Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 18 maggio 2010 - Ricorso n.38532/02; Udorovic c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Rita Carnevale

Abstract
CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI - ARTICOLO 6 CEDU CAMPO NOMADE - ORDINANZE DEL SINDACO DI CENSIMENTO E SGOMBERO - LAMENTATA DISCRIMINAZIONE SU BASE ETNICA - LAMENTATA ASSENZA DI PUBBLICITÀ DELLE UDIENZE NELL’AMBITO DEI PROCEDIMENTI INSTAURATI EX ARTT. 43-44 DEL D.LGS. N. 286 DEL 1998: APPLICABILITÀ AI SUDDETTI PROCEDIMENTI E NON VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 CEDU - MANCATO ESAME DEL MOTIVO D’APPELLO CONCERNENTE LA NATURA DISCRIMINATORIA DELL’ATTO IMPUGNATO: VIOLAZIONE DELL’ART. 6 CEDU.

In fatto - Il ricorrente appartiene alla comunità zigana dei sinti e risiedeva all’epoca dei fatti nel campo nomadi di Roma di via Nono. Egli ha contestato dinanzi al tribunale amministrativo del Lazio le misure adottate dal sindaco del comune di Roma nel 1996 volte al censimento e allo sgombero del campo nomade nel quale risiedeva insieme ad altre 47 persone appartenenti alla stessa minoranza, ottenendone la sospensione. Il processo di merito è tuttora pendente. Il ricorrente ha presentato, altresì, dinanzi al Tribunale civile di Roma un ricorso per discriminazione contro il comune ed il sindaco di Roma (ex artt. 43 e 44 del d.lgs. n. 286 del 1998), chiedendo l’accertamento della natura discriminatoria di tali atti, la loro immediata cessazione, nonchè l’indennizzo dei danni materiali e morali subiti.

In diritto - Dinanzi alla Corte dei diritti [oltre alla violazione degli artt. 8 e 14 in riferimento ai quali si dichiara la manifesta infondatezza] il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 6 § 1 CEDU per la mancata previsione di una pubblica udienza nel procedimento previsto dal decreto legislativo sull’immigrazione per l’accertamento della natura discriminatoria di un atto. La Corte, pur ritenendo applicabili le garanzie del giusto processo ad una procedura, come quella in oggetto, preliminare, provvisoria, né definitiva né esecutiva, conclude nel senso della non violazione della Convenzione. Secondo la consolidata giurisprudenza del giudice europeo, infatti, l’art. 6 ammette deroghe al principio della pubblicità delle udienze nei casi in cui risultano preminenti, come nella specie, esigenze di celerità della procedura, anche tenuto conto del fatto che nel corso della stessa sono state rispettate le altre garanzie procedurali previste dall’art. 6.

Il ricorrente lamenta altresì la violazione dell’art. 6 CEDU per il mancato esame da parte della Corte d’appello di uno dei motivi del ricorso concernente la natura discriminatoria dell’atto impugnato. Considerato il contenuto dell’ordinanza del 1996 la Corte europea ritiene che non si può affermare che i motivi non considerati dalla giurisdizione d’appello sarebbero stati ininfluenti ai fini della decisione e constata la violazione dell’art. 6.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA UDOROVIC c. ITALIA
(Ricorso n. 38532/02 )
SENTENZA
 STRASBURGO - 18 maggio 2010

Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche formali.

La Corte europea dei diritti dell'uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Nona Tsotsoria,
Kristina Pardalos, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 27 aprile 2010,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (no 38532/02) proposto contro Repubblica italiana con il quale un cittadino di questo Stato, il signor Aldo Udorovic ("il ricorrente"), ha adito la Corte il 20 settembre 2002 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione")
2. Il ricorrente è rappresentato dagli avvocati N. Paoletti e A. Mari, del foro di Roma. Il governo italiano ("il Governo") è stato rappresentato dal suo agente, sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, sig. N. Lettieri.
3. Il ricorrente deduce l'iniquità, sotto vari aspetti, di una procedura per discriminazione avviata contro l'amministrazione innanzi ai giudici civili.
4. Il 12 novembre 1008, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Come consente l'articolo 29 § 3 della Convenzione, ha inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1951 e risiede a Terracina.
6. È un cittadino italiano appartenente alla comunità tzigana dei Sinti e, all'epoca dei fatti, risiedeva a Roma in un campo nomadi situato in via Luigi Nono.
7. Il 13, 14 e 15 novembre 1995, la polizia municipale di Roma eseguì dei controlli in tutti i campi nomadi autorizzati e in tutti gli insediamenti nomadi spontanei situati nel comune, ivi compreso il campo "Nono".
8. Con decisione del 23 gennaio 1996, il sindaco di Roma osservò che il censimento dei campi nomadi era stato eseguito allo scopo di determinarne la tipologia, le condizioni e le dimensioni. Ricordò che ai sensi della legge regionale n° 59 del 3 maggio 1985, è possibile accamparsi soltanto in strutture adeguatamente recintate che presentano condizioni igienico-sanitarie accettabili. Inoltre, il sindaco affermò che, per quanto riguardava le famiglie Rom e Sinti, soltanto quelle con bambini in età scolastica che seguivano realmente la scuola dell’obbligo avevano il diritto di risiedere nei campi allestiti dal comune. Aggiunse che questi criteri personali sarebbero stati verificati dall'amministrazione in occasione di un prossimo censimento.
9. Con la stessa decisione, l'amministrazione comunale stilò un elenco delle strutture ritenute conformi ai criteri previsti dalla legge, con l'indicazione della loro capacità massima. In tale elenco figurava anche il campo Nono che aveva una capacità di 30 persone.
10. Il 15 giugno 1999, l'ufficio immigrazione del comune di Roma domandò alla polizia municipale di effettuare un censimento nel campo Nono. Il censimento ebbe luogo il 24 giugno 1999.
11. Con decisione del 4 novembre 1999, il sindaco di Roma ordinò lo sgombero delle quarantasette persone che vivevano nel campo Nono ed il loro trasferimento in un campo attrezzato, nella misura in cui queste persone erano in regola con le norme sull'immigrazione e con i criteri stabiliti dall'ordinanza del 1996. Il sindaco affermò che l'accampamento, situato vicino ad una scuola elementare, non era dotato di rete fognaria e di acqua potabile conformi alle norme igieniche e osservò che era impossibile effettuare lavori di urbanizzazione in un termine ragionevole. Inoltre, lo stato del campo era aggravato dal comportamento degli occupanti. Risultava quindi necessario preservare l'ambiente oltre che la salute degli occupanti del campo e dei residenti del quartiere adottando una misura immediata quale l'evacuazione.
12. Il 25 novembre 1999, il ricorrente impugnò tale decisione innanzi al tribunale amministrativo del Lazio e domandò la sospensione del provvedimento di sgombero.
13. Con ordinanza cautelare del 19 gennaio 2000, il tribunale accolse l’istanza di sospensiva presentata dal ricorrente. Rilevò che, con la sua decisione del 1996, il comune aveva autorizzato l'installazione di persone e di caravan nel campo interessato e affermò che l'amministrazione aveva l'obbligo di sistemare adeguatamente detto campo al fine di permettere condizioni di vita accettabili.
14. Il comune propose appello avverso l'ordinanza cautelare del 19 gennaio 2000. Il Consiglio di Stato confermò la decisione del tribunale amministrativo di sospendere l'esecuzione del provvedimento di sgombero.
15. L’esame del merito è attualmente pendente innanzi al tribunale amministrativo.
16. Il 20 marzo 2000, il ricorrente introdusse innanzi il tribunale civile di Roma un ricorso per atti discriminatori contro il comune e il sindaco di Roma, conformemente agli articoli 43 e 44 del decreto legislativo n° 286 del 1998. Sostenendo che le decisioni prese dal sindaco nel 1996 e nel 1999 erano discriminatorie dal momento che riguardavano cittadini italiani in ragione della loro appartenenza all’etnia Sinti, domandò al tribunale di condannare l'amministrazione a porre fine alla discriminazione e ad indennizzarlo per il danno materiale e morale subito.
17. Il procedimento si svolse, conformemente alla legge, in camera di consiglio. All'udienza del 17 maggio 2000, il ricorrente depositò dei documenti.
18. Con ordinanza del 12 marzo 2001, depositata il 13 marzo 2001, il tribunale respinse il ricorso del ricorrente. Affermò che le decisioni contoverse non erano discriminatorie in quanto perseguitano lo scopo di garantire la salute pubblica dei cittadini residenti nel quartiere e degli stessi occupanti del campo. Inoltre, il tribunale affermò che il censimento dei campi disposto con la decisione del 1996 mirava ad organizzare l'accoglienza delle comunità nomadi e non, come affermava il ricorrente, a "schedare" le minoranze etniche presenti sul territorio.
19. Il ricorrente propose reclamo avverso tale ordinanza alla corte d'appello di Roma, lamentando, tra l'altro, il carattere discriminatorio della decisione del 1996.
20. Il 2 luglio 2001, si svolse un’udienza in camera di consiglio in presenza delle parti. In tale circostanza, il ricorrente domandò a titolo provvisorio l'istallazione di una fontana di acqua potabile nel campo, nell'attesa della decisione sul merito del ricorso. La corte d'appello respinse questa richiesta.
21. Le udienze si svolsero il 1° ottobre 2001, il 3 dicembre 2001 ed il 7 gennaio 2002; le prime due furono rinviate per permettere all'amministrazione comunale di produrre i documenti necessari all'istruzione della causa.
22. Con ordinanza del 14 gennaio 2002, depositata l'11 marzo 2002 e notificata al ricorrente il 21 marzo 2002, la corte d'appello di Roma respinse il reclamo del ricorrente. Affermò che la decisione del 1999 che disponeva l'evacuazione del campo Nono, benché viziata da un certo grado di autoritarismo che poteva giustificare una reazione negativa dei suoi destinatari, non poteva essere considerata discriminatoria, perché non era motivata dall'intenzione di nuocere agli occupanti del campo in ragione della loro appartenenza etnica.
23. Al contrario, la corte di appello non si espresse sulla legittimità della decisione del 1996, osservando nella sua ordinanza che "nel reclamo del ricorrente non sono reiterate le sue allegazioni riguardanti questa decisione".
24. Risulta dal fascicolo che, il 19 novembre 2005, il ricorrente lasciò spontaneamente il campo Nono.

II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

25. Il decreto no 286 del 25 luglio 1998 contiene norme in materia di immigrazione e di condizioni degli stranieri.
L'articolo 44 del citato decreto, nelle sue parti pertinenti, recita:
« 1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione (...)
Il tribunale provvede con ordinanza (...).
Contro i provvedimenti del tribunale è ammesso reclamo alla corte d’appello nei termini di cui all’articolo 739, secondo comma, del codice di procedura civile.
Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedura civile.
Con la decisione che definisce il giudizio il giudice può altresì condannare il convenuto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale (…)».
Gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedura civile riguardano i procedimenti in camera di consiglio.
Avverso le decisioni prese in ambito di impugnazioni contro gli atti discriminatori non è ammesso il ricorso per cassazione.

IN DIRITTO

I. SULL'OGGETTO DEL RICORSO

26. Al momento dell’introduzione del ricorso, il ricorrente deduceva violazione dell'articolo 6 della Convenzione nonché degli articoli 8 e 14 della Convenzione e 2 del Protocollo no 4.
27. La Corte rileva che le doglianze basate su questi ultimi tre articoli erano anche oggetto del ricorso no 70081/01, introdotto dal ricorrente l'8 gennaio 2001. Con decisione del 31 gennaio 2003, presa ai sensi dell'articolo 28 della Convenzione, la Corte ha dichiarato il suddetto ricorso irricevibile e lo ha rigettato in applicazione dell'articolo 35 § 4.
28. Pertanto, nell'ambito del presente ricorso, la Corte si limiterà ad esaminare i motivi riferiti all'articolo 6 della Convenzione.

II. SULLA ADDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE PER QUANTO RIGUARDA LA MANCATA PUBBLICITÀ DELLE UDIENZE

29. Il ricorrente allega che la sua causa non è stata esaminata pubblicamente. Invoca l'articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, recita:
« Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente (…) da un tribunale indipendente imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…), la sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia».
30. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

31. Il Governo eccepisce prima di tutto l'inapplicabilità dell'articolo 6. Afferma che l'azione civile contro la discriminazione prevista dall'articolo 44 del decreto n° 268 costituisce un procedimento cautelare che prevede l'emissione di una misura urgente e provvisoria nell'attesa di un giudizio di merito. A sostegno della sua tesi, il Governo fa riferimento alla sentenza n ° 6172/2008 delle sezioni unite della Corte di cassazione, che dichiara che il procedimento previsto dal decreto n° 268 costituisce un procedimento cautelare e che l'ordinanza adottata nell'ambito di questo procedimento ha carattere provvisorio e non definitivo, né esecutivo.
32. Il Governo fa riferimento alla consolidata giurisprudenza della Corte ai sensi della quale i procedimenti cautelari normalmente non sono considerati avere ad oggetto una contestazione sui diritti e doveri di carattere civile e dunque generalmente non rientrano nella tutela dell'articolo 6.
33. Il ricorrente respinge le tesi del Governo. Afferma che l’azione contro la discriminazione si inscrive in un procedimento ordinario e non cautelare, e non ha come scopo l’emissione di un provvedimento di urgenza. A tale riguardo, contesta le conclusioni della Corte di cassazione e considera non convincenti le argomentazioni dell'alta giurisdizione italiana.
34. La Corte osserva subito che le parti non sono d'accordo sulla qualificazione del procedimento controverso. Se il Governo ne afferma la natura cautelare, l'interessato ritiene al contrario che si tratti di un procedimento ordinario
35. La Corte ricorda che spetta in primo luogo alle autorità nazionali, e in particolare ai tribunali, interpretare il diritto interno e che in assenza di arbitrio non sostituisce la sua interpretazione alla loro (vedere, fra molte altre, Tejedor García c. Spagna, sentenza del 16 dicembre 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-VIII, § 31, p. 2796). Nella fattispecie non può mettere in dubbio le conclusioni delle sezioni unite della Corte di cassazione che, esprimendosi nell'ambito delle sue prerogative di interprete supremo del diritto interno, ha affermato la natura cautelare del procedimento contro la discriminazione ed il carattere provvisorio delle decisioni prese nell'ambito di quest'ultimo.
36. Comunque sia, la Corte ricorda che recentemente ha avuto occasione di rivedere la sua giurisprudenza relativa all'applicabilità dell'articolo 6 § 1 ai procedimenti cautelari. Al paragrafo 83 della sentenza Micallef c. Malta (Micallef c. Malta [GC], no 17056/06, CEDH 2009 ...), ha affermato che l'applicabilità dell'articolo 6 a questo tipo di procedimenti dipende dal rispetto di alcune condizioni. In primo luogo, il diritto in gioco sia nel procedimento principale che nel procedimento cautelare deve essere "di carattere civile" nel senso autonomo che questa nozione assume nell'ambito dell'articolo 6 della Convenzione. In secondo luogo, la natura, l'oggetto e lo scopo della misura cautelare, nonché i suoi effetti sul diritto in questione, devono essere esaminati attentamente. Ogni qualvolta si possa ritenere che una misura sia determinante per il diritto o il dovere di carattere civile in gioco, qualunque sia la durata in cui è rimasta in vigore, dovrà essere applicato l'articolo 6.
37. Nella fattispecie occorre osservare che lo scopo della domanda del ricorrente era quello di veder riconoscere la portata discriminatoria delle decisioni del comune di Roma di evacuare il campo dove il ricorrente risiedeva con la sua famiglia, di ottenerne l'annullamento, e di vedersi concedere un risarcimento per il danno subito. In questo contesto, la Corte ritiene che il procedimento controverso fosse determinante per dei diritti di "carattere civile" ai sensi della Convenzione.
38. Pertanto, si deve rigettare l'eccezione del Governo e concludere che l'articolo 6 è applicabile al procedimento controverso. La Corte rileva peraltro che il ricorso non contrasta nessun altro motivo di irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti

39. Il ricorrente lamenta che il procedimento si è svolto in camera di consiglio quindi non pubblicamente.
Afferma che non vi era alcun motivo per giustificare nella fattispecie la mancanza di pubblicità. Pur ammettendo che il ricorso contro la discriminazione è stato concepito per garantire una protezione rapida ed efficace dei diritti fondamentali delle persone vittime di discriminazione, il ricorrente ritiene che il diritto di beneficiare di un procedimento pubblico non avrebbe dovuto essere ostacolato in nessun caso.
40. Peraltro, la pubblicità del dibattimento era auspicabile tenuto conto della risonanza mediatica che i fatti legati all'evacuazione del campo Nono avevano avuto nel paese.
41. Il Governo sottolinea che il diritto invocato dal ricorrente non è un diritto assoluto ai sensi della Convenzione. Insiste sulla natura cautelare del procedimento controverso e fa valere la necessità di privilegiare le esigenze di semplicità e di rapidità, proprie di questo tipo di procedimenti, rispetto all'esigenza dell'articolo 6 in materia di pubblicità.
42. Inoltre, afferma che nella fattispecie era anche in gioco il rispetto della vita privata delle famiglie evacuate, tra le quali figuravano parecchi minori. Infine, fa riferimento alla natura tecnica della controversia.

2. Valutazione della Corte

43. La Corte ricorda che la pubblicità della procedura degli organi giudiziari di cui all’articolo 6 § 1 protegge le persone sottoposte a giudizio da una giustizia segreta che sfugge al controllo del pubblico (vedere, Riepan c. Austria, no 35115/97, § 27, CEDH 2000-XII) ; essa costituisce anche uno dei mezzi per preservare la fiducia nelle corti e nei tribunali. Attraverso la trasparenza che essa conferisce all'amministrazione della giustizia, aiuta a realizzare lo scopo dell'articolo 6 § 1: il processo equo, la cui garanzia è annoverata fra i principi di qualsiasi società democratica ai sensi della Convenzione (vedere fra molte altre, Tierce e altri contro San Marino, nn. 24954/94, 24971/94 e 24972/94, § 92, CEDH 2000-IX).
44. L'articolo 6 § 1 non impedisce tuttavia che i giudici, viste le particolarità della causa sottoposta al loro esame, decidano di derogare a tale principio; il processo a porte chiuse, totalmente o parzialmente, deve essere strettamente imposto dalle circostanze del caso (vedere, per esempio, mutatis mutandis, la sentenza Diennet c. Francia, del 26 settembre 1995, Serie A no 325-A, § 34).
45. Peraltro, la Corte ha ritenuto che circostanze eccezionali, attinenti alla natura delle questioni sottoposte al giudice nell'ambito del procedimento trattato, possano giustificare una dispensa dalla pubblica udienza, per esempio le controversie altamente tecniche che spesso si prestano meglio agli scritti piuttosto che alle difese orali, e da imperativi di efficacia e di economia (Martinie c. Francia [GC], no 58675/00, CEDH 2006, § 41 ; le sentenze Miller e Schuler-Zgraggen succitate).
46. Nella fattispecie, l'esclusione del pubblico dalla sala d'udienza è espressamente prevista dal decreto n° 268, che contiene un rinvio esplicito alle norme del codice di procedura civile relative ai procedimenti in camera di consiglio.
47. La Corte ha appena constatato la natura cautelare del procedimento in questione ed il carattere provvisorio delle misure prese nell'ambito di quest'ultimo (precedente paragrafo 35).
A tale proposito, essa ricorda di aver già affermato che, quando si tratta di procedimenti cautelari, in casi eccezionali - ad esempio quando la effettività della misura cautelare richiesta dipende dalla rapidità del processo decisionale - può risultare impossibile rispettare nell'immediato tutte le esigenze previste dall'articolo 6. Così, in alcune precise ipotesi, mentre l'indipendenza e l'imparzialità del tribunale o del giudice interessato costituiscono garanzie inalienabili che è indispensabile rispettare in tali procedimenti, altre garanzie procedurali possono applicarsi soltanto nella misura in cui lo permettano la natura e lo scopo del procedimento cautelare considerato. In caso di ulteriore procedura innanzi alla Corte, spetterà al Governo stabilire, tenuto conto dello scopo della procedura in causa in un determinato caso, che una o più garanzie procedurali particolari non potevano essere applicate senza compromettere indebitamente la realizzazione degli obiettivi previsti dalla misura cautelare in questione (Micallef, succitata, § 86).
48. Ora, le parti concordano nel dire che l’azione contro la discriminazione ha lo scopo di assicurare ad ogni cittadino una protezione immediata ed efficace a fronte di trattamenti discriminatori provenienti da altre persone o dalla pubblica amministrazione. Ai sensi dell'articolo 44 del decreto n° 286, le domande delle persone sottoposte a giustizia in questo campo tendono ad ottenere la cessazione del comportamento discriminatorio e l'adozione di qualsiasi misura adeguata, secondo le circostanze, per cancellare gli effetti della discriminazione.
49. La Corte comprende che nell’ambito considerato le autorità nazionali tengano conto degli imperativi di efficacia e rapidità e che garantire sistematicamente la pubblicità delle udienze potrebbe costituire un ostacolo alla diligenza dell'intervento auspicato dal richiedente.
50. Peraltro, non perde di vista il fatto che il procedimento innanzi al tribunale ed alla corte d'appello di Roma si sia svolto nel rispetto delle altre garanzie procedurali previste dall'articolo 6. In effetti, il ricorrente, assistito da un avvocato di fiducia, ha avuto la possibilità di essere presente alle udienze e di partecipare al procedimento depositando memorie e documenti.
51. Riassumendo, la Corte ritiene che la mancanza di pubblicità delle udienze nella fattispecie era giustificata alla luce degli obiettivi di cui al procedimento controverso. Pertanto, non vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

III. SULL'ALTRA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

52. Invocando l'articolo 6, il ricorrente adduce anche un errore manifesto della corte d'appello di Roma, dal momento che dimentica di esaminare il suo mezzo d'appello riguardante l'illegittimità della decisione del comune di Roma del 23 gennaio 1996.
53. Il Governo ricorda innanzitutto che l'obbligo di motivare le decisioni giudiziarie non richiede, per principio, una risposta dettagliata per ogni argomentazione.
Per quanto riguarda il mezzo d'appello controverso, in merito all'illegittimità della decisione del comune del 23 gennaio 1996, il Governo afferma che era interamente assorbito dagli altri mezzi d'appello del ricorrente, che furono ampiamente esaminati dalla corte d'appello
54. Peraltro, tutte le argomentazioni del ricorrente riguardavano la questione dell'evacuazione del campo Nono, questione sulla quale la giurisdizione d'appello ha fornito una valutazione dettagliata ed esaustiva.
55. La Corte ricorda che generalmente non le spetta esaminare gli errori di fatto e di diritto presumibilmente commessi da un’autorità giudiziaria nazionale, salvo innegabile valutazione inesatta, che abbia leso i diritti e le libertà salvaguardati dalla Convenzione (cf. García Ruiz c. Spagna ([GC], sentenza succitata, § 28 ; Schenk c. Svizzera, 12 luglio 1988, serie A, no 140, p. 29, § 45 ; Kemmache c. Francia, no 3, 24 novembre 1994, serie A, no 296-C, p. 88, § 44 ; Dulaurans c. Francia, no 34553/97, § 38, 21 marzo 2000).
56. Inoltre, il diritto ad un processo equo, garantito dall'articolo 6 § 1 della Convenzione, ingloba, fra altri, il diritto delle parti al processo a presentare le osservazioni che ritengono pertinenti al caso loro. La Convenzione non mira a garantire diritti teorici o illusori, ma diritti concreti ed effettivi (Artico c. Italia del 13 maggio 1980, serie A no 37, p. 16, § 33), questo diritto può essere considerato effettivo soltanto se queste osservazioni sono veramente “comprese”, ossia debitamente esaminate dal tribunale adito. In altre parole, l'articolo 6 implica soprattutto, a carico del "tribunale", l'obbligo di eseguire un effettivo esame dei mezzi, delle argomentazioni e delle prove offerte dalle parti, salvo poi valutarne la pertinenza (Van de Hurk c. Paesi Bassi del 19 aprile 1994, serie A no 288, p. 19, § 59).
57. Nel caso di specie, nella sua ordinanza del 14 gennaio 2002, la corte d’appello di Roma affermò che il ricorrente non aveva formulato un mezzo d’appello relativo alla decisione del comune di Roma del 23 gennaio 1996.
Ora, la Corte rileva che l'analisi del reclamo depositato dal ricorrente in corte d'appello permette di constatare che uno dei mezzi formulati dall'interessato riguardava in maniera esplicita tale decisione amministrativa e ne metteva in discussione il carattere discriminatorio
58. In queste condizioni, si può soltanto constatare che l'ordinanza della corte d'appello è viziata da una valutazione innegabilmente inesatta di alcuni fatti importanti.
59. La Corte non deve speculare sulle conseguenze che ci sarebbero state se la giurisdizione d'appello avesse tenuto in considerazione il mezzo controverso. Constata tuttavia che l'ordinanza del 1996 regolamentava i censimenti dei campi nomadi situati nel comune, fra cui quello in cui risiedeva il ricorrente con la sua famiglia, e fissava i criteri di individuazione dei residenti irregolari che potevano essere evacuati (vedere precedenti paragrafi 8 e 9).
60. Pertanto non si può affermare che le argomentazioni trascurate dalla giurisdizione d'appello fossero prive di incidenza sulla questione oggetto di lite, attenendo soprattutto al carattere pretesamente discriminatorio delle decisioni del comune (a contrario, Jahnke e Lenoble c. Francia (dec.), no 40490/98, CEDH 2000 IX).
61. Tenuto conto di quello che precede, la Corte conclude che la corte d'appello di Roma non ha assicurato al ricorrente il suo diritto ad un processo equo, ai sensi dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.
Pertanto vi è stata violazione di tale disposizione per questo motivo.

IV. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

62. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,
« Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa. »

A. Danni

63. Il ricorrente reclama 50.000 euro per il danno morale che avrebbe subìto.
64. Il Governo vi si oppone.
65. La Corte ritiene che il ricorrente abbia subito un torto morale incontestabile che non viene sufficientemente riparato dalla constatazione di una violazione. Di conseguenza, statuendo secondo equità, come prevede l'articolo 41 della Convenzione, gli assegna 5.000 euro più qualsiasi somma che può essere dovuta a titolo di imposta

B. Spese

66. Il ricorrente domanda anche 8.000 euro per le spese sostenute innanzi alla Corte.
67. Il Governo vi si oppone.
68. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle sue spese nella misura in cui siano stabilite la loro realtà, la loro necessità e la ragionevolezza del loro ammontare. Nella fattispecie, tenuto conto che mancano i documenti giustificativi, la Corte rigetta la domanda relativa alle spese.

C. Interessi moratori

69. La Corte giudica appropriato calcolare il tasso degli interessi moratori in base al tasso d'interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

Per questi motivi, la Corte, all'unanimità,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile ;
  2. Dichiara che non vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione per mancanza di pubblicità;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione per valutazione innegabilmente inesatta di alcuni fatti importanti da parte della corte d'appello;
  4. Dichiara
    a) che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro 3 mesi dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, 5.000 euro (cinquemila euro) per il danno morale più qualsiasi somma che può essere dovuta a titolo d'imposta;
    b) che a decorrere dalla scadenza del suddetto termine e fino al versamento, questa somma dovrà essere maggiorata con un interesse semplice al tasso pari a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta per il resto la domanda di equa soddisfazione .

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 18 maggio 2010 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Sally Dollé
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente