Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 10 novembre 2022 - Ricorso n. . 25426/20 - Causa I.M. e altri c. Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA I.M. E ALTRI c. ITALIA
(Ricorso n. 25426/20)

SENTENZA

Art 8 • Obblighi positivi • Figli costretti, per tre anni, ad incontrare il loro padre violento in ambiente non protetto, e sospensione della responsabilità genitoriale della madre ostile agli incontri • Mancata valutazione del rischio e mancato bilanciamento degli interessi in causa • Interesse superiore dei minori disatteso • Prassi molto diffusa da parte dei tribunali che consiste nel qualificare come genitori «non collaborativi» le donne che si oppongono agli incontri tra i loro figli e l’ex coniuge invocando fatti di violenza domestica

STRASBURGO
10 novembre 2022

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa I.M. e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Marko Bošnjak, presidente,
Péter Paczolay,
Alena Poláčková,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato,
Lorraine Schembri Orland,
Davor Derenčinović, giudici,
e da Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di sezione,
Visti:
Il ricorso (n. 25426/20) proposto contro la Repubblica italiana da tre cittadini di questo Stato («i ricorrenti») che il 19 giugno 2020 hanno adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
la decisione di portare a conoscenza del governo italiano («il Governo»), le doglianze relative agli articoli 3 e 8 della Convenzione e di dichiarare il ricorso irricevibile per il resto,
la decisione di non rivelare l'identità dei ricorrenti,
le osservazioni delle parti,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 4 ottobre 2022,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. Il ricorso riguarda la denuncia di inadempimento da parte dello Stato convenuto al suo dovere di proteggere e assistere la prima ricorrente e i suoi figli (la seconda ricorrente e il terzo ricorrente) durante gli incontri organizzati con il padre di questi ultimi, tossicodipendente e alcolizzato, accusato di maltrattamenti e minacce nei confronti della prima ricorrente. Inoltre, il ricorso riguarda la decisione dei giudici interni di sospendere la responsabilità genitoriale della prima ricorrente, da essi considerata come un genitore «ostile agli incontri con il padre» in quanto aveva lamentato degli atti di violenza domestica e la mancanza di sicurezza degli incontri per rifiutarsi di parteciparvi.

IN FATTO

  1. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1988, 2010 e 2013 e risiedono a C. La prima ricorrente agisce anche per conto dei suoi figli. Essi sono stati rappresentati dall'avvocato R. Benedetti.
  2. l Governo è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia, avvocato dello Stato.
  3. Dalla relazione tra la prima ricorrente e G.C. nacquero due bambini (la seconda ricorrente e il terzo ricorrente, di seguito «i figli»).
  4. Il 9 luglio 2014 la prima ricorrente lasciò la casa di famiglia con i suoi figli a causa delle violenze subìte da parte di G.C., che era tossicodipendente e alcolizzato.
  5. Il 10 luglio 2014 la prima ricorrente presentò una querela e si rifugiò in un centro antiviolenza; quest’ultimo informò il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Roma (di seguito «il tribunale») della situazione di disagio dell'interessata e dei suoi figli, e gli chiese di adottare delle misure al fine di proteggerli.
  6. L'11 agosto 2014 il procuratore considerò che la gravità della situazione, segnata della violenza alla quale i bambini erano esposti, richiedeva l'adozione di una misura urgente di sospensione della responsabilità genitoriale di G.C. con possibilità, per quest'ultimo, di incontrare i figli in ambiente protetto. Il procuratore chiese l'avvio della procedura prevista dagli articoli 330 e 333 del codice civile.
  7. Il 16 dicembre 2014 la prima ricorrente e G.C. furono sentiti dal tribunale. L’interessata informò il tribunale che G.C. era tossicodipendente e alcolizzato, e molto aggressivo. G.C. contestò le dichiarazioni della prima ricorrente.
  8. Tra il 2014 e il 2015 G.C. tentò invano di scoprire il luogo in cui la prima ricorrente e i suoi figli si erano rifugiati.
  9. Il 17 febbraio 2015 il tribunale constatò che G.C. non vedeva più i suoi figli dal mese di luglio 2014, e lo autorizzò a incontrarli in forma «rigorosamente protetta» presso i servizi sociali di Roma una volta alla settimana, in presenza di uno psicologo.
  10. Questi incontri non furono mai organizzati per mancanza di risorse, cosa di cui il tribunale fu informato.
  11. La prima ricorrente, al termine della sua permanenza nel centro antiviolenza, decise, con i servizi sociali e il comune di M.R., di proseguire il suo percorso in un'altra casa di accoglienza disposta ad ospitarla con i suoi figli per novanta giorni. Il trasferimento avvenne il 16 giugno 2015 e il tribunale ne fu informato il 18 giugno 2015.
  12. Il 14 luglio 2015, dopo aver preso atto dell'impossibilità per i servizi sociali di Roma di organizzare gli incontri, il tribunale ordinò che questi si svolgessero alla presenza di uno psicologo nella casa di accoglienza in cui era ospitata la prima ricorrente, rivelando così il luogo in cui l'interessata e i suoi figli si erano rifugiati.
  13. Il Governo afferma che G.C. sapeva già in quale casa di accoglienza erano ospitati i bambini.
  14. Il 24 luglio 2015 la struttura che ospitava la prima ricorrente e i suoi figli si dichiarò preoccupata per la divulgazione del loro luogo di accoglienza, sottolineando che il tribunale aveva reso vane tutte le misure messe in atto da più di un anno per proteggerli. Inoltre, la struttura segnalò al tribunale che non disponeva di personale specializzato, che era anche priva di risorse economiche, e che era quindi impossibile garantire lo svolgimento di incontri padre-figli.
  15. Nel frattempo, con l'accordo dei servizi sociali e del centro antiviolenza, la prima ricorrente si trasferì con i suoi figli presso i suoi genitori nel comune di C. e acconsentì ad accompagnare i bambini agli incontri in ambiente protetto organizzati una volta alla settimana nel comune di M.R., situato a una sessantina di chilometri di distanza.
  16. Tuttavia, il comune di M.R. informò il tribunale che non disponeva di un luogo adatto allo svolgimento di incontri in condizioni «rigorosamente protette». Gli incontri si svolsero senza alcuna forma di protezione e i bambini furono testimoni del comportamento sprezzante di G.C. nei confronti della prima ricorrente.
  17. Tra il 6 agosto 2015 e il 24 settembre 2015, furono organizzati otto incontri in presenza non di uno psicologo, ma di un operatore dei servizi sociali. Si tennero in diversi luoghi del comune, in particolare nella biblioteca, nella piazza principale e in una sala del municipio.
  18. Il 29 settembre 2015 i servizi sociali del comune di M.R. inviarono una relazione al tribunale. Questa relazione segnalava che G.C. aveva un comportamento inappropriato con i suoi figli, ai quali si rivolgeva con frasi denigratorie e offensive nei confronti della prima ricorrente. Indicava che G.C. aveva filmato i suoi figli durante un incontro, allo scopo di fornire la prova della manipolazione che imputava alla prima ricorrente. Aggiungeva che l'assistente sociale incaricata del caso aveva dovuto far intervenire l'avvocato di G.C. per spiegare a quest'ultimo che non doveva avere un atteggiamento aggressivo con i suoi figli durante gli incontri. I servizi sociali chiesero al tribunale di essere affiancati da un esperto che avesse il compito di osservare i genitori e il loro rapporto con i figli, e di garantire un sano sviluppo dei bambini.
  19. Tra il 1º ottobre 2015 e il 29 novembre 2015 furono organizzati solo due incontri, di cui uno nella piazza del mercato del comune di M.R. Gli altri furono annullati a causa dello stato di salute dei bambini.
  20. Il 12 novembre 2015 l'assistente sociale informò il tribunale che vi erano delle difficoltà nello svolgimento degli incontri, e chiese di spostarli nel comune di C., dove i bambini risiedevano con la prima ricorrente.
  21. Il 30 novembre 2015 l'assistente sociale informò il tribunale di non essere più disponibile a monitorare lo svolgimento degli incontri. Gli chiese di intervenire con urgenza per proteggere i bambini, e di prendere provvedimenti in merito alle modalità dello svolgimento degli incontri e ai problemi legati alla distanza tra il domicilio dei bambini e il luogo degli incontri. Gli chiese anche di trovare una struttura nel comune di C., dove i bambini ormai vivevano.
  22. L'assistente sociale, sentita dal tribunale nell'ambito del processo penale aperto contro G.C. per maltrattamenti, spiegò che i locali del comune di M.R. non erano idonei a garantire la protezione della prima ricorrente e dei suoi figli, né a garantire una corretta gestione e un monitoraggio degli incontri organizzati con questi ultimi. Segnalò, inoltre, che G.C. era sprezzante nei confronti della prima ricorrente, che non rispettava il regolamento e che questi problemi erano stati segnalati al comune, perché la situazione non permetteva una sana gestione del rapporto con i bambini. Precisò che G.C. minacciava chiunque entrasse in contatto con lui, compresa se stessa.
  23. Gli incontri ripresero in presenza di un'altra assistente sociale.
  24. Il 17 dicembre 2015 la prima ricorrente segnalò al tribunale che gli incontri non rispettavano le prescrizioni in quanto non si svolgevano in forma rigorosamente protetta e gli chiese di garantire la sua incolumità e quella dei suoi figli.
  25. Lo stesso giorno, il comune di M.R. chiese nuovamente al tribunale di intervenire con urgenza per fissare le modalità e il luogo di questi incontri protetti tra i bambini e il loro padre. Nel frattempo, gli incontri furono sospesi.
  26. Il 18 dicembre 2015 i servizi sociali chiesero al tribunale di intervenire con urgenza.
  27. In assenza di intervento del tribunale, i servizi sociali decisero di organizzare nuovamente degli incontri.
  28. La prima ricorrente, che aveva trovato lavoro in un negozio, informò i servizi sociali che non poteva prendere ferie per percorrere centoventi chilometri per accompagnare i figli agli incontri previsti durante il periodo di fine anno, e chiese anche che gli incontri fossero organizzati in ambiente protetto.
  29. Il Comune di M.R. informò il tribunale che la prima ricorrente non aveva accompagnato i suoi figli agli incontri previsti per il 14 e il 21 gennaio 2016.
  30. G.C. presentò denuncia contro la prima ricorrente per mancata esecuzione di un provvedimento del giudice e sottrazione di minori. Fu aperto un procedimento penale.
  31. Quattro mesi dopo, il 2 marzo 2016, il tribunale decise di sentire non l'assistente sociale che aveva rinunciato al suo incarico e gli aveva chiesto di intervenire sulle modalità degli incontri, ma solo il personale dei servizi sociali che le era subentrato dopo la sua sostituzione, e che non aveva mai incontrato i bambini. I servizi sociali indicarono che la prima ricorrente si opponeva agli incontri e che il comune di M.R. non era territorialmente competente in materia.
  32. Il 14 marzo 2016 il tribunale sentì le parti.
  33. Il 18 maggio 2016 il tribunale decise di sospendere la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori. Rilevò che la prima ricorrente si opponeva allo svolgimento degli incontri. Prese atto che G.C. era stato rinviato a giudizio per maltrattamenti e minacce contro la prima ricorrente. Ordinò una perizia per valutare le capacità genitoriali dei due genitori. Non fece menzione delle doglianze della prima ricorrente relative alle modalità di organizzazione degli incontri e al pericolo al quale essa e i suoi figli erano esposti.
  34. Il 7 giugno 2016, G.C. fu rinviato a giudizio per i maltrattamenti inflitti alla prima ricorrente tra il 2009 e il 2014, nonché per le minacce e le frasi sprezzanti pronunciate contro di essa durante gli incontri protetti. L'udienza fu fissata per il 5 settembre 2016
  35. Un mese dopo la sospensione della responsabilità genitoriale della prima ricorrente, e più precisamente il 14 giugno 2016, il tribunale civile di Tivoli, adito dall'interessata sulla base dell'articolo 337 del codice civile, dispose l’affidamento a quest'ultima in via esclusiva dei suoi figli, e ordinò lo svolgimento degli incontri secondo le prescrizioni del tribunale per i minorenni.
  36. La prima ricorrente interpose appello contro la decisione del tribunale per i minorenni che sospendeva la sua responsabilità genitoriale (paragrafo 34 supra). Nel suo appello, sosteneva che gli incontri non si tenevano in ambiente protetto in luoghi idonei in presenza di personale specializzato (come un mediatore educatore), che non erano registrati su un supporto video e che non si svolgevano in presenza di uno psicologo.
  37. Con decisione del 2 agosto 2016, la corte d'appello di Roma respinse il ricorso dell'interessata, sottolineando che quest'ultima non aveva rispettato il diritto di G.C. alla bigenitorialità.
  38. Il 12 ottobre 2016 il centro incaricato dal tribunale della valutazione della prima ricorrente e di G.C. depositò la sua relazione. G.C. era descritto come un individuo con un comportamento aggressivo e incapace di controllare i suoi impulsi e la sua frustrazione. L'esperto incaricato dal centro raccomandava di svolgere gli incontri in ambiente protetto, sottolineando che la prima ricorrente era indebolita dalle violenze subite, ma possedeva capacità genitoriali. La relazione suggeriva che la prima ricorrente si astenesse dall'interferire nel rapporto tra i figli e il loro padre. Inoltre, indicava che la prima ricorrente aveva constatato che i suoi figli erano a disagio dopo gli incontri.
  39. Il 23 gennaio 2017 il tribunale incaricò i servizi sociali di trovare una struttura adeguata dove organizzare gli incontri, di effettuare un'indagine sociale su G.C. e di verificare la sua tossicodipendenza. Ordinò, inoltre, di prevedere un percorso di sostegno per entrambi i genitori.
  40. Nel 2017 fu scelto un nuovo luogo per lo svolgimento degli incontri.
  41. Il 9 febbraio 2017 l'assistente sociale segnalò che G.C. era aggressivo durante gli incontri.
  42. Il 3 aprile 2017 il tribunale civile di Tivoli revocò la decisione che aveva attribuito l'affidamento esclusivo dei bambini alla prima ricorrente. Le parti non hanno trasmesso tale decisione alla cancelleria della Corte.
  43. Il 1º giugno 2017 fu inviata al tribunale una relazione sullo svolgimento degli 11 incontri, nella quale si sottolineava che G.C. continuava ad avere degli sfoghi verbali contro la prima ricorrente, che parlava male di lei con i suoi figli e che non era disposto a conformarsi alle indicazioni degli assistenti sociali.
  44. All'udienza dell'11 luglio 2017, l'assistente sociale segnalò al tribunale che G.C. non poteva controllare la sua collera, e che ciò esponeva i bambini a un grande stress.
  45. Il 19 ottobre 2017 il tribunale penale di Tivoli si pronunciò sull'opposizione di G.C. alla richiesta della procura di archiviazione della denuncia presentata per mancata esecuzione di una decisione giudiziaria (si veda il paragrafo 31 supra), e sottrazione di minori. Il tribunale ordinò l'archiviazione per i seguenti motivi:
    «Il complesso della documentazione acquisita dà piuttosto conto degli sforzi prodotti dalla prima ricorrente per assicurare la presenza dei figli minori agli incontri protetti con il padre, disposti dalla autorità giudiziaria capitolina, purché essi si svolgessero in luoghi e condizioni che ne garantissero l'assoluta, necessaria sicurezza.
    (...)
    «Il carteggio in atti testimonia, piuttosto, di evidenti difficoltà logistiche e operative, legate alla disponibilità di locali idonei, agli impegni lavorativi della prima ricorrente, ed acuite anche dalle comprensibili perplessità sollevate dal piccolo comune di R.M. circa la persistenza della sua competenza a sovrintendere a tali delicate ed impegnative occasioni».
  46. Il 10 gennaio 2018 fu inviata al tribunale un'altra relazione in cui si indicava che G.C. aveva dovuto essere allontanato due volte dalla sala d'incontro perché aveva manifestato un comportamento aggressivo – anche fisicamente – contro il personale e gli oggetti che vi si trovavano. Nella relazione si riteneva che non fosse possibile proseguire gli incontri, poiché la sicurezza dei bambini e degli operatori non era garantita. La psicologa che aveva redatto la relazione chiese di spostare gli incontri in un'altra stanza del piano terra affinché le persone interessate potessero fuggire facilmente per proteggersi e proteggere i bambini dalla violenza di G.C.
  47. In assenza di una decisione da parte del tribunale per i minorenni, i servizi sociali del comune di C. incaricarono un consorzio di organizzare gli incontri.
  48. Il 5 marzo 2018 fu inviata al tribunale una nuova relazione in cui si indicava che gli incontri, che erano stati spostati, si svolgevano in modo più sereno, ma senza la presenza di uno psicologo. A tale riguardo, nella relazione si sottolineava che i bambini avevano bisogno di un’assistenza psicologica in un altro luogo.
  49. Il 20 marzo 2018 la prima ricorrente informò il tutore dei minori che i servizi sociali li avevano lasciati soli con G.C., che quest’ultimo si era infuriato contro di loro, che i bambini avevano avuto paura e si erano agitati.
  50. Il tribunale per i minorenni fu informato che G.C. non era più seguito dal servizio per le dipendenze patologiche a partire dal 25 ottobre 2017.
  51. Il 21 marzo 2018 l’assistente sociale chiese di essere sentita dal tribunale per discutere della situazione dei bambini, poiché nel frattempo non c’erano stati miglioramenti.
  52. Il 6 aprile 2018 il tribunale sentì il tutore, che lo informò che i bambini erano esposti all'aggressività del padre dal 2017 e che gli incontri all'aperto organizzati poco tempo prima avevano dovuto essere annullati perché la loro sicurezza non era garantita. Il tutore sottolineò che G.C. non riusciva a concentrarsi sui bisogni e sulle emozioni dei bambini.
  53. Il 10 aprile 2018 il procuratore chiese al tribunale di reintegrare la prima ricorrente nell’esercizio della sua responsabilità genitoriale.
  54. In attesa della decisione del tribunale, i servizi sociali sospesero gli incontri.
  55. La prima ricorrente beneficiò di un’assistenza psicologica specifica.
  56. Il 7 novembre 2018 il tribunale confermò la sospensione degli incontri tra i minori e G.C. e incaricò i servizi sociali di avviare un percorso di sostengo a favore di quest’ultimo. Non fece menzione della richiesta del procuratore di reintegrare la prima ricorrente nella sua responsabilità genitoriale.
  57. Il 10 gennaio 2019 i sevizi sociali informarono il tribunale che G.C. era detenuto perché doveva scontare la pena di sei anni di reclusione alla quale era stato condannato per delitti legati a un traffico di stupefacenti commessi tra il 1994 e il 2018.
  58. Il 5 aprile 2019 lo psicologo dei servizi sociali inviò al tribunale una relazione per aggiornarlo sulla situazione della prima ricorrente e dei suoi figli. Nella relazione si indicava che la prima ricorrente aveva dimostrato di essere un genitore attento ai bisogni dei suoi figli in situazione di disagio e che la seconda ricorrente seguiva una psicoterapia.
  59. L’8 aprile 2019 i servizi sociali informarono il tribunale che la prima ricorrente seguiva una terapia e chiesero che fosse reintegrata nella sua responsabilità genitoriale, ritenendo che fosse in grado di esercitare il suo ruolo genitoriale. In particolare, indicarono che la ricorrente seguiva con molta attenzione il percorso terapeutico di sua figlia (la seconda ricorrente), che era in una situazione di disagio psicologico.
  60. Con decisione del 15 maggio 2019, il tribunale reintegrò la prima ricorrente nella sua responsabilità genitoriale e dichiarò la decadenza di G.C. dalla sua responsabilità genitoriale.
  61. Il 19 dicembre 2019 la corte d’appello di Roma confermò questa decisione, sottolineando che G.C, con i suoi comportamenti aggressivi, distruttivi e sprezzanti durante gli incontri, aveva violato il suo diritto di garantire ai figli una crescita sana e serena. La corte d’appello constatò, inoltre, che la seconda ricorrente aveva bisogno di un sostegno psicologico specifico.
  62. Secondo le ultime informazioni fornite alla Corte, il procedimento penale per maltrattamenti, aperto nel 2016 a carico di G.C., è ancora pendente.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

I. IL REGIME GIURIDICO INTERNO

  1. Alcune disposizioni giuridiche del diritto interno pertinente nel caso di specie sono esposte nella sentenza R.V. e altri c. Italia (n. 37748/13, §§ 65-69, 18 luglio 2019).
  2. Le disposizioni civili e penali pertinenti in materia di violenza domestica sono esposte nella sentenza Landi c. Italia (n. 10929/19, §§ 47-49, 7 aprile 2022).
  3. Ai sensi del primo comma dell'articolo 337 ter del codice civile, il minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale. Il secondo comma dello stesso articolo dispone che, per realizzare la finalità indicata dal primo comma nei procedimenti di cui all'articolo 337 bis del codice civile, il giudice deve adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Esso precisa che il giudice deve valutare prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilire a quale di essi i figli sono affidati, determinare i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Aggiunge che il giudice può modificare le modalità di custodia e prendere atto dei diversi accordi intervenuti tra le parti interessate.
    All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito, che può decidere d’ufficio di affidare i figli a uno dei genitori. A tal fine, il procuratore della Repubblica invia al giudice tutelare copia del provvedimento di affidamento a uno dei genitori.

A. La giurisprudenza della Corte di cassazione

  1. La Corte di cassazione ha emesso in materia delle decisioni di cui sono riportati qui di seguito gli estratti pertinenti.

1. L’ordinanza n. 13217 del 17 maggio 2021

  1. In questa ordinanza, la Corte di cassazione ha precisato che i giudici erano tenuti a verificare la veridicità delle denunce di comportamenti pregiudizievoli per i minori, e che non si potevano basare soltanto su delle perizie tecniche.

«Qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i mezzi comuni di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena.

Nella fattispecie, la Corte di cassazione ha annullato la decisione con la quale il tribunale aveva disposto l’«affidamento esclusivo rafforzato» al padre, tenuto conto della gravità del comportamento della madre, perché il tribunale non aveva valorizzato il positivo rapporto di quest’ultima con la minore e non aveva effettuato una valutazione più ampia delle possibilità di intraprendere un percorso di effettivo recupero delle capacità genitoriali della ricorrente».

2. L’ordinanza n. 9691 del 24 marzo 2022

  1. In questa ordinanza, la Corte di cassazione ha annullato una decisione – confermata dalla corte d’appello di Roma – con la quale il tribunale per i minorenni di Roma aveva ordinato il collocamento di un minore in una casa-famiglia dopo aver pronunciato la decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre che, da diversi anni, viveva con lui nel timore di una misura di revoca della sua responsabilità genitoriale in quanto si faceva costantemente riferimento, nel quadro della procedura, alla sindrome di alienazione parentale e a tutte le sue conseguenze. L’Alta giurisdizione ha rammentato che le misure relative alla responsabilità genitoriale non potevano basarsi su teorie prive di fondamento scientifico quali la sindrome di alienazione parentale.

«La violazione del diritto alla bigenitorialità da parte di un genitore che ostacola la relazione del figlio con l’altro genitore (anche con comportamenti assimilabili a gravi forme di violenza psicologia) e la necessità che ne deriva di garantire l’attuazione di questo diritto non esigono necessariamente che sia pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale del genitore malevolo e il ritiro del figlio dalla sua casa, misure estreme che rompono ineluttabilmente ogni relazione giuridica, morale e affettiva con il figlio. Conformemente al principio dell’interesse superiore del minore, occorre verificare caso per caso se tali misure trovano il loro limite nella necessità di evitare un danno, che può essere irreparabile, allo sviluppo fisico e cognitivo del minore causato dal suo allontanamento brusco e definitivo del genitore con il quale ha sempre vissuto, e dalla rottura di ogni abitudine di vita».

B. La legge delega Cartabia

  1. 70. Il 25 novembre 2021 la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge n. 206 che delega al Governo il potere di adottare misure per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata.
    Ai sensi del comma 23 dell’articolo 1 di questa legge, il governo deve anche introdurre delle disposizioni specifiche che prevedano che, qualora un figlio rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori, il giudice, dopo averlo sentito personalmente e dopo aver assunto ogni informazione ritenuta necessaria, accerta con urgenza le cause del rifiuto ed assume i provvedimenti nel superiore interesse del minore, considerando eventuali episodi di violenza ai fini della determinazione dell'affidamento del minore e dell’esercizio del diritto di visita nei suoi confronti. In ogni caso, il giudice deve garantire che gli incontri tra i genitori e il figlio avvengano, se necessario, con l'accompagnamento dei servizi sociali e non compromettano la sicurezza del figlio vittima. Le disposizioni da adottare devono anche prevedere che, qualora il giudice ritenga di avvalersi dell'ausilio di un consulente, procede alla sua nomina con provvedimento motivato, indicando gli accertamenti da svolgere; il consulente del giudice eventualmente nominato si attiene ai protocolli e alle metodologie riconosciuti dalla comunità scientifica senza effettuare valutazioni su caratteristiche e profili di personalità estranee agli stessi.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNAZIONALI PERTINENTI

  1. Le disposizioni pertinenti della Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica («la Convenzione di Istanbul»), che è entrata in vigore nei confronti dell’Italia il 1° agosto 2014, sono state citate nella causa Landi (sopra citata, §§ 52-55).
  2. L’articolo 31 della Convenzione di Istanbul è così formulato:

Custodia dei figli, diritti di visita e sicurezza

1. Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione.
2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che l'esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini.

  1. I passaggi pertinenti del rapporto di valutazione di riferimento sull’Italia pubblicato dal GREVIO il 13 gennaio 2020 sono così redatti (note a piè di pagina omesse):

3. Affidamento dei figli, diritti di visita e sicurezza (articolo 31)

180. A seguito dell’emanazione della Legge n. 54/2006, i tribunali civili italiani sono vincolati dal principio dell'affidamento condiviso come soluzione predefinita nei casi di separazione o divorzio. I dati dell’ISTAT mostrano che nella pratica l’affidamento condiviso si applica in circa il 90% di tali casi.
Le leggi in vigore non prevedono un obbligo esplicito per gli enti istituzionali di garantire che, nel definire i diritti di affidamento e di visita, si tenga conto degli episodi di violenza rientranti nel campo di applicazione della convenzione, come richiesto invece dall’articolo 31, paragrafo 1, della convenzione. Ciononostante, vari articoli del Codice civile consentono di mettere al primo posto il miglior interesse del bambino, al di là del principio dell'affidamento condiviso. Pertanto, ai sensi dell’articolo 330 del Codice civile, i tribunali possono decidere la revoca della potestà genitoriale laddove un genitore violi o ignori i propri obblighi genitoriali o abusi della propria autorità arrecando gravi danni al bambino. L'articolo 333 del Codice civile prevede l’allontanamento del genitore da casa qualora il suo comportamento non giustifichi la revoca della propria potestà genitoriale, ma arrechi comunque danno al bambino. Inoltre, l’articolo 337-quater del Codice civile prevede che possa essere concesso l'affidamento esclusivo del bambino ad un genitore, qualora l'affidamento all’altro genitore vada contro l’interesse del bambino. Al fine di garantire l'efficace attuazione di queste disposizioni, il decreto-legge n. 93/2013 ha introdotto il dovere per l’autorità inquirente di informare i tribunali minorili di eventuali procedimenti penali in corso per reati di maltrattamento, violenza sessuale aggravata e/o stalking commessi nei confronti di un bambino o dal genitore del bambino nei confronti dell’altro genitore. I canali di comunicazione tra tribunali penali e civili/minorili sono stati ulteriormente potenziati con l'emanazione della legge n. 69 del 19 luglio 2019.

181. Tuttavia, il GREVIO osserva che, di fatto, queste disposizioni vengono raramente utilizzate per proteggere i bambini testimoni di violenze nei confronti delle proprie madri, anche nei casi in cui la violenza ha portato alla condanna e/o altre misure, compresi ordini di protezione, nei confronti degli autori di violenza. Il GREVIO esprime particolare preoccupazione sulle informazioni fornite dalle ONG secondo cui il meccanismo in vigore, piuttosto che permettere la protezione delle vittime e dei loro bambini, «si ritorce contro» le madri che tentano di proteggere i loro bambini denunciando la violenza e le espone ad una vittimizzazione secondaria.

182. Queste informazioni sono corroborate dai rapporti istituzionali e dalle ricerche che mostrano gli effetti negativi sulle vittime ed i loro bambini dell'assenza di canali di comunicazione efficaci tra giurisdizioni civili e penali e/o dell'assenza di un'adeguata comprensione del fenomeno della violenza contro le donne e delle conseguenze sui bambini: i magistrati di diritto civile tendono ad affidarsi alle conclusioni dei consulenti tecnici d’ufficio (CTU) e/o dei servizi sociali, che spesso assimilano gli episodi di violenza a situazioni di conflitto e dissociano le considerazioni relative al rapporto tra la vittima e l’autore di violenza da quelle riguardanti il rapporto tra il genitore violento e il bambino. Inoltre, le denunce delle vittime di abuso da parte del partner sono spesso rigettate sulla base di motivazioni dubbie come «la sindrome da alienazione parentale» e si incolpano le madri per la riluttanza dei figli ad incontrare il padre violento. I test di personalità, che non sono predisposti per le situazioni di violenza, fanno sì che molte vittime vengano ritenute incapaci di fare da genitore. Il GREVIO sottolinea l’elevato rischio comportato dall'utilizzo della nozione di alienazione parentale e dei relativi concetti in maniera tale da consentire che le violenze nei confronti delle donne e dei loro bambini non vengano identificate e/o siano messe in discussione, poiché ignorano la natura di genere della violenza e gli aspetti essenziali del benessere dei bambini

183. Pertanto, alcuni tribunali civili e CTU non solo non riescono a individuare i casi di violenza, ma tendono a ignorarli. In presenza di procedimenti penali paralleli, ciò può portare a situazioni in cui le vittime sono messe sotto pressione affinché facciano cadere le accuse penali nei confronti del perpetratore, poiché in caso contrario sarebbe impossibile rappacificare la famiglia e raggiungere un accordo sull'affidamento e la visita, nel nome di principi come la «friendly parent provision» (norme a favore del genitore ben disposto). Il GREVIO ha raccolto varie prove, compresi testimoni individuali, che suggeriscono che i tribunali civili spesso richiedono alle vittime di incontrare il partner violento, a prescindere dalla denuncia di abuso da parte della vittima e senza uno screening o una valutazione del rischio, fin quando non viene raggiunto un accordo «amichevole».

184. Il GREVIO sottolinea che la violenza nelle relazioni intime è un fattore chiave per definire l’affidamento del bambino. Il GREVIO osserva che un sistema basato sul raggiungimento di accordi da parte dei genitori nel miglior interesse del bambino, potrebbe evitare difficoltà a molti genitori separati. Tuttavia, si rivela inadeguato per le coppie la cui relazione è stata viziata dalla violenza. Il GREVIO rammenta che la violenza tra partner indica uno squilibrio di potere nella relazione che può influenzare negativamente la capacità di negoziare in modo equo e di arrivare ad un accordo reciprocamente accettabile. Una donna che è stata vittima di violenza domestica, solitamente ha bisogno di uno specifico sostegno per negoziare gli accordi con l’altro genitore violento. Degli incontri congiunti tra il genitore violento e la vittima per raggiungere un accordo sull’affidamento, possono essere visti come una mediazione obbligatoria, dato che la vittima non ha scelta se non prendervi parte per trovare un accordo, contrariamente ai requisiti dell’articolo 48 della convenzione.

185. Inoltre, il GREVIO nota con estrema preoccupazione la diffusa prassi dei tribunali civili di considerare una donna che solleva la problematica della violenza domestica come un motivo per non partecipare agli incontri e opporsi all'affidamento o alle visite, come un genitore «non collaborativo» e quindi una «madre inadatta» che merita di essere sanzionata. Le conseguenze negative per le vittime sono diverse: dal sottoporre le vittime a trattamenti terapeutici o sessioni formative obbligatorie per migliorare le loro capacità genitoriali, fino alla limitazione e/o revoca dei propri diritti genitoriali. I tribunali possono anche sottoporre i bambini a trattamenti terapeutici per riprendersi dalla «alienazione parentale», invece di affidarli agli adeguati servizi di sostegno. Il GREVIO sottolinea come sia necessario che i tribunali civili indaghino su tutte le denunce di violenza e abuso, assieme ai tribunali penali qualora vi siano procedimenti penali in corso contro il padre del bambino della vittima, o cercando attivamente informazioni da altre fonti, come le forze dell’ordine, le autorità locali, i servizi sanitari, educativi e di supporto specializzato per le donne.

186. Alla luce delle ricerche indicanti che degli accordi inadeguati sull'affidamento e la visita del bambino possono esporre le donne ad abusi post-separazione ed a vittimizzazione secondaria, il GREVIO sottolinea come la sicurezza del genitore non violento e del bambino debbano essere un elemento centrale nel decidere nel miglior interesse del bambino per quanto riguarda gli accordi sull'affidamento e le visite. Per quanto riguarda l’ultimo punto, il paragrafo 2 dell’articolo 31 della convenzione, richiede che l'esercizio dei diritti di visita e di affidamento non metta a repentaglio i diritti e la sicurezza della vittima o del bambino. Quest’obbligo deriva dalla presa di coscienza che per molte vittime ed i loro bambini, rispettare le ordinanze di applicazione del diritto di visita può rappresentare un grave rischio alla loro sicurezza, poiché spesso significa incontrare l'autore della violenza faccia a faccia e questo fattore può contribuire a provocare gravi episodi di violenza, compreso l’omicidio della donna e/o del bambino. Pertanto, un'adeguata valutazione del rischio deve formare parte integrante di questi processi, anche quando essi si basano su un accordo tra i genitori, in modo da garantire che gli accordi presi vadano nel miglior interesse del bambino e in particolare che sia tutelata la sicurezza del genitore e del bambino. Sebbene il GREVIO sostenga il diritto del bambino a mantenere un legame con entrambi i genitori, previsto dall’articolo 9, comma 3 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, l'esposizione alla violenza domestica – come vittima o testimone – richiede delle eccezioni alla regola nel miglior interesse del bambino.

187. Il GREVIO nota che la formulazione generica delle disposizioni di legge in vigore non aiuta ad evitare le summenzionate prassi giudiziarie problematiche. Inoltre, osserva che sebbene esistano esempi di buone pratiche giudiziarie, la giurisprudenza dei tribunali di grado superiore non abolisce in modo uniforme l’uso delle tesi difensive basate su o simili alla «alienazione parentale», né definisce chiaramente l’obbligo dei giudici di selezionare i casi di violenza domestica ed eseguire valutazioni del rischio nel miglior interesse del bambino. Sono state elaborate delle linee guida nazionali che fanno esplicito riferimento ai requisiti dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul in merito all’operato di tutti gli enti istituzionali incaricati di proteggere i bambini, come il sistema giudiziario ed i servizi sociali, ma tali linee guida non sono né obbligatorie, né integrate. Il GREVIO osserva con estrema preoccupazione che in alcuni tribunali, le linee guida sono sostituite da linee guida locali che ignorano i principi della Convenzione di Istanbul. In generale, il GREVIO teme che le difficoltà nell'adempiere i requisiti dell’articolo 31 possa essere dovuta all’introduzione di una riforma giuridica sull'affidamento condiviso che non è stata in grado di valutare attentamente le costanti disuguaglianze tra donne e uomini e gli alti tassi di esposizione alla violenza di donne e bambini, nonché i rischi della violenza post-separazione.

188. Il GREVIO sollecita le autorità italiane affinché adottino le misure necessarie, comprese eventuali modifiche legislative, per garantire che i tribunali competenti abbiano il dovere di esaminare tutte le problematiche legate alla violenza contro le donne al momento di stabilire l'affidamento ed i diritti di visita, nonché di valutare se tale violenza legittimi una richiesta di limitazione dei diritti di affidamento e di visita. A tal fine, le autorità dovrebbero:

  1. valutare modifiche legislative, per riconoscere in modo esplicito la necessità di tener conto degli episodi di violenza che rientrano nella Convenzione di Istanbul in sede di determinazione dell'affidamento e dei diritti di visita dei bambini;
  2. adottare misure che formalizzino un processo sistematico per l’analisi preliminare di casi inerenti all'affidamento o ai diritti di visita, al fine di stabilire se la violenza ha rappresentato un problema nella relazione e se è stata denunciata;
  3. indagare in modo puntuale su tutte le denunce di violenza, migliorando la collaborazione con i tribunali penali e gli altri organismi coinvolti, comprese, a titolo esemplificativo, le forze dell’ordine, le autorità sanitarie e scolastiche ed i servizi di supporto specializzati di sostegno alle donne;
  4. integrare procedure di valutazione del rischio in sede di determinazione dell'affidamento e dei diritti di visita, per tutelare l’interesse migliore del bambino;
  5. assicurarsi che i tribunali possano nominare solo operatori e operatrici, in particolare psicologi e psichiatri infantili, che abbiano dimestichezza con il tema della violenza contro le donne e le disposizioni della Convenzione di Istanbul, per offrire consulenza sui temi dell'affidamento e delle visite in situazioni di violenza contro le donne;
  6. vietare l’uso da parte dei consulenti tecnici, degli assistenti sociali e dei tribunali dei concetti legati alla «alienazione parentale», o di qualsiasi altro approccio o principio, come il «friendly parent provision»-«buon genitore», che tendono a considerare le madri che segnalano la violenza come «non collaborative» e «non adatte» a fare da genitore, incolpandole del cattivo rapporto tra il genitore violento ed il figlio;
  7. abbandonare la prassi che impone alla vittima e al figlio l’obbligo di prendere parte ad incontri congiunti con l’autore della violenza per raggiungere un accordo sull’affidamento ed i diritti di visita, che equivale ad imporre una mediazione obbligatoria;
  8. inserire delle salvaguardie nelle procedure, come ad esempio offrire ai genitori degli appuntamenti separati e creare delle sale d’attesa separate nei tribunali, tenendo dunque conto dello squilibrio di potere tra la vittima e l’autore della violenza e prevenendo il rischio di ri-vittimizzazione;
  9. garantire un uso adeguato delle disposizioni di legge che consentono di ridurre, revocare e rendere soggetto a tutele il diritto all'affidamento e di visita dell’autore della violenza ogniqualvolta venga accertata una situazione di violenza e promuovere l'attribuzione dei diritti di affidamento e di visita in via provvisoria fin quando tutti gli episodi di violenza contro le donne segnalati non siano stati adeguatamente valutati.
    Queste misure dovrebbero essere accompagnate da un'adeguata formazione e dall’elaborazione di linee guida specialistiche, volte a sensibilizzare gli operatori e le operatrici interessati sugli effetti dannosi della violenza sui bambini, compresi quelli testimoni di episodi di violenza, e ad informarli sulle disposizioni della Convenzione di Istanbul in merito alla definizione dei diritti di affidamento e di visita. Tali linee guida dovrebbero sostituire le metodologie e le linee guida esistenti, che tendono a ridurre la violenza ad un conflitto, promuovendo la mediazione, senza tenere debitamente conto della violenza stessa, facendo ricorso a concetti discutibili come la «alienazione parentale», che mette in primo piano il mantenimento del rapporto figlio-genitore a tutti i costi, al di là della violenza. I progressi in questo campo dovrebbero essere valutati tramite dati e analisi della giurisprudenza, che mostrino come i tribunali considerino gli episodi di violenza e come motivino le proprie decisioni in merito all'affidamento e ai diritti di visita.»
  1. Il 14 giugno 2022, il GREVIO ha pubblicato il suo 3° rapporto generale sull'affidamento dei minori, i diritti di visita e la violenza domestica, redatto sulla base delle valutazioni realizzate fino a quel momento in vari Stati. Descrivendo i punti di forza e di debolezza degli Stati per quanto riguarda l'attuazione degli articoli 26, 31 e 45 della Convenzione di Istanbul nei confronti delle vittime di violenza domestica e le decisioni relative all'affidamento e ai diritti di visita dei minori, il rapporto sottolinea che, sebbene tutti gli Stati parte abbiano adottato misure soddisfacenti, «il lavoro da fare è ancora molto». Secondo il GREVIO, sussistono delle lacune nonostante i progressi rilevati. Il rapporto evidenzia in particolare le seguenti lacune:

«Mancata considerazione degli atti di violenza domestica nelle decisioni giudiziarie relative all’affidamento e al diritto di visita

In Albania, in Belgio, in Italia, a Monaco, in Polonia, a San Marino, in Slovenia e in Turchia, il GREVIO ha constatato che non si faceva espressamente riferimento alla violenza domestica tra i criteri giuridici di cui tenere conto nel determinare i diritti di affidamento e/o di visita.

(...)

Il GREVIO ha preso atto con preoccupazione delle informazioni fornite da vari esperti e professionisti che operano in questo settore, che facevano pensare che nelle decisioni relative ai diritti di affidamento e di visita si teneva conto raramente, o non si teneva conto per nulla, degli indizi di violenza esercitata da un genitore contro l'altro.

(...)».

Mancata garanzia di visite regolamentate sicure

«Gli Stati tendono a privilegiare ciò che è nell'interesse superiore del minore, ossia mantenere il contatto con entrambi i genitori ad ogni costo, anche se il minore è stato testimone di violenze. Sono state rilevate alcune lacune nell'attuazione dell'articolo 31, paragrafo 2, per quanto riguarda le strutture e il personale incaricato di permettere tali visite regolamentate.

Il GREVIO ha osservato che varie Parti non disponevano delle risorse/infrastrutture necessarie per permettere visite regolamentate sicure. Ad esempio, ha fatto osservare, nei suoi rapporti di valutazione di riferimento sull’Andorra e la Francia, che tali spazi di incontro erano attrezzati meglio per occuparsi di relazioni conflittuali piuttosto che di cause in materia di violenza. Il GREVIO ha pertanto richiamato l'attenzione delle autorità sui rischi elevati che comporta per le vittime e i minori il mantenimento dei contatti tra la vittima e l'autore delle violenze, in assenza di protezione e di misure appropriate.

In assenza di disposizioni idonee, le vittime possono di fatto avere l'impressione che l'unico modo per proteggere i loro figli di fronte alla violenza sia rifiutarsi di rispettare le decisioni adottate in materia di diritto di visita.

(...)».

  1. La Convenzione sulle relazioni personali riguardanti i minori (STE n. 192) è stata firmata dall'Italia il 15 maggio 2003, ma non è stata ratificata.
    Lo scopo della Convenzione è definire dei principi generali da applicare alle decisioni relative alle relazioni personali dei minori, ossia – ai sensi dell'articolo 2 della Convenzione in questione – «il soggiorno del minore, limitato nel tempo, presso una persona (…) con la quale quest'ultimo non vive abitualmente, o l'incontro tra il minore e tale persona», e stabilire misure di salvaguardia e garanzie appropriate per assicurare il corretto svolgimento delle visite.
    Le disposizioni pertinenti sono così formulate:

Articolo 4 – Rapporti personali tra un minore e i suoi genitori

  1. «Un minore e i suoi genitori hanno il diritto di ottenere e intrattenere relazioni personali regolari.
  2. Tali relazioni personali possono essere limitate o escluse soltanto quando ciò è necessario nell'interesse superiore del minore.
  3. Quando non è nell'interesse superiore di un minore intrattenere relazioni personali senza sorveglianza con uno dei suoi due genitori, deve essere prevista la possibilità di intrattenere relazioni personali sotto sorveglianza o altre forme di relazioni personali con tale genitore».

Articolo 10 – Misure di salvaguardia e garanzie da adottare per quanto riguarda le relazioni personali

«1. Ogni Stato Parte deve prevedere e promuovere l'utilizzo di misure di salvaguardia e di garanzie (...)
2. Quando le circostanze della causa lo richiedono, le autorità giudiziarie possono, in qualsiasi momento, subordinare una decisione relativa alle relazioni personali a misure di salvaguardia e a garanzie (...)
a Le misure di salvaguardia e le garanzie volte ad assicurare l'attuazione della decisione possono comprendere in particolare:
– la sorveglianza delle relazioni personali;

(...)».

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

  1. I ricorrenti, che affermano di essere vittime di violenze domestiche, contestano alle autorità di non aver adottato le misure necessarie e appropriate per proteggerli, sebbene fossero state avvisate varie volte della mancanza di sicurezza degli incontri tra la seconda ricorrente e il terzo ricorrente e il loro padre violento, tossicodipendente e alcolizzato. In effetti, secondo loro, tali incontri non si sono svolti nella forma «rigorosamente protetta» prescritta dal tribunale, e l'omissione delle autorità a tale riguardo li ha esposti a nuove violenze.
    Inoltre, la prima ricorrente lamenta di essere stata definita «genitore non collaborativo» e, di conseguenza, che la sua responsabilità genitoriale sia stata sospesa soltanto perché, a suo parere, aveva voluto proteggere i suoi figli evidenziando la mancanza di sicurezza degli incontri. La prima ricorrente afferma, inoltre, che le sue argomentazioni non sono state prese in considerazione, e che ha subìto una vittimizzazione secondaria. I ricorrenti invocano gli articoli 3 e 8 della Convenzione.
  2. La Corte rammenta che non è vincolata dai motivi di ricorso proposti da un ricorrente ai sensi della Convenzione e dei suoi Protocolli, e che può decidere la qualificazione giuridica da attribuire ai fatti lamentati esaminando questi ultimi in base ad articoli o a disposizioni della Convenzione diversi da quelli invocati dal ricorrente (Radomilja e altri c. Croazia [GC], n. 37685/10 e 22768/12, § 126, 20 marzo 2018). Tenuto conto della sua giurisprudenza (Remetin c. Croazia (n. 2), n. 7446/12, § 67, 24 luglio 2014), e della natura delle doglianze esposte dai ricorrenti, la Corte ritiene che le questioni sollevate nel caso di specie debbano essere esaminate soltanto sotto il profilo dell'articolo 8 della Convenzione.
    Il passaggio pertinente dell'articolo 8 della Convenzione è così formulato:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (...).»

A. Sulla ricevibilità

  1. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per uno degli altri motivi di cui all'articolo 35 della Convenzione, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

a) I ricorrenti

  1. I ricorrenti lamentano la passività delle autorità e affermano che il sistema di protezione messo in atto a beneficio di una donna e dei suoi figli che fuggivano dalla violenza domestica si è rivelato inefficace e inadeguato.
  2. La prima ricorrente afferma che le autorità hanno tollerato la violenza esercitata da G.C., e che i rimedi messi in atto non sono stati efficaci per proteggerla e per proteggere i suoi figli.
  3. La seconda ricorrente e il terzo ricorrente affermano di essere stati esposti alla violenza nel loro nucleo familiare, e lamentano di essere stati successivamente sottoposti a un trattamento inumano e degradante in quanto sono stati costretti a incontrare il loro padre in condizioni che non garantivano la loro protezione, in assenza di controllo e di sorveglianza da parte delle autorità competenti. Essi sostengono che le autorità nazionali non hanno tenuto conto delle sofferenze da loro subite, e non hanno garantito la protezione della loro integrità personale.
  4. I ricorrenti affermano che gli incontri si sono svolti in luoghi non adatti e senza la presenza di uno psicologo.
  5. Essi sostengono che le autorità hanno dato la priorità al «diritto di visita» di G.C. invece di assicurare la protezione dei minori da ogni ulteriore pregiudizio derivante sia dalla condotta del loro padre che dallo svolgimento degli stessi incontri.
  6. A loro parere, le autorità sapevano che G.C. si era dimostrato aggressivo verso i figli fin dal primo incontro. Durante gli incontri successivi, avrebbe continuato a esprimere verbalmente ai bambini il suo forte risentimento verso la prima ricorrente. I servizi sociali non avrebbero interrotto gli incontri e avrebbero derogato di propria iniziativa alla decisione del tribunale, organizzando incontri in luoghi come una biblioteca e una piazza pubblica, in cui era esclusa qualsiasi forma di controllo e di sorveglianza del comportamento di G.C.
  7. Inoltre, i ricorrenti affermano che il tribunale, pur essendo stato allertato fin dal novembre 2015 dall'assistente sociale, è intervenuto soltanto quattro mesi dopo, e non ha esaminato i problemi legati allo svolgimento degli incontri e alle violenze inflitte alla prima ricorrente e ai suoi figli, limitandosi a sospendere la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori dopo averli dichiarati «incapaci di esercitare adeguatamente il loro ruolo genitoriale».
  8. Essi sostengono che, nonostante il persistere delle violenze e le ripetute segnalazioni, le autorità si sono sottratte al loro dovere di prevenzione e di protezione dei minori dalle violenze di G.C., e non hanno adottato tutte le misure ragionevoli per impedire il reiterarsi di aggressioni violente che potevano pregiudicare l'integrità psicologica e fisica di figli minorenni.
  9. La prima ricorrente contesta alle autorità di aver dimostrato negligenza per quanto riguarda la situazione dei suoi figli, già vittime della violenza del loro padre, e di avere sostenuto la figura paterna invece di favorire una relazione sana tra il padre e i suoi figli.
  10. Essa ammette che i servizi sociali non sono rimasti passivi, e sono intervenuti sporadicamente durante gli incontri quando G.C. si dimostrava aggressivo e non rispettoso delle regole, ma afferma che le misure adottate dalle autorità non sono state sufficienti per impedire a G.C. di infliggere nuove violenze ai suoi figli. Secondo lei, le autorità locali non hanno dimostrato la diligenza necessaria per impedire il reiterarsi di aggressioni contro i minori, perpetrate senza ostacoli e in totale impunità da G.C.
  11. Il tribunale non sarebbe intervenuto in alcun modo per proteggere i minori, né in maniera mirata per interrompere la violenza di G.C., né per verificare l'adeguatezza dei luoghi in cui si svolgevano gli incontri.
  12. Inoltre, la prima ricorrente lamenta di essere stata definita «genitore non collaborativo» e, di conseguenza, che la sua responsabilità genitoriale sia stata sospesa soltanto perché, a suo parere, aveva voluto proteggere i suoi figli evidenziando la mancanza di sicurezza degli incontri. La prima ricorrente afferma, inoltre, che le sue argomentazioni non sono state prese in considerazione, e che ha subìto una vittimizzazione secondaria.
  13. La ricorrente sostiene che il tribunale ha giustificato la sospensione della sua responsabilità genitoriale affermando che lei era «incapace di esercitare in maniera adeguata il suo ruolo genitoriale», in quanto aveva adottato un «comportamento ostile al ristabilirsi di un rapporto padre figlio», senza menzionare le violenze subite, né il fatto che gli incontri non si svolgevano nella forma «rigorosamente protetta» che aveva esso stesso prescritto, né il disagio che provavano i minori, che a suo dire era stato segnalato dall'assistente sociale nel 2015.
  14. La ricorrente afferma, inoltre, che i giudici non hanno tenuto conto della sua vulnerabilità in quanto vittima di violenze domestiche, e contesta alle stesse di avere nuovamente fatto di lei una vittima considerandola un genitore non adatto soltanto in quanto, a suo parere, ha cercato di esercitare il suo diritto e di adempiere al proprio dovere di proteggere i suoi figli minorenni, invece di sostenerla e guidarla nelle azioni da compiere per uscire dalla violenza.
  15. Infine, la ricorrente afferma che la totale inerzia delle autorità ha prorogato in maniera irragionevole la sospensione della sua responsabilità genitoriale, sebbene il procuratore e i servizi sociali ne avessero chiesto il ripristino.

b) Il Governo

  1. Il Governo afferma che dai numerosi rapporti dei servizi sociali risulta che gli operatori incaricati di seguire la famiglia e l’organizzazione degli incontri padre-figli hanno valutato scrupolosamente l’adeguatezza dei luoghi scelti per lo svolgimento di questi ultimi. A suo parere, gli operatori hanno osservato la dinamica relazionale tra il padre e i figli e ne hanno informato il tribunale, e hanno inoltre autorizzato la presenza della madre e del nonno materno nei luoghi degli incontri, allo scopo di proteggere i minori e di preservare la loro serenità.
  2. Inoltre, il Governo afferma che il motivo per cui gli incontri non si sono potuti svolgere nel centro in cui alloggiava la ricorrente riguarda il trasferimento di quest’ultima e dei suoi figli, avvenuto il 31 luglio 2015, in una casa famiglia situata in un altro comune.
  3. Secondo il Governo, dai rapporti del 2015 si evince anche che i servizi sociali non hanno mai constatato, tra i soggetti interessati, delle situazioni pericolose o di tensione tali da mettere in pericolo la serenità dei minori.
  4. A tale riguardo, il Governo sottolinea che gli «incontri in ambiente protetto» hanno proprio lo scopo di riunire genitori e figli sottraendoli a condizioni di separazione traumatiche e/o violente, facendo sì che gli incontri avvengano in uno spazio neutrale in cui i genitori sono sottoposti all’osservazione e alla sorveglianza costanti da parte di personale qualificato in un contesto tecnico professionale.
  5. Il Governo afferma che, nel caso di specie, gli incontri in ambiente protetto si sono svolti regolarmente tra agosto 2015 e l’8 ottobre 2015, e che i servizi sociali hanno ritenuto che i risultati fossero positivi.
  6. Il Governo precisa inoltre che, quando G.C. ha iniziato ad avere un comportamento inappropriato, denigrando la prima ricorrente davanti ai figli e contestando il lavoro degli assistenti sociali, questi ultimi hanno rapidamente sospeso gli incontri e informato il tribunale per i minorenni che le condizioni di sicurezza e di serenità dei minori non erano più soddisfatte.
  7. Infine, per quanto riguarda la doglianza relativa all’assenza di uno psicologo, il Governo sostiene che è a causa del comportamento della prima ricorrente che lo psicologo nominato nel dicembre 2015 non ha potuto incontrare i minori.
  8. Il Governo aggiunge che le manifestazioni di disagio dei minori, in particolare quelle della seconda ricorrente, sembrano essere imputabili principalmente alla maggiore esposizione della bambina alle vicissitudini familiari e all’intensità del conflitto tra i genitori.
  9. Inoltre, sottolinea che il tribunale ha sospeso la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, e non solo quella della prima ricorrente. A suo parere, questa decisione è stata presa allo scopo di proteggere i minori e di assicurare un esercizio effettivo della bigenitorialità.
  10. Il tribunale per i minorenni avrebbe adottato immediatamente tutte le misure appropriate per proteggere i minori e preservare nello stesso tempo il legame familiare con il loro padre, mantenendo dei contatti costanti con i servizi sociali per quanto riguarda lo svolgimento degli incontri in ambiente protetto, e mettendo in atto un piano di sostegno psicologico alla genitorialità, che avrebbe avuto esito positivo nel caso della prima ricorrente.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali

  1. La Corte rammenta che la sospensione della responsabilità genitoriale della ricorrente ha costituito un’ingerenza nel suo diritto al rispetto della vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione (mutatis mutandis R.M. c. Lettonia, n. 53487/13, § 102, 9 dicembre 2021). Una tale ingerenza viola questo articolo a meno che non sia «prevista dalla legge», non persegua uno o più scopi legittimi tra quelli indicati nel paragrafo di tale disposizione, e non sia considerata una misura «necessaria in una società democratica».
  2. La Corte rammenta anche che, per quanto riguarda la vita familiare di un minore, esiste attualmente un ampio consenso – anche nel diritto internazionale – intorno all’idea che in tutte le decisioni che riguardano dei minori, il loro interesse superiore deve prevalere (Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, § 207, 10 settembre 2019, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 135, CEDU 2010, e X c. Lettonia [GC], n. 27853/09, § 96, CEDU 2013).
  3. Nelle cause in cui gli interessi del minore e quelli dei suoi genitori siano in conflitto, l’articolo 8 esige che le autorità nazionali garantiscano un giusto equilibrio tra tutti questi interessi e che, nel farlo, attribuiscano una particolare importanza all’interesse superiore del minore che, a seconda della sua natura e complessità, può avere la precedenza su quello dei genitori (si veda, per esempio, Sommerfeld c. Germania [GC], n. 31871/96, § 64, CEDU 2003 VIII (estratti), nonché i riferimenti ivi citati).
  4. In generale, da un lato, l’interesse superiore del minore impone che i legami tra lo stesso e la sua famiglia siano mantenuti, salvo nei casi in cui quest’ultima si sia dimostrata particolarmente indegna: rompere tale legame significa tagliare al figlio le sue radici. Di conseguenza, solo circostanze del tutto eccezionali, in linea di principio, possono portare a una rottura del legame famigliare, e deve essere fatto il possibile per mantenere le relazioni personali e, se del caso, al momento opportuno, «ricostruire» la famiglia (Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 59, CEDU 2000-IX). D’altra parte, è evidente che garantire al minore uno sviluppo in un ambiente sano rientra in tale interesse, e che l’articolo 8 non può autorizzare un genitore ad adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo di suo figlio (si vedano, tra molte altre, Neulinger e Shuruk, sopra citata, § 136, Elsholz c. Germania [GC], n. 25735/94, § 50, CEDU 2000 VIII, e Maršálek c. Repubblica ceca, n. 8153/04, § 71, 4 aprile 2006).
  5. Sebbene l'articolo 8 della Convenzione non contenga alcuna condizione procedurale esplicita, il processo decisionale deve essere equo e idoneo a rispettare adeguatamente gli interessi protetti da tale disposizione. I genitori devono prendere sufficientemente parte al processo decisionale, considerato complessivamente, affinché si possa ritenere che abbiano beneficiato della protezione richiesta dei loro interessi e siano pienamente in grado di presentare la loro causa. Le giurisdizioni nazionali devono procedere a un esame approfondito della situazione familiare nel suo complesso e di tutta una serie di elementi, in particolare di ordine fattuale, affettivo, psicologico, materiale e sanitario, e procedere ad una valutazione equilibrata e ragionevole dei rispettivi interessi di ciascuno, cercando costantemente di determinare quale sia la migliore soluzione per il minore, considerazione che assume un'importanza fondamentale in tutte le cause. Il margine di apprezzamento lasciato alle autorità nazionali competenti varia a seconda della natura delle questioni controverse e dell'importanza degli interessi in gioco (Petrov e X c. Russia, n. 23608/16, §§ 98-102, 23 ottobre 2018).

b) Applicazione dei principi sopra menzionati nel caso di specie

i. Sulla dedotta violazione dell’articolo 8 nei confronti della seconda ricorrente e del terzo ricorrente

  1. La questione che si pone nel caso di specie è se, tenuto conto dell’ampio margine di apprezzamento di cui disponeva, lo Stato convenuto abbia garantito un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco, fermo restando che l’interesse superiore del minore deve prevalere. In particolare, la Corte rammenta che il margine di apprezzamento varia a seconda della natura delle questioni dibattute e della gravità degli interessi in gioco come, da una parte, l’importanza di proteggere un minore in una situazione ritenuta molto pericolosa per la sua salute o il suo sviluppo (Wunderlich c. Germania, n. 18925/15, § 47, 10 gennaio 2019) e, dall’altra, l’obiettivo di riunire la famiglia non appena le circostanze lo permetteranno (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 155, CEDU 2001-VII, e Mohamed Hasan c. Norvegia, n. 27496/15, § 145, 26 aprile 2018).
  2. Per quanto riguarda la protezione dell’integrità fisica e morale di una persona rispetto ad altri, la Corte ha già affermato che gli obblighi positivi che gravano sulle autorità – in alcuni casi in virtù dell’articolo 2 o dell’articolo 3 della Convenzione, e in altri casi in virtù dell’articolo 8 considerato separatamente o in combinato disposto con l’articolo 3 – possono comportare un dovere di istituire e applicare in pratica un quadro normativo adeguato che offra una protezione contro gli atti di violenza che possono essere commessi da privati (Söderman c. Svezia [GC], n. 5786/08, 80, CEDU 2013).
  3. Per quanto riguarda i minori, che sono particolarmente vulnerabili, i dispositivi creati dallo Stato per proteggerli da atti di violenza che rientrano nelle previsioni degli articoli 3 e 8 devono essere efficaci e includere misure ragionevoli volte a impedire i maltrattamenti di cui le autorità erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza, nonché una prevenzione efficace che metta i minori stessi al riparo da forme così gravi di violazione dell'integrità della persona (Söderman, sopra citata, § 81, e nel contesto della violenza domestica si veda Hajduová c. Slovacchia, n. 2660/03, § 49, 30 novembre 2010). Tali misure devono essere volte a garantire il rispetto della dignità umana e la protezione dell'interesse superiore del minore (C.A.S. e C.S. c. Romania, n. 26692/05, § 82, 20 marzo 2012).
  4. La Corte osserva che, nonostante la decisione del tribunale per i minorenni che autorizzava degli incontri in forma rigorosamente protetta e in presenza di uno psicologo, tali incontri non hanno avuto luogo secondo le modalità indicate dal tribunale. In un primo periodo, che va da agosto 2015 a gennaio 2016, i minori hanno dovuto incontrare il loro padre in luoghi inadeguati e senza la presenza di uno psicologo.
  5. I servizi sociali hanno indicato nel loro rapporto che i luoghi scelti non erano idonei, e nel dicembre 2015 l'assistente sociale che seguiva i minori ha chiesto al tribunale di intervenire d'urgenza per proteggerli.
  6. La Corte osserva che il tribunale, per quasi quattro mesi, non ha risposto con diligenza alle sollecitazioni dei servizi sociali e della prima ricorrente.
  7. Poiché la prima ricorrente aveva preso la decisione di non portare i suoi figli agli incontri previsti, il tribunale ha deciso, nel maggio 2016, di considerarla un genitore ostile al ripristino di un rapporto padre-figli e di sospendere la sua responsabilità genitoriale, senza esaminare le sue argomentazioni e senza tenere conto del contesto di violenza domestica citato nella sua prima decisione.
  8. La Corte osserva che il tribunale non ha sentito l'assistente sociale che aveva segnalato il pericolo al quale erano esposti i minori, non ha tenuto minimamente conto delle argomentazioni della prima ricorrente e, invece, ha ordinato che gli incontri proseguissero. Per di più, lo psicologo è stato nominato soltanto nel dicembre 2015.
  9. La Corte osserva che gli incontri sono continuati per circa tre anni, e che anche se. in un secondo tempo, si sono svolti in presenza di uno psicologo, il comportamento sprezzante di G.C., che si dimostrava aggressivo verso gli operatori dei servizi sociali, ha portato questi ultimi a chiedere al tribunale di autorizzarli a spostare gli incontri in un luogo dal quale sarebbe stato facile fuggire in caso di comportamento violento.
  10. Dai vari rapporti dei servizi sociali risulta che, in un primo tempo, gli incontri sono stati organizzati e si sono svolti in luoghi inadeguati senza la presenza di uno psicologo, e che, in un secondo tempo, a partire da marzo 2016, sono stati caratterizzati da una forte aggressività di G.C. e sono continuati anche nel 2018, periodo in cui i minori erano stati lasciati soli con il padre, senza che fosse intervenuto alcun miglioramento della situazione, e nonostante le diverse segnalazioni all'autorità giudiziaria in merito all'aumento dell'aggressività di G.C.
  11. A tale riguardo, la Corte constata che il comportamento aggressivo di G.C. era stato segnalato nel febbraio 2017 (paragrafo 42 supra), in giugno e luglio 2017 (paragrafi 44-45 supra), nel gennaio 2018 (paragrafo 47 supra), nel marzo 2018 (paragrafo 52 supra) e che, nell'aprile 2018, il tutore dei minori aveva informato il tribunale della situazione difficile nella quale si trovavano, in quanto la loro sicurezza non era garantita.
  12. La Corte osserva che, malgrado queste segnalazioni, il tribunale è intervenuto per sospendere gli incontri soltanto nel novembre 2018, ossia un anno e nove mesi dopo la prima segnalazione.
  13. La Corte constata che, durante tutto questo periodo, i minori sono stati costretti a incontrare il loro padre in condizioni che non erano rassicuranti e non garantivano la loro tranquillità e il loro sviluppo, sebbene il tribunale fosse stato avvertito che G.C. non seguiva più il suo programma di disintossicazione, e che il procedimento penale avviato nei suoi confronti per maltrattamenti era ancora pendente. Il tribunale, che era stato informato anche che i minori avevano bisogno di seguire un percorso di sostegno psicologico, non sembra aver tenuto conto del loro benessere, tanto più che tali incontri li hanno esposti sia a essere testimoni delle violenze commesse nei confronti della prima ricorrente (mutatis mutandis Eremia c. Repubblica di Moldavia, n. 3564/11, §§ 77-79, 28 maggio 2013), che a quelle che essi stessi hanno subìto a causa dell'aggressività del loro padre.
  14. La Corte non comprende per quale motivo il tribunale, al quale erano state trasmesse delle segnalazioni fin dal 2015, ribadite negli anni successivi, ha deciso di proseguire gli incontri sebbene il benessere e la sicurezza dei minori non fossero garantiti. Il tribunale non ha mai valutato il rischio al quale erano esposti i minori, e non ha mai bilanciato i diversi interessi in gioco. In particolare, dalla motivazione delle sue decisioni non risulta che le considerazioni inerenti all'interesse superiore dei minori dovevano prevalere sugli interessi di G.C. a mantenere dei contatti con loro e a proseguire gli incontri.
  15. La Corte ritiene che gli incontri avvenuti dal 2015, che si sono inizialmente svolti in condizioni non conformi alla decisione del tribunale, e poi secondo modalità che non garantivano un ambiente protetto per i minori, hanno perturbato l'equilibrio psicologico ed emotivo di questi ultimi, come segnalato dai servizi sociali che avevano sottolineato varie volte la necessità di un sostegno psicologico per gli stessi.
  16. La Corte osserva anche che la corte d'appello di Roma ha constatato, il 19 dicembre 2019, che G.C., con i suoi comportamenti aggressivi, distruttivi e sprezzanti durante gli incontri, si era sottratto al suo dovere di garantire ai minori uno sviluppo sano e sereno (paragrafo 62 supra).
  17. Le considerazioni sopra esposte sono sufficienti per la Corte per concludere che i minori sono stati costretti dal 2015 a incontrare G.C. in condizioni che non garantivano un ambiente protetto e che, nonostante gli sforzi compiuti dalle autorità per mantenere il legame tra questi ultimi e G.C., non è stato rispettato il loro interesse superiore a non essere costretti a partecipare a incontri che si svolgevano nelle condizioni sopra menzionate.
  18. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione nei confronti della seconda ricorrente e del terzo ricorrente.

ii. Sulla dedotta violazione dell’articolo 8 nei confronti della prima ricorrente

  1. In primo luogo, la Corte considera che la decisione in contestazione costituisce un’ingerenza nell'esercizio da parte della ricorrente del suo diritto al rispetto della vita familiare sancito dal primo paragrafo dell'articolo 8 della Convenzione. In secondo luogo, la Corte considera che la decisione era prevista dalla legge, ossia gli articoli 330 e seguenti del codice civile, e perseguiva gli scopi legittimi di «protezione della salute» e «dei diritti e delle libertà» dei minori, il che non è oggetto di contestazione tra le parti. In terzo luogo, la Corte ha il compito di controllare se l'ingerenza fosse «necessaria in una società democratica».
  2. La Corte deve esaminare, alla luce di tutte le circostanze di causa, se le giurisdizioni che sono intervenute nel caso di specie abbiano giustificato con motivi pertinenti e sufficienti la sospensione per tre anni della responsabilità genitoriale della prima ricorrente, tenendo conto dell'interesse superiore dei minori e garantendo un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco.
  3. La Corte osserva che, dopo aver accompagnato i suoi figli per cinque mesi a degli incontri che si svolgevano senza le garanzie previste dalla decisione del tribunale, come aveva del resto segnalato l'assistente sociale chiedendo un intervento urgente del tribunale per proteggere i minori, la prima ricorrente ha deciso di non portarveli più.
  4. Deliberando cinque mesi dopo le segnalazioni dei servizi sociali e della prima ricorrente, il tribunale ha ritenuto che quest'ultima manifestasse un comportamento ostile agli incontri, e ha deciso di sospendere la sua responsabilità genitoriale senza operare un bilanciamento dei diversi interessi in gioco, senza sentire l'assistente sociale che aveva seguìto lo svolgimento degli incontri fino a dicembre 2015 e le aveva segnalato i problemi da lei constatati, e senza tenere conto delle difficoltà che caratterizzavano lo svolgimento degli incontri, quali l'assenza di uno psicologo.
  5. La Corte osserva anche che, un mese più tardi, il tribunale civile di Tivoli, cui si era rivolta la prima ricorrente (paragrafo 36 supra), ha deciso di attribuirle l’affidamento esclusivo dei figli, e ha ordinato che gli incontri si svolgessero secondo le prescrizioni del tribunale per i minorenni.
  6. Risulta anche che, il 3 aprile 2017, il tribunale civile di Tivoli ha revocato la sua decisione che attribuiva l’affidamento esclusivo alla prima ricorrente. La Corte sottolinea, tuttavia, che tale decisione non è stata prodotta dalle parti, ma è stata citata dalla corte d'appello nella sua decisione del 2019.
  7. La Corte constata che la decisione di sospensione della responsabilità genitoriale emessa dal tribunale per i minorenni di Roma è stata poi confermata dalla corte d'appello, e revocata soltanto nel maggio 2019, nonostante la domanda formulata dal procuratore il 10 novembre 2018 e quella dei servizi sociali trasmessa nell'aprile 2019.
  8. Non risulta che la sospensione della responsabilità genitoriale abbia provocato un cambio di domicilio dei minori, che sono rimasti a vivere con la prima ricorrente, come si può dedurre dalle decisioni contraddittorie emesse rispettivamente dal tribunale civile di Tivoli e dal tribunale per i minorenni e dalla corte d'appello di Roma (paragrafi 34, 36 e 38 supra).
  9. Tuttavia, la Corte constata che, anche se il domicilio dei minori è stato fissato presso la prima ricorrente, la sospensione della responsabilità genitoriale comporta, nella legislazione italiana, la privazione del diritto di prendere decisioni nell'interesse dei figli, di rappresentarli legalmente e di influire in qualsiasi modo sul loro sviluppo personale, anche se il genitore la cui responsabilità genitoriale è stata sospesa convive con loro.
  10. La Corte ritiene che le decisioni dei giudici interni che hanno sospeso la responsabilità genitoriale della prima ricorrente non abbiano tenuto conto delle difficoltà che avevano caratterizzato lo svolgimento degli incontri e della mancanza di sicurezza segnalata varie volte dalle diverse parti che sono intervenute agli incontri. Non sono stati minimamente presi in considerazione la situazione di violenza vissuta dalla prima ricorrente e dai suoi figli e il procedimento penale pendente contro G.C. per maltrattamenti.
  11. La Corte osserva anche che, nel suo rapporto sull'Italia, il GREVIO ha sottolineato che la sicurezza del genitore non violento e dei figli doveva essere un fattore determinante per decidere l'interesse superiore del minore in materia di affidamento e di diritto di visita. Il GREVIO ha anche osservato che i giudici interni non tenevano conto dell'articolo 31 della Convenzione di Istanbul.
  12. La Corte condivide le preoccupazioni del GREVIO circa l'esistenza di una prassi, molto diffusa tra i tribunali civili, che consiste nel considerare le donne che denunciano fatti di violenza domestica per rifiutarsi di partecipare agli incontri tra i loro figli e il loro ex compagno e per opporsi all'affidamento condiviso con quest'ultimo o al fatto che quest'ultimo goda di un diritto di visita, come genitori «non collaborativi», e dunque «madri inadeguate» che meritano una sanzione.
  13. La Corte non è convinta che le autorità interne, nel caso di specie, abbiano giustificato con motivi pertinenti e sufficienti la sospensione per tre anni della responsabilità genitoriale della prima ricorrente. Le giurisdizioni interessate non hanno esaminato con cura la situazione della prima ricorrente. La Corte osserva che il tribunale e la corte d'appello hanno deciso di sospendere la responsabilità genitoriale dell'interessata basandosi sul comportamento asseritamente ostile di quest'ultima agli incontri e all'esercizio della bigenitorialità da parte di G.C., senza tenere conto di tutti gli elementi pertinenti del caso.
  14. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte considera che il tribunale per i minorenni e la corte d'appello non abbiano giustificato con motivi sufficienti e pertinenti la loro decisione di sospendere la responsabilità genitoriale della prima ricorrente nel periodo compreso tra maggio 2016 e maggio 2019.
  15. Di conseguenza, vi è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione nei confronti della prima ricorrente.

II. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione:

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

  1. La prima ricorrente chiede la somma di 30.000 euro (EUR) per il danno morale che ritiene di avere subìto, e la somma di 100.000 EUR per il danno che avrebbero subìto i suoi figli.
  2. Il Governo chiede che tali richieste siano respinte.
  3. Tenuto conto delle circostanze del caso di specie, la Corte considera che la seconda ricorrente e il terzo ricorrente abbiano subìto un pregiudizio morale che non può essere riparato dalla semplice constatazione di violazione dell'articolo 8 della Convenzione. Invece, per quanto riguarda la prima ricorrente, la Corte constata che i suoi figli sono rimasti con lei per tutta la durata della misura di sospensione della responsabilità genitoriale. In queste condizioni, essa ritiene che la constatazione di violazione sia sufficiente per compensare il pregiudizio morale subìto dall'interessata.
  4. Di conseguenza, tenuto conto di tutti gli elementi di cui dispone, e deliberando in via equitativa, ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione, la Corte accorda congiuntamente alla seconda ricorrente e al terzo ricorrente la somma di 7.000 EUR per danno morale, più l'importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta.

B. Spese

  1. I ricorrenti chiedono la somma di 10.000 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi ai giudici interni, e la somma di 5.000 EUR per quelle sostenute per il procedimento condotto dinanzi alla Corte.
  2. Il Governo contesta tali richieste.
  3. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, la Corte respinge la domanda relativa alle spese, in quanto i ricorrenti non hanno prodotto alcun documento giustificativo a tale riguardo.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare congiuntamente alla seconda ricorrente e al terzo ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza diverrà definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 7.000 EUR (settemila euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale;
    2. che la constatazione di violazione costituisce di per sé un'equa soddisfazione sufficiente per il danno morale subìto dalla prima ricorrente;
  4. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 10 novembre 2022, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Marko Bošnjak
Presidente

Cancelliere aggiunto
Liv Tigerstedt