Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 28 marzo 2017 - Ricorso n. 39600/13 - Causa Michele Farchica c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE
Ricorso n. 39600/13
Michele FARCHICA contro l’Italia

 

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita il 28 marzo 2017 in un comitato composto da:

  • Ledi Bianku, presidente,
  • Aleš Pejchal,
  • Armen Harutyunyan, giudici,
  • e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 29 maggio 2013,
Vista la dichiarazione depositata dal Governo convenuto il 12 gennaio 2017 contenente la richiesta alla Corte di cancellare il ricorso dal ruolo, nonché la risposta della parte ricorrente a tale dichiarazione;
Dopo avere deliberato, emette la seguente decisione:

FATTI E PROCEDURA

Il ricorrente, il sig. Michele Farchica, è un cittadino italiano nato nel 1972 e residente a Palermo. Dinanzi alla Corte è stato rappresentato dall’avv. M. Comande del foro di Palermo.
Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.
Invocando gli articoli 8 e 14 della Convenzione, il ricorrente lamentava che il rifiuto di accordargli un congedo parentale costituiva una discriminazione fondata sul sesso.
Il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN DIRITTO

La parte ricorrente affermava che il rifiuto di accordargli un congedo parentale costituiva una discriminazione basata sul sesso, e invocava gli articoli 8 e 14 della Convenzione.
Dopo il fallimento dei tentativi di composizione amichevole, con una lettera del 12 gennaio 2017 il Governo ha informato la Corte che intendeva formulare una dichiarazione unilaterale allo scopo di risolvere la questione sollevata dal ricorso. Ha inoltre invitato la Corte a cancellare quest’ultimo dal ruolo in applicazione dell’articolo 37 della Convenzione.
La dichiarazione era così formulata:
«Il Governo italiano riconosce che il ricorrente ha subito una violazione dell’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8 della Convenzione, a causa dell’interpretazione restrittiva, praticata all’epoca dei fatti, dell’articolo 40 c) del Decreto Legislativo n.151/2001.
Il Governo italiano offre al ricorrente, ai sensi dell’articolo 62 A del regolamento della Corte, la somma di 5.000 (cinquemila) euro a copertura dei danni subiti e delle spese sostenute.
Detta somma sarà versata entro i tre mesi successivi alla data della notifica della decisione della Corte, emessa conformemente all’articolo 37 § 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Se il pagamento non avvenisse entro tale termine, il Governo si impegna a corrispondere, a decorrere dalla scadenza dello stesso e fino al versamento effettivo della somma in questione, un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali. Questo versamento equivarrà alla conclusione definitiva della causa.
Il Governo ritiene che la prosecuzione dell’esame del ricorso non sia più giustificata in quanto il Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001, - Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a partire dalla sentenza n. 4618/2014 del Consiglio di Stato, viene sempre interpretato in maniera conforme ai principi derivanti dalla sentenza emessa dalla Corte nella causa Konstantin Martin c. Russia (n. 30078/06).
Pertanto, il Governo chiede rispettosamente alla Corte di dichiarare che la prosecuzione dell’esame del ricorso non è più giustificata e di cancellarlo dal ruolo conformemente all’articolo 37 della Convenzione.»
La parte ricorrente ha indicato che non era soddisfatta dei termini della dichiarazione unilaterale in quanto la somma proposta sarebbe stata insufficiente.
La Corte rammenta che, in virtù dell’articolo 37 della Convenzione, in qualsiasi momento della procedura può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze la conducono a una delle conclusioni indicate ai punti a), b) o c) del paragrafo 1 di tale articolo. L’articolo 37 § 1 c) le permette in particolare di cancellare un ricorso dal ruolo se:
«per ogni altro motivo di cui la Corte accerta l’esistenza, la prosecuzione dell’esame del ricorso non sia più giustificata».
La Corte rammenta anche che, in alcune circostanze, può essere indicato cancellare un ricorso dal ruolo in virtù dell’articolo 37 § 1 c) sulla base di una dichiarazione unilaterale del Governo convenuto anche se il ricorrente auspica che l’esame della causa prosegua.
A tale scopo, la Corte ha esaminato la dichiarazione alla luce dei principi sanciti dalla sua giurisprudenza, in particolare le sentenze Tahsin Acar (Tahsin Acar c. Turchia (questione preliminare) [GC], n. 26307/95, §§ 75 77, CEDU 2003 VI, WAZA Sp. z o.o. c. Polonia (dec.), n. 11602/02, 26 giugno 2007, e Sulwińska c. Polonia (dec.), n. 28953/03, 18 settembre 2007).
Tenuto conto della natura delle concessioni contenute nella dichiarazione del Governo e dell’importo del risarcimento proposto – che è conforme alle somme accordate in una causa simile (Konstantin Markin c. Russia [GC], n. 30078/06, CEDU 2012 (estratti)) –, la Corte ritiene che la prosecuzione dell’esame del ricorso non sia più giustificata (articolo 37 § 1 c).
Inoltre, alla luce delle considerazioni sopra esposte, e vista in particolare la propria giurisprudenza chiara a questo riguardo (Konstantin Markin, sopra citata; Hulea c. Romania, n. 33411/05, 2 ottobre 2012), la Corte ritiene che, ai fini del rispetto dei diritti dell’uomo sanciti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli, non sia necessario che essa prosegua l’esame del ricorso (articolo 37 § 1 in fine).
Infine, la Corte sottolinea che, qualora il Governo non rispetti i termini della sua dichiarazione unilaterale, il ricorso potrebbe essere nuovamente iscritto al ruolo ai sensi dell’articolo 37 § 2 della Convenzione (Josipović c. Serbia (dec.), n. 18369/07, 4 marzo 2008).
Di conseguenza, è opportuno cancellare il ricorso dal ruolo.
Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,
Prende atto dei termini della dichiarazione del governo convenuto relativa agli articoli 8 e 14 della Convenzione e delle modalità previste per assicurare il rispetto degli impegni assunti;
Decide di cancellare il ricorso dal ruolo in applicazione dell’articolo 37 § 1 c) della Convenzione.

Fatta in francese e poi comunicata per iscritto il 20 aprile 2017.

Renata Degener
Cancelliere aggiunto

Ledi Bianku
Presidente