Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 28 marzo 2023 - Ricorso n. 23720/08 - Causa Messeni Nemagna ed altri c.Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con la sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 23720/08
Maria MESSENI NEMAGNA e altri
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita il 28 marzo 2023 in un comitato composto da:

Péter Paczolay, presidente,
Alena Poláčková,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di sezione,

Visti:

il ricorso n. 23720/08 presentato contro la Repubblica italiana da 4 cittadine di questo Stato («le ricorrenti») (l’elenco delle ricorrenti e i relativi dettagli sono riportati nella tabella allegata alla presente decisione), rappresentate dall’avv. C. Ventura, del foro di Bari, che il 7 maggio 2008 hanno adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),

la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano («il Governo»), rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia, avvocato dello Stato,

le osservazioni delle parti,

Dopo avere deliberato, emette la seguente decisione:

OGGETTO DELLA CAUSA

  1. La causa riguarda l’espropriazione del terreno delle ricorrenti ai fini della realizzazione di una strada, e il successivo riconoscimento di un’indennità asseritamente fondata su un criterio di valutazione stabilito dall’articolo 5 bis, comma 3, della legge n. 359 dell’8 agosto 1992.
  2. Le ricorrenti, insieme ad un'altra persona, erano comproprietarie di particelle di un terreno di circa 1.000 m² situato a Bari. Le autorità nazionali approvarono un progetto nel 1975 e un piano regolatore generale («PRG») nel 1976, che classificavano il terreno nella categoria destinata ai servizi. Il progetto fu in seguito riapprovato cosicché, sulla base di una risoluzione del 1987, fu emesso un decreto di espropriazione nel 1988, notificato alle ricorrenti nel 1991. Le ricorrenti dichiararono di rifiutare l’indennità che avrebbe dovuto essere loro versata.
  3. Alla fine dell'anno 1991 le ricorrenti citarono l'amministrazione dinanzi alla corte d'appello di Bari, affermando che l'importo fissato dal comune era inferiore al valore venale del terreno.
  4. La Corte di cassazione, nella sentenza del 29 novembre 2007, dichiarò che, sebbene il rapporto relativo alla perizia ordinata dal tribunale avesse classificato il terreno come avente vocazione edificatoria, l'indennità di espropriazione doveva essere calcolata rispetto al valore del terreno come non edificabile al momento dell'espropriazione. Inoltre, poiché era destinato a dei servizi nel piano regolatore generale, il terreno espropriato non poteva essere considerato edificabile. Per di più, le limitazioni dell'utilizzo del terreno, derivanti dalla riapprovazione del progetto nel 1987, dovevano essere adottate tenendo conto del calcolo dell'indennizzo, in quanto costituivano dei «vincoli conformativi», dato che la strada doveva servire interessi generali piuttosto che interessi propri a una determinata area.
  5. Le ricorrenti chiesero alla Corte di cassazione di sollevare una questione di costituzionalità relativamente all'articolo 5 bis, comma 3, della legge n. 359 del 1992. Secondo tale disposizione, per la valutazione della edificabilità delle aree, si dovevano considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio. La Corte di cassazione respinse la domanda di rinvio in quanto divenuta priva di oggetto, sulla base del fatto che la Corte costituzionale, con la sua sentenza n. 348 del 2007, aveva già dichiarato incostituzionale l'articolo 5 bis della legge n. 359 del 1992, in merito ai criteri utilizzati per calcolare l'importo dell'indennizzo in caso di espropriazione di terreni edificabili. La Corte costituzionale aveva dichiarato che «i criteri per la determinazione dell'indennità di espropriazione riguardante aree edificabili devono fondarsi sulla base di calcolo rappresentata dal valore del bene, quale emerge dal suo potenziale sfruttamento non in astratto, ma secondo le norme ed i vincoli degli strumenti urbanistici vigenti nei diversi territori».
  6. Invocando l'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, le ricorrenti lamentano un'ingerenza sproporzionata nel loro diritto di proprietà a causa dell'importo asseritamente insufficiente dell'indennità di espropriazione che esse hanno ricevuto, sulla base di una valutazione fondata su criteri che non sembravano sufficientemente accessibili, precisi e prevedibili. Esse lamentano il fatto che i criteri di valutazione erano stati basati sull'applicazione retroattiva del criterio della legge n. 359 del 1992, e che la Corte di cassazione non ha adito la Corte costituzionale. Inoltre, a loro parere, il ritardo nella procedura di espropriazione avrebbe comportato una violazione del loro diritto a un processo equo ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione.

VALUTAZIONE DELLA CORTE

  1. La Corte osserva che, nel corso del procedimento, le ricorrenti Teresa Messeni Nemagna e Mariarosalba Messeni Nemagna sono decedute. I loro eredi Elisabetta Giannattasio, Marina Giannattasio e Eugenio Vendemiale (si veda la tabella allegata alla presente decisione) hanno espresso il desiderio di mantenere il ricorso. La Corte osserva anche che il Governo non si oppone. Tenuto conto dei legami familiari e giuridici tra gli interessati e le ricorrenti, nonché del loro interesse legittimo a proseguire il procedimento, la Corte accetta che essi proseguano il ricorso (Janowiec e altri c. Russia [GC], nn. 55508/07 e 29520/09, § 101, CEDU 2013). Per motivi di ordine pratico, la presente decisione continuerà a utilizzare il termine «ricorrenti» per indicarli.
  2. I principi generali applicabili sono chiaramente stabiliti nella giurisprudenza della Corte e sono stati ampiamente esposti nella causa Scordino c. Italia (n. 2) (n. 36815/97, §§ 25-45, 15 luglio 2004) per quanto riguarda i vincoli espropriativi, che implicano dei divieti di costruire specifici di una determinata area e per i quali, in linea di principio, deve essere previsto un indennizzo, e nelle cause Verga e Cannarella c. Italia ((dec.), n. 20984/08, §§ 34-36, 15 novembre 2016) e Campanile e altri c. Italia ((dec.), n. 32635/05, §§ 24-36, 15 gennaio 2013) per quanto riguarda i vincoli conformativi per i quali, in linea di principio, non è previsto un indennizzo.
  3. La Corte rammenta che, ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n. 1, il semplice fatto che una persona sia proprietaria di un terreno non basta a conferirle il diritto di costruire su quest’ultimo, in quanto tale disposizione permette di imporre e di mantenere delle restrizioni al diritto di costruire. I diritti dei proprietari sono pertanto essenzialmente evolutivi, e le politiche in materia urbanistica e di pianificazione del territorio rientrano per eccellenza tra i settori di intervento dello Stato, soprattutto per mezzo della regolamentazione dei beni a uno scopo di interesse generale o di utilità pubblica.
  4. Poiché le limitazioni urbanistiche costituiscono un'ingerenza nel diritto delle ricorrenti al rispetto dei loro beni, che rientra nella nozione di regolamentazione dell'uso dei beni, ai sensi del secondo paragrafo dell'articolo 1 del Protocollo n. 1, spetta alla Corte valutarne la legalità e verificare se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale e gli imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo. Per determinare se questo giusto equilibrio sia stato rispettato quando è in causa una misura che regolamenta l’uso dei beni, l’assenza di indennizzo è uno degli elementi da prendere in considerazione, ma non può, da sola, essere costitutiva di una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si veda Campanile, sopra citata, § 32, che rinvia anche a Galtieri c. Italia (dec.), n. 72864/01, 24 gennaio 2006).
  5. La Corte osserva, inoltre, che le doglianze di questa causa presentano una certa affinità fattuale e giuridica con quelle della causa Campanile, sopra citata; entrambe le cause si riferiscono, infatti, a espropriazioni fondate sullo stesso piano regolatore.
  6. Per quanto riguarda la legalità dell'ingerenza e la sua prevedibilità, la Corte constata che la destinazione del terreno delle ricorrenti a un uso pubblico aveva una base legale nel piano regolatore. Lo scopo delle restrizioni imposte alle ricorrenti, ossia la pianificazione del territorio comunale, risponde a un imperativo delle comunità locali e rientra nell'interesse generale, ai sensi del paragrafo 2 dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 (si veda Campanile, sopra citata, § 26). Inoltre, nella misura in cui la proporzionalità di un'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni può dipendere anche dall'esistenza di garanzie procedurali per vigilare a che l’attuazione del sistema e il suo impatto per il proprietario non siano né arbitrari né imprevedibili, la Corte osserva che le ricorrenti hanno avuto la possibilità di adire i giudici interni per contestare il processo amministrativo e la valutazione proposta del loro terreno. Nulla dimostra che i giudici interni abbiano valutato i fatti e il diritto interno in modo arbitrario (Campanile, sopra citata, § 34).
  7. Nella misura in cui le ricorrenti lamentano il fatto che il vincolo che è stato imposto sul loro terreno è stato qualificato come vincolo «conformativo», e non come vincolo «espropriativo», la Corte ritiene che spetti ai giudici nazionali interpretare il diritto interno e applicarlo caso per caso, e dunque essa non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici interni.
  8. 14. La Corte osserva che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, i «vincoli» conformativi sono quelli che hanno la caratteristica «di incidere su una totalità di beni, rispetto a una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione realizzata da tutta l'area nella quale essi rientrano, a causa delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto con un'opera pubblica»; quelli che sono sostanzialmente preordinati all'esproprio si presentano «come dei vincoli particolari, che incidono su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione lenticolare di un'opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, ma deve invece essere attribuita alla pubblica amministrazione». Il rapporto tra i due tipi di vincoli deve essere compreso in termini di regola-eccezione, cosicché la verifica dell’esistenza di un vincolo espropriativo deve essere condotta in maniera rigorosa, con l’applicazione residua del regime dei vincoli conformativi. Nella sua recente sentenza n. 33229 del 2019, la Corte di cassazione ha dichiarato che questa distinzione, che la giurisprudenza riconosce da molto tempo, è compatibile con la Convenzione.
  9. La Corte constata dunque che il diritto interno relativo alle restrizioni in materia urbanistica – come ha indicato il Governo nelle sue osservazioni – sembra soddisfare pienamente l’esigenza di legalità tenuto conto della sua accessibilità, della sua prevedibilità e della sua finalità volta a disincentivare gli abusi da parte delle autorità, e dunque a proteggere il diritto di proprietà dei privati.
  10. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte non vede alcun motivo per discostarsi dalla propria giurisprudenza (Ex-re di Grecia e altri c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 25701/94, § 89, 28 novembre 2002) secondo la quale senza il versamento di una somma ragionevolmente proporzionata al valore del bene, una privazione della proprietà ai sensi del secondo capoverso del primo comma dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 costituisce normalmente un’ingerenza eccessiva, e una totale assenza di indennizzo può essere giustificata solo in circostanze eccezionali. Ciò che è ragionevole dipende dalle circostanze di ogni singolo caso, ma alla determinazione dell'importo dell'indennità è applicabile un ampio margine di apprezzamento. Il controllo che deve operare la Corte consiste soltanto nel verificare se le modalità scelte vadano oltre l'ampio margine di apprezzamento di cui lo Stato gode in materia (James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 54 serie A n. 98).
  11. Pur rispettando il giudizio del legislatore per quanto riguarda l’indennizzo di un'espropriazione, salvo che quest’ultimo non si riveli manifestamente privo di base ragionevole (Lithgow e altri c. Regno Unito, 8 luglio 1986, § 122, serie A n. 102), la Corte osserva che le ricorrenti – sebbene ritengano che il terreno abbia un valore più alto – non contestano che l'indennità corrispondeva al valore venale del terreno non edificabile, a seguito dell'imposizione del vincolo conformativo.
  12. Per quanto riguarda la presunta applicazione retroattiva, da parte dei giudici interni, della legge n. 359 del 1992, dal fascicolo risulta che sono le ricorrenti ad aver fatto riferimento a questo testo legislativo nel ricorso per cassazione. In tale contesto, la Corte di cassazione ha fatto riferimento alla legge n. 359 del 1992 soltanto quando ha respinto la richiesta di adire la Corte costituzionale.
  13. Alla luce di quanto sopra esposto, dopo un'analisi approfondita delle osservazioni delle parti, delle decisioni dei giudici interni e della giurisprudenza pertinente, la Corte non può concludere che l'ingerenza contestata abbia violato il giusto equilibrio che deve esserci, in materia di regolamentazione dell'uso dei beni, tra l'interesse pubblico e l'interesse privato.
  14. Le ricorrenti hanno anche sollevato altre doglianze sotto il profilo dell'articolo 6 della Convenzione.
  15. La Corte constata, alla luce di tutti gli elementi di cui dispone, e nella misura in cui i fatti in contestazione sono di sua competenza, che queste doglianze non soddisfano i criteri di ricevibilità di cui agli articoli 34 e 35 della Convenzione, o che dalle stesse non emerge alcuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà sanciti dalla Convenzione o dai suoi protocolli.
  16. Di conseguenza, il ricorso deve essere respinto in applicazione dell'articolo 35 § 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all'unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 20 aprile 2023.

Liv Tigerstedt
Cancelliere aggiunto

Péter Paczolay
Presidente


ALLEGATO

N.

Nome COGNOME

Anno di nascita

Cittadinanza

Luogo di residenza

1.

Maria MESSENI NEMAGNA

1925

Italiana

Genova

2.

Chiara MESSENI NEMAGNA

1952

Italiana

Camerino

3.

Mariarosalba MESSENI NEMAGNA

1956

Deceduta nel 2018

Erede:

Eugenio VENDEMIALE

1983

Italiana

Bari

4.

Teresa MESSENI NEMAGNA

1928

Deceduta nel 2017

Eredi:

Elisabetta

GIANNATTASIO

1953

Marina

GIANNATTASIO

1961

Italiana

Bari