Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 30 marzo 2023 - Ricorso n. 21329/18 - Causa J. A. e altri c. Italia

 

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA J.A. E ALTRI c. ITALIA

(Ricorso n. 21329/18)

SENTENZA

Articolo 3 (sostanziale) • Trattamento inumano e degradante • Migranti tunisini giunti per mare trattenuti in un punto di crisi (hotspot) per dieci giorni in condizioni materiali inadeguate

Articolo 5 §§ 1, lettera f), 2 e 4 • Arbitraria privazione della libertà per impedire l’ingresso non autorizzato nel paese • Trattenimento privo di una base giuridica chiara e accessibile e in assenza di una decisione motivata • Ricorrenti non informati dei motivi giuridici del trattenimento • Incapacità di contestare la legittimità del trattenimnto de facto a causa dell’assenza di sufficienti informazioni

Articolo 4 § 4 del Protocollo n. 4 • Divieto di espulsioni collettive di stranieri • Espulsione verso la Tunisia in assenza di un’adeguata considerazione delle situazioni individuali dei ricorrenti al momento dell’emissione dei provvedimenti di respingimento e di espulsione  

STRASBURGO

30 marzo 2023

La presente sentenza diventerà definitiva alle condizioni stabilite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa J. A. e altri c. Italia,
la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da:

Marko Bošnjak, Presidente,
Péter Paczolay,
Krzysztof Wojtyczek,
Lətif Hüseynov,
Ivana Jelić,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di Sezione,

visto il ricorso presentato nei confronti della Repubblica italiana (n. 21329/18) con il quale, in data 26 aprile 2018, quattro cittadini tunisini (“i ricorrenti”) hanno adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);

vista la decisione di comunicare al Governo italiano (“il Governo”) le doglianze relative all'articolo 3, all'articolo 5 §§ 1, 2 e 4 e all'articolo 13 della Convenzione e agli articoli 2 e 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione, e di dichiarare il ricorso irricevibile per il resto

vista la decisione di non divulgare i nomi dei ricorrenti;

viste le osservazioni presentate dal Governo convenuto e le osservazioni di replica presentate dai ricorrenti;

visti i commenti presentati da L'altro diritto, dall'Organizzazione mondiale contro la tortura e dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali (FTDES), organizzazioni autorizzate a intervenire dal Presidente della Sezione;

dopo avere deliberato in camera di consiglio in data 7 marzo 2023,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. La causa concerne il trattenimento dei ricorrenti nel punto di crisi sito sull'isola di Lampedusa in Contrada Imbriacola, l’inadeguatezza delle loro condizioni di soggiorno e la loro espulsione forzata verso la Tunisia. Il Centro di soccorso e prima accoglienza di Lampedusa è stato individuato quale uno dei punti di crisi italiani ai sensi dell'articolo 17 del Decreto-legge 17 febbraio 2017 n.13.

IN FATTO

  1. I ricorrenti sono nati nelle date indicate nella tabella allegata e vivono in Tunisia. Sono stati rappresentati dalle avvocatesse L. Leo e L. Gennari, del Foro di Roma.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. L. D’Ascia.
  3. I fatti oggetto della causa possono essere riassunti come segue.

I. IL SOGGIORNO DEI RICORRENTI NEL PUNTO DI CRISI DI LAMPEDUSA

  1. I ricorrenti lasciarono la costa tunisina in data 15 ottobre 2017 a bordo di imbarcazioni di fortuna al fine di raggiungere un'imbarcazione di dimensioni maggiori che trasportava circa cento persone.Dopo alcune ore di navigazione, a seguito di circostanze di pericolo in mare, furono soccorsi da una nave italiana che li condusse a Lampedusa in data 16 ottobre 2017. Hanno affermato di essere stati sottoposti a visita medica. Alcuni di loro ricevettero un opuscolo contenente informazioni generali relative ai minori non accompagnati e alle procedure di asilo. I ricorrenti hanno dichiarato di non essere stati in grado di comprendere pienamente il contenuto dei suddetti documenti. Furono successivamente sottoposti a procedure di identificazione.
  2. I ricorrenti rimasero nel punto di crisi di Lampedusa per dieci giorni, durante i quali era stato asseritamente impossibile per loro interagire con le autorità. Hanno dichiarato di non essere stati in grado di lasciare legalmente il centro durante tale periodo e di averlo fatto alcune volte passando per un'apertura nel recinto che circondava il centro. I ricorrenti hanno descritto le condizioni materiali del centro come disumane e degradanti.

II. L’ESPULSIONE DEI RICORRENTI VERSO LA TUNISIA

  1. Nelle prime ore del mattino del 26 ottobre 2017 i ricorrenti e circa quaranta altre persone furono svegliati dalle autorità italiane. Fu loro ordinato di spogliarsi, essi furono perquisiti e furono successivamente trasferiti con un pullman all'aeroporto di Lampedusa.
  2. In tale luogo, fu chiesto ai ricorrenti di firmare alcuni documenti dei quali essi non avevano asseritamente compreso il contenuto o non avevano ricevuto una copia, e scoprirono successivamente che si trattava di decreti di respingimento emessi dalla Questura di Agrigento. I rappresentanti dei ricorrenti presentarono alla Questura una domanda finalizzata a ottenere copia di tali documenti. Furono fornite a essi soltanto le copie relative ai primi due ricorrenti; le domande presentate in relazione al terzo e al quarto ricorrente in data 15 febbraio 2018 e 26 marzo 2018 non ricevettero risposta. I decreti di respingimento emessi nei confronti dei primi due ricorrenti erano datati 26 ottobre 2017.
  3. Il Governo ha dichiarato che i decreti di respingimento erano stati debitamente notificati ai ricorrenti, i quali avevano firmato una ricevuta e avevano ricevuto una copia di essi. Il Governo ha sottolineato anche che i decreti di respingimento contenevano l'informazione che era possibile impugnare le decisioni in questione dinanzi al Tribunale di Agrigento, entro trenta giorni dalla notifica delle stesse.
  4. I ricorrenti furono quindi nuovamente perquisiti, i loro polsi furono bloccati mediante fascette in velcro ed essi furono privati dei loro telefoni cellulari. Furono trasferiti a Palermo in aereo, durante il volo le fascette furono tolte ed esse furono applicate nuovamente all'aeroporto di Palermo.
  5. Giunti in tale luogo, i ricorrenti incontrarono un rappresentante del consolato tunisino che verbalizzò le loro identità e, in pari data, il 26 ottobre 2017, essi furono espulsi forzatamente verso la Tunisia in aereo.

IL QUADRO GIURIDICO PERTINENTE

I. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI

  1. La Costituzione
  1. L’articolo 13 della Costituzione italiana recita come segue:
    1. “La libertà personale è inviolabile.
    2. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
    3. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicate tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di effetti.
    4. È comunque punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
    5. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.”
  1. Il Decreto-legge 30 dicembre 1989 n. 416
  1. La pertinente disposizione 1 del Decreto-legge n. 416, intitolato “Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari e apolidi già presenti nel territorio dello Stato”, convertito con modifiche nella Legge 28 febbraio 1990 n. 39, recita come segue:

articolo 1-sexies – Sistema di accoglienza e integrazione

“1. Gli enti locali che prestano servizi di accoglienza per i titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati, (...) possono accogliere nell’ambito dei medesimi servizi, nei limiti dei posti disponibili, anche i richiedenti protezione internazionale (...)”

  1. Il Decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 2862
  1. Le pertinenti disposizioni del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, come modificato, inter alia, dall’articolo 17 del Decreto-legge 17 febbraio 2017 n. 13, convertito nella Legge n. 46 del 2017, recitano come segue:

articolo 10 (Respingimento)

“1. La polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l’ingresso nel territorio dello Stato.

  1. Il respingimento con accompagnamento alla frontiera è altresì disposto dal questore nei confronti degli stranieri:
  2. a) che entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all’ingresso o subito dopo;
  3. b) che, nelle circostanze di cui al comma 1, sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso.

2-bis. Al provvedimento di respingimento di cui al comma 2 si applicano le procedure di convalida e le disposizioni previste dall’articolo 13, commi 5-bis, 5-ter, 7 e 8.3

  1. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 e quelle dell’articolo 4, commi 3 e 6, non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l’asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l’adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari.”

articolo 10-ter (Disposizioni per l’identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare)

“1. Lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima accoglienza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico (...) ed è assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito.

  1. Le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico sono eseguite in adempimento degli obblighi di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, anche nei confronti degli stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale.
  2. Il rifiuto reiterato dello straniero di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2 configura rischio di fuga ai fini del trattenimento nei centri di cui all’articolo 14. Il trattenimento è disposto caso per caso, con provvedimento del questore, e conserva la sua efficacia per una durata massima di trenta giorni dalla sua adozione, salvo che non cessino prima le esigenze per le quali è stato disposto. Si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 14, commi 2, 3 e 4. Se il trattenimento è disposto nei confronti di un richiedente protezione internazionale (…) è competente alla convalida il Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea. (...)”

articolo 14 (Esecuzione dell’espulsione)

“1. Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento (…) il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. A tal fine effettua richiesta di assegnazione del posto alla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno. Tra le situazioni che legittimano il trattenimento rientrano, oltre a quelle indicate all’articolo 13, comma 4-bis, anche quelle riconducibili alla necessità di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo.

(...)

2.Lo straniero è trattenuto nel centro, presso cui sono assicurati adeguati standards igienico-sanitari e abitativi, con modalità tali da assicurare la necessaria informazione relativa al suo status, l’assistenza e il pieno rispetto della sua dignità (...)

2-bis. Lo straniero detenuto può rivolgere istanze o reclami orali o scritti (…) al Garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti delle persone private della libertà personale.

3.Il questore del luogo in cui si trova il centro trasmette copia degli atti al Giudice di pace territorialmente competente, per la convalida, senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dall’adozione del provvedimento.

4.L'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L'interessato è anch'esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l'udienza. (…) Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive (...)

7. Il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede, nel caso la misura sia violata, a ripristinare il trattenimento mediante l'adozione di un nuovo provvedimento di trattenimento. ( ...)”

  1. Il Decreto legislativo 18 agosto 2015 n. 142
  1. Tale decreto ha attuato la direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione) (la “direttiva relativa alle procedure di asilo”) e la direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (rifusione) (la “direttiva relativa alle condizioni di accoglienza”) (si vedano i paragrafi 30-31 infra). Gli articoli pertinenti recitano come segue:

articolo 1 – Finalità e ambito applicativo

“1. Il presente decreto stabilisce le norme relative all’accoglienza dei cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea e degli apolidi richiedenti protezione internazionale nel territorio nazionale, comprese le frontiere e le relative zone di transito, nonché le acque territoriali, e dei loro familiari inclusi nella domanda di protezione internazionale.

  1. Le misure di accoglienza di cui al presente decreto si applicano dal momento della manifestazione della volontà di chiedere la protezione internazionale.

(...)”

articolo 6 – Trattenimento

“1. Il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda.

  1. il richiedente è trattenuto, ove possibile in appositi spazi, nei centri di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sulla base di una valutazione caso per caso, (...)”

articolo 8 – Sistema di accoglienza

“1. Il sistema di accoglienza per richiedenti protezione internazionale si basa sulla leale collaborazione tra i livelli di governo interessati (...)

  1. Le funzioni di prima assistenza sono assicurate nei centri di cui all’articolo 9 (...), fermo restando quanto previsto dall’articolo 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per le procedure di soccorso e di identificazione dei cittadini stranieri irregolarmente giunti nel territorio nazionale.
  2. L’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale è assicurata, nei limiti dei posti disponibili, nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione, di cui all’articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1998, n. 39).”

articolo 9 – Misure di prima accoglienza

“1. Per le esigenze di prima accoglienza e per l’espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica, lo straniero è accolto nei centri di prima accoglienza istituiti con decreto del Ministro dell’interno, (...)

  1. Il prefetto, informato il sindaco del comune nel cui territorio è situate il centro di prima accoglienza e sentito il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, invia il richiedente nelle strutture di cui al comma 1. Il richiedente è accolto per il tempo necessario, all’espletamento delle operazioni di identificazione, (...) alla verbalizzazione della domanda ed all’avvio della procedura di esame della medesima domanda (...)

4-bis. Espletati gli adempimenti di cui al comma 4, il richiedente è trasferito, nei limiti dei posti disponibili, nelle strutture di cui all’articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39 (...)”

articolo 10 § 2 – Modalità di accoglienza

“È consentita l’uscita dal centro nelle ore diurne (…) con obbligo di rientro nelle ore notturne. Il richiedente può chiedere al prefetto un permesso temporaneo di allontanamento dal centro per un periodo di tempo diverso o superiore a quello di uscita, per rilevanti motivi personali o per motivi attinenti all’esame della domanda. Il provvedimento di diniego sulla richiesta di autorizzazione all’allontanamento è motivato e comunicato all’interessato (...)”

articolo 11 – Misure straordinarie di accoglienza

“1. Nel caso in cui è temporaneamente esaurita la disponibilità di posti all’interno delle strutture di cui all’articolo 9, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti, l’accoglienza può essere disposta dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, in strutture temporanee, appositamente allestite, previa valutazione delle condizioni di salute del richiedente, anche al fine di accertare la sussistenza di esigenze particolari di accoglienza.

(...)

  1. L’accoglienza nelle strutture di cui al comma 1 è limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione, di cui all’articolo 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1998, n. 39 (...)”

articolo 12 § 1 – Condizioni materiali di accoglienza

“Con decreto del Ministro dell’interno è adottato lo schema di capitolato di gara d’appalto per la fornitura dei beni e dei servizi relativi al funzionamento dei centri di cui agli articoli 6, 8, comma 2, 9 e 11, in modo da assicurare livelli di accoglienza uniformi nel territorio nazionale, in relazione alle peculiarità di ciascuna tipologia di centro.”

  1. La Roadmap del Ministero dell’Interno del 28 settembre 2015
     
  1. I passi pertinenti di tale rapporto, adottato per rispondere all’Agenda europea sulla migrazione, recitano come segue:

“A partire da settembre 2015, quattro porti sono stati individuati come “hotspots”, vale a dire Pozzallo, Porto Empedocle e Trapani in Sicilia e l’isola di Lampedusa. In ognuno di questi “hotspots” chiusi, sono disponibili strutture di prima accoglienza con una capacità complessiva di circa 1.500 posti per effettuare le attività di pre-identificazione, registrazione, fotosegnalamento e rilievi dattiloscopici. Altre due aree hotspots chiuse, atte a ricevere i cittadini di Paesi terzi, saranno pronte nei porti di Augusta e Taranto entro la fine del 2015. L’obiettivo è quindi quello di portare la capacity delle aree hotspot fino a oltre 2500 posti entro la fine del 2015 (...)

Successivamente all’espletamento delle attività di screening sanitario, pre-identificazione, di quelle investigative/intelligence, e sulla base dei relativi esiti, le persone che richiedono la protezione internazionale saranno trasferite nei vari regional hubs presenti sul territorio nazionale; le persone che rientrano nella procedura di ricollocazione saranno trasferite nei regional hubs dedicati, le persone in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale saranno trasferite nei Centri di Identificazione ed Espulsione.”

  1. Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale

1. “Il Rapporto relativo alle visite nei Centri di identificazione ed espulsione e negli hotspot in Italia (2016-17: primo anno di attività)”

  1. Le parti pertinenti di tale rapporto recitano come segue:

“(...) L’hotspot di Lampedusa è stato visitato dal Garante nazionale in data 3 ottobre 2016 e 14 gennaio 2017 (...)

Struttura: L’hotspot di Lampedusa è sito nei locali dell’ex Centro di identificazione ed espulsione (CIE) (...) Ha dunque tutte le caratteristiche di un CIE, con sbarre, cancelli, reti metalliche. L’ambiente generale si presenta squallido e trasandato. Gli unici ambienti comuni sono delle pensiline di cemento con delle panche, anch’esse di cemento, dove i migranti appena giunti attendono di essere identificati e foto-segnalati (...)

I dormitori sono composti da stanze da 12 letti, ma in alcune stanze i letti sono a castello e quindi diventano da 24, o addirittura, se necessario, da 36 se viene estratto il materassino che si trova sotto il letto più basso. I locali per dormire sono dei cameroni con i letti uno a fianco all’altro, privi di qualsiasi punto d’appoggio. (…) I materassi sono di gomma piuma, visibili chiaramente perché su alcuni mancano le lenzuola (sono quelle di carta che vengono distribuite periodicamente per cui se si rompono gli ospiti restano senza). (...)

Una volta identificati e foto-segnalati i migranti continuano a non potere uscire dall’hotspot, a differenza per esempio di quanto avviene nell’hotspot di Taranto dove ai migranti dopo il fotosegnalamento viene consegnato un badge da appendere al collo in caso di uscita dal Centro (...) Alla richiesta del perché non venisse consentito agli ospiti del Centro di Lampedusa di uscire, il Prefetto ha spiegato che l’isola vive di turismo e la loro presenza potrebbe creare problemi. Comunque – ha aggiunto – se vogliono possono uscire da un buco nella rete. (...)

La delegazione ha assistito a uno sbarco [che ha avuto luogo nel gennaio del 2017] (...) Il primo adempimento dell’iter identificativo cui i migranti vengono sottoposti è relativo alla pre-identificazione che consiste nel rilevamento delle loro generalità.

In un primo momento gli stranieri sono stati intervistati dai mediatori culturali che collaborano con la Polizia di Stato fornendo le informazioni utili alla compilazione del foglio notizie (...) Gli operatori hanno annotato le risposte su piccoli fogli di carta prestampati recanti l’indicazione delle informazioni da raccogliere: dati anagrafici e nazionalità; i motivi della fuga non erano previsti nel prestampato ma sono stati comunque annotati – come appunto del mediatore – a lato del foglio. Per ogni straniero è stata quindi compilata questa sorta di etichetta con l’indicazione dei dati di massima relativi a ciascuna persona intervistata.

Successivamente gli stranieri, uno alla volta, sono stati condotti innanzi a due funzionari della Polizia di Stato i quali, con l’ausilio sempre di un mediatore culturale, hanno proceduto al completamento della raccolta delle informazioni relative alla pre-identificazione e all’inserimento dei dati nel database telematico. Al termine di questa ulteriore intervista il mediatore ha sottoposto allo straniero, per la firma, un foglio notizie, in bianco sovrapponendo la parte superiore del documento con il piccolo prestampato di cui si è detto sopra. I funzionari della Polizia di Stato hanno poi proceduto all’effettiva compilazione del foglio notizie recante già la sottoscrizione dell’interessato.

I migranti si sono pertanto trovati ad apporre la propria sottoscrizione su un foglio completamente bianco senza averne preventivamente proceduto alla compilazione e avere alcuna garanzia che quanto dichiarato venisse effettivamente compreso e riportato agli atti come era loro intendimento esprimere. Va inoltre rilevato che, almeno nei casi osservati dalla delegazione, l’annotazione dei motivi della fuga apposta a lato del piccolo prestampato, che veniva sovrapposto al foglio notizie, è stata riportata in lingua italiana.

Il Garante Nazionale ha immediatamente espresso la propria opinione fortemente negativa alle Autorità di Polizia nei confronti di tale modo di operare rappresentando l’inaccettabilità di una simile procedura che può avere effetti decisivi sul futuro dei migranti e non può quindi venire compromessa da esigenze di celerità e semplificazione. Il Garante Nazionale raccomanda pertanto di interrompere prassi che prevedano la sottoscrizione da parte dei migranti del cd. “foglio notizie” in bianco e che qualsiasi documento di cui si chiede la sottoscrizione, compreso il contenuto di dati eventualmente inseriti da parte del mediatore culturale, sia sempre redatto in una lingua a loro comprensibile. (...)

Come espresso nelle raccomandazioni generali nella parte iniziale del presente rapporto, si ritiene che la privazione della libertà cui sono sottoposti i migranti sia ingiustificata e illegittima. Nel ribadire comunque la necessità di addivenire a una chiara definizione normativa della natura giuridica degli hotspot, il Garante Nazionale raccomanda di cessare la prassi di privare della libertà personale gli ospiti foto-segnalati dell’hotspot di Lamopedusa e di consentire loro di uscire dal Centro.

Anche al termine degli adempimenti connessi all’iter identificativo, ai migranti ospitati presso l’hotspot di Lampedusa non è consentito allontanarsi dal Centro. Ciò comporta una privazione della libertà personale non disciplinata da una fonte di legge primaria né sottoposta al vaglio dell’Autorità giudiziaria, configurandosi l’hotspot come una sorta di limbo di tutela giuridica, nella quale le persone sono di fatto trattenute senza verifica da parte di un giudice e senza possibilità di ricorso. (...)

I pasti vengono preparati e confezionati per essere distribuiti nella cucina del Centro, che è apparso alla delegazione pulito e in ordine, ma all’interno del Centro non vi è un locale mensa, né la disponibilità di tavoli o sedie da poter utilizzare durante la loro consumazione. (...)

L’assenza di locali di socializzazione, evidentemente determinata dalla sua destinazione funzionale a struttura di primissima accoglienza per offrire ristoro alle persone appena sbarcate in un limitatissimo arco temporale, rivela l’inadeguatezza materiale del Centro di fronte agli effettivi tempi di permanenza delle persone al suo interno. Secondo quanto riferito alla delegazione l’obiettivo è di ridurre al massimo a 2-3 giorni i tempi di permanenza presso l’hotspot, ma ciò è reso difficoltoso a causa della variabilità delle condizioni meteo che incidono sulla praticabilità del trasporto in mare. In base ai dati forniti al Garante Nazionale (…) emerge infatti che sia gli adulti che i minori rimangano ospiti nell’hotspot di Lampedusa in media per una quindicina di giorni. (...)”

  1. Il Rapporto del 2018 al Parlamento italiano
  1. I passi pertinenti di tale rapporto recitano come segue:

“Malgrado la loro specifica previsione in un testo di legge, (l’articolo 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286), gli hotspot continuano a essere luoghi dalla natura giuridica incerta (...) Se da un lato appaiono infatti come luoghi a vocazione umanitaria per le attività di primo soccorso e assistenza e di informazione e di prima accoglienza per chi ha manifestato la volontà di richiedere la protezione internazionale, dall’altro sono luoghi di svolgimento delle procedure di polizia di pre-identificazione/fotosegnalamento e di avvio delle operazioni di rimpatrio forzato. Tali procedure implicano per gli ospiti rispettivamente il divieto di allontanarsi dal Centro fino alla loro conclusione e la coercizione nell’esecuzione di provvedimenti di respingimento differito. (...)

Certamente tuttavia il Garante sa di poter condividere con l’Amministrazione il principio che quando sono in gioco possibili limitazioni della libertà individuale delle persone – come di fatto accade in queste strutture – la definizione di regole che legittimino tale potere non è un’opzione da esercitare o a cui discrezionalmente abdicare, ma un inderogabile obbligo dettato, come fondamentale garanzia, dall’articolo 13 della Costituzione nonché dall’articolo 5 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo. La conformità a dette previsioni presuppone una base legale nitida e prevedibile nella sua applicazione, (…) che giustifichi la privazione della libertà personale (…) all’interno degli hotspot, superando i casi di trattenimento de facto delle persone ivi ospitate. (...)

Molti voli charter di rimpatrio, nei casi in cui sussistano appositi accordi di riammissione, riguardano cittadini stranieri destinatari di un provvedimento di respingimento cosiddetto differito ai sensi dell’articolo 10, comma 2 del Tu. Imm. Nei fatti, tale fattispecie trova ampia applicazione nel caso di migranti soccorsi in mare che, non avendo manifestato la volontà di richiedere la protezione internazionale (…) dopo essere stati identificati e foto-segnalati negli hotspot, sono considerati a tutti gli effetti migranti irregolari e quindi da allontanare. (…)

 Alcune di queste persone, (…) in conformità all’ordinamento, sono state direttamente sottoposte alla misura coercitiva del rimpatrio forzato su disposizione dell’Autorità di pubblica sicurezza senza intervento dell’Autorità giudiziaria. (...) La mancata previsione di un controllo da parte dell’Autorità giudiziaria malgrado il ricorso, in via ordinaria, all’uso della forza per l’esecuzione dei respingimenti differiti ha da sempre sollevato molteplici perplessità di conformità costituzionale nella dottrina e la questione è stata recentemente oggetto di esame da parte della Corte costituzionale nella sentenza n. 275 dell’8 novembre 2017. (...)”

  1. Senato della Repubblica – Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani

Il Rapporto sui Centri di identificazione ed espulsione siti in Italia (aggiornato al gennaio 2017)

  1. Oltre alla situazione dei CIE italiani, il presente rapporto rinvia al punto di crisi (hotspot) di Lampedusa, benché esso precisi che quest’ultimo non appartiene alla categoria dei CIE. I passi pertinenti del rapporto recitano come segue:

“L’hotspot di Lampedusa

Il centro è stato pensato per una primissima accoglienza e per una permanenza dei migranti di periodi di tempo molto brevi (48 ore). Con l’introduzione delle nuove procedure previste dall’Agenda europea sulle migrazioni, di fatto, si determina in molti casi una permanenza più lunga dando luogo a una serie di criticità, denunciate in una lettera aperta al Ministro dell’interno dal sindaco Giusi Nicolini: ‘Sia le caratteristiche strutturali del Centro, sia gli oneri previsti dal Capitolato d’affidamento del servizio, non sono idonei e sufficienti a garantire condizioni dignitose di accoglienza a persone che vengono trattenute da oltre 30 giorni e che potrebbero essere trattenute addirittura a tempo indeterminato. (...)’ (...)

Pre-identificazione: Destano preoccupazione in particolare le modalità di svolgimento della pre-identificazione. (...) Il colloquio si svolge in uno spazio all’aperto, coperto da una tettoia, dove si trovano dei tavoli e delle panche. Allo straniero viene consegnato il c.d. foglio notizie su cui vanno inserite le generalità (nome, cognome, data di nascita, residenza, paternità, nazionalità, luogo di partenza). (...)

Questo passaggio fondamentale e necessario a “una prima differenziazione tra le persone richiedenti asilo/potenziali ricollocabili e quelle in posizione irregolare” – come scritto nella Roadmap del Ministero dell’interno – si svolge dunque quando i profughi, soccorsi in mare e appena sbarcati, sono spesso evidentemente ancora sotto shock a causa di un viaggio lungo e rischioso. Non si tratta poi di un colloquio vero e proprio, ma della semplice compilazione di un questionario che risulta formulato in maniera estremamente stringata e poco comprensibile. (…)

Identificazione e registrazione: (...) Le disposizioni del Ministero dell’interno prevedono infatti che nessuno di loro possa allontanarsi dal centro finché non sia conclusa l’identificazione, né senza aver ultimato tale procedura si può fare richiesta d’asilo in Italia o accedere al programma europeo di ricollocamento. Si è così creato uno stallo che evidenzia un vuoto rilevante nella prassi attuale rispetto a quanto prevede la normativa nazionale in merito al trattenimento di persone all’interno di una struttura oltre 48 ore, trascorse le quali è necessaria la convalida dell’autorità giudiziaria con relativa notifica. La stessa natura del centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa non prevede permanenze prolungate nel tempo né prevede che dalla struttura non ci si possa allontanare. (...) La struttura, poi, è del tutto inadeguata in termini di spazi e di servizi offerti, a ospitare persone per lunghi periodi soprattutto in caso di minori. (...)”

  1. La giurisprudenza della Corte costituzionale
  1. La sentenza n. 105 del 22 marzo 2001
  1. In tale sentenza, la Corte costituzionale ha esaminato la compatibilità degli articoli 13 e 14 del Decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 con l’articolo 13 della Costituzione.
  2. Essa ha riconosciuto che le misure che prevedevano il trattenimento di cittadini stranieri in centri di prima accoglienza e assistenza, pur potendo essere considerate una mera limitazione della libertà di circolazione e non una detenzione totle, incidono sulla libertà personale dell’individuo e non possono pertanto essere adottate al di fuori delle garanzie previste dall’articolo 13 della Costituzione. Benché il provvedimento che dispone il trattenimento sia emesso dalle autorità, deve essere possibile un controllo da parte di un giudice ed esso deve tenere conto dei motivi che hanno indotto le autorità a disporre l’esecuzione dell’espulsione non mediante una mera intimazione bensì mediante l’accompagnamento coattivo alla frontiera, che è la causa della limitazione della libertà personale dello straniero e insieme fondamento della successiva misura del trattenimento.
  1. La sentenza n. 275 dell’8 novembre 2017
  1. In tale sentenza la Corte costituzionale ha esaminato la compatibilità dell’articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 con, tra l’altro, l’articolo 13 della Costituzione. La Corte costituzionale ha osservato che esistevano due tipi di cosiddetto “respingimento differito”, come definito nelle lettere a) e b) di tale comma (si veda il paragrafo 10 supra).
  2. Ha inoltre ritenuto che situazioni come quella in esame, in cui un ordine di respingimento non era seguito da un rimpatrio forzato, non fossero incompatibili con l’articolo 13 della Costituzione.
  3. La Corte costituzionale ha tuttavia osservato che il respingimento differito eseguito mediante l’uso della forza esigeva un intervento del legislatore in quanto tale misura incideva sulla libertà personale dell’individuo di cui all’articolo 13 della Costituzione; essa doveva pertanto essere disciplinata in conformità al comma 3 di tale disposizione.

     I. La circolare n. 14106 del Ministero dell’Interno del 6 ottobre 2015

  1. La parte pertinente di tale circolare dichiara quanto segue:

“Nella Roadmap (...) sono stati individuati i seguenti hotspots: Lampedusa, Pozzallo, Porto Empedocle e Trapani (...)

Il meccanismo a regime prevede che tutti i migranti sbarchino in uno dei siti hotspots individuati, affinché possano essere garantite nell’arco di 24/48 ore le operazioni di screening sanitario, pre-identificazione (...), registrazione e fotosegnalamento (...)”

J. Le procedure operative standard del 2016 applicabili agli hotspot italiani

  1. La parte pertinente di tale documento recita come segue:

“(...) Il periodo di permanenza nella struttura, dal momento dell’ingresso, deve essere il più breve possibile, compatibilmente con il quadro normativo vigente (...)”

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNAZIONALI

  1. Unione europea
    1. La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare4
  1. Le parti pertinenti di tale direttiva recitano come segue:

Articolo 15 – Trattenimento

  1. “1. Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento, in particolare quando:
    1. sussiste un rischio di fuga o
    2. il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento.

Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio.

  1. Il trattenimento è disposto dalle autorità amministrative o giudiziarie. Il trattenimento è disposto per iscritto ed è motivato in fatto e in diritto. Quando il trattenimento è disposto dalle autorità amministrative, gli Stati membri:
    1. prevedono un pronto riesame giudiziario della legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall'inizio del trattenimento stesso,
    2. oppure accordano al cittadino di un paese terzo interessato il diritto di presentare ricorso per sottoporre ad un pronto riesame giudiziario la legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall'avvio del relativo procedimento. In tal caso gli Stati membri informano immediatamente il cittadino del paese terzo in merito alla possibilità di presentare tale ricorso.

Il cittadino di un paese terzo interessato è liberato immediatamente se il trattenimento non è legittimo.

(...)”

Articolo 18 – Situazioni di emergenza

“1. Nei casi in cui un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi da rimpatriare comporta un notevole onere imprevisto per la capacità dei centri di permanenza temporanea di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo o giudiziario, sino a quando persiste la situazione anomala detto Stato membro può decidere di accordare per il riesame giudiziario periodi superiori a quelli previsti dall'articolo 15, paragrafo 2, terzo comma, e adottare misure urgenti quanto alle condizioni di trattenimento in deroga a quelle previste all'articolo 16, paragrafo 1, e all'articolo 17, paragrafo 2.

2. All'atto di ricorrere a tali misure eccezionali, lo Stato membro in questione ne informa la Commissione. Quest'ultima è informata anche non appena cessino di sussistere i motivi che hanno determinato l'applicazione delle suddette misure eccezionali.”

2. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 6 ottobre 2022 Politsei- ja Piirivalveamet (trattenimento – rischio di commissione di un reato), ECLI:EU:C:2022:753

  1. Le parti pertinenti di tale sentenza, emessa a seguito di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Riigikohus (Corte suprema dell’Estonia), depositata in data 14 aprile 2021, avente a oggetto l’interpretazione dell’articolo 15 § 1 della direttiva 2008/115/CE, recitano come segue:

“35. Infatti, l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 prevede espressamente due motivi di trattenimento basati, da un lato, sulla sussistenza di un rischio di fuga, come definito all’articolo 3, punto 7, di tale direttiva, e, dall’altro, sulla circostanza che l’interessato eviti od ostacoli la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento.

36. Indubbiamente, come ha sottolineato l’avvocato generale ai paragrafi da 30 a 34 delle sue conclusioni, dalla prima frase dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, e in particolare dai termini “in particolare”, emerge chiaramente che tali due motivi non sono tassativi. Pertanto, gli Stati membri possono prevedere altri motivi di trattenimento specifici, a complemento dei due motivi esplicitamente previsti da tale disposizione.

37. Ciò premesso, occorre sottolineare che la possibilità conferita agli Stati membri di adottare motivi di trattenimento complementari è rigorosamente delimitata sia dai requisiti risultanti dalla stessa direttiva 2008/115 sia da quelli derivanti dalla tutela dei diritti fondamentali, e in particolare dal diritto fondamentale alla libertà sancito dall’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la “Carta”).

(...)

40. In secondo luogo, il ricorso al trattenimento ai fini dell’allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al rispetto del principio di proporzionalità, come confermato del pari il considerando 16 della direttiva 2008/115.

41. Occorre ricordare che la direttiva 2008/115 mira a istituire un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità delle persone interessate (…)

48. Per quanto riguarda i requisiti che il fondamento normativo di una limitazione del diritto alla libertà deve soddisfare, la Corte ha osservato, alla luce della sentenza della Corte EDU del 21 ottobre 2013, Del Río Prada c. Spagna, che una legge nazionale che autorizzi una privazione della libertà deve, per soddisfare i requisiti dell’articolo 52, paragrafo 1 della Carta, essere sufficientemente accessibile, precisa e prevedibile nella sua applicazione, in modo da evitare qualsiasi rischio di arbitrarietà (…)

49. A questo proposito, la Corte ha altresì sottolineato che l’obiettivo delle garanzie predisposte a tutela della libertà, sancite sia dall’articolo 6 della Carta sia dall’articolo 5 della CEDU, è costituito, in particolare, dalla protezione dell’individuo contro l’arbitrarietà. Pertanto, l’attuazione di una misura privativa della libertà, per essere conforme a tale obiettivo, implica, segnatamente, che la stessa sia priva di qualsiasi elemento di malafede o inganno da parte delle autorità (sentenze del 15 marzo 2017, Al Chodor, C‑528/15, EU:C:2017:213, punto 39, e giurisprudenza ivi citata e del 12 febbraio 2019, TC, C‑492/18 PPU, EU:C:2019:108, punto 59).

50. Dalle suesposte considerazioni risulta che il trattenimento di un cittadino di un paese terzo oggetto di procedure di rimpatrio, costituendo un’ingerenza grave nel diritto alla libertà di quest’ultimo, è soggetto al rispetto di garanzie rigorose, vale a dire, la sussistenza di un fondamento normativo, la chiarezza, la prevedibilità, l’accessibilità e la protezione contro l’arbitrarietà (sentenza del 15 marzo 2017, Al Chodor, C‑528/15, EU:C:2017:213, punto 40).

(...)

55. Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 deve essere interpretato nel senso che esso non consente a uno Stato membro di disporre il trattenimento di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare sulla sola base di un criterio generale vertente sul rischio che l’esecuzione effettiva dell’allontanamento sia compromessa, senza che sia soddisfatto uno dei motivi di trattenimento specifici previsti e chiaramente definiti dalla normativa volta a recepire tale disposizione nel diritto nazionale.”

3. La direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione)

  1. Le parti pertinenti di tale direttiva recitano come segue:

Articolo 8 – Informazione e consulenza nei centri di trattenimento e ai valichi di frontiera

“1. Qualora vi siano indicazioni che cittadini di paesi terzi o apolidi tenuti in centri di trattenimento o presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito alle frontiere esterne, desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri forniscono loro informazioni sulla possibilità di farlo. In tali centri di trattenimento e ai valichi di frontiera gli Stati membri garantiscono servizi di interpretazione nella misura necessaria per agevolare l’accesso alla procedura di asilo.

  1. Gli Stati membri garantiscono che le organizzazioni e le persone che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti abbiano effettivo accesso ai richiedenti presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito, alle frontiere esterne. Gli Stati membri possono adottare norme relative alla presenza di tali organizzazioni e persone nei suddetti valichi e, in particolare, subordinare l’acceso a un accordo con le autorità competenti degli Stati membri. I limiti su tale accesso possono essere imposti solo qualora, a norma del diritto nazionale, essi siano obiettivamente necessari per la sicurezza, l’ordine pubblico o la gestione amministrativa dei valichi interessati, purché l’accesso non risulti in tal modo seriamente ristretto o non sia reso impossibile.”

Articolo 23 § 2 – Ambito di applicazione dell’assistenza e della rappresentanza legali

“Gli Stati membri provvedono affinché l’avvocato o altro consulente legale che assiste o rappresenta un richiedente possa accedere alle aree chiuse, quali i centri di trattenimento e le zone di transito, per consultare quel richiedente a norma dell’articolo 10, paragrafo 4, e dell’articolo 18, paragrafo 2, lettere b) e c), della direttiva 2013/33/UE.”

Articolo 26 - Trattenimento

“1. Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo motivo che si tratta di un richiedente. I motivi e le condizioni del trattenimento e le garanzie per i richiedenti trattenuti sono conformi alla direttiva 2013/33/UE.

2. Qualora un richiedente sia trattenuto, gli Stati membri provvedono affinché sia possibile un rapido controllo giurisdizionale a norma della direttiva 2013/33/UE.”

4. La direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (rifusione)

  1. Le parti pertinenti di tale direttiva recitano come segue:

Articolo 8 – Trattenimento

“1. Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente ai sensi della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.

  1. Ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso, gli Stati membri possono trattenere il richiedente, salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive.
  2. Un richiedente può essere trattenuto soltanto:

(...)

      c) per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio;

(...)

I motivi di trattenimento sono specificati nel diritto nazionale.”

Articolo 9 – Garanzie per i richiedenti trattenuti

“1. Un richiedente è trattenuto solo per un periodo il più breve possibile ed è mantenuto in stato di trattenimento soltanto fintantoché sussistono i motivi di cui all’articolo 8, paragrafo 3.

Gli adempimenti amministrativi inerenti ai motivi di trattenimento di cui all’articolo 8, paragrafo 3, sono espletati con la debita diligenza. I ritardi nelle procedure amministrative non imputabili al richiedente non giustificano un prolungamento del trattenimento.

  1. Il trattenimento dei richiedenti è disposto per iscritto dall’autorità giurisdizionale o amministrativa. Il provvedimento di trattenimento precisa le motivazioni di fatto e di diritto sulle quali si basa.
  2. Se il trattenimento è disposto dall’autorità amministrativa, gli Stati membri assicurano una rapida verifica in sede giudiziaria, d’ufficio e/o su domanda del richiedente, della legittimità del trattenimento. Se effettuata d’ufficio, tale verifica è disposta il più rapidamente possibile a partire dall’inizio del trattenimento stesso. Se effettuata su domanda del richiedente, è disposta il più rapidamente possibile dopo l’avvio del relativo procedimento. A tal fine, gli Stati membri stabiliscono nel diritto nazionale il termine entro il quale effettuare la verifica in sede giudiziaria e/o su domanda del richiedente.

Se in seguito a una verifica in sede giudiziaria il trattenimento è ritenuto illegittimo, il richiedente interessato è rilasciato immediatamente.

  1. I richiedenti trattenuti sono informati immediatamente per iscritto, in una lingua che essi comprendono o che ragionevolmente si suppone a loro comprensibile, delle ragioni del trattenimento e delle procedure previste dal diritto nazionale per contestare il provvedimento di trattenimento, nonché della possibilità di accesso gratuito all’assistenza e/o alla rappresentanza legali.
  2. Il provvedimento di trattenimento è riesaminato da un’autorità giurisdizionale a intervalli ragionevoli, d’ufficio e/o su richiesta del richiedente in questione, in particolare nel caso di periodi di trattenimento prolungati, qualora si verifichino circostanze o emergano nuove informazioni che possano mettere in discussione la legittimità del trattenimento.
  3. Nei casi di verifica in sede giudiziaria del provvedimento di trattenimento di cui al paragrafo 3, gli Stati membri provvedono affinché i richiedenti abbiano accesso gratuito all’assistenza e alla rappresentanza legali. Ciò comprende, come minimo, la preparazione dei documenti procedurali necessari e la partecipazione all’udienza dinanzi alle autorità giurisdizionali a nome del richiedente.

L’assistenza e la rappresentanza legali gratuite sono prestate da persone adeguatamente qualificate, autorizzate o riconosciute ai sensi del diritto nazionale, i cui interessi non contrastano o non possono potenzialmente contrastare con quelli del richiedente.

  1. Gli Stati membri possono anche disporre che l’assistenza e la rappresentanza legali gratuite siano concesse:
    1. soltanto a chi non disponga delle risorse necessarie; e/o
    2. soltanto mediante i servizi forniti da avvocati o altri consulenti legali che sono specificamente designati dal diritto nazionale ad assistere e rappresentare i richiedenti.
  2. Gli Stati membri possono altresì:
    1. imporre limiti monetari e/o temporali alla prestazione di assistenza e rappresentanza legali gratuite, purché essi non restringano arbitrariamente l’assistenza e la rappresentanza legali;
    2. prevedere per quanto riguarda gli onorari e le altre spese, che il trattamento concesso ai richiedenti non sia più favorevole di quello di norma concesso ai propri cittadini per questioni che rientrano nell’assistenza legale.
  3. Gli Stati membri possono esigere un rimborso integrale o parziale delle spese sostenute, allorché vi sia stato un considerevole miglioramento delle condizioni finanziarie del richiedente o se la decisione di accordare tali prestazioni è stata adottata in base a informazioni false fornite dal richiedente.
  4. Le modalità di accesso all’assistenza e alla rappresentanza legali sono stabilite dal diritto nazionale.”

5. Il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione)

  1. Il pertinente articolo di tale regolamento recita come segue:

Articolo 28 – Trattenimento

  1. “Gli Stati membri non possono trattenere una persona per il solo motivo che sia oggetto della procedura stabilita dal presente regolamento.
  2. Ove sussista un rischio notevole di fuga, gli Stati membri possono trattenere l’interessato al fine di assicurare le procedure di trasferimento a norma del presente regolamento, sulla base di una valutazione caso per caso e solo se il trattenimento è proporzionale e se non possono essere applicate efficacemente altre misure alternative meno coercitive.
  3. Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile e non supera il tempo ragionevolmente necessario agli adempimenti amministrativi previsti da espletare con la dovuta diligenza per eseguire il trasferimento a norma del presente regolamento.

Qualora una persona sia trattenuta a norma del presente articolo, il periodo per presentare una richiesta di presa o di ripresa in carico non può superare un mese dalla presentazione della domanda. Lo Stato membro che esegue la procedura a norma del presente regolamento chiede una risposta urgente in tali casi. Tale risposta è fornita entro due settimane dal ricevimento della richiesta. L’assenza di risposta entro due settimane equivale all’accettazione della richiesta e comporta l’obbligo di prendere in carico o di riprendere in carico la persona, compreso l’obbligo di adottare disposizioni appropriate all’arrivo della stessa.

Quando una persona sia trattenuta a norma del presente articolo, il trasferimento di tale persona dallo Stato membro richiedente verso lo Stato membro competente deve avvenire non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei settimane dall’accettazione implicita o esplicita della richiesta da parte di un altro Stato membro o dal momento in cui il ricorso o la revisione non hanno più effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3.

 Quando lo Stato membro richiedente non rispetta i termini per la presentazione di una richiesta di presa o ripresa in carico o qualora il trasferimento non avvenga entro il termine di sei settimane di cu al terzo comma, la persona non è più trattenuta. Gli articoli 21, 23, 24 e 29 continuano ad applicarsi di conseguenza.

  1. Per quanto riguarda le condizioni per il trattenimento delle persone e le garanzie applicabili alle persone trattenute, al fine di assicurare le procedure di trattenimento verso lo Stato membro competente, si applicano gli articoli 9, 10 e 11 della direttiva 2013/33/UE.”

6. L’Agenda europea sulla migrazione

  1. La parte pertinente della presente “Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 13 maggio 2015” COM(2015)240 recita come segue:

“Usare gli strumenti dell’UE per aiutare gli Stati membri in prima linea

Si farà di più per aiutare gli Stati membri in prima linea a rispondere alla sfida immediata degli arrivi di migranti.

In primo luogo la Commissione istituirà un nuovo metodo basato sui “punti di crisi”; l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), Frontex ed Europol lavoreranno con gli Stati membri in prima linea per condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo. I lavori delle agenzie saranno complementari. Chi presenterà domanda di asilo sarà immediatamente immesso in una procedura di asilo cui contribuiranno le squadre di sostegno dell’EASO trattando le domande quanto più rapidamente possibile. Per chi invece non necessita di protezione, è previsto che Frontex aiuti gli Stati membri coordinando il rimpatrio dei migranti irregolari. Europol ed Eurojust assisteranno lo Stato membro ospitante con indagini volta a smantellare le reti della tratta e del traffico di migranti.

(...)”

7. La Comunicazione del 23 settembre 2015 della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio: Gestire la crisi dei rifugiati: misure operative, finanziarie e giuridiche immediate nel quadro dell’Agenda europea sulla migrazione COM(2015)490

  1. La parte pertinente di tale comunicazione recita come segue:

“(...) Per queste situazioni di crisi, la Commissione ha elaborato un approccio alla gestione della migrazione basato sull’impiego di “squadre di sostegno” nei “punti di crisi”. (...) Il “punto di crisi” (hotspot) è una zona alla frontiera esterna interessata da una pressione migratoria sproporzionata, come la Sicilia e Lampedusa in Italia o Lesbo e Kos in Grecia. È attraverso questi “punti di crisi” che la maggior parte dei migranti entra nell’Unione: è qui che l’UE deve fornire sostegno operativo per far sì che le persone in arrivo siano registrate ed evitare che si spostino in altri Stati membri in modo incontrollato. (...) L’approccio consiste in un sistema operativo diretto a massimizzare il valore aggiunto di tale sostegno tramite le squadre di sostegno per la gestione della migrazione. (...) Squadre di esperti coadiuvano gli interrogatori (debriefing) dei migranti, al fine di comprendere le rotte da loro percorse per raggiungere l’Europa e raccogliere informazioni sul modus operandi dei trafficanti. Laddove necessario, gli esperti di Frontex offrono anche assistenza pre-rimpatrio e coordinano i voli di rimpatrio. Gli esperti dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo aiutano gli Stati membri a registrare i richiedenti asilo e a preparare i fascicoli Europol ed Eurojust, infine, inviano squadre di investigatori per contribuire alla raccolta di informazioni al fine di smantellare le reti di trafficanti di migranti.

(...)

L’approccio faciliterà anche l’attuazione delle decisioni di ricollocazione delle persone in evidente bisogno di protezione internazionale dall’Italia e dalla Grecia. L’identificazione, la registrazione e il rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo è una condizione preliminare per la ricollocazione, e il sistema prevede il sostegno necessario a questo scopo. Tuttavia, il sistema funziona indipendentemente dalla ricollocazione e la Commissione è pronta ad applicarlo in altri Stati membri che debbano affrontare pressioni migratorie sproporzionate alle loro frontiere.

La squadra di sostegno non gestisce centri di accoglienza. Perché l’approccio funzioni, lo Stato membro ospitante deve fornire strutture di accoglienza efficienti in cui possano operare le squadre di esperti inviati dalle agenzie dell’UE, L’esistenza di strutture di accoglienza adeguate è anche una condizione necessaria per la ricollocazione e l’UE fornisce agli Stati membri un ingente sostegno finanziario per la costruzione di tali infrastrutture.”

8. Il regolamento (UE) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 settembre 2016 relativo alla guardia di frontiera e costiera europea

  1. La parte pertinente di tale regolamento, che è stato sostituito a decorrere dal 1° gennaio 2021 dal regolamento (UE) n. 2019/1896 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 novembre 2019, recita come segue:

“(...) “punto di crisi” una zona in cui lo Stato membro ospitante, la Commissione, le agenzie dell’Unione competenti e gli Stati membri partecipanti cooperano allo scopo di gestire una sfida migratoria sproporzionata, reale o potenziale, caratterizzata da un aumento significativo del numero di migranti in arrivo alla frontiera esterna;”

Il regolamento (UE) n. 2019/1896 del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 novembre relativo alla guardia di frontiera e costiera europea e che abroga i regolamenti (UE) nn. 1052/2013 e 2016/1624

  1. Le parti pertinenti di tale regolamento recitano come segue:

Articolo 2 § 23

“‘”punto di crisi” (hotspot) una zona creata su richiesta dello Stato membro ospitante in cui lo Stato membro ospitante, la Commissione, le agenzie competenti dell’Unione e gli Stati membri partecipanti cooperano allo scopo di gestire una sfida migratoria sproporzionata, reale o potenziale, caratterizzata da un aumento significativo del numero di migranti in arrivo alla frontiera esterna;”

Articolo 40 – Squadre di sostegno per la gestione della migrazione

“1. Uno Stato membro che si trovi a fronteggiare sfide migratorie sproporzionate in particolari punti di crisi alle sue frontiere esterne, caratterizzate dall’arrivo di ampi flussi migratori misti, può chiedere un rinforzo tecnico e operativo da parte delle squadre di sostegno per la gestione della migrazione composte da esperti dei pertinenti organi, uffici e agenzie dell’Unione, che sono tenuti a operare nel rispetto del proprio mandato.

Tale Stato membro presenta una richiesta di rinforzo e una valutazione delle proprie esigenze alla Commissione. La Commissione, sulla base di tale valutazione delle esigenze, trasmette, a seconda del caso, la richiesta all’Agenzia, all’EASO, a Europol o ad altri organi, uffici e agenzie competenti dell’Unione.

(...)

  1. La Commissione, in cooperazione con lo Stato membro ospitante e gli organi, uffici e agenzie competenti dell’Unione, ai sensi dei rispettivi mandati, stabilisce le modalità di cooperazione presso il punto di crisi ed è responsabile del coordinamento delle attività delle squadre di sostegno per la gestione della migrazione.
  2. Il rinforzo tecnico e operativo fornito dal corpo permanente nell’ambito delle squadre di sostegno per la gestione della migrazione, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali, può comprendere la fornitura di:
    1. nel pieno rispetto dei diritti fondamentali, assistenza nella selezione (screening) dei cittadini di paesi terzi che arrivano alle frontiere esterne, comprese l’identificazione e la registrazione di tali cittadini e la raccolta di informazioni dai medesimi (debriefing), nonché se richiesto dallo Stato membro, il rilevamento delle loro impronte digitali e la comunicazione di informazioni circa lo scopo di tali procedure;
    2. informazioni preliminari alle persone che desiderano richiedere protezione internazionale e l’indirizzamento di tali persone presso le autorità nazionali competenti dello Stato membro interessato o gli esperti inviati dall’EASO;
    3. assistenza tecnica e operativa nel settore del rimpatrio, ai sensi dell’articolo 48, comprese la preparazione e l’organizzazione di operazioni di rimpatrio;

(...)”

Articolo 42 – Situazioni che richiedono un’azione urgente alle frontiere esterne

“1. Qualora il controllo delle frontiere esterne sia reso inefficace in misura tale da rischiare di compromettere il funzionamento dello spazio Schengen:

(...)

b) uno Stato membro che si trova a fronteggiare sfide specifiche e sproporzionate alle frontiere esterne non ha chiesto un sostegno sufficiente all’Agenzia mediante le misure di cui all’articolo 17, 19 o 40, o non sta adottando le misure necessarie per attuare le azioni previste da tali articoli o dall’articolo 41;

il Consiglio, sulla base di una proposta della Commissione, può adottare senza indugio una decisione, mediante atto di esecuzione, in cui definisce le misure che dovrebbero attenuare tali rischi e che devono essere attuate dall’Agenzia e impone allo Stato membro interessato di cooperare con l’Agenzia nell’attuazione di tali misure. La Commissione consulta l’Agenzia prima di formulare la sua proposta.

(...)

  1. Al fine di attenuare il rischio di compromettere lo spazio Schengen, la decisione del Consiglio di cui al paragrafo 1 dispone che l’Agenzia adotti una o più delle seguenti misure:
    1. organizzare e coordinare interventi rapidi alle frontiere e impiegare il corpo permanente, comprese squadre della riserva di reazione rapida;
    2. impiegare il corpo permanente nell’ambito delle squadre di sostegno per la gestione della migrazione, in particolare nei punti di crisi;
    3. coordinare attività per uno o più Stati membri e paesi terzi alle frontiere esterne, comprese operazioni congiunte con paesi terzi;
    4. impiegare attrezzatura tecnica;
    5. organizzare interventi di rimpatrio.

(...)”

10. Direzione generale per le politiche interne dell’Unione del Parlamento europeo: “In prima linea: l’approccio hotspot alla gestione della migrazione”

  1. Le parti pertinenti di tale rapporto del 2016 recitano come segue (sono state omesse le note a piè di pagina):

“5.2. I punti di crisi (hotspot) in Italia

A causa delle procedure migratorie descritte nell’introduzione e anche a causa dell’esistente modello italiano di gestione dei migranti che giungono sul suolo italiano, l’Italia è stata realmente il punto di partenza dell’approccio hotspot. (...)

(...)

5.2.2. Il quadro giuridico e regolatore

A differenza di quanto avvenuto in Grecia, non è stata adottata alcuna specifica legislazione o modifica legislativa per disciplinare il funzionamento dei punti di crisi (hotspots) in Italia. Al contrario, il Ministero dell’interno italiano, unitamente alla Commissione europea, ha adottato delle procedure operative standard per i punti di crisi, che non sono ancora disponibili pubblicamente, ma che dovrebbero esserlo – sia in inglese che in italiano – nelle prossime settimane. Le autorità italiane hanno redatto una tabella di marcia nel settembre del 2015, descrivendo dettagliatamente, inter alia, i suoi programmi per i punti di crisi. In data 31 marzo 2016 l’Italia ha inviato alla Commissione una tabella di marcia rivista, benché essa non sia ancora disponibile pubblicamente.

Benché non sia stata adottata alcuna legislazione specifica riguardo ai punti di crisi, sembra che l’Italia abbia tenuto conto della richiesta della Commissione europea di ‘un quadro giuridico più solido’ per eseguire attività nei punti di crisi e in particolare per consentire l’uso della forza per i rilievi dattiloscopici redigendo una proposta legislativa sull’uso della forza per assicurare i rilievi dattiloscopici. È forse opportuno osservare, a tale riguardo, che tra i numerosi critici di tale approccio vi è il sindacato della Polizia – Unione Generale Lavoratori di Polizia – che ha inviato una nota al Capo della Polizia italiana deplorando tale iniziativa.”

11. Il Servizio Ricerca del Parlamento europeo (EPRS)

  1. I passi pertinenti del Rapporto dell’EPRS “Gli hotspots siti ai confini esterni dell’UE” del giugno del 2018 recitano come segue (sono state omesse le note a piè di pagina):

“La capacità totale del punto di crisi di Lampedusa è stata interessata da diversi incidenti, tra cui un incendio, e le ispezioni da parte di diverse organizzazioni e ONG hanno sottolineato le condizioni di trattenimento. (...) Il livello di occupazione nei punti di crisi di Pozzallo, Trapani e Lampedusa eccede l’effettiva capienza degli istituti, e comporta un sovraffollamento. Sono state inoltre espresse preoccupazioni riguardo alla capacità materiale dei punti di crisi italiani, come la disponibilità di letti sufficienti.

A differenza della situazione della Grecia, non è stata adottata alcuna specifica legislazione o modifica per controllare il funzionamento dei punti di crisi in Italia. Alternativamente, il Ministero dell’Interno italiano, in collaborazione con la Commissione europea, ha adottato procedure operative standard per i punti di crisi. Diverse ONG hanno chiesto al Governo italiano di porre fine agli abusi, quali il trattenimento, l’uso della forza e l’emissione di provvedimenti di espulsione, nei punti di crisi.

(...)

Il Parlamento europeo ha sottolineato la necessità di assicurare che l’approccio hotspot non comprometta i diritti fondamentali dei richiedenti asilo e dei rifugiati che attraversano i confini europei. Il Parlamento ha mirato a individuare e migliorare le condizioni di trattenimento e di accoglienza in Europa dei cittadini di paesi terzi.”

  1. Il Consiglio d’Europa

  1. Il rapporto in seguito alla missione ricognitiva effettuata in Italia dal Rappresentante speciale del Segretario generale per le migrazioni e i rifugiati

  1. Il Rappresentante speciale del Segretario generale per le migrazioni e i rifugiati svolse una missione in Italia dal 16 al 21 ottobre 2016, visitando strutture per migranti, tra cui il punto di crisi di Lampedusa. Le parti pertinenti di tale rapporto recitano come segue (sono state omesse le note a piè di pagina):

“In linea di principio, nessuno dovrebbe trascorrere più di 72 ore in un punto di crisi (hotspot). Tuttavia, mentre l’iniziale procedura di colloquio è svolta velocemente, in pratica l’insufficiente capacità ricettiva del sistema di accoglienza comporta che molti richiedenti asilo sono bloccati nei punti di crisi in attesa del trasferimento in centri di prima accoglienza. (...)

Benché entrambi i punti di crisi [Pozzallo e Lampedusa] operassero formalmente nei limiti della capacità ricettiva, alcuni dormitori maschili che ho visitato a Lampedusa sembravano sovraffollati, con il conseguente impatto sull’igiene. A Lampedusa ho visto anche gabinetti intasati, con l’acqua che colava nella camera da letto adiacente che ospitava delle ragazze, e le docce riservate alle donne erano in cattive condizioni. (...)

In linea di principio, entrambi i punti di crisi sono delle strutture chiuse. A Lampedusa, i residenti, anche dopo essere stati sottoposti a rilievi dattiloscopici, non sono formalmente autorizzati a uscire dalla struttura. In pratica, essi possono uscire di soppiatto durante il giorno e le autorità sembrano esserne consapevoli e tollerano ciò. (...)

Complessivamente, nei punti di crisi da me visitati le condizioni potrebbero essere considerate accettabili purché siano affrontate le questioni da me individuate sopra. (...)

L’approccio hotspot è stato elaborato a livello di Unione europea ma non esiste un quadro giuridico nazionale che stabilisca che cosa sia un hotspot e come siano disciplinate le procedure ivi svolte. I criteri variano conseguentemente da un hotspot all’altro. Le autorità mi hanno informato che l’Italia adotta una interpretazione minima della nozione di hotspot: essi servono unicamente per lo svolgimento delle procedure di identificazione. Tuttavia se le persone rifiutano di fornire le impronte digitali, possono trascorrere del tempo nel punto di crisi in attesa del completamento della procedura di identificazione.

Dati i limiti dei punti di crisi riguardo alle condizioni e ai servizi, l’‘approccio minimo’ che comporta un breve soggiorno mi sembra l’unica opzione logica. I motivi per i quali la prassi non rispecchia tale intenzione sono stati esposti sopra. Indipendentemente dal fatto che sia possibile risolvere il problema della capienza o meno, è necessario un appropriato quadro giuridico, che preveda norme minime, Ciò contribuirebbe notevolmente alla protezione delle persone che si trovano nei punti di crisi. In particolare, il trattenimento de facto delle persone nei punti di crisi, sia in attesa della disponibilità di una idonea sistemazione di prima accoglienza che perché hanno rifiutato di fornire le impronte digitali, è attualmente privo di una base giuridica nazionale e solleva per questo motivo questioni ai sensi dell’articolo 5 della CEDU.”

2. Il rapporto al Governo italiano sulla visita in Italia effettuata dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT)

  1. Dal 7 al 13 giugno 2017 una delegazione del CPT visitò l’Italia al fine di esaminare la situazione dei cittadini stranieri privati della libertà nei punti di crisi e nei centri di trattenimento per migranti nel contesto di arrivi su vasta scala dall’Africa del Nord. I passi pertinenti del rapporto recitano come segue:

“[Nel punto di crisi di Lampedusa] durante il periodo di 120 giorni compreso tra il 1° febbraio e il 1° giugno 2017, il centro ha operato per oltre il doppio della sua capienza di 250 persone (basata sul numero dei letti) per quasi la metà del tempo (vale a dire 56 giorni), con un picco in aprile e all’inizio di giugno, quando oltre 1.000 nuovi arrivati sono rimasti nel punto di crisi per diversi giorni. In caso di arrivi su vasta scala sarebbero stati collocati sui pavimenti dell’intera struttura dei materassi supplementari. Tali cifre indicano che l’attuale capienza di posti letto è strutturalmente troppo bassa e dovrebbe essere aumentata. (...) Alla luce della sua valutazione delle condizioni di vita, il CPT raccomanda che siano compiuti ulteriori sforzi, in particolare per quanto riguarda il punto di crisi di Lampedusa, per assicurare che i cittadini stranieri rimangano nei punti di crisi soltanto per il periodo di tempo più breve possibile.

Il CPT osserva positivamente che la fornitura di prestazioni sanitarie nei tre ‘hotspots’ era molto buona. Il personale sanitario era in numero sufficiente, e vi era ulteriore personale medico di pronto intervento, e la presenza medica e/o infermieristica era garantita ventiquattro ore su ventiquattro sette giorni a settimana. Inoltre, le strutture sanitarie erano ben equipaggiate.

Rilevando che a diverse categorie di cittadini stranieri può essere impedito di lasciare gli hotspots, il CPT solleva la questione della base giuridica della privazione della libertà in tali centri e i problemi connessi relativi all’esistenza e al funzionamento di garanzie giuridiche. Formula diverse raccomandazioni a tale riguardo, nonché riguardo al controllo giurisdizionale della privazione della libertà, alla fornitura di informazioni sui diritti e sulle procedure e all’effettivo accesso a un difensore nonché alle misure pratiche per ridurre il rischio di refoulement.

(...)

Nell’ambito della risposta per assistere gli Stati membri in prima linea che affrontano sproporzionate pressioni migratorie ai confini esterni dell’Unione europea, gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione europea hanno concordato nel 2015 di attuare il cosiddetto approccio ‘Hotspot’ alla gestione della migrazione. L’approccio ‘Hotspot’ è finalizzato a identificare, registrare e trattare appropriatamente in modo veloce i nuovi arrivati in centri individuati nei punti di arrivo fondamentali e, se possibile, a rimpatriare velocemente i migranti irregolari ai quali non è consentito il soggiorno nel paese interessato. Esso è attualmente attuato in Italia e in Grecia. All’epoca della visita, erano operativi quattro ‘hotspots’ (Lampedusa, Pozzallo, Taranto e Trapani), con una capienza ufficiale totale di circa 1.600 posti. Le autorità italiane intendono istituire cinque ulteriori ‘hotspots’, che sarebbero operativi in un prossimo futuro.

(...)

In via preliminare, il CPT osserva che gli 'hotspot', per legge, non sono concepiti come luoghi di privazione della libertà. L'articolo 17 del Decreto legislativo n. 13/2017, convertito in legge dalla Legge n. 46/2017, introduce un nuovo articolo 10-ter nel Decreto legislativo n. 286/1998 (Testo unico dell’immigrazione, TUI), che prevede appositi «centri di crisi» (punti di crisi) da istituire all'interno di strutture di accoglienza in prima linea per finalità di assistenza e primo soccorso, dove i nuovi arrivati ​​sono sottoposti alle procedure di pre-identificazione e dove ricevono assistenza e informazioni. Tuttavia, la nuova legislazione non fornisce una base giuridica per la privazione della libertà nei “punti di crisi”. Ciononostante, il NPM italiano [Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà], nella sua relazione tematica del giugno del 2017, ha osservato che negli hotspot i cittadini stranieri sono privati ​​della libertà; per questo motivo, ha raccomandato di elaborare un quadro giuridico relativo al trattenimento delle persone in tali luoghi.

(...)

Detto ciò, l'occupazione in tutti e tre i “punti di crisi” visitati superava regolarmente la capienza ufficiale. Conseguentemente, i “punti di crisi” potevano intasarsi gravemente. Ciò avvenne particolarmente nel caso del “punto di crisi” di Lampedusa. Durante il periodo di 120 giorni compresi tra il 1° febbraio e il 1° giugno 2017, il centro ha operato al di sopra della sua capienza di 250 persone, calcolata in base al numero di posti letto disponibili, per oltre il 75% del tempo (ossia 93 giorni); per quasi la metà del tempo (vale a dire 56 giorni), l'occupazione è stata addirittura superiore al doppio della capacità dei posti letto, con un picco in aprile e all'inizio di giugno, quando oltre 1.000 nuovi arrivati ​​hanno soggiornato per diversi giorni nell'"hotspot". In caso di arrivi su vasta scala, erano collocati dei materassi supplementari sui pavimenti di tutta la struttura. Anche ammettendo che sia difficile evitare il sovraffollamento nei giorni immediatamente successivi ad arrivi su vasta scala, queste cifre suggeriscono che l’attuale capienza è strutturalmente troppo bassa e dovrebbe essere aumentata. (...)

A diverse categorie di cittadini stranieri può essere impedito di lasciare i “punti di crisi”, senza una chiara base giuridica. Questa situazione solleva diversi problemi in termini di garanzie giuridiche. Secondo il NPM italiano, nei punti di crisi i cittadini stranieri possono essere privati ​​della libertà in assenza di un controllo giurisdizionale e senza possibilità di ricorso, il che crea un limbo giuridico.

Il CPT rileva che le autorità italiane non consideravano formalmente la permanenza negli 'hotspot' una privazione della libertà e, pertanto, non era emesso alcun decreto di custodia. (...)

In particolare, i migranti originari della Tunisia (...) che avevano dichiarato di non avere bisogno della protezione internazionale, potevano essere rimpatriati velocemente nei paesi di origine o trasferiti in un CPR chiuso [Centro di permanenza per i rimpatri] (...) Sembra quindi che gli “hotspot” trattengano spesso i migranti irregolari nelle more del loro allontanamento”.

3. La Comunicazione delle autorità italiane al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa – 1331ͣ riunione (dicembre 2018)

  1. La parte pertinente di tale Comunicazione delle autorità italiane al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa relativa alla causa Khlaifia e altri c. Italia ([GC], n. 16483/12, 15 dicembre 2016) dichiara quanto segue (traduzione da parte della Cancelleria):

“Dal settembre del 2015 il sistema di accoglienza in Italia si è evoluto per presentare strutture rielaborate sulla base di un nuovo modello organizzativo denominato approccio hotspot. Gli hotspot sono zone di arrivo, ubicate in prossimità dei porti, cui sono indirizzati i migranti che arrivano per mare al fine di garantire loro un’iniziale assistenza medica e materiale e informazioni sulla propria condizione giuridica e sulle norme che disciplinano l’immigrazione e l’asilo, nonché per assicurare che siano sottoposti alle procedure di identificazione e fotosegnalamento e rilievo dattiloscopico da parte della polizia in collaborazione con Frontex ed Europol. (...)

Il tempo di permanenza in un hotspot può variare a seconda delle attività svolte in tale luogo: primo soccorso e assistenza (visite mediche, fornitura di informazioni sulle norme in materia di asilo, e così via) e/o identificazione dei migranti. Tali procedure sono generalmente completate molto rapidamente, al massimo entro quarantotto ore dall'arrivo, a condizione che un migrante non si opponga all'identificazione; esse non sono finalizzate al conferimento di uno status giuridico definitivo ed esse non impediscono ai migranti di presentare una successiva domanda di protezione internazionale. (...)”

  1. Le Nazioni Unite

I commenti del Comitato istituito ai sensi della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti 

  1. Il Comitato contro la tortura, l'organismo di esperti indipendenti che vigila sull'attuazione della summenzionata Convenzione, nelle sue Osservazioni conclusive del 18 dicembre 2017 sul quinto e sesto rapporto periodico congiunto sull’Italia, ha affermato quanto segue:

“Accuse di maltrattamenti nei ‘centri di crisi’ e in altre strutture di accoglienza

(...)

Nel prendere atto delle informazioni fornite dallo Stato parte riguardo all’attuazione dell’’approccio hotspot’ concordato dall’Unione europea nel 2015 per conseguire rapidamente l’identificazione e l’esame dei migranti e dei richiedenti asilo nei punti di arrivo, il Comitato rimane preoccupato per le denunce di maltrattamenti ed eccessivo uso della forza da parte della Polizia nel rilevamento dei rilievi dattiloscopici dei richiedenti asilo e dei migranti appena arrivati. (...) Destano preoccupazione anche le asserite scadenti condizioni di vita in diversi centri di accoglienza per richiedenti asilo e migranti irregolari, compreso nei ‘centri di crisi’ e nei centri per minori non accompagnati (...)

Lo Stato parte dovrebbe:

  1. spiegare la base giuridica per la privazione della libertà e l’uso della forza per ottenere le impronte digitali di richiedenti asilo e migranti che non collaborano;

IN DIRITTO

  1. SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI
  1. Il Governo ha sostenuto che i ricorrenti non potevano affermare di essere vittime in quanto nel caso di specie non vi era stata alcuna violazione delle disposizioni della Convenzione. In particolare, ha osservato che i ricorrenti non erano stati detenuti ai sensi dell’articolo 5 della Convenzione in quanto le misure di accoglienza cui erano stati sottoposti nel punto di crisi di Lampedusa erano disciplinate dalla legge, vale a dire dagli articoli 8, 9, 10 e 12 del Decreto legislativo n. 142 del 2015. Inoltre, secondo il Governo, i ricorrenti non erano stati sottoposti ad alcun trattamento in violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
  2. Il Governo ha inoltre sottolineato che i ricorrenti non avevano esaurito le vie di ricorso interne disponibili. A suo avviso, a norma dell’articolo 10, comma 2, del Decreto legislativo n. 142 del 2015, i ricorrenti avrebbero potuto presentare una domanda al prefetto per ottenere un permesso temporaneo di lasciare il centro. Se ciò fosse stato rifiutato, avrebbero potuto impugnare la decisione pertinente dinanzi a un giudice civile. Inoltre, i ricorrenti avrebbero potuto presentare un ricorso per ottenere un provvedimento d’urgenza ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile. In aggiunta, avrebbero potuto depositare un ricorso ai tribunali amministrativi, qualora la loro domanda al prefetto non avesse ricevuto risposta.
  3. Il Governo ha infine ritenuto che il presente ricorso fosse stato depositato tardivamente, vale a dire in data 9 maggio 2018.
  4. I ricorrenti hanno dissentito dalle eccezioni riguardanti il loro difetto della qualità di vittima e l’asserita tardività nel deposito del loro ricorso. Riguardo al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, hanno replicato che le vie di ricorso interne menzionate dal Governo erano disponibili soltanto per i richiedenti asilo, qualità che i ricorrenti nel caso di specie non possedevano.
  5. ​​La Corte ritiene che l'eccezione del Governo relativa al difetto della qualità di vittima riguardi la sostanza delle doglianze dei ricorrenti. Decide quindi di unire tale eccezione al merito della causa (si vedano i paragrafi 66 e 99 infra).
  6. Riguardo al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, la Corte riconosce che, ai sensi dell'articolo 1 del Decreto legislativo n. 142 del 2015 e dei pertinenti strumenti dell'Unione europea, le garanzie e i ricorsi previsti da tale decreto siano applicabili ai richiedenti asilo (compreso dall’articolo 10 di esso). Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno chiesto la protezione internazionale, essi sono pertanto dispensati dalla necessità di esaurire i summenzionati ricorsi interni. L'eccezione del Governo deve pertanto essere respinta.
  7. Quanto all’asserita tardività nella presentazione del ricorso, la Corte osserva che, contrariamente a quanto dichiarato dal Governo, il presente ricorso è stato depositato in data 26 aprile 2018, quindi entro il termine semestrale decorrente dal momento in cui i ricorrenti hanno lasciato l'hotspot e sono stati rimpatriati in Tunisia. Pertanto, anche tale eccezione deve essere respinta.
     

     II. LA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

  1. I ricorrenti hanno lamentato le condizioni materiali del loro soggiorno nel punto di crisi di Lampedusa. Hanno invocato l’articolo 3 della Convenzione, il quale recita come segue:

“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”

     A. Sulla ricevibilità

  1. La Corte osserva che la presente doglianza non è manifestamente infondata e non incorre in alcun altro motivo di irricevibilità elencato nell’articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.
     

    B. Sul merito

1. Le osservazioni dei ricorrenti

  1. I ricorrenti hanno ribadito la loro doglianza e hanno invocato il rapporto annuale del 2017 del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (“il Garante”).
  2. I ricorrenti hanno anche presentato una video-intervista rilasciata dal Presidente del Garante nel gennaio del 2018, che aveva attestato la mancata azione da parte delle autorità italiane per migliorare le inadeguate condizioni di soggiorno nell'hotspot di Lampedusa dall'anno precedente e fornito fotografie che mostravano le critiche condizioni igieniche del centro nonché la mancanza di spazio.
  3. I ricorrenti hanno inoltre rinviato alla relazione del Garante del 2020 che attestava che nel 2019 nell'hotspot di Lampedusa vi erano soltanto due bagni condivisi da quaranta persone, alcuni migranti avevano dovuto dormire su dei materassi fuori dal centro e le stanze erano o eccessivamente fredde o eccessivamente calde. Nella sua relazione, il Garante aveva espresso rammarico per il fatto che, sebbene le persone che si trovavano nell'hotspot di Lampedusa avrebbero dovuto rimanervi soltanto per il tempo necessario per identificarle, esse avevano generalmente trascorso diversi giorni o diverse settimane nel centro. Erano state private ​​della libertà in quanto era stato impossibile per loro allontanarsi dal centro e non avevano avuto alcuna possibilità di presentare ricorso a un’autorità giudiziaria.

2. Le osservazioni del Governo

  1. Il Governo ha osservato che la relazione del Garante relativa agli anni 2016-17 dimostrava, piuttosto, che le condizioni di soggiorno dei ricorrenti non erano state né inumane né degradanti. I pasti erano stati preparati e confezionati nella cucina del centro che, secondo quanto riferito, era pulito e ordinato, e vi era una stanza separata per i colloqui con i migranti.Erano stati distribuiti sistematicamente ai migranti opuscoli contenenti informazioni legali, kit per i nuovi arrivati ​​e una piccola somma di denaro e il sistema sanitario era stato generalmente ben organizzato ed efficiente.

Le osservazioni dei terzi intervenienti

  1. L’Organizzazione mondiale contro la tortura ha osservato che gli hotspot erano strutture in cui erano ospitati temporaneamente i migranti e i richiedenti asilo appena arrivati prima di essere trasferiti in altre strutture il più presto possibile.Sebbene nel dicembre del 2017 il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura avesse raccomandato all'Italia di adottare le misure necessarie per garantire adeguate condizioni di accoglienza ai richiedenti asilo e ai migranti irregolari, la situazione rimaneva critica per quanto riguarda i centri di detenzione per immigrati e gli hotspot.
  2. L'hotspot di Lampedusa era stato chiuso per lavori di ristrutturazione nel marzo del 2018 a seguito di denunce di condizioni di vita inumane. Nonostante fosse stato autorizzato a riaprire, l'hotspot presentava gravi carenze strutturali. Inoltre, anche il Comitato europeo per la prevenzione della tortura aveva raccomandato di aumentare la sua capienza.
  3. Il Forum tunisino per i diritti economici e sociali (FTDES) ha sottolineato le sfide politiche ed economiche affrontate dalla Tunisia, le successive proteste sociali e il difficile contesto economico e sociale dei cittadini tunisini che avevano tentato di lasciare il paese ed erano stati successivamente rinviati in Tunisia.

3. La valutazione della Corte

  1. I principi generali applicabili alle persone trattenute perché immigrate sono esposti dettagliatamente nelle sentenze relative alle cause S.S. c. Belgio e Grecia ([GC], n. 30696/09, §§ 216-22, CEDU 2011), Tarakhel c. Svizzera ([GC], n. 29217/12, §§ 93-99, CEDU 2014 (estratti)) e Khlaifia e altri c. Italia ([GC], n. 16483/12, §§ 158-69, 15 dicembre 2016; si veda altresì E.K. c. Grecia, n. 73700/13, §§ 72-84, 14 gennaio 2021).
  2. La Corte osserva in primo luogo che i ricorrenti hanno fornito diverse prove a sostegno delle loro affermazioni.
  3. Pur sottolineando alcuni aspetti positivi dell'organizzazione della struttura, nell'ambito di un “approccio hotspot” che è stato sviluppato a decorrere dal 2015 (si vedano i paragrafi 32 e ss.), il Governo, da parte sua, non ha contestato le abbondanti informazioni presentate dai ricorrenti riguardo alle carenze delle condizioni materiali di soggiorno nell'hotspot di Lampedusa (vale a dire, le condizioni igieniche, la mancanza di spazio e le caratteristiche della struttura ricettiva – si vedano i paragrafi 52 e 53 supra).
  4. La Corte osserva inoltre che molteplici fonti nazionali e internazionali hanno attestato le critiche condizioni materiali nell'hotspot di Lampedusa durante il periodo dei fatti materiali della presente causa.
  5. La relazione del Garante relativa agli anni 2016-17 e la relazione del Senato della Repubblica del 2017 (si vedano i paragrafi 17 e 19 supra) hanno affermato che le condizioni generali nell'hotspot di Lampedusa erano fatiscenti e vi era sporcizia e hanno sottolineato la mancanza di servizi e di spazio, per quanto riguarda in particolare i posti letto, nonché la generale scarsa igiene e inadeguatezza del centro.
  6. Il sovraffollamento del centro è stato anche citato, inter alia, dal CPT nel suo rapporto al Governo italiano relativo alla sua visita in Italia effettuata nel 2017. In termini generali, le condizioni di vita negli hotspot sono state criticate anche dal Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura nel suo rapporto del 2017 sull'Italia (si vedano i paragrafi 37-39 e 41 supra).
  7. Alla luce di tutto quanto sopra esposto, la Corte rileva che il Governo non ha prodotto elementi sufficienti a sostegno del suo parere secondo il quale le condizioni individuali di soggiorno dei ricorrenti potevano essere ritenute accettabili. Infatti, visti gli elementi sopra elencati, presentati dai ricorrenti, e suffragati da fotografie e da diversi rapporti, la Corte è convinta del fatto che, all’epoca in cui i ricorrenti sono stati collocati in tale luogo, l'hotspot di Lampedusa presentasse condizioni materiali inadeguate.
  8. In tale contesto, la Corte ribadisce anche la sua giurisprudenza consolidata secondo la quale, visto il carattere assoluto dell’articolo 3, le difficoltà derivanti dall’aumento dell’afflusso di migranti e richiedenti asilo, in particolare per gli Stati che formano le frontiere esterne dell’Unione europea, non esonerano gli Stati membri del Consiglio d’Europa dai loro obblighi ai sensi di tale disposizione (si vedano M.S.S. c. Belgio e Grecia, sopra citata, § 223; Hirsi Jamaa e altri c. Italia[GC], n. 27765/09, § 122, CEDU 2012; Khlaifia e altri, sopra citata, § 184; e J.R. e altri c. Grecia, n. 22696/16, § 137, 25 gennaio 2018).
  9. La Corte osserva che, nel caso di specie, i ricorrenti sono rimasti nell’hotspot di Lampedusa per dieci giorni.
  10. Alla luce di quanto sopra, la Corte respinge l’eccezione del Governo relativa all’asserito difetto di qualità di vittima dei ricorrenti e conclude che i ricorrenti sono stati sottoposti a un trattamento inumano e degradante durante la loro permanenza nell’hotspot di Lampedusa, in violazione dell'articolo 3 della Convenzione.

III. LA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 5 §§ 1, 2 E 4 DELLA CONVENZIONE

  1. I ricorrenti hanno lamentato di essere stati privati della libertà durante la loro permanenza nell’hotspot di Lampedusa in assenza di una base giuridica chiara e accessibile e che era stato pertanto impossibile contestare la legittimità della loro privazione della libertà. Hanno invocato l’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione, le cui parti pertinenti recitano come segue:

“1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge:

(...)

f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione.

Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa formulata a suo carico. (…)

Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso a un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima. (…)”

  1. Sulla ricevibilità

1. Le osservazioni dei ricorrenti

  1. I ricorrenti hanno osservato che nel suo “Rapporto sulle attività di monitoraggio relative ai rimpatri forzati di stranieri” (dicembre 2017-giugno 2018), il Garante aveva sottolineato che la prassi diffusa negli hotspot di non consentire alle persone di lasciare le strutture fosse contraria al Testo Unico sull'immigrazione (si veda il paragrafo 14 supra), al principio sancito dall'articolo 13 della Costituzione (“La libertà personale è inviolabile”) e all'articolo 5 della Convenzione. Inoltre, dal rapporto del Garante del 2017 (si veda il paragrafo 49 supra) emergeva che, rispondendo alla domanda sul perché ai migranti a Lampedusa non fosse consentito uscire dai locali del centro, il Prefetto aveva risposto che Lampedusa era un’isola le cui entrate dipendevano dal turismo e che la presenza di migranti avrebbe potuto creare dei problemi. Aveva poi aggiunto che i migranti avevano comunque la possibilità di uscire dal centro attraverso un varco nel recinto. Il Garante ha concluso che l'hotspot di Lampedusa era effettivamente una struttura chiusa.

2. Le argomentazioni del Governo

  1. Il Governo ha affermato che i ricorrenti non erano stati privati ​​della loro libertà, ma che erano stati semplicemente sottoposti a una restrizione della libertà dovuta a esigenze di interesse pubblico, connesse alle procedure di identificazione e al trasferimento dei migranti.

3. La valutazione della Corte

  1. Quanto all’applicabilità dell’articolo 5 della Convenzione nel caso di specie, la Corte ribadisce che, al fine di determinare se una persona sia stata privata della libertà, il punto di partenza debba essere la sua situazione concreta, e si debba tenere conto di un’intera gamma di criteri quali il tipo, la durata, gli effetti e le modalità di attuazione della misura in questione (si vedano Ilias e Ahmed c. Ungheria [GC], n. 47287/15, § 217, 21 novembre 2019, con ulteriori rinvii; Khlaifia e altri, sopra citata, § 64; e R. e altri c. Grecia, sopra citata, §§ 83-84).
  2. La Corte ritiene che nel caso di specie la questione dell’applicabilità dell’articolo 5 della Convenzione sia strettamente connessa al merito della doglianza dei ricorrenti di cui alla medesima disposizione. Conseguentemente, la Corte terrà conto di ciò nel determinare se vi sia stata violazione di tale articolo (si veda il paragrafo 61 infra).
  1. Sul merito

1. Le osservazioni dei ricorrenti

  1. I ricorrenti hanno ribadito le loro doglianze.

2. Le osservazioni del Governo

  1. Il Governo ha sottolineato che le misure di accoglienza cui i ricorrenti erano stati sottoposti nell'hotspot di Lampedusa erano disciplinate dalla legge, vale a dire dagli articoli 8, 9, 10 e 12 del Decreto legislativo n. 142 del 2015.
  2. Il Governo ha inoltre osservato che il caso di specie differiva dalla causa Khlaifia e altri (sopra citata), dato che l'ordinamento giuridico italiano era radicalmente cambiato successivamente alla sentenza pronunciata dalla Corte in tale causa (si veda l’articolo 10 terdel decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, paragrafo 14 supra). In particolare, il Governo ha rilevato che l'hotspot di Lampedusa era stato classificato come un Centro di identificazione ed espulsione e, ai sensi della legislazione applicabile, le persone che vi soggiornavano erano trattenute legittimamente.
  3. Ha inoltre sostenuto che, in ogni caso, i ricorrenti erano stati liberi di lasciare il centro, durante il giorno, previa autorizzazione del Prefetto (si veda il paragrafo 43 supra).

3. Le osservazioni dei terzi intervenienti

  1. L'Organizzazione mondiale contro la tortura ha preso atto delle osservazioni presentate dalle organizzazioni non governative italiane per i diritti umani al Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (Gruppo di lavoro precedentemente alla sessione dei giorni 9 novembre-4 dicembre 2020) in cui esse avevano dichiarato che le persone che soggiornavano nell’hotspot di Lampedusa vivevano de facto in stato di custodia.
  2. L'altro diritto ha sostenuto che i centri italiani di accoglienza per migranti, in particolare gli hotspot, fungevano spesso da strutture di restrizione prive di qualsiasi base giuridica. 

4. La valutazione della Corte

  1. La Corte osserva che, mentre la regola generale enunciata nell'articolo 5 § 1 è che ogni persona ha diritto alla libertà, l'articolo 5 § 1, lettera f), prevede un'eccezione a tale regola generale, permettendo agli Stati di controllare la libertà degli stranieri nel contesto dell’immigrazione(si veda Saadi c. Regno Unito [GC], n. 13229/03, § 64, CEDU 2008).
  2. Ai sensi delle lettere da a) a f) dell'articolo 5 § 1, qualsiasi privazione della libertà deve, oltre a essere compresa in una delle eccezioni esposte in esso, essere “prevista dalla legge”. Quando è in questione la legittimità della detenzione, compresa la questione di sapere se fosse stata applicata nei modi previsti dalla legge, la Convenzione rinvia essenzialmente al diritto nazionale e stabilisce l’obbligo di conformarsi alle norme sostanziali e procedurali del diritto nazionale. L’osservanza del diritto nazionale non è, tuttavia, sufficiente: l’articolo 5 § 1 esige in aggiunta che la privazione della libertà debba essere conforme al fine di proteggere l’individuo dall’arbitrarietà. Un principio fondamentale prevede che nessuna detenzione arbitraria possa essere compatibile con l'articolo 5 § 1 e la nozione di "arbitrarietà" di cui all'articolo 5 § 1 si estende oltre il difetto di conformità al diritto nazionale, cosicché una privazione della libertà può essere legittima ai sensi del diritto interno, ma nondimeno arbitraria e quindi in violazione della Convenzione (ibid., § 67).
  3. Considerato che il principio generale secondo il quale la detenzione non dovrebbe essere arbitraria si applica alla detenzione ai sensi della prima parte dell'articolo 5 § 1, lettera f) nel medesimo modo in cui si applica alla detenzione ai sensi della seconda parte (ibid., § 73), la seconda parte (“è in corso un procedimento d'espulsione o d'estradizione”), a differenza dell'articolo 5 § 1, lettera c), non esige aggiuntivamente che la detenzione sia considerata ragionevolmente necessaria, per esempio, per impedire che l'individuo commetta un reato o si dia alla fuga (si veda Čonka c. Belgio, n. 51564/99, § 38, CEDU 2002‑I).
  4. La prima parte (“se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio”), che consente la detenzione di un richiedente asilo o di un altro immigrato prima che lo Stato conceda l'autorizzazione all'ingresso, implica che “libertà dall’arbitrarietà” significhi che tale trattenimento deve essere effettuato in buona fede, che esso deve essere strettamente connesso alla finalità di impedire l'ingresso non autorizzato della persona nel Paese e che il luogo e le condizioni di trattenimento devono essere adeguati.Si dovrebbe ricordare che la misura in questione è applicabile non a persone che hanno commesso dei reati bensì a stranieri i quali, spesso temendo per le proprie vite, sono fuggiti dal proprio Paese e che la durata del trattenimento non deve eccedere il tempo ragionevolmente necessario per il fine perseguito (si veda Saadi, sopra citata, § 74).
  5. La questione di sapere quando cessa di applicarsi la prima parte dell'articolo 5 § 1, lettera f), poiché all'individuo è stata concessa una formale autorizzazione di ingresso o di soggiorno, dipende in gran parte dal diritto nazionale (si veda Suso Musa c. Malta, n. 42337/12, § 97, 23 luglio 2013);se l'ingresso è stato rifiutato, la privazione della libertà ai sensi della seconda parte dell'articolo 5 § 1, lettera f) sarà giustificata soltanto finché è in corso il procedimento di espulsione o di estradizione. Se tali procedimenti non sono svolti con la dovuta diligenza, la detenzione cesserà di essere consentita ai sensi dell'articolo 5 § 1, lettera f) (si veda Khlaifia e altri, sopra citata, § 90).
  6. Nel caso di specie, le autorità nazionali non hanno sostenuto, né è stato dimostrato in altro modo, che l'ingresso fosse stato rifiutato, che fosse stato emesso un provvedimento di rimpatrio o che l'azione relativa all’espulsione fosse stata avviata prima del 26 ottobre 2017. Pertanto, poiché la seconda parte dell'articolo 5 § 1, lettera f) era stata applicabile al massimo soltanto per le poche ore precedenti all'allontanamento dei ricorrenti, la Corte è tenuta a ritenere che, in sostanza, e come risulta dalla doglianza dei ricorrenti, soltanto la prima parte dell'articolo 5 § 1, lettera f) della Convenzione ("l’arresto o la detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio”) si applichi ai fatti oggetto della causa, che hanno avuto luogo a decorrere dal 16 ottobre 2017, vale a dire il giorno dell'arrivo dei ricorrenti nell'hotspot di Lampedusa, fino alle prime ore del mattino del 26 ottobre 2017, quando i ricorrenti sono stati trasferiti dall'hotspot all'aeroporto. 
  7. La Corte ha adesso il compito di determinare se la restrizione della libertà dei ricorrenti ai sensi della prima parte dell'articolo 5 § 1, lettera f) osservasse il requisito della "legittimità", e in particolare se fosse basata sulla “norme sostanziali e procedurali del diritto nazionale” (si veda il paragrafo 80 supra).
  8. 56. A tale riguardo, la Corte richiama innanzitutto l'attenzione sulla definizione di "hotspot", in particolare in relazione alla funzione di esso.
  9. L'Agenda europea sulla migrazione della Commissione europea del 13 maggio 2015 ha stabilito alcune linee-guida che devono essere applicate nei paesi dell'Unione europea riguardo a diversi aspetti della migrazione e ha predisposto l'“approccio hotspot”. Nella sua Roadmap del 28 settembre 2015, il Ministero dell'Interno italiano ha quindi individuato quattro aree portuali in cui dovevano essere istituiti degli hotspot, tra cui vi era Lampedusa (Contrada Imbriacola).
  10. La Roadmap spiegava che tali hotspot erano finalizzati a svolgere la registrazione e l'identificazione dei migranti quale fase preliminare al fine del successivo smistamento e invio degli stessi, convogliando i richiedenti asilo e le persone che dovevano essere ricollocate nei competenti hub nazionali e regionali, o trasferendo i migranti irregolari che non avevano richiesto la protezione internazionale nei Centri di identificazione ed espulsione perché fossero espulsi. Pertanto, gli hotspot, vale a dire le esistenti strutture di accoglienza utilizzate per attuare l'"approccio hotspot", non erano finalizzati, almeno nel momento pertinente per il caso in questione, a fungere da centri di trattenimento, bensì piuttosto da strutture di identificazione e trasferimento. 
  11. Sembra che la legislazione nazionale concernente gli “hotspot” sia l'articolo 10-ter del Decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, come modificato dall'articolo 17 del Decreto-legge 17 febbraio 2017 n. 13. In conformità a tale disposizione, sono stati istituiti “centri di crisi” o “punti di crisi” all'interno di due strutture: quelle istituite ai sensi del Decreto-legge n. 451 del 1995, convertito con modificazioni dalla Legge 29 dicembre 1995 n. 563 (come il Centrodi Soccorso e Prima Accoglienza di Lampedusa) e quelle istituite ai sensi dell'articolo 9 del Decreto legislativo n. 142 del 2015.
  12. La Corte non può che osservare che mentre il Decreto-legge n. 13 aveva individuato le due tipologie di strutture esistenti che erano idonee a fungere da hotspot, il Governo non ha dimostrato che il quadro normativo italiano, comprese le norme dell’Unione europea che possono essere applicabili, fornisca istruzioni chiare riguardo al trattenimento dei migranti in tali strutture.
  13. 57. A tale riguardo, la Corte non ha trovato alcun riferimento nel diritto interno citato dal Governo (si veda il paragrafo 74 supra) agli aspetti sostanziali e procedurali della detenzione o ad altre misure comportanti la privazione della libertà che avrebbero potuto essere attuate negli hotspot nei confronti dei migranti interessati. Il Governo non ha neanche presentato alcuna fonte giuridica che affermi che l'hotspot di Lampedusa dovesse essere classificato come un CIE (dove i migranti, a determinate condizioni, potrebbero essere trattenuti legalmente ai sensi della legislazione nazionale – si veda il paragrafo 75 supra).
  14. Inoltre, i rapporti di osservatori indipendenti, la maggior parte dei quali erano basati su visite in loco, nonché di organizzazioni nazionali e internazionali, descrivono all'unanimità l'hotspot di Lampedusa come un'area chiusa con sbarre, cancelli e recinzioni metalliche che i migranti non sono autorizzati a lasciare, anche dopo essere stati identificati, essendo quindi sottoposti a una privazione della libertà non regolamentata dalla legge né soggetta a un controllo giurisdizionale. La Corte rinvia in particolare alla relazione del Garante relativa agli anni 2016-17 sulle sue visite nei centri di identificazione ed espulsione e negli hotspot e al suo rapporto del 2018 al Parlamento italiano (si vedano i paragrafi 17-18 supra). Essa rinvia anche al rapporto del Senato sui Centri di identificazione ed espulsione in Italia (si veda il paragrafo 19 supra) e ai rapporti del Servizio Ricerca del Parlamento europeo, del Rappresentante speciale del Segretario generale per la migrazione e i rifugiati del Consiglio d'Europa, del CPT e del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (si vedano i paragrafi 37-41 supra).
  15. Ai sensi della Convenzione, la Corte può accettare che, al momento del tentativo da parte di migranti di essere ammessi nel territorio di una Parte contraente, possa essere giustificata una limitazione della loro libertà di circolazione in un hotspot – per un limitato periodo di tempo strettamente necessario – ai fini dell'identificazione, della registrazione e del colloquio in vista, una volta chiarito il loro status, del loro eventuale trasferimento in altre strutture. In tali circostanze, il trattenimento, per esempio, dei richiedenti asilo che attendono che sia svolto l’esame della loro domanda (ai sensi della prima parte dell'articolo 5 § 1, lettera f)) o il trattenimento dei migranti irregolari al fine del loro allontanamento (ai sensi della seconda parte della medesima disposizione) sono disciplinati dalla legge (si vedano i paragrafi 27, 30, 31 e le pertinenti misure di attuazione supra).
  16. 58. Tuttavia, date le circostanze del caso di specie, l'impossibilità per i migranti di lasciare legalmente la zona chiusa dell'hotspot di Lampedusa non era compresa in nessuna delle situazioni descritte sopra. La limitazione della libertà di circolazione dei ricorrenti equivaleva chiaramente a una privazione della loro libertà personale ai sensi dell'articolo 5 della Convenzione, tanto più se si considera che la durata massima della loro permanenza nel centro di crisi non era definita da alcuna legge o da alcun regolamento e che, inoltre, le condizioni materiali del loro soggiorno sono state ritenute inumane e degradanti (si veda il paragrafo 67 supra).
  17. 59. La Corte ritiene che la natura e la funzione degli hotspot ai sensi del diritto interno e del quadro normativo dell'Unione europea possano essere notevolmente cambiate nel tempo (si vedano, per esempio, i paragrafi 33-35 supra, nei quali sembra che il fine degli hotspot sia diventato quello di gestire una sproporzionata sfida migratoria esistente o potenziale, senza quindi escludere eventualmente la privazione della libertà, piuttosto che il fine originario di identificare, registrare ed eseguire meramente in modo rapido i rilievi dattiloscopici dei migranti che arrivano – si veda, in particolare, il paragrafo 32 supra). Comunque sia, la Corte osserva che all'epoca dei fatti, vale a dire nel 2017, il quadro normativo italiano non consentiva l'utilizzo dell'hotspot di Lampedusa come centro di detenzione per stranieri.
  18. 60. L'organizzazione degli hotspot avrebbe quindi beneficiato dell'intervento del legislatore italiano finalizzato a chiarirne la natura nonché i diritti sostanziali e processuali degli individui che vi soggiornano.
  19. Alla luce delle considerazioni di cui sopra e tenendo presente che i ricorrenti sono stati collocati dalle autorità italiane presso l'hotspot di Lampedusa e vi sono rimasti per dieci giorni senza una base giuridica chiara e accessibile e in assenza di un provvedimento motivato che disponesse il loro trattenimento, prima di essere espulsi verso il loro paese di origine, la Corte ritiene che i ricorrenti siano stati arbitrariamente privati ​​della loro libertà, in violazione della prima parte dell'articolo 5 § 1, lettera f ) della Convenzione.
  20. Alla luce della conclusione di cui sopra riguardo all’assenza di una base giuridica chiara e accessibile per il trattenimento, non si vede come le autorità avrebbero potuto informare i ricorrenti dei motivi giuridici per i quali erano privati della libertà o avrebbero fornito loro sufficienti informazioni o consentito loro di contestare dinanzi a un tribunale i motivi della loro detenzione de facto (si veda Khlaifia e altri, sopra citata, §§ 117 e 132 e ss.).
  21. 61. La Corte respinge pertanto l’eccezione del Governo riguardo all’asserito difetto da parte dei ricorrenti della qualità di vittima, conclude che l’articolo 5 della Convenzione sia applicabile e che vi sia stata violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione.

1. LA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 4 DEL PROTOCOLLO N. 4 ALLA CONVENZIONE

  1. I ricorrenti hanno affermato di essere stati sottoposti a un respingimento differito equivalente a un’espulsione collettiva, senza alcuna possibilità di impugnare il provvedimento di espulsione o di ottenerne copia. Hanno invocato l’articolo 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione, il quale recita come segue:

“Le espulsioni collettive di stranieri sono vietate.”
 

A. Sulla ricevibilità

  1. La Corte osserva che la presente doglianza non è manifestamente infondata e non incorre in alcun altro motivo di irricevibilità elencato nell'articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.

B. Sul merito

1. Le osservazioni dei ricorrenti

  1. I ricorrenti hanno osservato che i provvedimenti di respingimento e di allontanamento erano stati mostrati loro molto rapidamente al solo fine di ottenere le loro firme, poco prima del loro allontanamento forzato. Non era stato svolto anticipatamente alcun colloquio con le autorità e ai ricorrenti non era stata rilasciata copia dei provvedimenti o dei fogli notizie.
  2. A causa del breve lasso di tempo intercorso tra la firma dei provvedimenti e il loro allontanamento, i ricorrenti non avevano beneficiato di alcuna concreta possibilità di impugnare le misure. Invero, erano stati privati dei loro telefoni cellulari che erano stati restituiti soltanto quando erano giunti in Tunisia, rendendo quindi impossibile che contattassero un avvocato.

2. Le osservazioni del Governo

  1. Il Governo ha ribadito che i provvedimenti di respingimento e di allontanamento dei ricorrenti erano stati loro debitamente notificati e che i ricorrenti avevano firmato una ricevuta e ne avevano ricevuto una copia.
  2. I ricorrenti erano stati informati della possibilità di impugnare le decisioni e i provvedimenti erano stati adottati dopo un'attenta valutazione della situazione individuale delle persone interessate.

3. La valutazione della Corte

  1. La Corte ribadisce che deve essere considerata un’espulsione collettiva, ai sensi dell'articolo 4 del Protocollo n. 4, qualsiasi misura che costringa gli stranieri, in quanto gruppo, a lasciare un paese, salvo qualora tale misura sia adottata dopo, e sulla base di un esame ragionevole e obiettivo del caso particolare di ciascun singolo straniero del gruppo (si veda D. e N.T. c. Spagna [GC], nn. 8675/15 e 8697/15, §§ 193-201, 13 febbraio 2020, e le cause ivi citate).Inoltre, l'articolo 4 del Protocollo n. 4 non garantisce il diritto a un colloquio individuale in qualsiasi circostanza e i requisiti di tale disposizione possono essere soddisfatti qualora ogni straniero abbia una reale ed effettiva possibilità di presentare dei rilievi avverso la sua espulsione e tali rilievi siano esaminati in modo appropriato dalle autorità dello Stato convenuto (si veda Khlaifia e altri, sopra citata, § 248).
  2. Nel caso di specie, i ricorrenti hanno dichiarato che non era stato svolto alcun colloquio con le autorità prima che essi firmassero i provvedimenti di respingimento, dei quali non avevano ricevuto copia. La Corte osserva che il Governo non ha contestato le informazioni presentate dai ricorrenti a tale riguardo.
  3. La Corte riconosce anche che il testo dei provvedimenti concernenti i primi due ricorrenti è standardizzato e non rivela alcun esame della situazione personale dei ricorrenti.Quanto al terzo e al quarto ricorrente, non sono state presentate alla Corte copie delle decisioni, poiché le relative richieste presentate dai ricorrenti alla Questura di Agrigento non hanno avuto esito. La Corte rileva inoltre che il Governo non ha presentato alla Corte una copia dei documenti connessi alla procedura di identificazione concernente i ricorrenti.
  4. I ricorrenti sono stati allontanati forzatamente il giorno in cui sono stati loro notificati i provvedimenti di respingimento. I loro polsi sono stati bloccati con delle fascette in velcro durante il trasferimento agli aeroporti ed essi sono stati privati dei loro telefoni cellulari fino al loro arrivo in Tunisia.
  5. 66. In tale contesto la Corte rinvia al rapporto del Garante relativo agli anni 2016-17 (si veda il paragrafo 17 supra) nel quale, a seguito di una visita all'hotspot di Lampedusa, il Garante aveva invitato le autorità italiane a sospendere la prassi di fare firmare ai migranti il foglio notizie nel corso delle loro procedure di identificazione.
  6. Nel suo rapporto del 2018 al Parlamento italiano (si veda il paragrafo 18 supra), il Garante ha inoltre osservato che i migranti erano trattenuti illegalmente negli hotspot nel corso delle procedure di identificazione, al termine delle quali erano eseguiti forzatamente i respingimenti differiti sulla base di una decisione dell'autorità di pubblica sicurezza.
  7. In aggiunta, nel 2017 la Commissione straordinaria del Senato della Repubblica per la tutela e la promozione dei diritti umani (si veda il paragrafo 19 supra) ha riferito che il foglio notizie utilizzato nell'hotspot di Lampedusa non poteva essere descritto come un vero e proprio colloquio, bensì come un semplice questionario formulato in modo estremamente conciso e comunque difficile da comprendere per gli stranieri interessati.
  8. Dovrebbe essere osservato anche che, tenuto conto del breve lasso di tempo intercorso tra la firma da parte dei ricorrenti dei decreti di respingimento e il loro allontanamento e del fatto che essi non avevano asseritamente compreso il contenuto dei provvedimenti e che due ricorrenti non ne avevano ricevuto copia, il Governo non ha dimostrato sufficientemente che, date le circostanze del caso, i ricorrenti abbiano beneficiato della possibilità di impugnare tali decisioni.
  9. La Corte osserva inoltre che, nella sua sentenza n. 275 dell'8 novembre 2017, la Corte costituzionale ha rilevato che i respingimenti differiti effettuati con l'uso della forza esigevano un intervento legislativo, in quanto tale misura incideva sulla libertà personale dell'individuo ai sensi dell'articolo 13 della Costituzione e doveva essere disciplinata ai sensi del comma 3 di tale disposizione.
  10. Date le circostanze, la Corte rileva che i provvedimenti di respingimento e di allontanamento emessi nel caso dei ricorrenti non avevano tenuto adeguatamente conto delle loro situazioni individuali (si vedano Shahzad c. Ungheria, n. 12625/17, §§ 60-68, 8 luglio 2021; A. e altri c. Polonia, n. 51246/17, §§ 81-84, 8 luglio 2021; e A.I. e altri c.Polonia, n. 39028/17, §§ 52-58, 30 giugno 2022).
  11. Tali decisioni costituivano quindi un'espulsione collettiva di stranieri ai sensi dell'articolo 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione e nel caso di specie vi è pertanto stata anche violazione di tale disposizione.

2. LE ALTRE DEDOTTE VIOLAZIONI DELLA CONVENZIONE

  1. I ricorrenti hanno affermato di essere stati sottoposti a una restrizione della loro libertà di circolazione ai sensi dell'articolo 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione. Hanno infine lamentato la violazione dell'articolo 13 della Convenzione in combinato disposto con l'articolo 3 della Convenzione e gli articoli 2 e 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione. 
  2. Visti i fatti oggetto della causa, le osservazioni delle parti e le sue conclusioni di cui sopra, la Corte ritiene di aver esaminato le principali questioni giuridiche sollevate nel presente ricorso. Ritiene pertanto che non sia necessario proseguire l'esame delle rimanenti doglianze dei ricorrenti (si veda Centro per le risorse giuridiche per conto di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], n. 47848/08, § 156, CEDU 2014; si veda altresì Khlaifia e altri, sopra citata, §§ 248-54).

3. L’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. L’articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A. Il danno

  1. I ricorrenti hanno chiesto euro (EUR) 20.000 ciascuno per il danno non patrimoniale.
  2. Il Governo ha ritenuto che la domanda dei ricorrenti avrebbe dovuto essere rigettata. Tuttavia, qualora la Corte avesse accordato una somma per il danno non patrimoniale, essa avrebbe dovuto corrispondere alla somma accordata nella causa Khlaifia e altri (sopra citata) a ciascun migrante (circa EUR 2.500 a ricorrente).
  3. La Corte accorda a ciascun ricorrente EUR 8.500 per il danno non patrimoniale, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.

B. Le spese

  1. I ricorrenti hanno inoltre chiesto EUR 6.432 per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
  2. Il Governo ha sostenuto che la domanda dei ricorrenti avrebbe dovuto essere rigettata.
  3. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente ha diritto al rimborso delle spese soltanto nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nel caso di specie, visti i documenti di cui è in possesso e i criteri di cui sopra, la Corte ritiene ragionevole accordare congiuntamente la somma di EUR 4.000 a copertura delle spese del procedimento dinanzi alla Corte, oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Unisce al merito le eccezioni preliminari del Governo relative al difetto della qualità di vittima da parte dei ricorrenti in relazione alle loro doglianze ai sensi dell’articolo 3 e dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione e riguardo all’applicabilità dell’articolo 5 della Convenzione e le rigetta;
  2. Dichiara ricevibili le doglianze relative all’articolo 3 e all’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione e all’articolo 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione;
  3. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
  4. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione;
  5. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione;
  6. Ritiene che non sia necessario esaminare le doglianze ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione e dell’articolo 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione;
  7. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà diventata definitiva in applicazione dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. EUR 8.500 (euro ottomila e cinquecento) a ciascun ricorrente, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
      2. EUR 4.000 (euro quattromila) congiuntamente, oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza dei summenzionati tre mesi e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  8. Respinge la domanda di equa soddisfazione formulata dai ricorrenti per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 30 marzo 2023, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Marko Bošnjak
Presidente

Cancelliere aggiunto
Liv Tigerstedt
 

APPENDICE

N.

Nominativo del ricorrente

Anno di nascita

Cittadinanza

  1.  

J.A.

1990

Tunisina

  1.  

B.B.A.

1989

Tunisina

  1.  

I.B.M.

1990

Tunisina

  1.  

M.H.

1993

Tunisina

 

1Parzialmente modificato dalla Legge 30 luglio 2002 n. 189.

2Parzialmente modificato da diverse successive misure legislative, inter alia, dal Decreto-legge 23 giugno 2011 n. 89, convertito nella legge 2 agosto 2011 n. 129, che ha attuato la Direttiva n. 115 del 2008 (si veda il paragrafo 27 infra).

3Il comma 2-bis è stato inserito dall’articolo 5-bis, comma 1, lettera a), del Decreto-legge 4 ottobre 2018 n. 113, convertito con modificazioni nella Legge 1° dicembre 2018 n. 132.

4Attuata mediante il Decreto-legge n. 89 del 2011, che ha modificato il Testo unico n. 267 del 1998.