dell'articolo 14 della Convenzione.
  2. L'articolo 14 è, di per sé, una disposizione relativa alla non-discriminazione. Esso precisa la portata del diritto alla libertà e alla sicurezza della persona nel caso delle persone con disabilità, e vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla disabilità nell'esercizio di tale diritto.

(...)

C. Divieto assoluto di detenzione fondata sulla disabilità
 

  1. Esistono ancora negli Stati parte delle prassi che autorizzano la privazione della libertà in ragione di una disabilità reale o presunta. (...) Il Comitato ha stabilito che l'articolo 14 non prevedeva alcuna eccezione che permetta di privare delle persone della loro libertà sulla base di un deficit reale o percepito. Tuttavia, la legislazione di vari Stati parte, soprattutto le leggi sulla salute mentale, continua a prevedere dei casi in cui alcune persone possono essere collocate in un istituto sulla base di un deficit, reale o percepito, a condizione che esistano altri motivi per il loro ricovero, soprattutto il fatto che esse rappresentano un pericolo per loro stesse o per gli altri. Questa prassi non è compatibile con l'articolo 14; essa è per definizione discriminatoria e costituisce una privazione arbitraria della libertà.

(...)

D. Collocamento forzato o meno consentito in istituto psichiatrico

  1. L'internamento forzato di persone con disabilità per motivi di salute è incompatibile con il divieto assoluto di privazione della libertà per motivi di deficit (art. 14, par. 1 b)) e con il principio del consenso libero e informato della persona interessata dalle cure sanitarie (art. 25). Il Comitato ha sottolineato varie volte che gli Stati parte dovrebbero abolire le disposizioni che prevedono che le persone con disabilità psichiatrica siano collocate in istituto senza il loro consenso, a causa di un deficit reale o presunto. L'internamento senza consenso priva la persona della sua capacità giuridica di decidere se desidera o meno essere oggetto di cure e trattamenti, essere ricoverata o collocata in istituto, e costituisce pertanto una violazione dell'articolo 12, in combinato con l'articolo 14.

(...)

G. Privazione della libertà in quanto la persona con disabilità rappresenta un pericolo, ha bisogno di cure o di trattamenti o per qualsiasi altro motivo

  1. Nell'esame di tutti i rapporti degli Stati parte, il Comitato ha ritenuto che la detenzione di persone con disabilità in quanto queste ultime rappresentano un pericolo per loro stesse o per altri era contrario all'articolo 14. La detenzione forzata di persone con disabilità in quanto esse rappresentano un rischio o un pericolo, hanno bisogno di cure o trattamenti o per qualsiasi altro motivo legato al loro deficit o a una diagnosi, in particolare la gravità del loro deficit, o ancora per fini di osservazione, è contraria al diritto alla libertà e costituisce una privazione arbitraria della libertà.
  2. Si considera spesso che le persone che presentano dei disturbi intellettivi o psicosociali costituiscono un pericolo per loro stesse e per altri quando non acconsentono a essere oggetto di un trattamento medico o terapeutico o vi si oppongono. Ogni persona, anche con disabilità, ha l'obbligo di non causare pregiudizio, e i sistemi giuridici fondati sulla regola del diritto contengono delle leggi penali e di altro tipo per trattare qualsiasi inosservanza di tale obbligo. Le persone con disabilità spesso non sono protette su un piano di uguaglianza rispetto alle altre da tali leggi, in quanto dipendono da un insieme distinto di leggi, in particolare le leggi sulla salute mentale. Queste leggi e procedure prevedono in genere dei criteri meno rigorosi in materia di protezione dei diritti umani, in particolare per quanto riguarda il diritto a una procedura regolare e a un processo equo, e non sono conformi all'articolo 13 della Convenzione, in combinato con l'articolo 14.
  3. La libertà di fare le proprie scelte, posta come un principio nell'articolo 3 a) della Convenzione, comprende la libertà di assumere dei rischi e di fare errori, su un piano di uguaglianza con le altre persone. Nel suo commento generale n. 1, il Comitato ha indicato che le decisioni relative ai trattamenti medici e psichiatrici dovrebbero essere basate sul consenso libero e informato della persona interessata e rispettarne l'autonomia, la volontà e le preferenze. L'internamento in istituto psichiatrico fondato sul deficit, reale o presunto, o sulle condizioni di salute delle persone interessate, priva le persone con disabilità della loro capacità giuridica e costituisce una violazione dell'articolo 12 della Convenzione.

(...)»

  1. Il 6 marzo 2015, il CDPD ha esaminato il rapporto sottoposto dall’Italia in applicazione dell’articolo 35 della Convenzione. Le parti del rapporto pertinenti nel caso di specie sono così formulate:

Articolo 12
Riconoscimento della personalità giuridica in condizioni di uguaglianza

«31. Il quadro costituzionale normativo italiano intende impedire qualsiasi tipo di discriminazione davanti alla legge fondata sulla disabilità. L'uguaglianza di trattamento davanti alla legge è garantita a tutti i cittadini. Allo stesso tempo, nozioni giuridiche come l’interdizione e l'incapacità sono rilevanti solo se la persona interessata è parzialmente o totalmente sana di mente. Nel primo caso, il tribunale deve nominare un rappresentante legale, ossia un tutore. Nel secondo caso, la persona incapace è autorizzata, previa dichiarazione del tribunale, a compiere, in assoluta autonomia, tutte le attività ordinarie della vita quotidiana, ma deve essere accompagnata da un tutore nell'esercizio delle attività straordinarie.

  1. La professione di tutore nominato dal giudice, che consiste nell'accompagnare persone la cui capacità di agire è limitata o fortemente compromessa, è stata regolamentata nel 2004 (legge n. 6 de 2004) a seguito di alcuni casi particolari di giurisprudenza civile e dell'adozione di un nuovo approccio giuridico. La regolamentazione di questa professione ha come scopo finale quello di proteggere le persone che hanno perso totalmente o parzialmente la capacità di compiere da sole alcune attività quotidiane, fornendo loro un aiuto temporaneo o permanente che limita quantomeno possibile la loro capacità di agire autonomamente. Il tutore nominato dal giudice è un volontario incaricato di vigilare sugli interessi e sulla qualità di vita della persona che gli viene affidata e che non può intervenire in un conflitto di interessi come, ad esempio, un professionista sanitario che sia assunto dalla stessa persona. Le attribuzioni del tutore nominato dal giudice sono definite nell'atto di nomina del giudice tutelare che indica gli atti specifici che il tutore è incaricato di compiere in nome della persona beneficiaria e quelli che può compiere nell'ambito dell'assistenza fornita. Il giudice deve proteggere la persona interessata, rispondere alle sue necessità e rispettare le sue richieste nella misura in cui queste ultime non compromettono la sua protezione. La persona che è oggetto di questa misura di tutela mantiene la propria autonomia di azione nell'ambito delle attività volte a soddisfare le sue necessità quotidiane o che può compiere senza dover essere assistita. È importante sottolineare che il tutore nominato dal giudice ha orari flessibili e può essere dimesso dalle sue funzioni.»

Articolo 14
Libertà e sicurezza della persona

«38. Nell'ordinamento giuridico interno, la libertà individuale è riconosciuta come un diritto inviolabile e costituzionalmente garantito. Il diritto alla libertà e alla sicurezza personale, protetto dall'articolo 14, paragrafo 1, lettera a) della Convenzione è sancito dall'articolo 13 della Costituzione, nonché dalle norme del codice penale e del codice di procedura civile che contengono garanzie contro la privazione abusiva della libertà. L'articolo 14, paragrafo 1, lettera b) della Convenzione, trova il suo corrispettivo nell'articolo 13 della Costituzione, ma anche nell'articolo 32 di quest'ultima che emette una riserva relativa ai trattamenti sanitari. Il ricovero delle persone con disabilità in istituti sanitari deve aver luogo conformemente alle garanzie procedurali previste dalla legge. Nel quadro normativo italiano, il principio generale di riserva legale è molto ampio e può dunque applicarsi a una vasta gamma di casi e ipotesi in materia di privazione della libertà personale.

  1. Per quanto riguarda l'articolo 14, paragrafo 2, relativo alla detenzione delle persone con disabilità e alla garanzia di essere posti in istituti penitenziari adeguati, è opportuno sottolineare che l'Italia non possiede una legislazione specifica riguardante la detenzione delle persone con disabilità. La legge n. 354 del 1975 contiene alcuni riferimenti normativi che proteggono indirettamente le persone con disabilità negli istituti penitenziari. L'articolo 47 ter, comma 3, in particolare, che riguarda gli arresti domiciliari, prevede che qualsiasi pena della reclusione di durata non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché qualsiasi pena dell’arresto, possono essere eseguite nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo pubblico di cura se la persona interessata è in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali. Delle misure alternative alla detenzione possono essere applicate quando le persone sottoposte alla giustizia sono affette da AIDS o da grave deficienza immunitaria (art. 47 quater). Inoltre, l'articolo 11 della legge n. 354 del 1975 dispone che qualsiasi istituto penitenziario deve essere dotato di un servizio medico e di un servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura dei detenuti.
  2. L'articolo 1 della legge n. 180 del 1978 prevede che nessuno può essere costretto a seguire un trattamento medico o a sottoporsi a un esame medico salvo che la legge n. 833 del 1978 (artt. 34 e 35) disponga diversamente. Allo scopo di garantire la legalità dei trattamenti obbligatori, la legge prevede che tali trattamenti devono rispettare la dignità delle persone e i diritti civili e politici protetti dalla Costituzione, ed essere dispensati da servizi sanitari locali. Quando si rende necessario il ricovero, le cure devono essere dispensate in ospedali pubblici o convenzionati. Il paziente deve partecipare al processo decisionale e deve poter esprimere il proprio consenso al trattamento. Inoltre, le cure sanitarie obbligatorie dispensate ai malati mentali non possono superare la durata di sette giorni. Se è necessario prolungarle, deve essere trasmessa una comunicazione motivata al sindaco e al giudice tutelare da parte del direttore dell'ospedale psichiatrico interessato.
  3. La legge n. 104 del 1992 impone ai ministeri interessati (Ministero della Giustizia, dell'Interno e della Difesa) di regolamentare, entro i limiti delle loro rispettive competenze, le modalità per la protezione delle persone con disabilità in locali sicuri, durante il procedimento penale, negli istituti di custodia cautelare e negli altri istituti penitenziari tenendo conto delle necessità terapeutiche e di comunicazione delle persone interessate. Delle misure specifiche relative ai condannati con disabilità fisiche o mentali sono riportate nel decreto del Presidente della Repubblica il n. 230 del 2000. L'articolo 20, in particolare, prevede che siano messe in atto misure che rafforzano la partecipazione dei condannati affetti da disturbi mentali lievi o gravi a tutte le attività, in particolare a quelle che permettono loro, e per quanto possibile, di mantenere, migliorare o ristabilire i loro rapporti con la loro famiglia e il loro ambiente sociale. Per fini di reinserimento sociale, i condannati affetti da disturbi mentali lievi o gravi, che, previo parere del personale sanitario, sono in grado di compiere un'attività produttiva o di rendere servizi utili, sono autorizzati a lavorare e ad esercitare i diritti riconducibili all'esercizio di un'attività. Coloro che non sono ancora in grado di compiere le attività sopra citate beneficiano di un sussidio e possono essere assegnati ad attività ergoterapiche.
  4. Il decreto del Consiglio dei Ministri del 1° aprile 2008 ha l’effetto di centralizzare le decisioni relative alla protezione della salute dei condannati. L'allegato C di tale decreto contiene delle direttive dei Ministeri della Salute e della Giustizia riguardanti gli interventi negli ospedali psichiatrici (OPG) e negli istituti di cura. Tali direttive forniscono indicazioni particolari sulle terapie e sulle misure di reinserimento, nonché delle raccomandazioni inerenti alle azioni condotte dal Servizio sanitario nazionale nell'ambito della protezione della salute dei condannati, dei detenuti e dei minorenni durante il procedimento penale. Lo stesso documento definisce anche il processo di superamento del modello degli ospedali psichiatrici, che deve essere portato a termine entro il 1° febbraio 2013 ai sensi dell'articolo 3 ter della legge n. 9 del 2012. Dal 3 marzo 2013 le misure di sicurezza relative agli internamenti negli ospedali psichiatrici e ai ricoveri negli istituti di cura non possono essere attuate se non in strutture sanitarie autorizzate. Le persone che non rappresentano più un pericolo per la società devono essere liberate e prese in carico dalle unità psichiatriche locali.
  5. È opportuno segnalare che non è ancora stato stabilito un quadro normativo che riguardi specificamente i detenuti con disabilità, e questo sebbene esistano norme regionali in materia. Un'iniziativa legislativa riguardante la legge n. 354 del 1975 sarebbe dunque auspicabile per garantire, per mezzo di accomodamenti ragionevoli conformemente all'articolo 14 della Convenzione, la protezione dei condannati affetti da disabilità diverse.»

Il 14 giugno 2016, il Governo italiano ha sottoposto le proprie osservazioni in risposta al rapporto iniziale del CDPD. I passaggi pertinenti riguardanti gli articoli 12 e 14 sono così formulati:

«Uguale riconoscimento davanti alla legge (art. 12)
Risposta alle questioni sollevate nel paragrafo 11 dell’elenco delle questioni

  1. Come specificato nel paragrafo 30 del Rapporto Nazionale Italiano, l'ordinamento italiano non consente discriminazioni basate sulla disabilità con riguardo alla capacità giuridica.
  2. La legge del 2004 sul cosiddetto "amministratore di sostegno" ha introdotto un meccanismo per sostenere la libertà decisionale delle persone con disabilità, aiutandole a svolgere i compiti quotidiani senza sostituire la loro volontà, sulla base di un decreto adottato da un giudice. Perciò, questo meccanismo appartiene alla categoria dei meccanismi legali di sostegno all’espressione della volontà libera e alla capacità legale della persona con disabilità. Il beneficiario della misura mantiene in ogni caso la propria sfera di capacità per quanto riguarda le esigenze della sua vita quotidiana, nonché quelle per le quali la sua capacità non ha subìto alcuna limitazione. La misura è flessibile nel tempo e soggetta a revisione, che può portare alla sua revoca.
  3. Nel 2016 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha lanciato un progetto nazionale che coinvolge diverse Regioni sul tema "Amministratore di sostegno" per favorire le attività di formazione e introdurre la raccolta dei dati a livello nazionale.

Libertà e sicurezza della persona (art. 14)
Risposta alle questioni sollevate nel paragrafo 14 dell’elenco delle questioni

  1. La legislazione italiana non consente la detenzione di una persona unicamente a causa della sua disabilità. Le misure restrittive di sicurezza sono previste solo per le persone socialmente pericolose (art. 199 e segg. C.P.P) che hanno commesso un reato.

(...)

  1. La legislazione italiana prevede che nessuno possa essere sottoposto a visita medica o ricovero in ospedale contro la sua volontà. Il trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.) in caso di malattia mentale può verificarsi in ospedale solo se: a) ci sono alterazioni mentali che richiedono un trattamento terapeutico urgente; b) il paziente non vuole sottoporsi volontariamente al trattamento; c) è impossibile prendere misure straordinarie tempestive e appropriate senza ricorrere al ricovero in ospedale (si vedano la Legge 833/1978, artt. 33, 34 e 35 per dettagli sulla procedura richiesta per l'applicazione delle cure mediche obbligatorie, e la circolare del Ministero dell'Interno n. 3/2001 – Cure mediche obbligatorie per le persone con malattia mentale).»
  1. Il 6 ottobre 2016, il CDPD ha pubblicato le proprie osservazioni finali relative al rapporto iniziale riguardante l’Italia:

«Il Comitato ha preso visione del rapporto iniziale dell’Italia (CRPD/C/ITA/1) durante la sua 283a e 284a riunione (si veda CRPD/C/SR.283 e 284), tenutesi rispettivamente il 24 ed il 25 agosto 2016, e ha adottato le seguenti osservazioni finali durante la sua 294a riunione, tenutasi il 1 settembre 2016.

  1. Il Comitato accoglie positivamente il rapporto iniziale dell’Italia, che è stato redatto in conformità con le linee guida di rendicontazione del Comitato, e ringrazia lo Stato parte per le sue risposte scritte (CRPD/C/ITA/Q/1/Add.1) alla lista dei quesiti predisposti dal Comitato (CRPD/C/ITA/Q/1).
  2. Il Comitato apprezza il dialogo costruttivo tenuto con la delegazione dello Stato parte e accoglie con favore gli ulteriori chiarimenti forniti in risposta alle domande poste oralmente dal Comitato».

(...)

III. Principali aree di preoccupazione e raccomandazioni

(...)

Uguale riconoscimento davanti alla legge (art. 12)

  1. Il Comitato è preoccupato che continui ad essere attuata la pratica della sostituzione nella presa di decisioni attraverso il meccanismo dell’«Amministrazione di sostegno».
  2. Il Comitato raccomanda di abrogare tutte le norme che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno, e di emanare e attuare provvedimenti per il sostegno alla presa di decisioni, compresa la formazione dei professionisti che operano nei settori giudiziario, sanitario e sociale.

Libertà e sicurezza della persona (art. 14)

  1. Il Comitato è preoccupato per le misure restrittive a carico delle persone «socialmente pericolose», comprese le persone che sono ritenute pericolose per sé e per gli altri.
  2. Il Comitato raccomanda di riformare le norme e le politiche in atto al fine di vietare la detenzione, compresi il ricovero coatto in ospedale e/o il trattamento sanitario obbligatorio in base alla disabilità come descritto sopra, armonizzando così le leggi e le politiche con la dichiarazione del Comitato sull'articolo 14.
  3. Il Comitato è preoccupato perché la legge penale dello Stato parte consente, in deroga all’applicazione delle regole di un giusto processo, di dichiarare le persone con disabilità intellettive o psicosociali non idonee a ricorrere in giudizio. Allo stesso modo, il Comitato è preoccupato che le persone con disabilità dichiarate non idonee possano essere sottoposte per un tempo indefinito a misure di sicurezza che le privano forzatamente della libertà.
  4. Il Comitato raccomanda l’abrogazione delle leggi di diritto penale che consentono di dichiarare le persone con disabilità intellettiva o psicosociale inadatte a ricorrere in giudizio, concedendo la piena applicazione delle regole di un giusto processo. Allo stesso modo, le misure di sicurezza non devono implicare una privazione indefinita della libertà senza una prova di colpevolezza.
  5. Il Comitato è preoccupato per la mancanza di pari trattamento dei detenuti con disabilità rispetto a quelli senza disabilità.
  6. Il Comitato raccomanda che nelle prigioni o in altri centri di detenzione sia previsto un accomodamento ragionevole per i detenuti con disabilità, al fine di garantire la loro partecipazione e l’accesso a tutti i servizi e a tutte le attività su base di eguaglianza con gli altri detenuti.

Vita indipendente e inclusione nella comunità (art. 19)

  1. Il Comitato è seriamente preoccupato per la tendenza a re-inserire in istituti le persone con disabilità, e per la mancata riassegnazione di risorse economiche dagli istituti residenziali alla promozione e alla garanzia di accesso alla vita indipendente per tutte le persone con disabilità nelle loro comunità di appartenenza. Il Comitato inoltre nota con preoccupazione le conseguenze generate dalle attuali politiche, ove le donne sono «costrette» a restare in famiglia per accudire i propri familiari con disabilità, invece che essere impiegate nel mercato del lavoro.
  2. Il Comitato raccomanda allo Stato parte di porre in atto garanzie del mantenimento del diritto ad una vita autonoma indipendente in tutte le regioni, di reindirizzare le risorse dall’istituzionalizzazione a servizi radicati nella comunità, e di aumentare il sostegno economico per consentire alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente su tutto il territorio nazionale ed avere pari accesso a tutti i servizi, compresa l’assistenza personale.»

B. Il Consiglio d’Europa

1. La Carta sociale europea

  1. La Carta sociale europea riveduta (STE n. 163), aperta alla firma il 3 maggio 1996 e ratificata dall’Italia il 5 luglio 1999, prevede in particolare quanto segue:

Articolo 15 – Diritto delle persone portatrici di handicap all’autonomia, all’integrazione sociale ed alla partecipazione alla vita della comunità

«Per garantire alle persone portatrici di handicap l’effettivo esercizio del diritto all’autonomia, all’integrazione sociale ed alla partecipazione alla vita della comunità, a prescindere dall’età e dalla natura ed origine della loro infermità, le Parti si impegnano in particolare:

(...)

  1. a favorire la loro completa integrazione e partecipazione alla vita sociale mediante misure, compresi i presidi tecnici, volte a sormontare gli ostacoli alla comunicazione ed alla mobilità ed a consentire loro di avere accesso ai trasporti, all’abitazione, alle attività culturali e del tempo libero.»
  1. In una decisione pubblicata il 17 aprile 2023, il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa (CEDS) ha constatato una violazione della Carta sociale europea da parte della Francia poiché, da un lato, le autorità non hanno adottato in un arco di tempo ragionevole misure efficaci allo scopo di garantire l’accessibilità degli edifici, delle infrastrutture e dei trasposti pubblici nonché l’accesso a servizi di assistenza sociale e aiuti finanziari, e, dall’altro, non hanno elaborato e adottato una politica coordinata per l’integrazione sociale e la partecipazione alla vita della comunità delle persone con disabilità (articolo 15 § 3). Il Comitato ha considerato, in particolare, che l'articolo 15 § 3 della Carta era stato violato a causa dell'assenza di misure efficaci volte a porre rimedio in tempi ragionevoli agli annosi problemi derivanti per le suddette persone da un accesso insufficiente ai servizi di assistenza sociale. Le parti pertinenti della decisione sono così formulate:

«Servizi sociali di accompagnamento»

L’articolo 15 § 3 esige che esistano dei servizi di assistenza sociale e di accompagnamento, e che tali servizi siano alla portata di tutte le persone con disabilità, in quanto sono necessari per favorire una vita indipendente e l'inclusione nella comunità, e per prevenire l'isolamento o la segregazione dalla comunità.

La piena integrazione sociale e la partecipazione alla vita della comunità, ai sensi dell'articolo 15 § 3, rinviano all'autonomia personale, alla libertà di fare delle scelte riguardanti la propria vita, e al controllo della propria vita e delle proprie decisioni. Per molte persone con disabilità, l'accesso a una gamma di servizi di sostegno individualizzati è una condizione preliminare per l'integrazione e la partecipazione alla vita della comunità. Inoltre, l'inclusione delle persone con disabilità in una comunità in quanto «comuni cittadini» aventi gli stessi diritti degli altri, e la garanzia che tali persone dispongano di scelte uguali per determinare dove e con chi esse vivono, in un ambito comunitario, portano alla forte presunzione che qualsiasi pratica (intenzionale o meno) che implichi o comporti l'isolamento delle persone con disabilità non è conforme a tale diritto. Per il Comitato, in virtù dell'articolo 15 § 3, gli Stati hanno dunque l'obbligo di mettere a disposizione dei servizi di sostegno per garantire la piena integrazione e la partecipazione delle persone con disabilità alla vita della comunità.

(...)

Il Comitato prende atto, in particolare, delle accuse delle organizzazioni reclamanti secondo le quali, a causa dell'assenza di servizi di sostegno sufficienti e dell'inadeguatezza di quelli esistenti, molte persone con disabilità sono state private del loro diritto di essere integrate nella comunità e poste in istituti anche se avrebbero potuto beneficiare del mantenimento nel loro ambiente normale se avessero ricevuto il sostegno sociale richiesto. Il Comitato prende atto anche delle partenze «involontarie» di persone con disabilità verso fondazioni e istituti in Belgio a causa della insufficiente capienza degli istituti medico-sociali in Francia.

(...)

Il Comitato ha ribadito più volte che, quando un diritto è eccezionalmente complesso o particolarmente costoso da risolvere – come nel caso dell'articolo 15 § 3 della presente causa – gli Stati parte sono tenuti ad adottare tutte le misure possibili e misurabili per realizzare i diritti protetti dalla Carta, utilizzando al massimo le loro risorse disponibili con termini e punti di riferimento chiari. Il Comitato ribadisce, inoltre, i tre criteri: (i) un termine ragionevole, (ii) dei progressi misurabili, e (iii) un finanziamento compatibile con l'utilizzo massimo delle risorse disponibili alle quali devono rispondere le misure volte a raggiungere gli obiettivi della Carta, quando questa realizzazione è eccezionalmente complessa e particolarmente costosa da risolvere. (Autismo-Europa c. Francia, reclamo n. 13/2002, op. cit., par. 53 e AEH c. Francia, reclamo n. 81/2012, op. cit., par. 79). Tenuto conto delle molteplici misure adottate dal Governo francese sul lungo periodo, è il primo criterio ad assumere un'importanza particolare nella valutazione del rispetto, da parte della Francia, dell'articolo 15 § 3.

Il Comitato osserva che l'emendamento «Creton» del 13 gennaio 1989 (che modifica la legge del 1975 sull'orientamento delle persone con disabilità) permette ai giovani adulti di rimanere negli edifici e nei servizi per minori con disabilità in attesa di trovare un posto nelle strutture per adulti (si veda il par. 65 supra). Tuttavia, come sottolinea il Difensore dei diritti nelle sue osservazioni, nonostante i numerosi progetti di creazione di alloggi in istituti per adulti e di promozione dei servizi di accompagnamento, previsti da vari decenni (ad esempio il piano di azione per la creazione di nuovi posti in istituti per adulti previsto dalla legge n. 97-1164 del 19 dicembre 1997), un numero importante di giovani adulti sono ancora accolti in istituti per minori, in mancanza di alternative. Il Comitato osserva che, tra il 2010 e il 2016 (ossia 20 e 26 anni dopo l'adozione dell'emendamento Creton), il numero di giovani adulti accolti nei servizi per l'infanzia in assenza di altre soluzioni non è cambiato (6000).

Alla luce di questi elementi, il Comitato conclude che non si può considerare che le misure adottate o previste per risolvere il problema dell'alloggio dei giovani adulti nei servizi per l'infanzia, in assenza di servizi disponibili, rispondano al criterio del “termine ragionevole”.»

(...)»

2. Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti

  1. Il 24 marzo 2023 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) ha pubblicato il rapporto sulla sua visita periodica in Italia condotta nel periodo marzo/aprile 2022.
  2. Per quanto riguarda le residenze sanitarie assistenziali, il CPT osserva che, tenuto conto delle restrizioni associate al Covid-19 (in particolare la privazione di un accesso all'aria aperta, nonché la riduzione delle visite familiari e delle attività riabilitative e ricreative) e dell'assenza di alternative possibili nella società, i residenti delle due residenze sanitarie assistenziali nelle quali si è recato potevano essere considerati come de facto privati della loro libertà. Il Comitato osserva, in particolare, che le suddette restrizioni, che sono state applicate in maniera continua a partire da febbraio 2020 nelle due residenze sanitarie assistenziali visitate, hanno avuto effetti graduali e deleteri sullo stato di salute mentale e somatica dei residenti. Secondo il CPT, le autorità italiane dovrebbero adottare misure urgenti per alleviare le restrizioni istituite, migliorando l’accesso alla fisioterapia e ad attività di riabilitazione e assicurare, in futuro, un’interpretazione meno restrittiva delle norme applicabili, alla luce di chiare prove scientifiche e del particolare contesto epidemiologico territoriale. Le parti pertinenti del rapporto sono così formulate:

«Residenze socio-assistenziali»

Il CPT ritiene che, alla luce dell’elevato livello di segregazione dovuto alle prolungate e indefinite restrizioni legate al Covid-19 e alla mancanza di alternative possibili nella comunità, i residenti delle due RSA visitate si possono considerare de facto privati della loro libertà.

Il rapporto fornisce una descrizione accurata del contesto in relazione all’applicazione delle misure di protezione e prevenzione nei confronti dei residenti delle RSA nel contesto della lotta contro la pandemia da Covid-19. In particolare, le restrizioni messe in atto nelle due RSA visitate da febbraio 2020 (soprattutto in termini di mancato accesso all’aria fresca, ridotte attività riabilitative e ricreative e meno visite familiari) hanno avuto effetti graduali e deleteri sullo stato di salute somatico e mentale dei residenti, in particolare nell’RSA Pio Albergo Trivulzio. Le autorità italiane dovrebbero prendere misure urgenti per ridurre le restrizioni in atto e per assicurare in futuro un’interpretazione meno restrittiva delle normative applicabili alla luce di chiare prove scientifiche e del particolare contesto epidemiologico territoriale.

Le unità abitative in entrambe le RSA erano in linea di principio in buono stato di manutenzione, adeguatamente arredate, spaziose e ben ventilate e il livello di igiene era impeccabile. Il CPT ha riscontrato alcune carenze presso l’Istituto Palazzolo, relativamente a un design complessivo di tipo ospedaliero, un insufficiente tasso di servizi igienici per residente e spazi comuni spersonalizzati e scarsamente decorati.

I livelli di personale assegnato alle unità abitative pertinenti delle RSA visitate era in linea con i criteri previsti dalla legislazione regionale. Detto ciò, si raccomanda un rafforzamento della componente di infermieri e OSS presso l’Istituto Palazzolo al fine di migliorare l’assistenza ai residenti durante i pasti e per supervisionare la loro igiene personale. Inoltre, il ricorso a personale esterno (in appalto) dovrebbe essere limitato per prevenire il loro frequente turnover.

Il CPT ha ricevuto un’ottima impressione del livello di assistenza sanitaria fornita ai residenti di entrambe le RSA. Detto ciò, il livello di interventi fisioterapeutici dovrebbe essere rafforzato.

Quanto al ricorso a mezzi di contenzione per i residenti delle RSA (ad esempio, sponde ai letti, cinture pelviche e tavolini per carrozzina), il rapporto indica che non si è registrato un ricorso eccessivo o sproporzionato, e raccomanda che questa pratica specifica sia regolata a livello nazionale in modo uniforme, data la sua potenziale natura invasiva e abusiva.

Il rapporto raccomanda inoltre che i giudici tutelari dei tribunali territoriali competenti effettuino visite periodiche ai residenti delle RSA con amministratore di sostegno. Il Comitato ha inoltre accolto con favore gli sforzi compiuti dalle autorità italiane nell’assistere le persone anziane con autonomia limitata nell’elaborazione di un progetto di vita individuale che includa possibili alternative alla sistemazione in una struttura residenziale.

D. Residenze sanitarie assistenziali
Risposta alla pandemia di Covid-19 e restrizioni


244. Il CPT raccomanda alle autorità italiane di adottare misure urgenti per ridurre le restrizioni in vigore sulle modalità di visita, l'accesso all'aria aperta, le attività terapeutiche e collettive presso tutte le RSA a livello nazionale, e con particolare riferimento alla Regione Lombardia. Il Ministero della Salute, nell'ambito dell'attuazione della circolare n. 0012458 del 10 giugno 2022, dovrebbe prestare particolare attenzione a garantire che la clausola eccezionale che consente ai direttori delle RSA di adottare misure più rigorose in circostanze epidemiologiche eccezionali non sia interpretata e applicata in modo da introdurre restrizioni di natura indefinita e sproporzionata.

Inoltre, il CPT raccomanda che la Regione Lombardia garantisca una rapida ripresa dell'uso e del funzionamento delle palestre fisioterapiche sia nel Pio Albergo Trivulzio che nell'Istituto Palazzolo, consentendo l'accesso ai residenti in condizioni di sicurezza e permettendo interventi fisioterapeutici più complessi.

(...)

8. Misure di salvaguardia

268. Il collocamento in una RSA è volontario, e si basa sulla conclusione di un contratto standard di diritto privato tra il residente (o il suo amministratore di sostegno) e l’amministrazione della RSA in questione. La procedura consisteva in una richiesta di collocamento rivolta alla RSA, e l'ammissione della persona era subordinata al fatto di essere residente nel Comune di Milano o nell'area di competenza della relativa agenzia di tutela della salute (ATS). La maggior parte dei residenti ha presentato una richiesta a seguito del ricovero in una struttura sub-acuta, in un reparto di riabilitazione, in un SPDC o direttamente dal proprio domicilio.

269. Al momento della visita, un certo numero di residenti di entrambe le RSA visitate erano sotto la responsabilità di un amministratore di sostegno. Dall'analisi di diversi decreti di nomina di amministratori di sostegno da parte del giudice tutelare è emerso che, in linea di principio, l'amministratore di sostegno era un membro della famiglia del residente, un avvocato o un delegato del sindaco del comune di residenza. Gli amministratori di sostegno sono stati nominati conformemente alle pertinenti disposizioni della legge n. 6/2004, in pubblica udienza, alla presenza del beneficiario. Tutte le decisioni erano motivate, gli amministratori di sostegno avevano l'obbligo di riferire al giudice tutelare e la loro nomina era a tempo indeterminato, ma soggetta a revisione giudiziaria periodica una volta l'anno.

Inoltre, i decreti esaminati dal CPT hanno dimostrato che i giudici tutelari avevano delegato gli amministratori di sostegno a decidere su questioni relative alla cura e agli interventi terapeutici delle persone assistite. Il CPT ha potuto constatare che i giudici tutelari avevano contatti e relazioni agevoli con la direzione delle RSA visitate e con gli amministratori di sostegno (principalmente tramite videoconferenza). Ciò premesso, gli stessi non hanno fatto visite regolari alle RSA per incontrare i residenti di persona, in quanto erano oberati di lavoro e a causa delle restrizioni legate alla pandemia.

Il CPT suggerisce che i giudici tutelari del tribunale territoriale competente effettuino visite regolari ai residenti delle RSA per i quali sono stati nominati degli amministratori di sostegno.

  1. Per quanto riguarda il consenso al trattamento, le cartelle dei residenti di entrambe le RSA contenevano moduli standard sul consenso informato (redatti in linea con la legislazione regionale) che riguardavano gli interventi terapeutici forniti nel contesto del collocamento nella RSA, come previsto dalla relativa autorizzazione. Inoltre, in relazione a interventi diagnostici e terapeutici più complessi (come esami diagnostici specifici, test per malattie infettive, ecc.) e a quelli con implicazioni etiche più forti, i moduli di consenso informato ad hoc sono stati firmati e debitamente inseriti nelle cartelle personali, e il personale sanitario si è occupato di spiegare la natura e il motivo degli interventi ai residenti o al loro amministratore di sostegno prima della firma. I medici sono stati particolarmente attenti a chiedere il consenso del rispettivo amministratore di sostegno del residente in caso di utilizzo di mezzi di contenzione.
  2. In entrambe le RSA erano ampiamente disponibili opuscoli informativi e volantini, che elencavano tutti gli aspetti della vita quotidiana presso la RSA. Inoltre, una copia della Carta dei Servizi è stata consegnata e accuratamente spiegata ai residenti al momento della procedura di ammissione. Per di più, gli opuscoli informativi e le Carte dei Servizi presso entrambe le RSA sono stati aggiornati per riflettere i cambiamenti provocati dalla pandemia.

9. Altre questioni

  1. Nell'ambito del loro obbligo di attuazione dell'UNCRPD, le autorità italiane, al momento della visita del CPT, si trovavano nel processo di elaborazione del diritto derivato della legge-quadro del 2021 sulla disabilità. In questo contesto, un gruppo di lavoro tematico sulla lotta contro i problemi di segregazione aveva formulato una serie di proposte per offrire alle persone anziane con autonomia limitata la possibilità di scegliere su un piano di parità con gli altri il loro luogo di residenza, senza essere di fatto costrette a una particolare soluzione di vita. La proposta in questione riguardava sia il modus operandi dei servizi sociali, che proponevano agli anziani con limitata autonomia, sulla base di un progetto di vita personalizzato, valide alternative al collocamento in una struttura residenziale, sia l'esistenza di risorse finanziarie adeguate per l'attuazione di tali progetti. Inoltre, il gruppo di lavoro raccomandava anche la revisione di un sistema nazionale di raccolta dei dati per monitorare l'applicazione degli articoli 14 e 19 dell'UNCRPD, nonché una revisione radicale dei criteri per l'ammissione nelle residenze sanitarie assistenziali e, di conseguenza, il loro monitoraggio a livello nazionale e regionale.

A questo proposito, la delegazione ha preso atto positivamente del fatto che entrambe le RSA gestivano progetti RSA aperte, fornendo cure e assistenza socio-sanitaria agli anziani con autonomia limitata al loro domicilio in alternativa al loro collocamento in istituto.

  1. Il Comitato accoglie con favore l’operazione «RSA aperte», e auspica di ricevere informazioni sugli sforzi di de-istituzionalizzazione intrapresi dalle autorità regionali della Lombardia e, più in generale, dalle autorità italiane, nel contesto dell'attuazione della legge-quadro 2021 sulla disabilità.

Il Comitato, inoltre, desidera ricevere informazioni sui progressi compiuti verso l'adozione della legge di attuazione della legge-quadro sulla disabilità, in particolare per quanto riguarda il gruppo di lavoro sulle questioni relative alla lotta contro la segregazione.»

IN DIRITTO

I. SULLA QUALITÀ PER AGIRE DEL PRIMO RICORRENTE PER PRESENTARE IL RICORSO IN NOME DEL SECONDO RICORRENTE

A. Tesi delle parti

  1. Il Governo considera che il primo ricorrente non abbia la qualità per agire dinanzi alla Corte in nome del secondo ricorrente, in quanto non ha prodotto una procura scritta debitamente firmata dall'interessato. A tale riguardo, il Governo richiama la giurisprudenza della Corte secondo la quale è essenziale per il rappresentante dimostrare che ha ricevuto istruzioni precise ed esplicite da parte della presunta vittima, ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione, in nome della quale intende agire dinanzi alla Corte.
  2. Inoltre, considerato il fatto che dei ricorsi presentati da singole persone in nome della o delle presunte vittime sono stati a volte dichiarati ricevibili dalla Corte sebbene non fosse stata presentata alcuna procura valida, il Governo afferma che, nel caso di specie, la realtà di un legame affettivo esistente tra il primo e il secondo ricorrente non è stata dimostrata. A questo proposito, afferma che il primo ricorrente non andava a trovare suo cugino prima che quest’ultimo fosse collocato nella residenza sanitaria assistenziale, e che si è interessato a lui soltanto dopo che è stato trasmesso il programma «Le Iene».
  3. Il primo ricorrente risponde che la Corte ammette in casi eccezionali che si possa agire in nome e per conto di un parente che è vittima diretta delle dedotte violazioni della Convenzione e, sottolineando che, nel caso di specie, suo cugino si trovava in una residenza sanitaria assistenziale da tre anni e si trovava nell’incapacità di comunicare liberamente con l'esterno senza l'autorizzazione del suo amministratore di sostegno e del giudice tutelare, argomenta che il secondo ricorrente non era in grado di adire la Corte in quanto solo l'amministratore di sostegno aveva il potere di farlo.
  4. 63. Per quanto riguarda la realtà del legame affettivo, egli ritiene che sia dimostrata dal contenuto della lettera che il secondo il ricorrente gli ha inviato.

B. Valutazione della Corte

  1. La Corte osserva che, nel diritto interno, il fatto di sottoporre una persona all’amministrazione di sostegno impedisce all'interessato di stipulare contratti o di agire in giudizio, poiché, ai sensi dell'articolo 374 del codice civile, al quale fa riferimento l'articolo 411 (paragrafo 48, supra), l'amministratore non può avviare procedimenti giudiziari senza l'autorizzazione del giudice tutelare. La misura di protezione in questione serve dunque, tra l'altro, a premunire le persone interessate da qualsiasi alienazione dei loro diritti o dei loro beni a loro discapito.
  2. La Corte sottolinea che le condizioni che regolano i ricorsi individuali ad essa sottoposti non coincidono necessariamente con i criteri nazionali relativi alla qualità per agire in giudizio. Di fatto, le norme interne in materia possono servire per fini diversi da quelli dell'articolo 34 della Convenzione. Anche se a volte vi è analogia tra i rispettivi scopi, non è necessariamente sempre così (Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 139, CEDU 2000-VIII).
  3. La Corte rammenta che un terzo può, in circostanze eccezionali, agire in nome e per conto di una persona vulnerabile se esiste il rischio che i diritti della vittima diretta siano privati di una protezione effettiva, e a condizione che non vi sia un conflitto di interessi tra l’autore del ricorso e la vittima (Lambert e altri c. Francia ([GC], n. 46043/14, § 102, CEDU 2015 (estratti)).
  4. Inoltre, come la Corte ha già affermato, quando il ricorso non viene presentato dalla vittima stessa, l’articolo 45 § 3 del suo regolamento prevede che deve essere prodotta una procura scritta debitamente firmata (Hirsi Jamaa e altri c. Italia [GC], n. 27765/09, §§ 52 e 53, CEDU 2012). Infatti, è fondamentale per il rappresentante dimostrare che ha ricevuto istruzioni precise ed esplicite da parte della presunta vittima in nome della quale intende agire dinanzi alla Corte. Tuttavia, la Corte ha considerato che alcuni ricorsi presentati da privati in nome di una o più vittime dedotte di violazioni degli articoli 2, 3 e 8 della Convenzione imputate alle autorità nazionali possono essere dichiarati ricevibili anche se non è stata presentata alcuna procura valida; in questi casi, una particolare attenzione è accordata, da una parte, ai fattori di vulnerabilità, come l’età, il sesso o la disabilità, idonei a impedire ad alcune vittime di sottoporre la loro causa alla Corte e, dall’altra, ai legami esistenti tra la vittima e l’autore del ricorso (Lambert e altri, sopra citata, §§ 91 e 92; si veda anche Centro di risorse giuridiche in nome di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], n. 47848/08, §§ 102 e 103, CEDU 2014).
  5. Nella fattispecie, applicando i criteri esposti nella sentenza Lambert (sopra citata), la Corte osserva che il secondo ricorrente si trovava in una situazione che non gli permetteva di presentare direttamente il ricorso dinanzi alla Corte, in quanto l'amministratore di sostegno dispone nei suoi confronti di un potere di sostituzione e, per di più, la doglianza principale riguardava delle limitazioni che quest'ultimo gli aveva imposto con l’autorizzazione del giudice tutelare. Il rischio che il secondo ricorrente sia privato di una protezione effettiva per quanto riguarda i diritti che gli sono riconosciuti ai sensi della Convenzione è dunque comprovato nelle circostanze del caso di specie (mutatis mutandis Blyudik c. Russia, n. 46401/08, §§ 41-44, 25 giugno 2019 e, a contrario (Vivian Italia (dec.), n. 32264/96, 26 febbraio 2002). La Corte rileva, inoltre, una contraddizione evidente tra, da un lato, le posizioni adottate dall'amministratore e dalle giurisdizioni interne relativamente alle questioni oggetto del presente ricorso e, dall'altro, le argomentazioni proposte a sostegno di quel ricorso, secondo le quali le decisioni di sottoporre il secondo ricorrente a una misura di protezione in una residenza sanitaria assistenziale sarebbero contrarie alla Convenzione. Essa constata, inoltre, un'assenza di conflitto di interessi tra il primo ricorrente e il secondo ricorrente per quanto riguarda l'oggetto del ricorso stesso.
  6. La Corte osserva, infine, che la presente causa solleva, sotto il profilo degli articoli 5 e 8 della Convenzione, delle questioni gravi relativamente alle condizioni di vita delle persone anziane nelle residenze sanitarie assistenziali, che assumono un carattere di interesse generale data la vulnerabilità delle persone che risiedono in tali istituti. Il proseguimento dell'esame del presente ricorso offre dunque l'occasione di chiarire le norme convenzionali di protezione applicabili a tali persone, e permette di contribuire alla salvaguardia o allo sviluppo di tali norme.
  7. Tenuto conto di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che esistano, nel caso di specie, circostanze eccezionali che permettono di riconoscere al primo ricorrente la qualità per agire dinanzi ad essa in quanto rappresentante di suo cugino nella misura in cui le doglianze riguardano gli articoli 5 e 8 della Convenzione. Di conseguenza, l'eccezione del Governo relativa all'assenza di qualità per agire del primo ricorrente deve essere respinta.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

  1. Il primo ricorrente lamenta l'impossibilità di stabilire dei contatti con il secondo ricorrente, e contesta le decisioni del giudice tutelare. Il secondo ricorrente lamenta di essere stato collocato in una residenza sanitaria assistenziale dal 2020, e contesta l'impossibilità in cui si trova, da un lato, di ritornare al proprio domicilio e, dall'altro, di ricevere delle visite, nell'istituto in cui risiede, senza il consenso dell'amministratore di sostegno e del giudice tutelare. Egli ritiene che ciò costituisca una violazione del suo diritto alla vita privata.
  2. Quando è stato comunicato il ricorso al Governo, la Corte ha posto alle parti dei quesiti riguardanti anche l'articolo 5 della Convenzione.
  3. La Corte rammenta che può decidere la qualificazione giuridica da attribuire ai fatti che danno luogo alle doglianze formulate esaminando queste ultime sotto il profilo di disposizioni della Convenzione diverse da quelle invocate dal secondo ricorrente (Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 126, 20 marzo 2018). Tenuto conto della natura delle doglianze presentate dall'interessato, la Corte ritiene che le questioni sollevate nel caso di specie debbano essere esaminate unicamente sotto il profilo dell'articolo 8 della Convenzione, così formulato:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

  1. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A. Sulla ricevibilità

  1. Il Governo afferma che il primo ricorrente non ha esaurito le vie di ricorso interne, spiegando che non ha presentato il reclamo previsto dall'articolo 720 bis, comma 2, del codice di procedura civile avverso la decisione del giudice tutelare con la quale è stata respinta la sua domanda di poter incontrare il secondo ricorrente.
  2. Il primo ricorrente non ha presentato osservazioni su questo punto.
  3. Come il Governo, la Corte considera che l'esercizio del suddetto ricorso avrebbe potuto portare a invalidare la decisione del giudice tutelare di non autorizzare la visita richiesta. Di conseguenza, il primo ricorrente non ha esaurito le vie di ricorso interne disponibili. In queste circostanze, la Corte conclude che il ricorso deve essere respinto in quanto irricevibile in applicazione dell'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione per quanto riguarda le doglianze sollevate dal primo ricorrente in suo nome.
  4. Constatando che le doglianze sollevate in nome di C.G. non sono infondate né irricevibili per uno degli altri motivi di cui all'articolo 35 della Convenzione, la Corte le dichiara ricevibili. Per motivi di ordine pratico, la presente sentenza continuerà ad utilizzare il termine «secondo ricorrente» per indicarlo.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

  1. Il secondo ricorrente ritiene che la decisione del giudice tutelare e dell'amministratore di sostegno di negargli qualsiasi contatto con il primo ricorrente e con i suoi parenti costituisse un’ingerenza illegittima nel suo diritto al rispetto della sua vita privata e familiare.
  2. Egli indica che non ha espressamente affermato di non volere incontrare la sua famiglia, e spiega che ha fatto sapere che vorrebbe incontrare il primo ricorrente e la sorella di quest'ultimo quando tornerà al proprio domicilio, in quanto la sua collocazione in una residenza sanitaria assistenziale gli era stata prospettata come una misura temporanea che doveva concludersi rapidamente.
  3. Egli afferma che la diffusione della registrazione della chiamata telefonica era una misura necessaria, in quanto i responsabili della residenza sanitaria assistenziale hanno secondo lui negato che egli fosse stato collocato nel loro istituto, ed era giustificata visto il comportamento del suo amministratore di sostegno e dell'amministrazione della residenza sanitaria assistenziale, che consisteva nel cercare di allontanarlo dalla sua famiglia. A tale proposito, egli argomenta che il giudice tutelare ha respinto anche l'ultima domanda formulata dal primo ricorrente, sebbene quest'ultimo si fosse impegnato a firmare un accordo di riservatezza prima della visita.
  4. Per quanto riguarda il suo collocamento nella residenza sanitaria assistenziale, il secondo ricorrente rammenta di avere già espresso varie volte la sua volontà di tornare a casa sua. Egli afferma che il Garante nazionale, che è andato a incontrarlo varie volte, ha tenuto conto del suo desiderio, e ha chiesto alle autorità di adottare una serie di misure alternative.
  5. Il Governo afferma che la decisione iniziale del giudice tutelare era basata su un rifiuto da parte del secondo ricorrente, e che la seconda decisione di rigetto era giustificata dal fatto che il primo ricorrente aveva autorizzato la diffusione della registrazione.
  6. Per quanto riguarda la decisione di collocare il secondo ricorrente nella residenza sanitaria assistenziale, il Governo argomenta che tale misura costituiva l'unica soluzione per salvaguardare gli interessi patrimoniali e personali dell'interessato alla luce delle circostanze. Secondo il Governo, l'ingerenza delle autorità è dunque rimasta entro i limiti del margine di apprezzamento di cui esse disponevano.

2. Valutazione della Corte

a) Ingerenza, legalità e scopo legittimo

  1. La Corte rammenta che la decisione di sottoporre una persona ad una misura di protezione giuridica può costituire un'ingerenza nella vita privata di tale persona, anche quando quest'ultima è stata privata solo in parte della sua capacità giuridica (Ivinović c. Croazia, 13006/13, § 35, 18 settembre 2014). Essa ritiene dunque che la misura adottata nei confronti del secondo ricorrente costituisca un'ingerenza ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione.
  2. La Corte rammenta che una lesione del diritto di una persona al rispetto della sua vita privata viola l'articolo 8 se non è «prevista dalla legge», se non persegue uno o più scopi legittimi ai sensi del paragrafo 2, o se non è «necessaria in una società democratica», nel senso che non è proporzionata agli scopi perseguiti (si veda, tra altre, Chtoukatourov c. Russia, n. 44009/05, § 85, CEDU 2008 sopra citata).
  3. Nel caso di specie, il secondo ricorrente è stato sottoposto al regime di amministrazione di sostegno previsto dagli articoli 404 e 411 del codice civile (paragrafo 44 supra).
  4. La Corte considera che l'ingerenza perseguisse lo «scopo legittimo», ai sensi del secondo paragrafo dell'articolo 8, della protezione del secondo ricorrente contro, in un primo tempo, il rischio di indigenza e, a partire dal 2020, un indebolimento di ordine fisico e mentale.

b) Proporzionalità

  1. La Corte rammenta che privare una persona della sua capacità giuridica, anche in parte, è una misura molto grave che dovrebbe essere riservata a circostanze eccezionali (Ivinović, sopra citata, § 38). Tuttavia, deve essere lasciato inevitabilmente un margine di apprezzamento alle autorità nazionali che, a causa del loro contatto diretto e continuo con le forze vive del loro paese, si trovano in linea di principio in una posizione migliore rispetto a una giurisdizione internazionale per valutare i bisogni e le condizioni locali (Maurice c. Francia [GC], n. 11810/03, § 117, CEDU 2005 IX). Questo margine varierà in funzione della natura del diritto della Convenzione che è in causa, della sua importanza per la persona e della natura delle attività limitate, così come della natura dello scopo perseguito dalle restrizioni. Il margine tenderà a essere più ristretto quando il diritto in gioco è fondamentale per il godimento effettivo da parte della persona di diritti intimi o essenziali (-M.V. c. Finlandia, n. 53251/13, § 83, 23 marzo 2017).
  2. Le garanzie procedurali di cui dispone la persona saranno particolarmente importanti per determinare se lo Stato convenuto sia rimasto entro i limiti del proprio margine di apprezzamento. In particolare, la Corte deve esaminare se il processo decisionale che ha condotto alle misure di ingerenza sia stato equo e tale da assicurare il rispetto degli interessi che l'articolo 8 garantisce alle persone (ibidem, § 84, e i riferimenti ivi citati).
  3. Nella fattispecie, si deve constatare che la decisione di sottoporre il secondo ricorrente all'amministrazione di sostegno e dunque, se del caso, di privarlo in parte della sua capacità giuridica, non era basata su una constatazione di alterazione delle sue facoltà mentali attestata da medici (si veda, a contrario, Ivinović, sopra citata), ma su una eccessiva prodigalità, e sull’indebolimento fisico e psichico da lui dimostrato a partire dal 2020.
  4. In queste circostanze, la Corte ritiene di dover verificare con maggiore attenzione se i giudici nazionali abbiano scrupolosamente soppesato tutti i fattori pertinenti prima di prendere le decisioni di sottoporlo alla suddetta misura di protezione giuridica e di farlo ammettere in una residenza sanitaria assistenziale, limitando i suoi contatti con l'esterno.
  5. La Corte osserva che, nel diritto italiano, quando viene nominato un amministratore di sostegno, la persona protetta mantiene una capacità di esercitare tutti gli atti diversi da quelli per i quali il giudice ha accordato competenza all'amministratore per sostituirsi ad essa o per assisterla. La portata dei poteri dell'amministratore dipende, del resto, dalla situazione del beneficiario della misura, che non può in nessun caso essere totalmente privato della sua capacità di esercizio.
  6. Nel caso di specie, la Corte osserva che a partire dal maggio 2020 l'amministratore di sostegno disponeva di un mandato esclusivo che gli ha permesso di chiedere al giudice, nell'ottobre 2020, l'autorizzazione a procedere al collocamento del secondo ricorrente nella residenza sanitaria assistenziale. La decisione del giudice tutelare di accordare tale autorizzazione era basata sul fatto che il secondo ricorrente non comprendeva le conseguenze della sua prodigalità, era affetto da un disturbo della personalità ossessivo-compulsivo con tratti depressivi, viveva in condizioni di povertà e non curava la propria igiene.
  7. La Corte osserva che, dopo che il secondo ricorrente era stato collocato nell'istituto nel 2020, un regime di isolamento rigoroso era stato deciso dall'amministratore di sostegno sebbene l'interessato chiedesse di poter ritornare a casa propria. Quest'ultimo è stato perciò privato, al di fuori di alcune eccezioni, di ogni contatto con l'esterno, e qualsiasi domanda di colloquio telefonico o di visita era sottoposta a un filtro da parte dell'amministratore di sostegno o del giudice tutelare. Inoltre, sebbene alcuni esperti avessero raccomandato fin dal 2021 un ritorno progressivo al suo domicilio (paragrafo 40, supra), questa misura non è stata mai messa in atto.
  8. La Corte osserva che anche il Garante nazionale è intervenuto a tale proposito, denunciando l'isolamento al quale il secondo ricorrente era sottoposto e chiedendo (si veda il paragrafo 36 supra), invano, alla procura di esercitare le sue prerogative per porvi fine.
  9. La Corte rammenta di avere considerato, sotto il profilo dell'articolo 5 della Convenzione, che in alcune circostanze il benessere di una persona affetta da disturbi mentali poteva costituire un fattore addizionale di cui tenere conto, oltre agli elementi medici, al momento di valutare la necessità di collocare tale persona in un istituto. Tuttavia, il bisogno oggettivo di un alloggio e di un'assistenza sociale non deve portare automaticamente a imporre misure privative della libertà. Secondo la Corte, qualsiasi misura di protezione adottata nei confronti di una persona capace di esprimere la propria volontà deve, per quanto possibile, rispecchiare i suoi desideri. Le fonti internazionali confermano questo approccio (si vedano i paragrafi 51‑53 supra).
  10. La Corte rammenta, inoltre, che quando sono in gioco delle implicazioni così importanti per la vita privata di una persona, il giudice deve bilanciare scrupolosamente tutti i fattori pertinenti per valutare la proporzionalità della misura da adottare. Le garanzie procedurali necessarie in materia impongono che qualsiasi rischio di arbitrarietà sia ridotto al minimo (X e Y c. Croazia, n. 5193/09, § 85, 3 novembre 2011).
  11. Tenuto conto dell'impatto che la misura di protezione giuridica ha avuto per il secondo ricorrente e la sua vita privata, la Corte osserva che le autorità giudiziarie, anche se hanno compiuto una valutazione approfondita della situazione dell’interessato prima di procedere al suo collocamento nella residenza sanitaria assistenziale, non hanno cercato, nel corso della sua permanenza in tale struttura, data la vulnerabilità particolare che ritenevano di aver individuato, di adottare misure ai fini del mantenimento dei suoi rapporti sociali e di mettere in atto un percorso idoneo a favorire il suo ritorno presso il suo domicilio.
  12. Al contrario, a seguito del suo collocamento nella residenza sanitaria assistenziale, il secondo ricorrente è stato sottoposto a un isolamento dal mondo esterno, e in particolare dalla sua famiglia e dai suoi amici – come ha rilevato anche il Garante nazionale (paragrafo 35, supra). Tutte le visite e tutte le chiamate telefoniche erano filtrate dal suo amministratore o dal giudice tutelare, e una delle rare persone autorizzate a vederlo durante questi tre anni era il sindaco della città di sua residenza. La Corte osserva che questo filtro è stato messo in atto fin dal suo arrivo nell'istituto, ossia prima della trasmissione nelle reti televisive del programma «Le Iene». Successivamente, il giudice tutelare si è basato unicamente sui rapporti presentati dall'amministratore di sostegno, non ritenendo di dover sentire il secondo ricorrente, e ha respinto le domande di contatti presentate dal primo ricorrente, conformandosi al parere negativo dell'amministratore.
  13. La Corte osserva anche che, nel giugno 2022, una persona è stata condannata a un anno e dieci mesi di reclusione per violazione di domicilio per essersi introdotta nella residenza sanitaria assistenziale e aver incontrato il secondo ricorrente senza il consenso dell'amministratore di sostegno.
  14. A questo proposito, la Corte osserva che il Governo non ha fornito alcuna spiegazione sulla necessità di sottoporre qualsiasi incontro all'autorizzazione dell'amministratore o del giudice tutelare, e di isolare l'interessato dai suoi parenti per un periodo così lungo. La Corte è del parere che la decisione di limitare i contatti in questione non sia stata presa sulla base di un esame concreto e scrupoloso di tutti gli aspetti pertinenti della situazione particolare del secondo ricorrente, e rammenta, su questo punto, che gli esperti si erano pronunciati in favore di uscite da parte dell'interessato in luoghi di svago (paragrafo 40, supra).
  15. Inoltre, la Corte osserva che non sembra essere stata prevista alcuna misura volta al ritorno da parte dell'interessato nel suo domicilio durante i tre anni trascorsi, sebbene il collocamento fosse stato deciso in via provvisoria. La Corte attribuisce un'importanza particolare al fatto che il secondo ricorrente non è stato dichiarato incapace e non è stato oggetto di alcuna interdizione, in quanto le perizie hanno indicato, al contrario, che aveva una buona capacità di socializzare. Essa constata che, nonostante questi elementi, egli si è trovato a dipendere completamente dal suo amministratore in quasi tutti gli ambiti e senza alcun limite di durata. La Corte osserva con preoccupazione che, nel caso di specie, le autorità, in pratica, hanno abusato della flessibilità dell'amministrazione di sostegno per perseguire finalità che la legge italiana attribuisce, con limiti molto rigorosi, alla T.S.O. (paragrafo 49, supra), e che l'inquadramento legislativo di quest'ultima è stato dunque caratterizzato da un ricorso abusivo all'amministrazione di sostegno.
  16. La Corte rammenta che, nel rapporto che ha pubblicato a seguito della sua visita in Italia nel marzo e aprile 2022, il CPT ha espresso delle preoccupazioni per quanto riguarda le residenze sanitarie assistenziali, ritenendo che, tenuto conto delle restrizioni associate al Covid-19 (in particolare la privazione di accesso all'aria aperta e la riduzione delle attività riabilitative e ricreative e delle visite familiari), e dell'assenza di alternative possibili nella società, i residenti delle due R.S.A. nelle quali si era recato potevano essere considerati di fatto come privati della libertà. Il CPT ha osservato, in particolare, che le restrizioni che erano state applicate in maniera continua a partire da febbraio 2020 nei due istituti visitati avevano avuto un effetto pregiudizievole sempre maggiore per la salute mentale e somatica dei residenti.
  17. La Corte è pienamente consapevole della difficoltà che rappresenta per le autorità interne la necessità di giungere a conciliare, in determinate circostanze, il rispetto della dignità e dell'autodeterminazione della persona con le esigenze di protezione e di salvaguardia degli interessi di quest'ultimo, in particolare nei casi in cui l'interessato, per il suo atteggiamento e la sua situazione individuale, si trova in uno stato di grande vulnerabilità. La Corte ritiene che non sia stato garantito un giusto equilibrio nel caso di specie. Essa constata che non esistevano, nel procedimento interno, garanzie effettive proprie a prevenire gli abusi, come richiedono le norme del diritto internazionale relativo ai diritti dell'uomo, che avrebbero potuto assicurare, nel caso di specie, che fossero presi in considerazione i diritti, la volontà e le preferenze del secondo ricorrente. Quest’ultimo non ha partecipato alle decisioni che sono state prese nelle diverse fasi del procedimento (si veda, a contrario, K. c. Lussemburgo, n. 51746/18, § 66, 18 maggio 2021), è stato sentito personalmente solo una volta nel corso della sua permanenza nella RSA, d è stato sottoposto a restrizioni per quanto concerne i suoi contatti con i suoi parenti, e tutte le decisioni che lo riguardano sono state prese dall'amministratore di sostegno.
  18. A questo proposito, la Corte rammenta che il CPT ha raccomandato delle visite regolari da parte dei giudici tutelari dei tribunali territoriali competenti ai residenti delle residenze sanitarie assistenziali sottoposti alla misura di amministrazione di sostegno (paragrafo 49 supra).
  19. Inoltre, la Corte osserva che il CDPD ha constatato con preoccupazione che la prassi della decisione sostitutiva continuava ad essere diffusa nell'ambito dell'amministrazione di sostegno (paragrafo 48 supra), e ha raccomandato, in particolare, alle autorità di abrogare tutte le leggi che autorizzano questo tipo di prassi decisionale da parte dei tutori legali, e di adottare e applicare dei dispositivi di assistenza alla presa di decisioni, anche attraverso la formazione dei professionisti della giustizia, della salute e dei servizi sociali.
  20. La Corte condivide le preoccupazioni del CDPD riguardanti la detenzione – di cui esso raccomanda il divieto – di persone a causa della loro disabilità, alla quale assimila il ricovero e/o il trattamento senza consenso. A tale riguardo, tenuto conto anche delle constatazioni del CPT e della giurisprudenza della Carta sociale europea (paragrafi 50-59, supra), essa è del parere che gli Stati siano tenuti a favorire la partecipazione delle persone disabili o delle persone anziane «dipendenti» alla vita della comunità, e di prevenire il loro isolamento o la loro segregazione.
  21. La Corte conclude che, nel caso di specie, anche se l'ingerenza perseguiva lo scopo legittimo di proteggere il benessere, in senso ampio, del secondo ricorrente, essa non era tuttavia, in riferimento alla gamma delle misure che le autorità potevano adottare, né proporzionata né adeguata alla sua situazione individuale. Pertanto, l'ingerenza non è rimasta entro i limiti del margine di apprezzamento di cui le autorità giudiziarie beneficiavano nel caso di specie.
  22. In queste circostanze, la Corte conclude che vi è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione.

III. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione:

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

  1. Il secondo ricorrente non ha presentato alcuna domanda a titolo di equa soddisfazione. Di conseguenza, la Corte ritiene di non dovergli accordare alcuna somma a questo titolo.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE ALL'UNANIMITA'

  1. Dichiara irricevibili le doglianze presentate dal primo ricorrente e ricevibili le doglianze presentate dal secondo ricorrente;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione nei confronti del secondo ricorrente;

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 6 luglio 2023, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Marko Bošnjak
Presidente

Renata Degener
Cancelliere

[1] Questa misura è volta a proteggere, nello svolgimento delle funzioni legate alla vita quotidiana, le persone parzialmente o totalmente prive della loro autonomia (le persone con una disabilità o un indebolimento, fisico o psichico, che si trovano nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi) limitandone il meno possibile la capacità di agire. La persona protetta conserva la capacità di agire per tutti gli atti ad eccezione di quelli per i quali il giudice ha concesso all'amministratore la competenza per sostituirsi alla persona protetta o per assisterla.