Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 1 dicembre 2022 - Ricorso n. 14260/17 - Causa D.K. c. Italia

 

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE
CAUSA D.K. c. ITALIA
(Ricorso n. 14260/17)

SENTENZA
Art. 3 (procedurale) • Indagine effettiva condotta con diligenza dalle autorità nazionali a seguito della denuncia della ricorrente per abusi sessuali commessi da suo zio


STRASBURGO
1° dicembre 2022

Questa sentenza diverrà definitiva nelle condizioni di cui all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa D.K. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Marko Bošnjak, presidente,
Péter Paczolay,
Alena Poláčková,
Lətif Hüseynov,
Gilberto Felici,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di sezione,
Visti:
il ricorso (n. 14260/17) proposto contro la Repubblica italiana da una cittadina italiana e irlandese, la sig.ra D.K. («la ricorrente»), che il 9 febbraio 2017 ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
la decisione di portare a conoscenza del governo italiano («il Governo»), le doglianze fondate sugli articoli 3 e 8 della Convenzione,
la decisione di non divulgare l'identità della ricorrente,
le osservazioni delle parti,
la decisione del governo irlandese di non avvalersi del suo diritto di intervenire nel procedimento (articolo 36 § 1 della Convenzione).
Dopo aver deliberato in camera di consiglio l’8 novembre 2022,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. La causa riguarda la doglianza della ricorrente, formulata in base all'articolo 3 della Convenzione, secondo la quale le autorità non hanno condotto un'indagine effettiva sugli abusi sessuali che l'interessata avrebbe subìto da parte di suo zio.

IN FATTO

  1. La ricorrente è nata nel 1963 e risiede a Genova. È rappresentata dall’avvocato L. Picotti.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia, avvocato dello Stato.
  3. La ricorrente sostiene che, tra il 1974 e il 1987, lei e sua sorella subirono degli abusi sessuali da parte dello zio, V.S. Gli abusi in questione avvenivano nella casa di quest'ultimo, quando i genitori della ricorrente erano al lavoro, e successivamente nello studio legale di quest'ultimo, dove l'interessata aveva cominciato a lavorare quando aveva sedici anni. Le violenze sessuali denunciate dalla ricorrente si sarebbero verificate fino al 1984 quando, all'età di ventuno anni, quest’ultima si dimise e si trasferì in un'altra città.
  4. La ricorrente spiega che era completamente dipendente da suo zio e provava un forte senso di colpa per le azioni che subiva. Non si era confidata con nessuno. Nel 1987 si confidò con L.B. che riferì i fatti a sua madre. In quella circostanza, anche sua sorella rivelò le violenze che essa stessa aveva subito.
  5. Nel 1997, durante un soggiorno in Irlanda, la ricorrente e sua sorella iniziarono a seguire un percorso terapeutico con uno psichiatra specializzato nelle questioni di abusi sessuali. In quel momento, si resero conto di essere state vittime dei comportamenti del loro zio.
  6. Nel 1998 consultarono un avvocato, il quale consigliò di tentare inizialmente di risolvere la questione in via amichevole. Il 30 marzo 1998 fu inviata una lettera a V.S.
  7. L'avvocato di quest'ultimo rispose oralmente alla lettera chiedendo che venisse fornita documentazione in merito ai fatti denunciati dalla ricorrente e da sua sorella, e di formulare una proposta transattiva. Tuttavia, non fu raggiunto alcun accordo e la proposta di composizione amichevole non fu firmata.
  8. Il 5 febbraio 1999 la ricorrente depositò una denuncia penale. Sua sorella fece lo stesso il 3 giugno 1999.
  9. Fu avviata un’indagine preliminare. La perizia dello psicologo M. fu inserita nel fascicolo, e furono sentite la madre della ricorrente e sua sorella.
  10. Il 12 luglio 1999, al momento della presentazione della denuncia, il procuratore richiese l'archiviazione del caso, ritenendo che la denuncia fosse tardiva. La richiesta del procuratore era così formulata:
    «(...) Dalle dichiarazioni rese dalle querelanti, dalla relazione del dottor M. e dalla versione dei fatti fornita dalla madre delle stesse emergono gravi indizi in ordine alla responsabilità di V.S. L’atteggiamento di silenzio serbato da queste ed il ritardo nella reazione appaiono del tutto compatibili con la particolare natura dei reati e con le gravi conseguenze che questi causano a livello psicologico. (...)
    Le condotte denunciate sono sicuramente tali da integrare i reati di cui agli articoli 81 e 519 del codice penale ai danni di D.K., e di cui agli articoli 81 e 521 del codice penale ai danni di F.K. Si tratta di rapporti sessuali inizialmente imposti a bambine in tenera età, e quindi rientranti nella previsione di cui all'articolo 519, secondo comma, del codice penale, e poi proseguiti con modalità tali da integrare il costringimento di cui alla norma incriminatrice (minaccia costituita dal rapporto di sudditanza psicologica [della ricorrente e di sua sorella] nei confronti di V.S., rapporto ormai stabilizzatosi proprio a seguito degli abusi commessi) anche quando le vittime hanno superato l’età dei sedici anni. Si noti che dalla descrizione dei fatti fornita emerge l’affidamento da parte della madre allo zio per ragioni di vigilanza ed educazione.
    (...) La prescrizione non è ancora maturata per il reato di cui all’articolo 521 del codice penale commesso ai danni di D.K. (gli ultimi abusi sono stati commessi sino al termine del 1984).
    I reati, tuttavia, risultano improcedibili per mancanza di querela:
    Il vecchio articolo 542 del codice penale richiedeva la presentazione di querela: questa avrebbe dovuto essere proposta o dalle interessate nei tre mesi dopo il raggiungimento della loro maggiore età, o dai genitori nei tre mesi dalla conoscenza del fatto, sempre che questa conoscenza fosse intervenuta quando le vittime erano ancora minori.
    Anche a ritenere applicabile al caso di specie la nuova norma processuale di cui all'articolo 609, comma 2, che prevede un ampliamento dei casi di perseguibilità di ufficio del reato, è da rilevare che al più solo le condotte consumate sino al compimento dei 18 anni delle vittime potrebbero ritenersi perseguibili di ufficio (potendosi ipotizzare un affidamento da parte dei genitori allo zio non oltre il compimento di tale età da parte delle ragazze). Sicché, anche secondo la nuova disciplina processuale, il termine per la querela è ampiamente decorso.»
  11. Secondo il procuratore, il reato punito dall'articolo 586 del codice penale non era procedibile d’ufficio.
  12. Tre anni dopo, e precisamente il 15 gennaio 2003, il giudice per le indagini preliminari (di seguito il «GIP») dispose l’archiviazione del procedimento.
  13. Il 29 aprile 2005 la ricorrente e sua sorella intentarono un’azione civile contro V.S., e chiesero il risarcimento dei danni.
  14. Con sentenza del 10 dicembre 2007 il tribunale di Genova respinse le domande della ricorrente e di sua sorella ritenendo che l’azione fosse prescritta.
  15. La ricorrente e sua sorella interposero appello avverso questa sentenza. Con sentenza non definitiva del 13 febbraio 2010 la corte d’appello respinse l’eccezione di prescrizione formulata da V.S e dispose l’audizione dei testimoni.
  16. Con sentenza del 1° agosto 2013, la corte d’appello respinse le domande risarcitorie della ricorrente e di sua sorella ritenendo che non fosse stata raggiunta la prova degli abusi sessuali commessi da V.S. Essa sottolineò che le dichiarazioni delle due querelanti non erano attendibili in ragione del tempo trascorso tra la fine dei presunti abusi commessi da V.S e il deposito della denuncia penale. Inoltre, le dichiarazioni dei testimoni, trattandosi di testimoni de relato che avevano ricevuto le confidenze delle querelanti all’epoca dei fatti, non potevano dimostrare la veridicità delle accuse. In particolare, la corte d’appello ritenne che le dichiarazioni rese dalla ricorrente e da sua sorella nel corso del procedimento non potessero essere le uniche prove su cui fondare la decisione. In merito alle altre prove raccolte, la corte d’appello si espresse come segue:
    «Tali elementi, anche complessivamente considerati, non sono idonei al raggiungimento della prova, perché le loro intrinseche singole debolezze non sono superabili dalla disamina del complesso, per la non univocità anche di esso, derivante dal fatto che sempre si torna alle dichiarazioni delle attrici e all'attendibilità di esse, non corroborata da elementi di riscontro, obiettivi, ma dalla mera opinione dello psicologo curante, e che soltanto su tali dichiarazioni di parte e opinione si basano le conformi dichiarazioni e opinioni successive documentate in atti, di modo che, anche complessivamente considerate, le risultanze istruttorie sono insufficienti per la prova dei fatti posti a fondamento della domanda.»
  17. La ricorrente e sua sorella proposero ricorso per cassazione.
  18. Con sentenza del 9 agosto 2016 la Corte di cassazione respinse il loro ricorso ritenendo che la corte d’appello avesse motivato in modo logico e corretto tutti i punti controversi.
  19. In particolare, essa rammentò che le dichiarazioni rese dalla ricorrente e da sua sorella erano state incluse negli elementi di prova esaminati, di cui addirittura costituivano la parte fondamentale e che, ad ogni modo, tali dichiarazioni erano state considerate poco attendibili.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI PERTINENTI

I. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI

A. Il codice penale

1. Le disposizioni del codice penale all’epoca dei fatti

  1. Gli articoli 519, 521 e 542 del codice penale, nella versione in vigore all’epoca dei fatti, erano così formulati:

Articolo 519

«Chiunque, con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale è punito con la reclusione da tre a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi si congiunge carnalmente con persona la quale al momento del fatto:

  1. non ha compiuto gli anni quattordici;
  2. non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole ne è l'ascendente o il tutore, ovvero è un'altra persona a cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, d'istruzione, di vigilanza o di custodia;

(...)»

Articolo 521
Atti di libidine violenti

«Chiunque, usando dei mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, commette su taluno atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale soggiace alle pene stabilite nei detti articoli ridotte di un terzo. Alle stesse pene soggiace chi, usando dei mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, costringe o induce taluno a commettere gli atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri.»

Articolo 542
Querela dell’offeso

«I delitti preveduti dal capo primo [il capo I del libro IX del codice penale relativo ai delitti contro la libertà sessuale, inclusi gli articoli 519 e 521] e dall'articolo 530 sono punibili a querela della persona offesa. La querela proposta è irrevocabile.
Si procede tuttavia d'ufficio:

  1. se il fatto è commesso dal genitore o dal tutore, ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio;
  2. se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.»
     
  1. L’articolo 81 è così formulato:

Articolo 81
Reato continuato

«È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge.
Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.
Nei casi preveduti da quest'articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti.
(...)»

  1. L'articolo 124 è così formulato:

Articolo 124
Termine per proporre la querela

Salvo che la legge disponga altrimenti, il diritto di querela non può essere esercitato, decorsi tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato.
(...)»

2. La legge n. 66 del 15 febbraio 1996 e le riforme successive

  1. La legge n. 66 del 1966 contro la violenza sessuale, in particolare, ha abrogato il capo I del titolo IX del codice penale relativo ai delitti contro la libertà sessuale. I reati contro la libertà sessuale, considerati fino ad allora «delitti contro la moralità pubblica e il buon costume» sono considerati «delitti contro la persona».
  2. Ai sensi degli articoli 609 bis e 609 octies del codice penale, le violenze sessuali raggruppano tutti gli atti a sfondo sessuale commessi da una o più persone che costringono, tramite violenza, minaccia o abuso di autorità, una persona a compiere tali atti, o che abusano dello stato di inferiorità fisica o psichica della vittima o la traggono in inganno per essersi sostituite ad altra persona.
  3. L’articolo 609 quater, intitolato «atti sessuali con minorenne», è essenzialmente il risultato di tre interventi legislativi su un periodo di circa sedici anni, vale a dire la legge n. 66 del 1996, che ha inserito nel codice penale il delitto di atti sessuali con minorenne, la legge n. 38 del 2006, che ha sostituito il numero 2) del primo comma dell’articolo sopra menzionato, e infine la legge n. 172 del 2012, che ha ratificato la Convenzione di Lanzarote.
    Secondo l’articolo 609 quater, soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609 bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto:
    1. non ha compiuto gli anni quattordici;
    2. non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo, una relazione di convivenza.
      Fuori dei casi previsti dall’articolo 609 bis, l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza, che, con l’abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni.
      Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, chiunque compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni quattordici, abusando della fiducia riscossa presso il minore o dell’autorità o dell’influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualità o dell’ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità, è punito con la reclusione fino a quattro anni.
  4. Secondo l’articolo 609 septies, i delitti previsti dagli articoli 609 bis e 609 ter sono punibili a querela della persona offesa. Salvo quanto previsto dall'articolo 597, terzo comma, il termine per la proposizione della querela era di sei mesi. La querela proposta è irrevocabile.
    Si procede tuttavia d'ufficio:
    1. se il fatto di cui all'articolo 609 bis è commesso nei confronti di persona che al momento dei fatti non ha compiuto gli anni diciotto;
    2. se il fatto è commesso dall'ascendente, dal genitore, anche adottivo o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona a cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza;
    3. se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni;
    4. se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.
  5. La legge n. 69 del 19 luglio 2019, detta «codice rosso», ha aumentato le pene e ha previsto un'estensione del periodo durante il quale la persona offesa può presentare una querela (il termine è passato da sei mesi a dodici mesi). La misura ha previsto anche delle circostanze aggravanti quando la violenza sessuale è commessa su minorenni: il reato di atti sessuali con minorenne (articolo 609 quater del codice penale) è inasprito con circostanze aggravanti (pena aumentata fino a un terzo) quando gli atti sono commessi su minori di quattordici anni, in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, pure solo promessa. Per tale reato si procede anche d’ufficio.

B. Il codice di procedura penale

  1. Quanto al rapporto tra processo civile e processo penale, il sistema interno si basa sul principio di autonomia dell'azione di responsabilità civile dinanzi alla giurisdizione civile e su quello dell'accessorietà dell'azione civile nel processo penale. La persona che si ritiene vittima di un reato può scegliere tra l'azione di risarcimento dinanzi al giudice civile o la costituzione di parte civile nell'ambito del processo penale. Nel primo caso, l'articolo 75 del codice di procedura penale (di seguito il «CPP») indica che il processo civile continua parallelamente a quello penale a meno che l'azione di risarcimento sia stata iniziata dopo la costituzione di parte civile o dopo che il giudice penale abbia emesso una sentenza di merito. In questi casi, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia penale definitiva ad eccezione dei casi di: morte dell'imputato (articolo 69 del CPP); sospensione del processo penale per incapacità temporanea, fisica o mentale, dell'imputato (articolo 71 del CPP); esclusione della parte civile dal processo penale (articoli 80 e 88 del CPP); revoca della costituzione di parte civile (articolo 82 del CPP); rifiuto della parte civile di accettare lo svolgimento del giudizio abbreviato (articolo 441 del CPP); applicazione della pena su richiesta (patteggiamento – articolo 444 del CPP). Inoltre, l'articolo 652 del CPP dispone che la sentenza penale di assoluzione non ha efficacia di giudicato nel processo civile se il danneggiato ha esercitato l'azione davanti al giudice civile ai sensi dell'articolo 75, comma 2, del CPP.

C. La giurisprudenza della Corte di cassazione

  1. La Corte di cassazione ha emesso in questa materia la seguente sentenza, di cui vengono riportati gli estratti ufficiali pertinenti.

Sentenza n. 2733 dell’8 luglio 1997

«Il regime di procedibilità d'ufficio per i reati di violenza sessuale previsto dall'articolo 609 septies del codice penale, introdotto dalla legge n. 66 del 15 febbraio 1996, non può produrre effetti sui fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Il problema dell'applicabilità dell'articolo 2 del codice penale [successione di norme penali], in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilità a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto, che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità (...)».

II. IL DIRITTO INTERNAZIONALE

  1. Gli strumenti internazionali in vigore al momento dei fatti erano i seguenti:

A. Il quadro delle Nazioni Unite

  1. La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (CRC), o Convenzione sui diritti de fanciullo, adottata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dalla quasi totalità degli Stati membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, ha lo scopo di riconoscere e proteggere i diritti specifici dei bambini, estendendo a questi ultimi il concetto di diritti umani previsto dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.
  2. Le disposizioni pertinenti della CRC sono così formulate:

Articolo 3

«1. In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.
(...)»

Articolo 19

«1. Gli Stati parte adottano ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale, per tutto il tempo in cui è affidato all’uno o all’altro, o a entrambi, i genitori, al suo tutore legale (o tutori legali), oppure a ogni altra persona che abbia il suo affidamento.

2. Le suddette misure di protezione comporteranno, in caso di necessità, procedure efficaci per la creazione di programmi sociali finalizzati a fornire l’appoggio necessario al fanciullo e a coloro ai quali egli è affidato, nonché per altre forme di prevenzione, e ai fini dell’individuazione, del rapporto, dell’arbitrato, dell’inchiesta, della trattazione e dei seguiti da dare ai casi di maltrattamento del fanciullo di cui sopra; esse dovranno altresì includere, se necessario, procedure di intervento giudiziario.»

  1. Il Comitato dei diritti del fanciullo controlla l’applicazione della suddetta convenzione. Nella sua Osservazione generale n. 13 del 18 aprile 2011 intitolata «Il diritto del minore alla libertà da ogni forma di violenza» e motivata dal fatto che «la portata e l’intensità della violenza esercitata sui minori hanno raggiunto un livello allarmante», il Comitato ha espresso i seguenti rilievi in merito all’articolo 19 della CRC:
    • l’articolo 19 § 1 vieta ogni forma di violenza, comprese le vessazioni e i soprusi fisici da parte di adulti o di altri minori;
    • le violenze sessuali comprendono tutte le attività sessuali imposte da un adulto a un minore, o «commesse contro un bambino da un altro bambino, se l’autore dei fatti è sensibilmente maggiore di età rispetto alla vittima o fa uso del suo potere, di minacce o di altri mezzi di pressione»;
    • l’articolo 19 § 1 vieta la «creazione, distribuzione, visione, possesso o pubblicizzazione di fotografie (…) e di video di bambini e bambine che siano indecenti»;
    • l’articolo 19 § 2 impone delle misure di individuazione e segnalazione della violenza, di indagine e di intervento giudiziario
       
  2. Per quanto riguarda le indagini, l’Osservazione generale n. 13 dispone quanto segue:

«Le indagini relative a casi di violenza segnalati dal minore, da un rappresentante o da un terzo devono essere condotte da professionisti qualificati che abbiano ricevuto una formazione completa e specifica per le loro funzioni e basarsi su un approccio fondato sui diritti del minore e adeguato ai loro bisogni. L’adozione di procedure rigorose ma adeguate ai minori facilita l’individuazione dei casi di violenza e l’apporto di elementi di prova per i procedimenti amministrativi, civili e penali e per le procedure di protezione del minore. È opportuno dimostrare un’estrema prudenza per evitare di esporre il minore a un nuovo pregiudizio durante l’indagine. A tale scopo, tutte le parti sono tenute a chiedere l’opinione del minore e a dare alla stessa tutto il peso necessario
L’osservazione generale precisa che l’intervento giudiziario può includere dei procedimenti penali, «che devono essere rigorosamente applicati per porre fine alla prassi generalizzata dell’impunità de jure o de facto, in particolare degli attori statali».

B. Il quadro del Consiglio d’Europa

1. La Carta sociale europea

36. L’articolo 7 della Carta sociale europea (adottata nel 1961 e riveduta nel 1996) prevede che i bambini e gli adolescenti abbiano diritto a una protezione speciale contro i pericoli fisici e morali ai quali sono esposti. L’articolo 17 della Carta sociale riveduta assicura il diritto dei bambini e degli adolescenti a una tutela sociale, giuridica ed economica. Il paragrafo 1 b) di tale disposizione impone, in particolare, di adottare tutte le misure necessarie e appropriate per proteggerli dalla negligenza, dalla violenza o dallo sfruttamento.

2. La Convenzione di Lanzarote

  1. La Corte rinvia ai testi menzionati nelle sentenze A e B c. Croazia (n..7144/15, §§ 77-83, 20 giugno 2019) e X e altri c. Bulgaria ([GC], n. 22457/16, §§ 123-134, 2 febbraio 2021), soprattutto alla Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali (detta «Convenzione di Lanzarote») che, in particolare, esige la criminalizzazione di tutte le forme di sfruttamento e di abusi sessuali nei confronti dei minori (articoli 18-24) e l’adozione di misure volte a fornire assistenza alle vittime. La Convenzione di Lanzarote formula anche delle esigenze che le indagini e i procedimenti penali avviati per tali fatti devono soddisfare. L’Italia ha depositato lo strumento di ratifica della Convenzione di Lanzarote il 3 gennaio 2013, e quest’ultima è entrata in vigore, per questo paese, il 1° maggio 2013.
  2. Le disposizioni della Convenzione di Lanzarote riguardanti l’avvio dei procedimenti e la prescrizione dei reati sessuali su minori sono le seguenti:

Articolo 32 – Avvio del procedimento

«Ogni Parte adotterà le misure legislative o di altra natura necessarie per accertarsi che le indagini o i procedimenti penali per i reati previsti ai sensi della presente Convenzione non siano subordinati a un’accusa o una denuncia presentata dalla vittima e che il procedimento possa continuare anche se la vittima dovesse ritrattare l’accusa.»

Articolo 33 – Prescrizione

«Ogni Parte adotterà le misure legislative o di altra natura necessarie per garantire che il termine di prescrizione per intentare un’azione penale relativa ai reati stabiliti conformemente agli articoli 18, 19, paragrafi 1.a) e b), e 21, paragrafi 1.a) e 1.b), sia prolungato per un periodo di tempo sufficiente per consentire l’avvio effettivo del procedimento penale dopo che la vittima ha raggiunto la maggiore età, e sia di durata proporzionata alla gravità del reato in questione.»

III. IL DIRITTO COMPARATO

39. La Corte ha ritenuto utile condurre uno studio comparativo sugli aspetti del diritto e della prassi interni pertinenti per l'oggetto della presente causa per quanto riguarda i reati di abuso sessuale nei confronti dei minori durante il periodo 1974-1984 in trentaquattro Stati contraenti1 , e anche per quanto riguarda il periodo precedente all'entrata in vigore della Convenzione di Lanzarote.

A. Il periodo 1974 – 1984

  1. Durante tale periodo, in poco più della metà degli Stati oggetto della ricerca (almeno l’Albania, la Germania [*la Repubblica federale tedesca prima della riunificazione], il Belgio, la Francia, il Liechtenstein, il Lussemburgo, la Norvegia, la Romania, la Croazia, la Macedonia del Nord, la Serbia, la Slovenia e il Montenegro [*che allora facevano parte, tutte e cinque, della Jugoslavia], la Repubblica ceca e la Slovacchia [*che allora formavano la Cecoslovacchia], la Repubblica di Moldavia e l'Ucraina [*che allora facevano parte entrambe dell'URSS], nonché nei tre paesi baltici [*che allora rientravano de facto nell'URSS]), già non era necessario che la vittima o il suo rappresentante presentasse una denuncia ufficiale per avviare un'indagine o un'azione penale per tutti o quasi tutti i reati a sfondo sessuale commessi su un minore, poiché le autorità avevano il potere di farlo d'ufficio.
  2. Per quanto riguarda il termine di prescrizione per questa categoria di reati, la maggioranza assoluta degli Stati fissava la data di inizio del termine di prescrizione alla maggiore età della vittima, vale a dire ai suoi diciotto anni, o a un'età più avanzata, fino ai suoi trentacinque anni, o decretava che tale termine non poteva scadere prima che la vittima non avesse raggiunto una certa età (cinque Stati). Inoltre, sette Stati avevano reso imprescrivibili tutti o alcuni dei reati in questione. D'altra parte, solo tre Stati continuano a fissare la decorrenza del termine di prescrizione dal momento in cui il reato è commesso. Infine, in almeno dodici Stati, l'entrata in vigore della Convenzione di Lanzarote ha comportato una modifica più o meno importante delle disposizioni materiali dei rispettivi codici penali di questi Stati.
  3. Nella ex-Unione Sovietica (ai fini della ricerca, la Repubblica di Moldavia, e l'Ucraina, nonché, de facto, la Lituania, la Lettonia e l'Estonia), il deposito della denuncia da parte della vittima era richiesto solo in caso di stupro commesso nei confronti di una donna senza circostanze aggravanti, il che escludeva lo stupro di una minore e qualsiasi altro reato sessuale commesso sui minori (di entrambi i sessi). In Albania, conformemente al codice di procedura penale in vigore tra il 1953 e il 1980, la presentazione di una denuncia era necessaria per avviare un'indagine su un reato a sfondo sessuale commesso su un minore. Tuttavia, il nuovo codice di procedura penale, entrato in vigore nel 1980, conferì alla procura il diritto di ordinare d'ufficio un'indagine e di indagare su tutti i reati di questo tipo.
  4. Tra gli altri Stati (poco meno della metà) che richiedevano la presentazione di una denuncia ufficiale per avviare un'indagine o un'azione penale, almeno otto Stati potevano essere classificati in una categoria specifica, quella in cui la regola generale richiedeva la presentazione di una denuncia, ma in cui l’avvio d’ufficio dell’azione penale poteva essere disposto in un numero non trascurabile di casi (anziché costituire una semplice eccezione). Si trattava di Grecia, Ungheria, Spagna, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e San Marino. A Malta, l'avvio dell’azione penale per qualsiasi reato a sfondo sessuale commesso su un minore (compreso lo stupro) richiedeva la presentazione della denuncia della vittima o del suo rappresentante legale, con due eccezioni: 1) in caso di stupro, sequestro o aggressione sessuale, commessi con «violenza pubblica» o comunque turbando l'ordine pubblico, o 2) in caso di abuso della responsabilità genitoriale o di quella del tutore, anche in caso di corruzione o di prostituzione di un minore. In Ungheria era necessario presentare una denuncia per poter avviare un'indagine sugli abusi sessuali commessi su un minore, a meno che non vi fossero circostanze aggravanti.
  5. In Grecia, tra il 1974 e il 1984, la presentazione di una denuncia, condizione preliminare per l'apertura di un'indagine per tutti i reati a sfondo sessuale – anche se la vittima era minorenne –, dipendeva non dall'età ma dal sesso della vittima. Se la vittima era di sesso femminile, la presentazione della denuncia da parte di quest'ultima (o da uno o entrambi i suoi genitori nel caso di vittime minorenni) era una condizione preliminare per l'avvio dell’azione penale. Tuttavia, tra il 1960 e il 1976, esisteva un'eccezione alla regola sopra citata: anche se la vittima di un reato sessuale era una donna o una ragazza, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di primo grado aveva l'obbligo di avviare l’azione penale se il reato aveva «fatto scandalo o destato la curiosità comune». Invece, se la vittima era di sesso maschile, il procuratore aveva l'obbligo di ordinare d'ufficio un'indagine da parte della polizia o di un magistrato e poi, se del caso, formulare un’imputazione contro l'autore del reato. Nel 1984 questa differenza basata sul sesso fu abolita e la presentazione di una denuncia da parte della vittima (o da parte dei suoi genitori in caso di minore età) divenne una condizione preliminare affinché il procuratore avviasse un'azione penale, indipendentemente dal fatto che la vittima fosse un uomo o una donna e a prescindere dalla sua età. Tuttavia, vi erano due eccezioni: questa condizione non si applicava al reato di stupro (articolo 344 del codice penale greco) né al reato di adescamento di bambini (minori di dodici anni) a fini sessuali (articolo 337), per i quali il procuratore aveva il diritto e l'obbligo di ordinare d'ufficio l'apertura di un'indagine.

B. Il periodo che va dal 1984 all’entrata in vigore della Convenzione di Lanzarote

  1. Per quanto riguarda questo periodo, l'apertura d'ufficio di un'indagine per tutti i tipi di abusi sessuali su minori era la norma nella maggioranza assoluta degli Stati, e solo sei Stati richiedevano la presentazione di una denuncia da parte della vittima o del suo rappresentante legale. Dopo l'entrata in vigore della Convenzione di Lanzarote, solo uno Stato (San Marino) ha continuato a richiedere fino al 2016 (avendo la legge n. 57 del 6 maggio 2016 previsto l’avvio d’ufficio delle indagini), come regola generale, la presentazione di una denuncia.
  2. Inoltre, per quanto riguarda il termine di prescrizione per questa categoria di reati, la maggioranza assoluta degli Stati oggetto dello studio fissava la data in cui iniziava a decorrere il termine di prescrizione al raggiungimento della maggiore età della vittima, vale a dire ai suoi diciotto anni (sedici Stati) o a un'età più avanzata, fino ai trentacinque anni, o decretava che tale termine non poteva scadere prima che la vittima avesse raggiunto una certa età (cinque Stati). Inoltre, sette Stati avevano reso imprescrivibili tutti o alcuni reati in questione. D'altra parte, solo tre Stati continuano a fissare l’inizio della decorrenza del termine di prescrizione al momento in cui il reato è commesso.
  3. In almeno dodici Stati, l'entrata in vigore della Convenzione di Lanzarote ha comportato una modifica più o meno importante delle norme sostanziali dei rispettivi codici penali. In particolare, in Francia, il termine di prescrizione del reato di stupro e dei reati di aggressione sessuale e di violenza sessuale su minore, introdotto dalla legge n. 2018-703 del 3 agosto 2018 che rafforza la lotta contro la violenza sessuale e sessista, resta di trenta anni per lo stupro e l’istigazione alla prostituzione di minori di 15 anni o meno, e di dieci anni per l'aggressione sessuale e la violenza sessuale a partire dalla maggiore età della vittima. Quando l'aggressione sessuale o la violenza sessuale è commessa su un minore di quindici anni, il termine di prescrizione è portato a venti anni a decorrere dalla maggiore età della vittima. Inoltre, dopo l’entrata in vigore della legge del 21 aprile 2021 volta a proteggere i minori da crimini e delitti sessuali e dall'incesto, il termine di prescrizione è più lungo in caso di mancata denuncia di aggressione sessuale su minori. È portato a 10 anni per le aggressioni sessuali e a 20 anni per gli stupri.

IN DIRITTO

SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 3 E 8 DELLA CONVENZIONE

  1. La ricorrente sostiene di essere stata vittima, insieme a sua sorella, di violenze sessuali da parte del loro zio quando erano minorenni, e che le autorità interne sono venute meno al loro obbligo positivo di garantire la sua integrità fisica e psicologica. Essa invoca gli articoli 3 e 8 della Convenzione.
  2. La Corte rammenta di essere libera di qualificare giuridicamente i fatti e di non essere vincolata dalla qualificazione attribuita loro dai ricorrenti (si veda, in particolare, Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 126, 20 marzo 2018). Nel caso di specie, essa ritiene più appropriato esaminare la doglianza formulata dalla ricorrente unicamente sotto il profilo dell'articolo 3 della Convenzione (si veda, per un approccio simile, X e altri c. Bulgaria [GC], n. 22457/16, § 149, 2 febbraio 2021). Tale disposizione è formulata come segue:

Articolo 3

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»

A. Sulla ricevibilità

  1. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per uno degli altri motivi di cui all'articolo 35 della Convenzione, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

a) La ricorrente

  1. La ricorrente rammenta che, nonostante nel 1996 sia stata introdotta una nuova legge in materia di abusi sessuali, che prevede che la procura avvii d'ufficio l’azione penale se le vittime sono dei minorenni, non è stato previsto alcun regime transitorio per proteggere le vittime di abusi sessuali commessi prima dell'entrata in vigore di questa nuova legge.
  2. In effetti, secondo la legge applicabile al momento dei fatti, la denuncia avrebbe dovuto essere presentata nei tre mesi successivi alla commissione dei fatti. Ciò non è stato possibile nel caso della ricorrente, in quanto quest’ultima ha preso coscienza delle violenze che ha subìto soltanto dopo un lungo lavoro di psicoterapia iniziato nel 1997.
  3. L'interessata lamenta di essere stata privata di una risposta indispensabile riguardo ai reati commessi, e sostiene che le autorità sono venute meno al loro obbligo positivo di salvaguardare i suoi diritti fondamentali.
  4. Inoltre, rammenta di essere stata doppiamente vittima di V.S. perché erano i suoi genitori ad affidarla a costui e, in ogni caso, questi ultimi avrebbero dovuto sporgere denuncia a suo nome.
  5. Il rifiuto di tale protezione ha aggravato la sua sofferenza e la sua frustrazione ed ha causato danni e vittimizzazione secondaria, rendendo così più difficile il percorso di guarigione.
  6. Inoltre, la ricorrente rammenta che, per quanto riguarda il principio di irretroattività in materia penale, la Corte ha affermato che le norme sulla retroattività contenute nell'articolo 7 della Convenzione si applicano solo alle disposizioni che definiscono i reati e le pene che li puniscono. Infatti, la Corte ha ritenuto ragionevole l'applicazione, da parte dei giudici interni, del principio tempus regit actum per quanto riguarda le leggi procedurali (Mione c. Italia (dec.), n. 7856/02, 12 febbraio 2004 e Rasnik c. Italia (dec.), n. 45989/06, 10 luglio 2007; si veda anche Martelli c. Italia (dec.), n. 20402/03, 12 aprile 2007, e Coëme e altri c. Belgio, nn. 32492/96 e altri 4, §§ 147-149, CEDU 2000-VII). Di conseguenza, la ricorrente sostiene che l'articolo 609 septies è un articolo di natura procedurale poiché introduce la possibilità di perseguire ex officio i reati sessuali contro i minori, per i quali era necessario sporgere denuncia.
  7. Secondo l'interessata, il problema deriva dall'assenza di disposizioni transitorie nella legge n. 66 del 1996, che avrebbero dovuto prevedere espressamente la procedibilità d'ufficio anche per i reati commessi anteriormente a questa legge, il che non sarebbe stato contrario all'articolo 7 della Convenzione e avrebbe protetto più efficacemente le vittime di abusi.
  8. Per quanto riguarda il lungo ritardo con cui il GIP ha archiviato il procedimento, la ricorrente rammenta che questo ritardo ha avuto delle ripercussioni sulla sua vita, e che nel frattempo alcuni testimoni sono deceduti. Inoltre, la stessa rammenta che il GIP ha ritardato e compromesso in modo ingiustificabile la possibilità di ottenere una risposta dalla giustizia italiana, pregiudicando in tal modo anche l'azione civile.
  9. Quanto al procedimento civile e al rigetto delle domande di risarcimento, la ricorrente ritiene che le uniche prove reali degli abusi (le dichiarazioni rese da lei e da sua sorella) siano state ignorate dai giudici.

b) Il Governo

  1. Il Governo sostiene che il procuratore di Genova ha svolto un'indagine completa: ha sentito la ricorrente e sua sorella e ha inserito nel fascicolo le perizie eseguite dal dottor M., specialista in questioni di abusi sessuali sui minori. Esso ritiene che non vi sia stata alcuna negligenza nello svolgimento dell'indagine penale.
  2. Il Governo rammenta che il nuovo articolo 609 septies non poteva essere applicato nel caso di specie a causa del principio di divieto della retroattività penale. Si tratta di un principio contenuto anche nell'articolo 7 della Convenzione, al quale non si può derogare, neppure in caso di urgenza.
  3. Il Governo rammenta che, nella causa Scoppola c. Italia (n. 2) ([GC], n. 10249/03, 17 settembre 2009), la Corte ha affermato che l'articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale è una disposizione di diritto penale sostanziale che riguarda la severità della pena da infliggere in caso di condanna secondo il rito abbreviato. Tale disposizione non deve essere applicata retroattivamente.
  4. Esso sottolinea che, anche volendo ritenere che l'articolo 609 septies del codice penale possa essere applicato retroattivamente, la Corte di cassazione ha comunque affermato, nella sua sentenza n. 2733 dell'8 luglio 1997, che tale articolo, introdotto dalla legge n. 66 del 15 febbraio 1996, che prevedeva un sistema di procedibilità d'ufficio per i reati di violenza sessuale, non poteva essere applicato ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore di detta legge. Di conseguenza, nel caso di specie, il procuratore ha correttamente richiesto l'archiviazione del caso in ragione della presentazione tardiva della denuncia. Ciò è conforme al principio di legalità.
  5. Quanto al ritardo con cui il GIP ha archiviato il procedimento, il Governo sostiene che tale ritardo non ha avuto alcun effetto sulla ricorrente, dato che l'azione civile è stata intentata due anni dopo l'archiviazione dell'indagine penale. Questo ritardo non è dovuto a una colpa o a una negligenza imputabile allo Stato italiano, ma è il risultato di una riorganizzazione normale e corretta dell'ordine procedurale e della scelta del GIP di trattare in via prioritaria i casi sufficientemente documentati.
  6. Per quanto riguarda il rigetto della domanda d'indennizzo presentata dalla ricorrente, il Governo sostiene che si tratta di una doglianza di quarto grado. In particolare, esso ha ribadito che le dichiarazioni rese dall'interessata e da sua sorella erano incluse negli elementi di prova valutati, di cui addirittura costituivano la parte fondamentale, e ha ritenuto che tali dichiarazioni, in ogni caso, fossero poco attendibili.

2. Valutazione della Corte

  1. La Corte rinvia ai principi generali applicabili in questa materia, enunciati nella causa M.C. c. Bulgaria (n. 39272/98, §§ 149-152, CEDU 2003-XII) e, più recentemente, nella causa X e altri c. Bulgaria ([GC], n. 22457/16, §§ 176-178 e 184-192; 2 febbraio 2021). Per quanto riguarda più precisamente l'obbligo procedurale di condurre un'indagine effettiva, essa rammenta che, quando una persona lamenta in maniera difendibile di essere stata vittima di atti contrari all'articolo 3 della Convenzione, le autorità nazionali devono condurre un'indagine ufficiale effettiva che permetta di accertare i fatti e, all’occorrenza, di individuare e punire le persone responsabili (ibidem, § 184). Inoltre, la Corte ribadisce che l'obbligo procedurale di condurre un'indagine effettiva derivante dall'articolo 3 della Convenzione deve essere interpretato, quando sono potenzialmente in gioco degli abusi sessuali su minori, alla luce degli obblighi derivanti da altri strumenti internazionali applicabili.
  2. Per quanto riguarda il caso di specie, la Corte rileva che le accuse di stupro e di aggressione sessuale che avrebbe subìto la ricorrente sono sufficientemente gravi per rientrare nell’ambito di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione (si confronti con X e altri c. Bulgaria, sopra citata, § 193). Tenuto conto della relazione psicologica redatta dal dottor M., specialista in questioni di abusi sessuali su minori, e delle conclusioni della procura secondo le quali vi erano seri indizi che lasciavano pensare che V.S. avesse imposto dei rapporti sessuali alla ricorrente e a sua sorella, la Corte ritiene che tali accuse fossero difendibili e che spettasse pertanto alle autorità nazionali condurre un'indagine sufficientemente approfondita per chiarire tutte le circostanze della causa (ibidem, §§ 201 e 213).
  3. La Corte rammenta che, all'epoca dei fatti, dopo aver condotto un'indagine, le autorità hanno archiviato la querela della ricorrente perché era stata presentata tardivamente (paragrafo 13 supra).
  4. Essa osserva che il diritto penale vietava gli abusi sessuali denunciati dalla ricorrente e prevedeva che i responsabili fossero perseguiti penalmente (paragrafo 21 supra). In effetti, le querele dell'interessata e di sua sorella hanno dato luogo, nonostante il tempo trascorso, all'avvio di un'indagine penale ai sensi delle pertinenti disposizioni del codice penale in vigore all'epoca dei fatti. Quindici anni dopo i fatti, nel febbraio 1999, a seguito della querela presentata dalla ricorrente, il procuratore ha condotto un'indagine. Ha sentito l'interessata e sua sorella, nonché la loro madre, e le relazioni dello psicologo che le seguiva sono state inserite nel fascicolo.
  5. Nel luglio 1999, pur sottolineando la gravità dei fatti subiti dalla ricorrente e da sua sorella, il procuratore richiese al GIP di archiviare il procedimento (paragrafo 11 supra) in quanto la querela era tardiva (non essendo stata depositata nei tre mesi successivi al raggiungimento della maggiore età dell'interessata – paragrafo 23 supra), e la legge in vigore all'epoca dei fatti non prevedeva la possibilità di avviare un procedimento d'ufficio (paragrafo 21 supra). Con ordinanza del 15 gennaio 2003, il GIP dispose l'archiviazione del procedimento.
  6. La Corte deve quindi esaminare se l'applicazione delle disposizioni penali nella pratica sia stata così carente da costituire una violazione degli obblighi positivi dello Stato convenuto ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione, e se fosse compatibile con l'articolo 3 della Convenzione il fatto che non sia stata prevista alcuna disposizione per disciplinare l'applicazione del nuovo regime, che esonera la parte offesa dall'obbligo di sporgere denuncia, per proteggere le vittime di abusi sessuali commessi prima dell'entrata in vigore della legge del 1996.
  7. La Corte ritiene che i meccanismi penali dovrebbero essere attuati in modo da tener conto della particolare vulnerabilità della ricorrente, che sarebbe stata vittima di abusi sessuali da parte dello zio quando era minorenne (A e B c. Croazia, sopra citata, § 121).
  8. In particolare, la Corte rammenta che gli Stati hanno l'obbligo positivo, inerente agli articoli 3 e 8 della Convenzione, di adottare delle disposizioni in materia penale che sanzionino effettivamente lo stupro, e di applicarle nella pratica attraverso un'indagine e un'azione penale effettive (M.C. c. Bulgaria, sopra citata, § 153, e B.V. c. Belgio, n. 61030/08, § 55, 2 maggio 2017). Inoltre, questo obbligo positivo impone la criminalizzazione e la repressione effettiva di ogni atto sessuale non consensuale (M.G.C. c. Romania, n. 61495/11, § 59, 15 marzo 2016, e Z. c. Bulgaria, n. 39257/17, § 67, 28 maggio 2020).
  9. A tale riguardo, la Corte rammenta che, nei casi in cui dei minori sono stati potenzialmente vittime di abusi sessuali, il rispetto degli obblighi positivi derivanti dall’articolo 3 richiede, nell’ambito dei procedimenti interni avviati, che sia effettivamente data attuazione al diritto dei minori a che il loro interesse superiore prevalga, e che si tenga conto della loro particolare vulnerabilità e dei loro bisogni specifici (A e B c. Croazia, citata, § 111, e M.M.B. c. Slovacchia, n. 6318/17, § 61, 26 novembre 2019; si veda anche M.G.C. c. Romania, sopra citata, §§ 70 e 73). Oggi, queste esigenze sono enunciate anche in altri strumenti internazionali pertinenti nel caso di specie, come la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e la Convenzione di Lanzarote (paragrafi 36-38 supra).
  10. La Corte osserva che all’epoca dei fatti, le autorità hanno condotto un'indagine sufficientemente approfondita a partire dal momento in cui sono venute a conoscenza delle accuse difendibili di abusi sessuali su minori (si veda il richiamo dei principi pertinenti nella sentenza X e altri c. Bulgaria, sopra citata, § 213). Tuttavia, per quanto riguarda l’estinzione dell’azione penale, la decisione del GIP, che ha disposto l’archiviazione del procedimento per tardività della querela, ha reso impossibile continuare l’indagine sulle violenze sessuali denunciate.
  11. La Corte considera che, nella fattispecie, le autorità inquirenti hanno adottato tutte le misure che ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro e hanno esaminato con cura gli elementi di cui disponevano prima di archiviare il procedimento. Le disposizioni in materia penale in vigore all'epoca dei fatti (paragrafi 21 e 23 supra) sanzionavano effettivamente gli atti sessuali sui minori e criminalizzavano qualsiasi atto sessuale non consensuale con un minore.
  12. La Corte ha riassunto la propria giurisprudenza sull'obbligo procedurale derivante dai principi convergenti degli articoli 2, 3 e 4 della Convenzione nella causa S.M. c. Croazia ([GC] n. 60561/14, §§ 311-320, 25 giugno 2020). In particolare, essa ha rilevato che, sebbene la portata generale degli obblighi positivi che incombono allo Stato possa variare a seconda che il trattamento contrario alla Convenzione sia stato inflitto con la partecipazione di agenti dello Stato o da privati, le esigenze procedurali sono le stesse (Sabalić c. Croazia, n. 50231/13, § 96, 14 gennaio 2021). In particolare, le autorità hanno l'obbligo di agire non appena viene presentata una denuncia ufficiale. Tuttavia, anche in assenza di una espressa denuncia, deve essere condotta un'indagine se esistono altri indizi sufficientemente chiari che portano a pensare che si siano verificati casi di tortura o di maltrattamenti. Le autorità devono agire d'ufficio non appena il caso è portato alla loro attenzione (Membri della Congregazione dei Testimoni di Geova di Gldani e altri c. Georgia, n. 71156/01, § 97, 3 maggio 2007).
    La Corte osserva che, nel caso di specie, la ricorrente ha presentato la querela, le autorità hanno avviato l'indagine e i fatti di causa sono stati portati all'attenzione della procura e del GIP.
    Essa sottolinea che, fatta salva l’apertura di un procedimento istruttorio non appena la vittima presenti una doglianza difendibile di trattamento vietato o esista una prova prima facie, nella giurisprudenza della Corte non vi è nulla che si opponga, per quanto riguarda l'applicabilità dell'articolo 3 a degli atti commessi da privati, a che l'avvio dell’azione giudiziaria sia subordinata alla presentazione di una denuncia entro un termine previsto dalla legislazione applicabile.
    La Corte è quindi del parere che, nel caso di specie, nel periodo in cui si sono svolti i fatti, cioè prima dell'entrata in vigore della Convenzione di Lanzarote, l'obbligo procedurale di condurre un'indagine effettiva ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione non doveva essere interpretato, anche nel caso in cui gli abusi sessuali su minori o su persone vulnerabili erano stati commessi da privati, nel senso che gli Stati hanno l’obbligo di avviare un'azione penale d'ufficio o di consentire la presentazione di denunce senza limiti temporali a decorrere dalla commissione del reato o dalla maggiore età dei minori.
  13. A tale riguardo, la Corte constata che dagli elementi di diritto comparato di cui dispone risulta che, all'epoca dei fatti (cioè prima dell'entrata in vigore della Convenzione di Lanzarote, che ha previsto che l’azione penale per i reati sessuali commessi sui minori non sia subordinata alla dichiarazione o all'accusa che proviene da una vittima e che il procedimento possa proseguire anche se la vittima ritratta – si veda il paragrafo 38 supra), gli Stati contraenti hanno utilizzato mezzi molto diversi per gestire le indagini, il che rispecchia le numerose differenze osservate nella loro evoluzione storica e la loro diversità culturale (paragrafi 40-47 supra).
  14. Dopo l'entrata in vigore della Convenzione di Lanzarote, l'apertura d'ufficio di un'indagine, non subordinata a una denuncia della vittima, per ogni tipo di abuso sessuale su minori è diventata la norma nella maggioranza assoluta degli Stati, compresa l’Italia, e solo uno Stato ha continuato ad esigere, come regola generale, la presentazione di una denuncia. Un'evoluzione analoga riguarda il prolungamento dei termini di prescrizione.
  15. Tenuto conto di quanto precede, la Corte ritiene che la risposta procedurale delle autorità nazionali alla denuncia della ricorrente di abusi sessuali commessi da suo zio non sia stata così carente da costituire una violazione degli obblighi positivi dello Stato convenuto ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione.
  16. Essa tiene tuttavia a rammentare che l'obbligo procedurale derivante dall'articolo 3, quando riguarda, come nel caso di specie, degli abusi sessuali su minori, deve oggi essere interpretato alla luce degli obblighi derivanti dagli altri strumenti internazionali applicabili e, in particolare, dalla Convenzione di Lanzarote (X e altri c. Bulgaria, sopra citata).
  17. Per quanto riguarda la non applicabilità ai fatti di causa della nuova legge (legge n. 662 del 1996) entrata in vigore dopo la commissione dei fatti denunciati, la Corte osserva che una decisione di questo tipo non è incompatibile con la giurisprudenza della Corte, e che nessuno strumento internazionale applicabile, fra cui la Convenzione di Lanzarote – che non era ancora in vigore all'epoca dei fatti – richiede un'applicazione retroattiva della regola secondo cui l'azione penale non deve essere subordinata alla presentazione di una denuncia.
  18. Inoltre, la Corte osserva che la stessa Corte di cassazione, nella sua sentenza n. 2733 dell'8 luglio 1997 (paragrafo 30 supra), ha escluso l'applicazione da parte delle autorità giudiziarie interne del principio tempus regit actum per quanto riguarda l'articolo 609 septies, introdotto dalla legge n. 662 del 1996, dichiarando che, nel diritto italiano, la riforma legislativa ha introdotto una norma di natura mista, sostanziale e procedurale, che determina al tempo stesso una condizione di procedibilità e di sanzione, imponendo così l'applicazione della norma più favorevole all'autore del reato (si veda Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, §§ 110-113, 17 settembre 2009).
  19. Inoltre, secondo la ricerca di diritto comparato (si vedano i paragrafi 40-47 supra), nonostante le differenze – che sono cambiate nel tempo – tra le legislazioni degli Stati contraenti relative all'avvio di un'indagine a seguito di denuncia o d'ufficio per reati sessuali commessi su minori, l'obbligo procedurale derivante dall'articolo 3 non può essere interpretato nel senso che impone agli Stati di prevedere la retroattività della nuova legge che abolisce l'obbligo di sporgere denuncia.
  20. Per quanto riguarda la doglianza relativa alla mancanza di celerità dell'indagine, tenuto conto del tempo che il GIP ha impiegato per archiviare il procedimento, la Corte rileva che, a seguito della decisione della procura di richiedere l'archiviazione, la ricorrente e sua sorella hanno proposto opposizione avverso tale richiesta. Essa constata che inizialmente il procedimento è durato circa quattro anni, ma in particolare quest'ultimo ha subito un rallentamento significativo soltanto nella sua ultima fase, ossia dopo la richiesta di archiviazione dell’azione penale, formulata il 12 luglio 1999, quasi un anno dopo la querela, e l'ordinanza di archiviazione del GIP, emessa il 15 gennaio 2003 dopo l'opposizione proposta dalla ricorrente.
  21. In ogni caso, tenuto conto dell'attività del GIP, che consiste soltanto nell'accogliere le richieste di archiviazione della procura, la Corte ritiene che il rallentamento constatato tra la richiesta di archiviazione della procura e la decisione del GIP non sia sufficiente per mettere in discussione l'effettività complessiva dell’indagine (a contrario, tra altre, Fernandes de Oliveira c. Portogallo [GC], n. 78103/14, § 139, 31 gennaio 2019). Inoltre, per quanto riguarda il fatto che, in una data non precisata, la ricorrente ha proposto opposizione avverso la richiesta di archiviazione, la Corte non dispone di alcun mezzo che le consenta di stimare il tempo trascorso nel trattamento dell'opposizione o il modo in cui si è svolto il procedimento.
  22. A tale riguardo, la Corte rammenta che l'obbligo di condurre un'indagine effettiva è un obbligo di mezzi e non di risultato. Non esiste un diritto assoluto di ottenere l'avvio dell’un'azione penale contro una determinata persona o la condanna di quest'ultima, quando non vi siano state omissioni colpevoli negli sforzi compiuti per obbligare gli autori di reati a rendere conto delle proprie azioni (A, B e C. Lettonia, n. 30808/11, § 149, 31 marzo 2016, e M.G.C. c. Romania, sopra citata, § 58). Del resto, non spetta alla Corte pronunciarsi sulle doglianze relative a particolari errori od omissioni dell'indagine; essa non può sostituirsi alle autorità nazionali nella valutazione dei fatti di causa né pronunciarsi sulla responsabilità penale del presunto aggressore (B.V. c. Belgio, sopra citata, § 61 e M. e C. Romania, n. 29032/04, § 113, 27 settembre 2011).
  23. Del resto, dal momento che la ricorrente sostiene che la durata del procedimento penale avrebbe impedito ai giudici di far sentire un testimone, nel frattempo deceduto, la Corte tiene a sottolineare che il sistema interno si fonda sul principio dell'autonomia dell'azione di responsabilità civile dinanzi alla giurisdizione civile e su quello del carattere accessorio dell'azione civile nel processo penale (si veda paragrafo 29 supra). La Corte osserva che la ricorrente ha adito i giudici civili due anni e tre mesi dopo la decisione di archiviazione del GIP, ma avrebbe potuto farlo molto prima, quando l'archiviazione non era ancora stata pronunciata (mutatis mutandis Nicolae Virgiliu Tănase c. Romania [GC], n. 41720/13, § 198, 25 giugno 2019).
  24. Per quanto riguarda il fatto che le dichiarazioni della ricorrente e di sua sorella non sarebbero state prese in considerazione dai giudici civili, la Corte rileva che la corte interna ha sottolineato che le dichiarazioni rese dalla ricorrente e da sua sorella costituivano addirittura la parte fondamentale degli elementi di prova esaminati, ma ha ritenuto che tali dichiarazioni fossero poco attendibili. Non spetta alla Corte sostituire la propria valutazione a quella dei giudici nazionali, poiché la loro valutazione su questo punto non è arbitraria o manifestamente irragionevole.
  25. In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che le autorità italiane abbiano agito con la diligenza richiesta dal profilo procedurale dell’articolo 3 della Convenzione. Pertanto, non vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione nelle circostanze del caso di specie.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 1° dicembre 2022, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Marko Bošnjak
Presidente

Liv Tigerstedt
Cancelliere aggiunto
 

1Albania, Germania, Austria, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Repubblica ceca, Danimarca, Spagna, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Ungheria, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia del Nord, Malta, Repubblica di Moldavia, Montenegro, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, San Marino, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Svizzera, Turchia e Ucraina.