Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 22 giugno 2017 - Ricorso n. 37931/15 - Causa Barnea e Caldararu c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA BARNEA E CALDARARU c. ITALIA

(Ricorso n. 37931/15)

SENTENZA

STRASBURGO
22 giugno 2017

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Barnea e Caldararu c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:

  • Linos-Alexandre Sicilianos, presidente,
  • Kristina Pardalos,
  • Guido Raimondi,
  • Aleš Pejchal,
  • Krzysztof Wojtyczek,
  • Armen Harutyunyan,
  • Tim Eicke, giudici,
  • e da Abel Campos, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 30 maggio 2017,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi è il ricorso (n. 37931/15) presentato contro la Repubblica italiana con cui sei cittadini rumeni, la sig.ra Versavia Catinca Barnea, i sigg. Viorel Barnea, Elvis Mauroius Caldararu e Sergiu Andrei Caldararu, la sig.ra M. S. Caldararu e C. («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 25 luglio 2015 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»). I primi due ricorrenti indicano di agire anche a nome di C. («la sesta ricorrente»).
2.  I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avvocato G. Perin, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.
3.  Il 24 maggio 2016 il ricorso è stato comunicato al Governo. Il governo rumeno non si è avvalso del suo diritto di intervenire nella procedura (articolo 36 § 1 della Convenzione).

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4.  I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1977, 1975, 1993, 1995, 2004 e 2007, e risiedono a Caselle Torinese
5.  I primi cinque ricorrenti arrivarono in Italia nel 2007 e si stabilirono in un campo rom.
6.  Secondo una prima relazione del dipartimento di Scienze sociali dell’Università di Torino, i primi due ricorrenti si prendevano cura dei figli facendo in modo che non mancasse loro nulla. C. nacque il 6 febbraio 2007.
7.  Tra il 2007 e il 2009, la prima ricorrente chiese ai servizi sociali di aiutarla a ottenere un aiuto economico. Quest’ultimo le fu rifiutato.
8.  Mentre era incinta di C., la prima ricorrente aveva fatto la conoscenza di E.M., presidente di una cooperativa attiva nel campo rom, che le aveva offerto aiuto. Successivamente, la prima ricorrente lasciò che i suoi figli, in particolare C., trascorressero del tempo con E.M. nel suo appartamento.

A.  L’affidamento della minore e l’apertura della procedura di adottabilità

9.  Il 10 giugno 2009 E.M. fu arrestata per truffa mentre C. era con lei. Per di più la polizia aveva ricevuto una denuncia anonima in cui si affermava che E.M. era con una minore che non era sua figlia. La minore fu immediatamente affidata ad una istituzione. Le autorità sospettavano che i ricorrenti avessero venduto C. a E.M. in cambio di un appartamento. Tuttavia, non fu aperta alcuna indagine penale a questo riguardo.
10.  Il 19 giugno 2009, su richiesta del procuratore, il tribunale per i minorenni di Torino («il tribunale») aprì la procedura per dichiarare lo stato di adottabilità di C. e giudicò che non era possibile il ritorno della minore a casa dei suoi genitori, ma che i primi due ricorrenti potevano incontrarla due volte al mese. Ordinò anche l’apertura di un’indagine sulle capacità genitoriali dei primi due ricorrenti. Il primo incontro tra i genitori e la figlia ebbe luogo solo due mesi dopo.
11.  Secondo i resoconti degli incontri, la minore manifestava un attaccamento molto forte nei confronti dei primi due ricorrenti e piangeva molto quando questi ultimi andavano via.
12.  I servizi sociali sospesero gli incontri. I primi due ricorrenti si opposero alla decisione e, due mesi dopo, gli incontri furono ripristinati.
13.  In data non precisata, un esperto nominato dal tribunale depositò la sua relazione nella quale invitava il tribunale a porre in atto un processo di reinserimento della minore nella sua famiglia e ad affidarne il controllo ai servizi sociali. Riteneva che la reintegrazione nella famiglia di origine dovesse essere fatta in tempi ristretti e che fosse anche necessario sostenere la famiglia per impedire che la situazione di povertà della stessa fosse di ostacolo all’esercizio dell’autorità genitoriale da parte dei primi due ricorrenti.
14.  Il tribunale incaricò un altro esperto di redigere una relazione. Il 9 luglio 2010 l’esperto depositò la sua relazione in cui indicava che i genitori erano privi di empatia nei confronti della figlia e che quest’ultima non aveva sviluppato la sua relazione con loro.
15.  Il tribunale nominò un curatore speciale che, nella sua relazione del 25 gennaio 2010, sottolineava che la minore aveva vissuto una situazione di abbandono e che, pertanto, la migliore soluzione era dichiararla adottabile.
16.  Con sentenza del 3 dicembre 2010 il tribunale dichiarò la minore adottabile. Secondo il tribunale, lo stato di abbandono, condizione della dichiarazione di adottabilità, era fondato sulla circostanza che i primi due ricorrenti avrebbero «dato» la figlia a E.M. delegando a quest’ultima il loro ruolo genitoriale e che durante gli incontri non si sarebbero mostrati in grado di decodificare i bisogni profondi della bambina. Inoltre, secondo il tribunale, i primi due ricorrenti non erano in grado di svolgere il loro ruolo genitoriale né di seguire lo sviluppo della personalità di C. La minore fu data in affidamento ad una famiglia in vista della sua adozione.
17.  Il 14 luglio 2011 i primi due ricorrenti interposero appello avverso questa sentenza. All’udienza del 1° dicembre 2012, la corte d’appello rilevò degli errori nella prima perizia e nominò un nuovo esperto.
18.  Il nuovo esperto riconosceva che i primi due ricorrenti erano totalmente in grado di svolgere il loro ruolo genitoriale e che l’episodio dell’arresto di E.M. che aveva portato all’affidamento della minore doveva essere letto alla luce della situazione di estrema povertà dei ricorrenti. Precisò che non vi era nessun indizio di abuso.
19.  Con la sentenza del 26 ottobre 2012, la corte d’appello riformò la sentenza del tribunale. Ritenne che aver affidato la figlia a E.M. non significasse che i primi due ricorrenti avessero abdicato al loro ruolo di genitori. Osservò che dal fascicolo non risultava che i primi due ricorrenti fossero stati incapaci di occuparsi della minore né che la minore avesse subìto violenze. Al contrario, la corte d’appello indicò che la minore era molto attaccata a tutti i ricorrenti e che costoro non avevano cessato di cercare di mantenere i contatti con lei. Rilevò che, nel procedimento svoltosi dinanzi al tribunale, ai primi due ricorrenti non fosse stata data l’opportunità di provare le loro capacità genitoriali, che i servizi sociali non avevano accordato il sostegno che avrebbe permesso loro di superare le difficoltà e non era stata data loro alcuna possibilità di riallacciare dei legami con la minore. La corte d’appello indicò, inoltre, che il tribunale non aveva preso in considerazione le capacità genitoriali dei primi due ricorrenti e il legame esistente tra loro e la figlia, che la prima perizia sui ricorrenti e la minore avrebbe messo in evidenza. Ritenne che esistesse un forte legame tra genitori e figlia e che fosse preferibile, nell’interesse della minore, che quest’ultima ritornasse nella sua famiglia di origine.
20.  Di conseguenza, la corte d’appello adottò le seguenti misure:

  • confermò in via provvisoria l’affidamento della minore ad una famiglia;
  • ordinò la realizzazione di incontri tra i genitori e la figlia in ambiente protetto, due ore ogni quindici giorni, con estensione degli incontri ai fratelli e alle sorelle
  • ordinò che fosse messo in atto un percorso di riavvicinamento tra i ricorrenti e la minore, che quest’ultima potesse progressivamente incontrare i suoi genitori da sola e che rientrasse nella sua famiglia di origine entro i sei mesi successivi alla decisione.

B.  La procedura di esecuzione della sentenza della corte d’appello del 26 ottobre 2012

21.  I servizi sociali non seguirono quanto prescritto dalla corte d’appello. La minore incontrò i suoi genitori soltanto un’ora al mese e non poté recarsi presso la sua famiglia d’origine.
22.  Secondo i servizi sociali, la bambina era ben integrata nella famiglia affidataria, ma poiché la sua residenza era lontana da Torino, dove vivevano i ricorrenti, gli incontri non potevano essere svolti come la corte d’appello aveva ordinato.
23.  Il 7 febbraio 2013 i ricorrenti sporsero denuncia dinanzi al procuratore presso il tribunale per i minorenni per mancata attuazione di una decisione giudiziaria e invocarono l’articolo 8 della Convenzione.
24.  Si svolsero diversi incontri tra i servizi sociali, il curatore della minore, il procuratore e l’avvocato dei ricorrenti.
25.   Durante il primo incontro del 18 febbraio 2013, i servizi sociali segnalarono che la bambina non poteva tornare presso la sua famiglia d’origine perché questa era stata sfrattata dall’appartamento in cui viveva.
26.  Il 24 giugno 2013 il procuratore chiese al tribunale per i minorenni che la decisione della corte d’appello non fosse eseguita e che l’affidamento famigliare fosse prorogato di due anni. Aggiunse che la bambina non era contenta di vedere i ricorrenti e che aveva reagito male nel corso degli incontri, e che i ricorrenti non avevano più un alloggio.
27.  Il tribunale per i minorenni ordinò a un esperto di accertare quale fosse la soluzione migliore per la minore.
28.  L’esperto sottolineò anzitutto l’atteggiamento freddo e distaccato dei servizi sociali nei confronti dei primi due ricorrenti. In particolare, esso notò che, durante gli incontri, C. era molto contenta di vedere i suoi genitori, ma gli assistenti sociali presenti impedivano a questi ultimi di parlare dei suoi fratelli e delle sue sorelle e mostravano una mancanza di empatia nei confronti dei primi due ricorrenti. Per contro, secondo l’esperto, i primi due ricorrenti mostravano un profondo attaccamento verso la loro figlia, nonostante tutti gli ostacoli incontrati dopo l’affidamento di quest’ultima, cinque anni prima, e avevano accettato pazientemente i limiti loro imposti dai servizi sociali. L’esperto concluse che, tenuto conto del tempo trascorso e dei nuovi legami che la minore avrebbe instaurato con la famiglia affidataria, dove sarebbe stata accolta bene, un ritorno di C. presso la sua famiglia d’origine non era più possibile aggiungendo che potevano tuttavia essere costruiti nuovi equilibri e invitò il tribunale a permettere incontri liberi tra i ricorrenti e la figlia.
29.  Il 26 novembre 2014, il tribunale, dopo aver rilevato che la minore era ben integrata nella famiglia affidataria e che i primi due ricorrenti avevano riconosciuto il ruolo importante di questa famiglia nella vita di C., indicò che il ritorno della minore presso la famiglia di origine incontrava parecchi ostacoli, che i genitori vivevano tuttora in una situazione precaria e che non avevano un progetto di vita che consentisse di tutelare loro stessi e la loro figlia. Peraltro ritenne che, riguardo al rischio che i ricorrenti potessero approfittarne per far rientrare la minore in Romania, gli incontri dovessero svolgersi in ambiente protetto quattro volte all’anno. Ordinò infine l’apertura di una nuova procedura per la decadenza dalla loro potestà genitoriale.
30.  Avverso tale decisione i primi due ricorrenti interponevano reclamo.
31.  Con decisione del 21 gennaio 2015, la corte d’appello ritenne che occorresse prendere atto di una situazione creata dal decorso del tempo. In primo luogo, riconobbe che i genitori erano in grado di svolgere il loro ruolo, ma che occorresse tener conto del tempo trascorso, per il motivo che, dopo sei anni di allontanamento, la conferma dell’affidamento della minore ad una famiglia era inevitabile tenuto conto del legame che la bambina avrebbe sviluppato con quest’ultima. Pur stigmatizzando la decisione del tribunale di ridurre il numero di incontri, la corte d’appello ritenne che, a causa del tempo trascorso, la minore fosse ormai ben integrata nella famiglia affidataria e che il ritorno nella sua famiglia di origine non fosse più possibile. Pertanto ordinò degli incontri tra la bambina e i primi due ricorrenti ogni quindici giorni per i primi due mesi e accordò a questi ultimi un diritto di visita e di alloggio.

C. La domanda di adozione speciale presentata dalla famiglia affidataria

32.  Nel frattempo, il 30 settembre 2014, la famiglia affidataria aveva presentato una domanda di adozione speciale alla quale i primi due ricorrenti non avevano dato il loro consenso.
33.  Tra il 2015 e il 2016, si svolsero numerosi incontri tra la bambina e i ricorrenti. All’inizio, gli incontri duravano una giornata, successivamente C. fu autorizzata a dormire presso i ricorrenti per alcuni giorni. La situazione sembrava evolvere positivamente.
34.  Tuttavia, nel luglio 2016, gli psicologi incaricati di seguire la minore osservarono che quest’ultima presentava segni di sofferenza a causa dei messaggi che riceveva dalla famiglia affidataria mentre si trovava presso i ricorrenti. Essi ritennero che queste comunicazioni fossero pregiudizievoli per la salute psicoaffettiva della minore.
35.  Il 18 luglio 2016, i primi due ricorrenti dichiararono al tribunale per i minorenni che la famiglia affidataria aveva raccontato a C. che essi l’avevano venduta in cambio di un appartamento.
36.  Nel giugno 2015 la minore fu sentita dal giudice relatore del tribunale per i minorenni.
37.  Il 4 settembre 2015, la psicologa che seguiva la minore nel paese in cui vivevano i genitori affidatari indicò nella sua relazione che il quadro sintomatologico della bambina era gravemente peggiorato. A suo avviso, la minore, dopo l’incontro con il giudice del tribunale, aveva dei comportamenti regressivi e compulsivi che si manifestavano con aggressività verbale e con comportamenti aggressivi verso gli oggetti.
38.  Il 30 giugno 2016 il procuratore emise il suo parere sulla procedura di adozione speciale avviata dalla coppia affidataria. A suo avviso, le relazioni tra le due famiglie erano migliorate e poteva essere opportuno chiedere nuovamente ai genitori biologici se acconsentissero all’adozione speciale di C.
39.  L’8 luglio 2016 il tribunale per i minorenni respinse la domanda di adozione speciale della coppia affidataria per mancanza di consenso da parte dei primi due ricorrenti.

D. Il ritorno della minore nella sua famiglia di origine

40.  I primi due ricorrenti chiesero il ritorno della loro figlia nella sua famiglia di origine, tenuto conto del comportamento della famiglia affidataria e dei problemi che la minore avrebbe presentato.
41.  Il 16 agosto 2016, dopo aver sentito i ricorrenti e la famiglia affidataria, il tribunale ordinò il ritorno di C. presso i genitori di origine.
Il tribunale osservò che, conformemente alla decisione della Corte d’appello del 2014, l’affidamento famigliare era stato prorogato di due anni, e che i primi due ricorrenti erano stati più volte ritenuti in grado di svolgere il loro ruolo genitoriale. Indicò che l’affidamento era provvisorio e non poteva essere prorogato, e che C. aveva il diritto di vivere con i suoi genitori biologici. Di conseguenza, incaricò i servizi sociali di seguire la situazione dei ricorrenti e ordinò che la minore potesse incontrare regolarmente la famiglia affidataria, al ritmo di due fine settimana al mese.
42.  Il 17 agosto 2016 il procuratore adì la corte d’appello per contestare la decisione del tribunale. Espose che la prima ricorrente aveva perso il lavoro, che la minore era sofferente ed era contraria all’idea di lasciare la famiglia affidataria. Chiese alla corte d’appello di prorogare l’affidamento della minore nella famiglia affidataria.
43.  Il 9 settembre 2016, prima dell’inizio dell’anno scolastico, C. ritornò a vivere presso i ricorrenti.
44.  Il ritorno si rivelò particolarmente difficile per C. Risulta dalla perizia psicologica nonché delle relazioni dei servizi sociali del 2016 che la minore aveva gravi difficoltà e che, in particolare, si rifiutava di andare a scuola e aveva dei comportamenti aggressivi.
45.  Con decreto dell’8 novembre 2016, la corte d’appello confermò la decisione del tribunale e ordinò che C. restasse presso i ricorrenti. In particolare essa rilevò che la bambina, che aveva 9 anni, aveva vissuto una situazione difficile a causa, tra l’altro, di decisioni giudiziarie troppo severe e che l’affidamento famigliare, misura temporanea, non poteva essere prorogato. Sostenne che, anche se la minore era effettivamente sofferente a causa del suo ritorno presso i ricorrenti, non presentava, secondo gli esperti, alcun rischio psicotico. La corte d’appello ritenne che i primi due ricorrenti erano stati giudicati capaci di svolgere il loro ruolo di genitori, che il ritorno della minore avrebbe dovuto avere luogo nel 2012 e che non poteva essere ancora rinviato. Indicò anche che, se fossero state eseguite le precedenti decisioni giudiziarie, una buona parte di tale sofferenza avrebbe potuto essere evitata. Confermò infine il mantenimento dei contatti tra la bambina e la famiglia affidataria.
46.  Il 19 dicembre 2016, uno psicologo depositò una relazione sulla situazione della minore. Secondo lo psicologo, la bambina era depressa, piangeva molto ed era molto aggressiva, ma aveva ricominciato a frequentare la scuola, ed era necessario continuare a seguire la minore e i ricorrenti al fine di aiutarli.

II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

47.  Il diritto interno pertinente è esposto nella sentenza Zhou c. Italia, (n. 33773/11, §§ 24-25, 21 gennaio 2014).

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

48.  I ricorrenti lamentano una violazione del loro diritto al rispetto della vita famigliare a causa dell’allontanamento e della presa in carico, nel 2009, da parte delle autorità italiane, di C., la figlia minorenne dei primi due ricorrenti. Essi contestano inoltre alle autorità di non avere messo in atto rapidamente delle misure per riunire la famiglia e indicano, a questo proposito, che i servizi sociali non avevano dato esecuzione alla sentenza della corte d’appello del 2012, e che il tribunale aveva confermato l’affidamento famigliare della minore e aveva ridotto il numero di incontri tra genitori e figlia.
Invocano l’articolo 8 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti al caso di specie, recita:
«1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e famigliare (...)
2.  Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
49.  Il Governo contesta questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

50.  Nelle sue osservazioni sull’equa soddisfazione il Governo sembra sollevare un’eccezione di irricevibilità, argomentando che i ricorrenti non hanno più la qualità di vittima in quanto la minore è ormai di ritorno nella sua famiglia di origine. I ricorrenti, nelle loro osservazioni sul merito, sostengono che, nonostante il ritorno della minore, conservano la qualità di vittima in quanto non vi sono stati né il riconoscimento di una violazione della Convenzione né una riparazione per i sette anni di separazione.
51.  La Corte non ritiene necessario stabilire se al Governo sia precluso sollevare questa eccezione, in quanto ritiene che nulla le impedisca di esaminare motu proprio tale questione, che riguarda la sua competenza (si vedano, ad esempio, R.P. e altri c. Regno Unito, n. 38245/08, § 47, 9 ottobre 2012 e Buzadji c. Repubblica di Moldavia [GC], n. 23755/07, § 70, CEDU 2016 (estratti)).
52.  La Corte rammenta che una decisione o una misura favorevole a un ricorrente è sufficiente, in linea di principio, per togliergli la qualità di «vittima» soltanto se le autorità nazionali hanno riconosciuto, espressamente o in sostanza, e poi riparato, la violazione della Convenzione (Eckle c. Germania, 15 luglio 1982, §§ 69 e seguenti, serie A n. 51, Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 36, Recueil des arrêts et décisions 1996-III, Dalban c. Romania [GC], n. 28114/95, § 44, CEDU 1999-VI, e Jensen c. Danimarca (dec.), n. 48470/99, CEDU 2001 X). Questa regola vale anche se l’interessato ottiene soddisfazione quando il procedimento è già stato avviato dinanzi alla Corte; ciò risulta dal carattere sussidiario del sistema di garanzie della Convenzione (si veda, in particolare, Mikheyeva c. Lettonia (dec.), n. 50029/99, 12 settembre 2002). La questione di stabilire se una persona possa ancora sostenere di essere vittima di una violazione della Convenzione lamentata implica essenzialmente, per la Corte, di procedere a un esame ex post facto della situazione della persona interessata (Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, § 181, CEDU 2006-V).
53.  Su questo punto, passando a esaminare i fatti della presente causa, la Corte considera che la decisione della corte d’appello dell’8 novembre 2016 (paragrafo 45 supra), che ha dichiarato che la minore soffriva gravemente per la mancata esecuzione delle decisioni anteriori e doveva ritornare a vivere con la famiglia di origine, non ha costituito né un riconoscimento implicito dell’esistenza di una violazione della Convenzione né un risarcimento per il periodo di sette anni durante il quale i ricorrenti non hanno potuto vivere con C.
54.  Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che i ricorrenti possano ancora sostenere di essere vittime di una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, e rigetta pertanto l’eccezione sollevata dal Governo a tale proposito.
55.  Constatando inoltre che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

56.  I ricorrenti affermano che, come avrebbe sottolineato la corte d’appello di Torino nel 2012 e nel 2015, a partire dal momento in cui la minore era stata data in affidamento, non era stata offerta ai primi due ricorrenti alcuna occasione per dimostrare che erano capaci di assicurare il loro ruolo genitoriale.
57.  Affermano che, dalla decisione della corte d’appello del 2014, le autorità italiane non hanno fatto quanto in loro potere per ricostruire la famiglia. In particolare, indicano che i servizi sociali non hanno offerto la loro assistenza e non hanno dato esecuzione alla decisione della corte d’appello che prevedeva due incontri a settimana per permettere progressivamente il ritorno della minore presso i genitori. I ricorrenti precisano, inoltre, che il tribunale si è basato sulle loro difficoltà materiali e sui legami che la minore avrebbe intessuto con la famiglia affidataria per prorogare l’affidamento della minore e ridurre gli incontri con loro, e per chiedere una nuova decisione di decadenza dalla potestà genitoriale.
58.  I ricorrenti indicano che il fatto che un minore possa essere accolto in un contesto più favorevole alla sua educazione non può di per sé giustificare che egli venga sottratto alle cure dei genitori biologici. A loro avviso, la situazione controversa è il risultato dell’inazione e della passività delle autorità italiane (fanno riferimento alle sentenze Monory c. Romania e Ungheria, n. 71099/01, § 83, 5 aprile 2005, e, mutatis mutandis, Sylvester c. Austria, nn. 36812/97 e 40104/98, § 59, 24 aprile 2003) e avrebbe potuto essere evitata se le autorità competenti avessero fatto il possibile per mantenere le relazioni tra loro e la minore (Amanalachioai c. Romania, n. 4023/04, § 89, 26 agosto 2009).
59.  I ricorrenti concludono che anche se è ormai di ritorno nella sua famiglia, la minore conserva tuttora le conseguenze a livello psicologico – che sarebbero state sottolineate dai periti – delle vicissitudini della sua esistenza durante gli anni passati.
60.  Il Governo ritiene che la situazione della minore sia stata correttamente esaminata a più riprese dalle autorità competenti. Reputa che queste ultime non abbiano mai troncato le relazioni tra la minore e i ricorrenti e abbiano invece adottato tutte le misure necessarie per mantenere i legami tra loro. A questo proposito, il Governo espone che l’adozione semplice non esiste nel sistema italiano, e che i giudici, di conseguenza, hanno messo in atto una sorta di affidamento condiviso tra la famiglia affidataria e i ricorrenti.
61.  Il Governo indica inoltre che il comportamento delle autorità non ha oltrepassato il margine di apprezzamento dello Stato e che i motivi favorevoli all’affidamento della minore erano pertinenti e sufficienti (si riferisce alle sentenze Y.C. c. Regno Unito, n. 4547/10, 13 marzo 2012, e McMichael c. Regno Unito, 24 febbraio 1995, serie A n. 307 B).
62.  Il Governo sostiene infine che tutte le misure sono state adottate nell’interesse superiore della minore, e conclude che quest’ultima è ormai di ritorno presso i genitori biologici e che i giudici seguono la situazione da vicino.

2.  Valutazione della Corte

a)  Principi generali

63.  La Corte rammenta che, per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita famigliare (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 58, CEDU 2002) e che delle misure interne che lo impediscano costituiscono una ingerenza nel diritto protetto dall’articolo 8 della Convenzione (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 151, CEDU 2001 VII). Tale ingerenza viola l’articolo 8 solo se, «prevista dalla legge», persegue uno o più scopi legittimi ed è «necessaria in una società democratica» per raggiungerli (Gnahoré c. Francia n. 40031/98, § 50, CEDU 2000 IX, e Pontes c. Portogallo, n. 19554/09, § 74, 10 aprile 2012). La nozione di «necessità» implica una ingerenza fondata su un bisogno sociale imperioso e, in particolare, proporzionata al legittimo scopo perseguito (Couillard Maugery c. Francia, n. 64796/01, § 237, 1° luglio 2004). Per valutare la «necessità» della misura controversa «in una società democratica» occorre analizzare, alla luce della causa nel suo complesso, se i motivi dedotti a sostegno della stessa fossero pertinenti e sufficienti ai fini del paragrafo 2 dell’articolo 8 della Convenzione.
64.  La Corte rammenta anche che, se il confine tra gli obblighi positivi e gli obblighi negativi derivanti per lo Stato dall’articolo 8 non si presta a una definizione precisa; i principi applicabili sono comunque paragonabili. In particolare, in entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da garantire tra i vari interessi coesistenti – quello del minore, quelli dei due genitori e quelli dell’ordine pubblico (Maumousseau e Washington c. Francia, n. 39388/05, § 62, CEDU 2007-XIII) –, tenendo conto tuttavia del fatto che l’interesse superiore del minore deve costituire la considerazione determinante (si veda, in tal senso, Gnahoré, sopra citata, § 59), che, a seconda della propria natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori (Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 66, CEDU 2003-VIII). Inoltre, la scissione di una famiglia costituisce una ingerenza gravissima; una misura che porti a una situazione di questo tipo deve essere dunque fondata su considerazioni ispirate dall’interesse del minore e aventi un peso e una solidità sufficienti (Scozzari e Giunta c. Italia [GC], n. 39221/98 e 41963/98, § 148, CEDU 2000-VIII). L’allontanamento del minore dal suo ambito famigliare è una misura estrema alla quale si dovrebbe fare ricorso solo in ultimissima istanza, al fine di proteggere un minore quando lo stesso è sottoposto a un pericolo immediato (Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 136, CEDU 2010).
65.  Spetta a ciascuno Stato contraente dotarsi di strumenti giuridici adeguati e sufficienti per assicurare il rispetto di questi obblighi positivi che incombono su di esso in virtù dell’articolo 8 della Convenzione e alla Corte cercare di stabilire se, nell’applicazione e nell’interpretazione delle disposizioni di legge applicabili, le autorità interne abbiano rispettato le garanzie dell’articolo 8, tenuto conto in particolare dell’interesse superiore del minore (si vedano, mutatis mutandis, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 141, CEDU 2010, K.A.B. c. Spagna, n. 59819/08, § 115, 10 aprile 2012).
66.  A questo proposito, e per quanto riguarda l’obbligo per lo Stato di adottare misure positive, la Corte ha costantemente affermato che l’articolo 8 implica il diritto per un genitore a ottenere misure destinate a riunirlo con il figlio e l’obbligo per le autorità nazionali di adottare tali misure (si vedano, ad esempio, Margareta e Roger Andersson c. Svezia, 25 febbraio 1992, § 91, serie A n. 226-A, e P.F. c. Polonia, n. 2210/12, § 55, 16 settembre 2014). In questo genere di cause, l’adeguatezza di una misura si valuta in base alla rapidità della sua attuazione (Maumousseau, sopra citata, § 83, e Zhou, sopra citata, § 48).

b)  Applicazione di questi principi al caso di specie.

67.  La Corte considera che la questione decisiva nel caso di specie consista nello stabilire se le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure necessarie e adeguate che ci si poteva ragionevolmente attendere da esse affinché la minore potesse condurre una vita famigliare normale nella propria famiglia tra giugno 2009 e novembre 2016.

i.  Sull’affidamento della minore

68.  La Corte osserva che C. è stata collocata in un istituto il 10 giugno 2009 e, dieci giorni dopo, il tribunale ha avviato, su richiesta del procuratore, una procedura ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità della minore.
69.  Rileva che ai ricorrenti si contestava principalmente di non offrire condizioni materiali adeguate alla minore e di averla affidata a una terza persona. La Corte osserva inoltre che non è stata avviata alcuna inchiesta penale al riguardo.
70.  Una prima perizia ha fatto emergere il profondo attaccamento che legava la minore e i ricorrenti e ha raccomandato al tribunale un ritorno graduale della minore nella sua famiglia di origine.
71.  La Corte rammenta che non ha il compito di sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali competenti per quanto riguarda le misure che avrebbero dovuto essere adottate, dal momento che queste si trovano in una posizione migliore per procedere a una valutazione di questo tipo, soprattutto perché sono in contatto diretto con il contesto della causa e le parti coinvolte (Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, § 53, 22 novembre 2005). Ciò premesso, nella fattispecie essa ritiene anzitutto che fosse oggettivamente evidente che la situazione dei ricorrenti era particolarmente fragile dato che si trattava di una famiglia numerosa che viveva in un campo in condizioni precarie.
72.   La Corte è del parere che, prima di dare C. in affidamento e avviare una procedura di adottabilità, le autorità avrebbero dovuto adottare misure concrete per permettere alla minore di vivere con i ricorrenti. A questo proposito, essa rammenta che il ruolo delle autorità di protezione sociale è precisamente quello di aiutare le persone in difficoltà, guidarle nelle loro azioni e consigliarle, tra l’altro, sui diversi tipi di sussidi sociali disponibili , sulle possibilità di ottenere un alloggio sociale o sugli altri mezzi per superare le loro difficoltà (Saviny c. Ucraina, n. 39948/06, § 57, 18 dicembre 2008, e R.M.S. c. Spagna, n. 28775/12, § 86, 18 giugno 2013). Quando si tratta di persone vulnerabili, le autorità devono dimostrare un’attenzione particolare e devono assicurare loro una maggiore protezione (B. c. Romania (n. 2), n. 1285/03, §§ 86 e 114, 19 febbraio 2013, Todorova c. Italia, n. 33932/06, § 75, 13 gennaio 2009, Zhou c. Italia, n. 33773/11, § 58, 21 gennaio 2014, Akinnibosun c. Italia, n. 9056/14, § 82, 16 luglio 2015 e Soares de Melo c. Portogallo, n. 72850/14, § 106, 16 febbraio 2016).
73.  Se è vero che, in alcune cause dichiarate irricevibili dalla Corte, l’affidamento dei minori è stato motivato da condizioni di vita insoddisfacenti o da privazioni materiali, questo non ha mai costituito l’unico motivo alla base della decisione dei tribunali nazionali: a ciò si aggiungerebbero altri elementi come le condizioni psichiche dei genitori o la loro incapacità affettiva, educativa e pedagogica (si vedano, ad esempio, Rampogna e Murgia c. Italia (dec.), n. 40753/98, 11 maggio 1999, e M.G. e M.T.A. c. Italia (dec.), n. 17421/02, 28 giugno 2005).
74.  Nella fattispecie, si deve constatare che, in nessun momento del procedimento, sono state riscontrate situazioni di violenza o di maltrattamento nei confronti dei minori (si vedano, a contrario, Dewinne c. Belgio (dec.), n. 56024/00, 10 marzo 2005, e Zakharova c. Francia (dec.), n. 57306/00, 13 dicembre 2005), né abusi sessuali (si vedano, a contrario, Covezzi e Morselli, sopra citata, § 104, Clemeno e altri c. Italia, n. 19537/03, § 50, 21 ottobre 2008, e Errico c. Italia, n. 29768/05, § 48, 24 febbraio 2009). I tribunali non hanno nemmeno riscontrato carenze affettive (si vedano, a contrario, Kutzner, sopra citata, § 68, e Barelli e altri c. Italia (dec.), n. 15104/04, 27 aprile 2010) oppure uno stato di salute inquietante o uno squilibrio psichico dei genitori (si vedano, a contrario, Bertrand c. Francia (dec.), n. 57376/00, 19 febbraio 2002, e Couillard Maugery, sopra citata, § 261).
75.  Al contrario, sembra che i legami tra i ricorrenti e la minore fossero particolarmente forti, cosa che la corte d’appello ha rilevato nella sua decisione di riformare la sentenza del tribunale per quanto riguarda lo stato di adottabilità della minore (paragrafo 19 supra) sottolineando che, da quando quest’ultima è stata data in affidamento, ai primi due ricorrenti non era stata offerta l’occasione per dimostrare le loro capacità genitoriali.
76.  La Corte constata a questo proposito che, secondo la corte d’appello, i primi due ricorrenti erano in grado di svolgere il loro ruolo genitoriale e non esercitavano alcuna influenza negativa sullo sviluppo della minore. Inoltre, il tribunale non aveva preso in considerazione la prima perizia favorevole ai ricorrenti (paragrafo 13 supra), secondo la quale un processo di reintegrazione doveva essere attuato per permettere il ritorno della minore nella sua famiglia.
77.  Di conseguenza, la Corte ritiene che i motivi per i quali, nella fattispecie, il tribunale ha negato il ritorno di C. presso la sua famiglia e dichiarato l’adottabilità non costituiscano circostanze «del tutto eccezionali» tali da giustificare una rottura del legame famigliare.

ii.  Sulla mancata esecuzione della sentenza della corte d’appello che prevedeva il ritorno della minore

78.  La Corte osserva anche che, considerata la sentenza della corte d’appello del 26 ottobre 2012 che riformava la sentenza del tribunale per quanto riguarda lo stato di adottabilità della minore, la decisione del ritorno di quest’ultima nella sua famiglia doveva essere eseguita entro un termine di sei mesi. Essa osserva a questo proposito che gli incontri non sono stati organizzati in maniera adeguata e che non è stato predisposto alcun piano di ravvicinamento. I primi due ricorrenti hanno dovuto adire il procuratore per lamentare la mancata esecuzione della sentenza della corte d’appello.
79.  Ora, la Corte osserva che il procuratore ha adito il tribunale per chiedere la sospensione del piano di ravvicinamento e la proroga dell’affidamento famigliare di C. in quanto la prima ricorrente non aveva un lavoro stabile, i ricorrenti erano stati sfrattati dal loro alloggio e venivano ospitati da alcuni parenti e che, per di più, C. era ben integrata nella famiglia affidataria e non si opponeva agli incontri con i ricorrenti.
80.  La Corte osserva che, nonostante la perizia che sottolineava l’attaccamento esistente tra i ricorrenti e la minore e la mancanza di empatia del personale dei servizi sociali nei confronti dei primi due ricorrenti, il tribunale ha accolto la richiesta del procuratore, prorogato l’affidamento famigliare della minore e ridotto il numero di incontri con i genitori a quattro l’anno.
81.  Per rifiutare di disporre il ritorno di C. nella sua famiglia di origine, il tribunale si è basato sul comportamento e le condizioni materiali della vita dei ricorrenti, sulle potenziali difficoltà di integrazione di C. nella sua famiglia di origine e sui legami profondi che C. avrebbe intessuto con la famiglia affidataria.
82.  Questa decisione è stata poi annullata dalla corte d’appello nel 2015, la quale ha tuttavia confermato l’affidamento famigliare in quanto, essendo trascorso molto tempo, si erano creati dei legami molto forti con la famiglia affidataria e un ritorno presso i ricorrenti non era più possibile.
83.  Peraltro, la corte d’appello ha riconosciuto, come aveva già fatto nel 2012, nell’ambito della procedura di adozione della minore (paragrafo 19 supra), che i primi due ricorrenti erano in grado di offrire a C. delle condizioni di vita normali e che il loro affetto per la minore era sincero.
84.  La Corte rammenta la propria giurisprudenza secondo la quale il fatto che un minore possa essere accolto in un ambito più favorevole alla sua educazione non può di per sé giustificare che lo stesso sia sottratto alle cure dei suoi genitori biologici (Wallová e Walla c. Repubblica ceca, n. 23848/04, § 71, 26 ottobre 2006). Nella fattispecie, le capacità educative ed affettive dei ricorrenti non sono state messe in discussione e sono state riconosciute più volte dalla corte d’appello (si vedano, a contrario, Rampogna e Murgia, sopra citata, e M.G. e M.T.A, sopra citata).
85.  Uno degli argomenti decisivi che i giudici interni hanno preso in considerazione per respingere la domanda dei primi due ricorrenti volta a ottenere il ritorno della minore è stato l’attaccamento che si sarebbe sviluppato tra C. e la famiglia affidataria nel corso degli anni; i tribunali interni hanno perciò ritenuto che fosse nell’interesse superiore di C. che la stessa continuasse a vivere temporaneamente nell’ambiente che sarebbe stato il suo da parecchi anni e nel quale si sarebbe integrata. Un simile argomento è comprensibile tenuto conto della capacità di adattamento di un minore e del fatto che C. era stata data in affidamento famigliare fin dalla più tenera età.
86.  La Corte ribadisce tuttavia il principio ben consolidato nella sua giurisprudenza secondo il quale lo scopo della Convenzione consiste nel tutelare diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi (si veda, mutatis mutandis, Artico c. Italia, sentenza del 13 maggio 1980, § 33, serie A n. 37). In questa logica, essa considera che un rispetto effettivo della vita famigliare impone che le relazioni future tra genitore e figlio siano regolate unicamente sulla base di tutti gli elementi pertinenti, e non del semplice trascorrere del tempo (Ignaccolo-Zenide, sopra citata, § 102, e Pini e altri c. Romania, n. 78028/01 e 78030/01, § 175, CEDU 2004 V (estratti)).
87.  La Corte ritiene che, nella presente causa, i motivi per i quali inizialmente i servizi sociali e successivamente il tribunale hanno negato il ritorno di C. presso i ricorrenti non costituiscano circostanze «del tutto eccezionali» che potrebbero giustificare una rottura del legame famigliare. Essa comprende tuttavia che, a causa del tempo trascorso e dell’integrazione di C. nella famiglia affidataria, i giudici nazionali abbiano potuto negare il ritorno della minore. Ciò premesso, se la Corte ammette che un cambiamento nella situazione di fatto possa giustificare in via eccezionale una decisione riguardante la presa in carico del minore, essa deve assicurarsi che i cambiamenti essenziali in causa non siano il risultato di una azione o di una inazione delle autorità nazionali (si vedano Monory c. Romania e Ungheria, n. 71099/01, § 83, 5 aprile 2005, e, mutatis mutandis, Sylvester c. Austria, nn. 36812/97 e 40104/98, § 59, 24 aprile 2003, Amanalachioai c. Romania, n. 4023/04, § 90, 26 mai 2009) e che le autorità competenti abbiano fatto il possibile per mantenere le relazioni personali e, se del caso, per «ricostruire» la famiglia al momento opportuno (Schmidt c. Francia, n. 35109/02, § 84, 26 luglio 2007).
88.  Perciò, il tempo trascorso – conseguenza dell’inerzia dei servizi sociali nell’attuazione del piano di ravvicinamento – e i motivi addotti dal tribunale per prorogare l’affidamento provvisorio della minore, hanno contribuito in maniera decisiva a impedire la riunione dei ricorrenti e della sesta ricorrente, che avrebbe dovuto avere luogo nel 2012.

iii. Conclusioni

89.  Tenuto conto delle considerazioni sopra esposte (paragrafi 68 88) e nonostante il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in materia, la Corte conclude che le autorità italiane non si sono impegnate in maniera adeguata e sufficiente per far rispettare il diritto dei ricorrenti di vivere con C., tra giugno 2009 e novembre 2016, quando hanno disposto l’affidamento della minore ai fini della sua adozione, e che le stesse autorità non hanno poi correttamente eseguito la sentenza della corte d’appello del 2012 che prevedeva il ritorno di quest’ultima nella sua famiglia di origine, violando in tal modo il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita famigliare, sancito dall’articolo 8.
90.  Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

II.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

91.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

92.  Per il danno morale, i ricorrenti chiedono le somme di 50.000 euro (EUR) per ciascuno dei primi cinque di loro e di 75.000 EUR per la sesta ricorrente.
93.  Il Governo ritiene che, avendo ottenuto il ritorno di C, i ricorrenti non abbiano più la qualità di vittima. Pertanto, invita la Corte a non accordare loro alcuna somma a titolo di equa soddisfazione.
94.  La Corte osserva che i ricorrenti sono sottoposti da molto tempo a un profondo disagio a causa delle violazioni constatate nella presente causa, e ritiene perciò che abbiano subito un pregiudizio morale certo. Tenuto conto di tutti gli elementi di cui dispone e deliberando in via equitativa, ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, essa considera doversi accordare ai sei ricorrenti congiuntamente la somma di 40.000 EUR per il danno morale.

B. Spese

95.  Presentando i relativi documenti giustificativi, i ricorrenti chiedono anche la somma di 15.175 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.
96.  Il Governo non contesta queste pretese.
97.  Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti a sua disposizione e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti l’intero importo richiesto, ossia 15.175 EUR.

C. Interessi moratori

98.  "La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza diverrà definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 40.000 EUR (quarantamila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, per il danno morale,
      2. 15.175 EUR (quindicimilacentosettantacinque euro), più l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta su tale somma, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Rigetta la richiesta di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 22 giugno 2017, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Abel Campos
Cancelliere

Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente