Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 21 luglio 2022 - Ricorso n. 24816/03 - Causa Tremigliozzi e Mazzeo c. Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE
CAUSA TREMIGLIOZZI E MAZZEO c. ITALIA
(Ricorso n. 24816/03)

SENTENZA

STRASBURGO
21 luglio 2022

La presente sentenza è definitiva ma può subire modifiche di forma.

Nella causa Tremigliozzi e Mazzeo c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in un Comitato composto da:

Alena Poláčková, Presidente,
Raffaele Sabato,
Davor Derenčinović, giudici,
e Viktoriya Maradudina, cancelliere aggiunto di Sezione facente funzioni,

dopo avere deliberato in cmera di consiglio in data 30 giugno 2022,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All’origine della causa vi è un ricorso presentato contro l’Italia in data 1° marzo 2000 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
  2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avvocato Ferrara, del Foro di Benevento.
  3. Il Governo italiano (“il Governo”) è stato informato del ricorso.
  4. La prima ricorrente, Sig.ra Luigia Tremigliozzi, è deceduta successivamente all’instaurazione del procedimento dinanzi alla Corte. La sua erede, Sig.ra Giuseppina Cimino, intendeva proseguire il ricorso. Il Governo non ha obiettato circa il locus standi dell’erede nel procedimento.

IN FATTO

  1. L’elenco dei ricorrenti e i pertinenti dettagli del ricorso figurano nella tabella allegata.
  2. I ricorrenti hanno lamentato l’eccessiva durata dei procedimenti civili. Hanno sollevato anche altre doglianze ai sensi delle disposizioni della Convenzione.

IN DIRITTO

  1. SULLA QUESTIONE PRELIMINARE DI SAPERE SE L’EREDE DELLA PRIMA RICORRENTE POSSA PROSEGUIRE IL RICORSO IN SUA VECE
    1. La Corte prende atto in primo luogo delle informazioni concernenti la morte della prima ricorrente e l’intenzione della sua erede di proseguire il ricorso in sua vece, nonché dell’assenza di obiezioni da parte del Governo circa la sua legittimazione. La Corte ritiene pertanto che l’erede della Sig.ra Luigia Tremigliozzi, ra Giuseppina Cimino, abbia un interesse legittimo a proseguire il ricorso.
    2. Tuttavia, in tutto il testo che segue si farà ancora riferimento alla prima ricorrente.
       
  2. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO6 § 1 DELLA CONVENZIONE
    1. I ricorrenti hanno lamentato che la durata dei procedimenti civili in questione era stata incompatibile con il requisito del “termine ragionevole”. Hanno invocato l’articolo 6 § 1 della Convenzione, che recita come segue:

Articolo 6 § 1

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)”

  1. Il Governo sostiene che i ricorrenti non hanno lamentato l’importo del risarcimento concesso dal decreto della Corte di appello di Roma del 10 aprile 2003 entro sei mesi dalla data in cui esso è diventato definitivo, vale a dire il 30 luglio 2003. La Corte osserva che i ricorrenti hanno depositato il loro ricorso in data 1° marzo 2000 e, successivamente all’entrata in vigore della Legge 24 marzo 2001 n. 89, nota come “Legge Pinto”, hanno lamentato anche l’importo del risarcimento ricevuto nel procedimento “Pinto”. Date le specifiche circostanze della causa, la Corte non ritiene che l’affermazione riguardante l’importo del risarcimento concesso nel procedimento “Pinto” sia una doglianza distinta ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.Si tratta semplicemente di un ulteriore aspetto a sostegno della doglianza già formulata nel ricorso in relazione alla durata dei procedimenti civili (si veda, mutatis mutandis, Merabishvili c. Georgia [GC], n. 72508/13, § 250, 28 novembre 2017, con ulteriori rinvii).
  2. Il periodo di cui tenere conto decorre dal 18 febbraio 1995 quando i ricorrenti hanno presentato un’istanza al Tribunale di Benevento, ed era ancora pendente in primo grado il 10 aprile 2003, quando la Corte di appello “Pinto” si è pronunciata. La Corte rileva che la Corte di appello di Roma ha valutato la durata dei procedimenti alla data del proprio decreto, vale a dire il 10 aprile 2003. Poiché i procedimenti si sono conclusi il 17 gennaio 2020, la Corte di appello non ha potuto tenere conto di un periodo di circa 16 anni e nove mesi.
  3. La Corte osserva che, in ordine alla fase successiva al 10 aprile 2003, i ricorrenti avrebbero dovuto esaurire nuovamente le vie di ricorso interne adendo la Corte di appello con una causa ai sensi della legge Pinto. Alla luce di quanto sopra, l’esame della Corte sarà limitato alla durata del procedimento che è stato esaminato dalla Corte di appello “Pinto” (si veda Armando Iannelli c. Italia, n. 24818/03, § 47, 12 febbraio 2013).
  4. La Corte ribadisce che la ragionevolezza della durata dei procedimenti deve essere valutata alla luce delle circostanze della causa e tenendo conto dei seguenti criteri: la complessità della causa, la condotta dei ricorrenti e delle autorità competenti e che cosa fosse in gioco per i ricorrenti nella controversia (si veda Frydlender c. Francia [GC], n. 30979/96, § 43, CEDU 2000-VII).
  5. Nella causa di principio Cocchiarella c. Italia [GC], 64886/01, CEDU 2006‑V, la Corte ha già riscontrato una violazione in ordine a questioni simili a quelle di cui al caso di specie.
  6. Avendo esaminato tutta la documentazione che le è stata presentata, la Corte non ha riscontrato alcun fatto o alcun rilievo in grado di giustificare la complessiva durata dei procedimenti a livello nazionale. Data la sua giurisprudenza in materia, la Corte ritiene che nel caso di specie la durata dei procedimenti sia stata eccessiva e non abbia soddisfatto il requisito del “termine ragionevole”.
  7. Tali doglianze relative alla durata dei procedimenti precedentemente al 10 aprile 2003 sono pertanto ricevibili e rivelano una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
  1. LE RIMANENTI DOGLIANZE
    1. I ricorrenti hanno sollevato anche altre doglianze ai sensi di vari articoli della Convenzione.
    2. La Corte ha esaminato il ricorso e ritiene che, alla luce di tutta la documentazione di cui è in possesso e nella misura in cui le questioni lamentate sono di sua competenza, tali doglianze non soddisfino i requisiti di ricevibilità di cui agli articoli 34 e 35 della Convenzione o non rivelino alcuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà sanciti nella Convenzione o nei suoi Protocolli.
      Segue che questa parte del ricorso deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 § 4 della Convenzione.
  1. L’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
    1. L’articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

  1. Tenuto conto della documentazione di cui è in possesso e della sua giurisprudenza (si veda, in particolare, Cocchiarella, sopra citata), la Corte ritiene ragionevole accordare le somme indicate nella tabella allegata e rigettare la domanda di equa soddisfazione formulata dai ricorrenti per il resto.
  2. La Corte ritiene inoltre opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Ritiene che l’erede della prima ricorrente, Sig.ra Giuseppina Cimino, sia legittimata a proseguire il presente procedimento in sua vece;
  2. Dichiara le doglianze concernenti l’eccessiva durata del procedimento civile fino al 10 aprile 2003 ricevibili, e il ricorso irricevibile per il resto;
  3. Ritiene che tali doglianze rivelino la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione riguardo all’eccessiva durata del procedimento civile;
  4. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare all’erede della prima ricorrente, Sig.ra Giuseppina Cimino, e al secondo ricorrente, entro tre mesi, le somme indicate nella tabella allegata;
    2. che, a decorrere dalla scadenza dei summenzionati tre mesi e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali.
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione formulata dai ricorrenti per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 21 luglio 2022, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Alena Poláčková
Presidente

Cancelliere aggiunto facente funzioni
Viktoriya Maradudina

APPENDICE

Ricorso che solleva doglianze ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione
(eccessiva durata dei procedimenti civili)

Ricorso n.

Data diintroduzione

Nome e anno di nascita del ricorrente

Nome e luogo in cui si trova il rappresentante

Inizio del procedimento

Fine del procedimento

Durata totale

Gradi di giudizio

Tribunale nazionale / procedimento n.

Importo accordato a livello nazionale (in euro)

Importo accordato per il danno non patrimoniale a ciascun ricorrente

 (in euro)[1]

Importo accordato per le spese per ciascun ricorso

(in euro)[2]

24816/03

01/03/2000

Luigia TREMIGLIOZZI, deceduta in data 27/10/2016

Erede

Giuseppina CIMINO

1953

Rocco MAZZEO

1947

Ferrara Silvio

Benevento

18/02/1995

10/04/2003

(data di deposito del decreto della Corte di appello di Roma nell’ambito di procedimenti ai sensi della Legge “Pinto”)

8 anni e 1 mese e 24 giorni

1 grado di giudizio

Decreto della Corte di appello di Roma del 10 aprile 2003,

 800 a ciascun ricorrente

3.220

1.000


[1] Oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta.

[2] Oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta.