Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 9 febbraio 2023 - Ricorso n. 11061/05 - Causa Gallo c. Italia

 

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA GALLO c. ITALIA

(Ricorso n. 11061/05)

SENTENZA

STRASBURGO

9 febbraio 2023

La presente sentenza è definitiva ma può subire modifiche di forma.

Nella causa Gallo c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in un Comitato composto da:

Péter Paczolay, Presidente,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di Sezione,

visto il ricorso (n. 11061/05) presentato contro la Repubblica italiana con il quale, in data 21 marzo 2005, un cittadino italiano, il Sig. Michele Gallo (“il ricorrente”), che è nato nel 1939 e vive a Fasano, ed è stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avvocato L. Paccione, del Foro di Bari, ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);

vista la decisione di comunicare il ricorso al Governo italiano (“il Governo”), rappresentato dal suo ex Agente, Sig.ra E. Spatafora, e dal suo ex Co-Agente, Sig. F. Crisafulli;

viste le osservazioni formulate dalle parti;

dopo avere deliberato in camera di consiglio in data 17 gennaio 2023,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

L’OGGETTO DEL CASO DI SPECIE

  1. La causa concerne la privazione del suo terreno subita dal ricorrente ai sensi della norma sull'espropriazione indiretta o “acquisitiva”.
  2. Il ricorrente era comproprietario con un’altra persona, F.L., di un terreno sito a Mottola. 
  3. In data 25 luglio 1974 F.L. adì il Tribunale di Taranto con un'azione risarcitoria nei confronti del Comune di Mottola.Sostenne che il Comune aveva occupato parte del suo terreno senza il permesso e vi aveva costruito una strada. Chiese un risarcimento per l'espropriazione del terreno in questione, nonché per il deprezzamento del valore del resto.
  4. In data 5 marzo 1980 il Tribunale cancellò la causa dal ruolo in conformità all’articolo 309 del Codice di procedura civile, poiché entrambe le parti erano state assenti a due udienze consecutive.
  5. In data 6 aprile 1984 F.L. instaurò la medesima azione risarcitoria nei confronti del Comune di Mottola dinanzi al Tribunale di Taranto. 
  6. In data imprecisata il Tribunale dispose la valutazione del terreno da parte di un perito indipendente.
  7. In data 3 aprile 1986 il ricorrente si costituì nel procedimento dinanzi al Tribunale di Taranto. Affermò di essere comproprietario di parte del terreno occupato e chiese un indennizzo per l'espropriazione di tale terreno.
  8. Con sentenza del 29 marzo 1989 il Tribunale dichiarò che l'occupazione del terreno era stata illegittima e che la proprietà del terreno era stata trasferita al Comune in conformità alla norma sull'espropriazione indiretta. Rinviò alla conclusione del perito indipendente secondo la quale il valore di mercato del bene, per quanto riguardava la quota del terreno appartenente al ricorrente, ammontava nel 1974 a 10.946.450 lire italiane (ITL). Il Tribunale ordinò al Comune di Mottola di pagare a F.L. e al ricorrente rispettivamente le somme di ITL 143.139.473 e di ITL 58.891.901 (euro (EUR) 30.415), corrispondenti al valore di mercato del bene nel 1974, adeguato all'inflazione. 
  9. In data 15 giugno 1989 il Comune di Mottola impugnò tale sentenza dinanzi alla Corte di appello di Lecce.
  10. Con sentenza del 14 marzo 1994 la Corte di appello rigettò l’appello presentato dal Comune.
  11. In data 19 luglio 1994 il Comune di Mottola propose ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, sostenendo, inter alia, che quest’ultima non avesse tenuto conto del suo rilievo secondo il quale il diritto del ricorrente al risarcimento si era prescritto.
  12. Con sentenza del 3 marzo 1997 la Corte di cassazione accolse in parte il ricorso del Comune e rinviò la causa alla Corte di appello di Bari.
  13. Con sentenza del 12 luglio 2000 la Corte di appello di Bari dichiarò prescritto il diritto del ricorrente al risarcimento, dato che egli aveva presentato la domanda dopo oltre cinque anni dalla data in cui era stata ultimata la costruzione della strada (20 novembre 1974).Rinviando alla giurisprudenza della Corte di cassazione in materia di espropriazione acquisitiva, ritenne che il trasferimento della proprietà all'amministrazione fosse avvenuta al termine delle opere pubbliche.
  14. In data 5 settembre 2001 il ricorrente presentò ricorso alla Corte di cassazione avverso tale sentenza.
  15. In data 23 settembre 2004 la Corte di cassazione rigettò il ricorso del ricorrente.
  16. Con sentenza n. 735/2015 del 19 gennaio 2015 la Corte di cassazione a Sezioni Unite, ritenne la norma sull'espropriazione acquisitiva incompatibile con l'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. Essa ritenne che gli individui avessero il diritto di chiedere la restituzione dei loro beni, salvo qualora avessero deciso di chiedere un risarcimento. Essa ritenne inoltre che il termine di prescrizione quinquennale per chiedere il risarcimento in relazione all'espropriazione di un bene dovesse decorrere dalla data di deposito della domanda in tribunale.
  17. Rinviando all'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, il ricorrente ha lamentato dinanzi alla Corte di essere stato illegittimamente privato del suo terreno mediante l’espropriazione indiretta o “acquisitiva” e di non aver ottenuto alcun indennizzo per l'espropriazione del suo bene.

LA VALUTAZIONE DELLA CORTE

SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL protocolLO N. 1 ALLA CONVENZIONE

  1. La Corte osserva in via preliminare che, in ordine al rilievo del Governo secondo il quale il ricorso era stato depositato tardivamente, essa ha già esaminato e rigettato un'analoga eccezione del Governo nella causa Donati  Italia ((dec.), n. 63242/00, 13 maggio 2004), le cui circostanze erano simili al caso di specie. La Corte non riscontra alcun motivo che le imponga di pervenire attualmente a una differente conclusione.
  2. La Corte osserva che la presente doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione e che non incorre in alcun altro motivo di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.
  3. Il diritto e la prassi interni pertinenti sono reperibili nella sentenza relativa alla causa Guiso-Gallisay c. Italia ((equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, §§ 18-48, 22 dicembre 2009).
  4. La Corte osserva che il ricorrente è stato privato del suo bene mediante un’espropriazione indiretta o “acquisitiva” – un'ingerenza nel diritto al pacifico godimento dei beni che la Corte ha precedentemente ritenuto, in un elevato numero di casi, incompatibile conil principio di legalità, e che ha dato luogo a constatazioni di violazioni dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si vedano, tra numerosi altri precedenti, Carbonara e Ventura c. Italia, n. 24638/94, §§ 63-73, CEDU 2000‑VI, e, più recentemente, Messana c. Italia, n. 26128/04, §§ 38-43, 9 febbraio 2017).
  5. Dopo aver esaminato tutta la documentazione che le è stata presentata e le osservazioni formulate dalle parti, la Corte non ha riscontrato alcun fatto o rilievo in grado di persuaderla a pervenire nel caso di specie a una differente conclusione.
  6. La Corte rileva inoltre che i giudici nazionali hanno applicato un termine di prescrizione quinquennale, che aveva iniziato a decorrere dalla data di ultimazione delle opere pubbliche (si veda il paragrafo 13 supra). Conseguentemente, al ricorrente è stata negata la possibilità che gli era stata offerta, in linea di principio, di ottenere un risarcimento (si veda Carbonara e Ventura, sopra citata, § 71).
  7. Vi è conseguentemente stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Il ricorrente ha chiesto euro (EUR) 30.415,13 per il danno patrimoniale, corrispondente all’importo dell’indennizzo concesso dal Tribunale di Taranto, da adeguare per l’inflazione e da maggiorare per gli interessi legali calcolati a decorrere dal 1974. Il ricorrente ha chiesto anche EUR 500.000 per il danno non patrimoniale. Ha inoltre chiesto il rimborso di EUR 25.610,91 per le spese legali e di EUR 1.974,92 per le spese sostenute dinanzi ai tribunali nazionali.
  2. Il Governo non ha formulato alcuna osservazione relativa al valore di mercato del bene, sostenendo invece che il mancato pagamento dell’indennizzo era dovuto a un ritardo da parte del ricorrente a richiederlo.Se la Corte avesse deciso di accordare al ricorrente un risarcimento per il danno patrimoniale, esso ha invitato la Corte a tenere conto della condotta del ricorrente nel calcolo degli interessi e dell'inflazione. Il Governo ha sostenuto anche che la somma chiesta dal ricorrente per il danno non patrimoniale fosse eccessiva.
  3. In ordine al danno patrimoniale, la Corte ribadisce che i pertinenti criteri di calcolo in materia di espropriazioni illegittime sono stati stabiliti nella causa Guiso-Gallisay (sopra citata, § 105).Riguardo ai fatti oggetto del caso di specie, la Corte ritiene appropriato utilizzare, quale punto di partenza, il valore di mercato del bene, individuato nella perizia disposta dal giudice redatta nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale di Taranto, corrispondente a EUR 5.653 (si veda il paragrafo 8 supra). Per quanto riguarda il calcolo della somma che rispecchia l’adeguamento per l’inflazione e gli interessi legali, la Corte rileva, come sottolineato anche dal Governo, che il ricorrente si è costituito nel procedimento risarcitorio soltanto in data 3 aprile 1986. Visti i fattori di cui sopra e deliberando in via equitativa, la Corte ritiene ragionevole accordare al ricorrente EUR 100.000 per il danno patrimoniale, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.
  4. In ordine al danno non patrimoniale, la Corte accorda al ricorrente EUR 5.000, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.
  5. Vista la documentazione di cui è in possesso, la Corte ritiene ragionevole accordare EUR 7.000, a copertura di tutte le voci delle spese, oltre l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  3. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare al ricorrente, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. EUR 100.000 (euro centomila), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno patrimoniale;
      2. EUR 5.000 (euro cinquemila), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
      3. EUR 7.000 (euro settemila), oltre l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza dei summenzionati tre mesi e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali.
  4. Respinge la domanda di equa soddisfazione formulata dal ricorrente per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 9 febbraio 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Péter Paczolay
Presidente

Liv Tigerstedt
Cancelliere aggiunto