Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 7 aprile 2022 - Ricorso n. 10929/19 - Causa Landi c. Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA LANDI c. ITALIA

(Ricorso n. 10929/19)

SENTENZA

Art 2 (materiale) • Obblighi positivi • Assenza di misure preventive delle autorità a fronte di violenze domestiche ricorrenti che hanno portato al tentato omicidio della ricorrente da parte del suo compagno e all'omicidio del loro figlio • Legislazione nazionale adeguata • Risposta appropriata da parte dei carabinieri • Assenza di un’azione immediata, autonoma e proattiva e di una valutazione completa dei rischi da parte dei procuratori • Indizi di violenza domestica che mostrano un rischio reale e immediato per la vita

Art 14 (+Art 2) • Assenza di carenza sistemica che riveli una passività generalizzata nei confronti delle vittime di violenza domestica • Nessun atteggiamento discriminatorio nei confronti della ricorrente • Adozione di misure da parte dello Stato a partire dalla sentenza Talpis c. Italia emessa nel 2017

STRASBURGO

7 aprile 2022

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Landi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Marko Bošnjak, presidente,
Péter Paczolay,
Alena Poláčková,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato,
Lorraine Schembri Orland,
Ioannis Ktistakis, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso (n. 10929/19) proposto contro la Repubblica italiana da una cittadina di questo Stato, la sig.ra Annalisa Landi («la ricorrente»), che il 19 febbraio 2019 ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
Vista la decisione di portare a conoscenza del governo italiano («il Governo»), la doglianza fondata sugli articoli 2 e 14 della Convenzione,
Viste le osservazioni delle parti,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 15 marzo 2022,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. Il ricorso riguarda la dedotta mancata adozione da parte dello Stato convenuto delle misure di protezione e di assistenza nei confronti della ricorrente e dei suoi figli a seguito delle violenze domestiche inflitte dal suo compagno, che hanno portato all'omicidio del loro figlio di un anno e al tentato omicidio dell'interessata. La ricorrente ritiene che ciò costituisca una violazione degli articoli 2 e 14 della Convenzione.

IN FATTO

2. La ricorrente è nata nel 1988 e risiede a Scarperia. È stata rappresentata dall'avvocato M. Annetta.

3. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia, avvocato dello Stato.

4. La ricorrente viveva con il suo convivente, N.P.

5. La loro relazione iniziò nel 2010. All'epoca, la ricorrente non era a conoscenza dei disturbi mentali del suo compagno, che aveva una storia medica e clinica delicata dal momento che soffriva di un disturbo bipolare da quando aveva vent'anni. In particolare, quest’ultimo presentava fluttuazioni progressive dell'umore accompagnate da una marcata impulsività, irritabilità e comportamento estremamente violento, in particolare nei confronti della sua compagna dell'epoca. Soffriva anche di un disturbo ossessivo-compulsivo.

6. In passato era stato un alcolizzato ed era stato oggetto di una ordinanza che gli vietava di avvicinarsi alla sua precedente compagna.

7. Il 3 maggio 2011, dalla relazione tra la ricorrente e N.P. nacque una figlia, V.

I. NOVEMBRE 2015: PRIMA AGGRESSIONE COMMESSA NEI CONFRONTI DELLA RICORRENTE

8. Il 20 novembre 2015 la ricorrente si recò presso la stazione dei Carabinieri di Scarperia e informò questi ultimi che N.P. soffriva di un disturbo bipolare che in passato aveva provocato più volte dei comportamenti violenti. N.P. la minacciava e le diceva: «Ti ammazzo», «sei una poco di buono», «la vedi quella persona sulla sedia a rotelle in televisione, io ti vedrei bene così, così patisci quello che patisco io». La ricorrente raccontò anche che in più occasioni N.P. l'aveva colpita sulla testa, le aveva dato dei calci, l'aveva graffiata e l'aveva picchiata. Uno degli episodi più violenti si era verificato quando la ricorrente aveva tentato di esporre un'opinione personale con la quale N.P. non era d'accordo. A quel punto, l'uomo l'aveva presa al collo scaraventandola sul divano.

9. Mentre la ricorrente parlava con i carabinieri arrivò N.P., che cominciò a gridare e a minacciarla: «Ti sfregio con l'acido, ti squaglio con l’acido, tanto non scappi ti trovo, ti distruggo la macchina». Dopo aver minacciato la ricorrente, N.P. fuggì in mezzo alla strada per poi lanciarsi sul cofano di una macchina che passava chiedendo di farsi investire.

10. I carabinieri portarono N.P. all'ospedale e consigliarono alla ricorrente di passare la notte dai suoi genitori. In ospedale, N.P. fu visitato da una psichiatra che decise di non sottoporlo ad un trattamento sanitario obbligatorio ritenendo che non fosse pericoloso. Secondo la psichiatra, N.P. era calmo e riconosceva il comportamento che aveva avuto. Ad un certo punto N.P: si allontanò volontariamente dall'ospedale. Vi fu riportato dai carabinieri e, dopo un ulteriore colloquio con la psichiatra, lasciò l'ospedale.

11. I poliziotti verificarono che la ricorrente e V. erano state ospitate dalla madre della ricorrente.

12. Uscito dall'ospedale, N.P. cominciò a telefonare alla madre della ricorrente e si recò a casa sua. Quando la ricorrente gli disse che non voleva tornare con lui, cominciò a gridare e a dare calci all'auto della ricorrente prima di tornare, da solo, a casa sua.

13. Il 21 novembre 2015 la ricorrente si recò nuovamente dai carabinieri di Scarperia e denunciò N.P. Fu informata della possibilità di chiedere aiuto a un centro di accoglienza per donne vittime di violenza.

14. Il 22 novembre 2015, i carabinieri trasmisero al procuratore della Repubblica di Firenze la denuncia della ricorrente e gli comunicarono i reati commessi da N.P. I carabinieri rappresentarono che l’interessato risultava già essere stato indagato per analoghi reati nel 2010, e che era stata emessa un’ordinanza di divieto di avvicinamento alla sua ex-compagna. Allegarono le dichiarazioni dei testimoni e dei medici dell’ospedale che avevano visitato N.P. I carabinieri suggerirono al procuratore di richiedere al giudice una misura cautelare sulla base dell’articolo 282 ter del codice di procedura penale per allontanare N.P. dalla casa familiare e impedirgli di avvicinarsi alla ricorrente, a sua figlia e ai suoi suoceri.

15. Nei confronti di N.P. fu aperto un procedimento per molestie.

16. Per circa quattro mesi, non fu condotta alcuna inchiesta e il giudice non ordinò alcuna misura cautelare, visto che il procuratore non aveva chiesto al giudice di adottare questo tipo di misura.

17. Il 3 marzo 2016 la ricorrente decise di ritirare la sua denuncia ritenendo che N.P. sembrava stare meglio grazie alla terapia che seguiva.

18. L’11 maggio 2016 la denuncia fu archiviata.

II. SETTEMBRE 2017: SECONDA AGGRESSIONE COMMESSA NEI CONFRONTI DELLA RICORRENTE

19. Il 1° settembre 2017 nacque M., il secondo figlio della ricorrente e di N.P.

20. Il 3 settembre 2017 N.P. si svegliò nel mezzo della notte e non trovò la ricorrente e il loro figlio M. La ricorrente si era difatti recata all’ospedale con sua madre perché aveva dei problemi di allattamento. Mentre si apprestava a salire in auto, la ricorrente ricevette una chiamata sul suo cellulare da parte di N.P. che, gridando, aveva svegliato V. La ricorrente rientrò in casa, dove trovò N.P. estremamente agitato e affidò M. ai suoi genitori.

21. La ricorrente telefonò ai numeri di emergenza. I carabinieri di Ronta arrivarono, sentirono la ricorrente, suo fratello, sua madre, che nel frattempo aveva preso V. e l’aveva portata a casa sua, nonché N.P., e raccolsero le dichiarazioni in un verbale. La ricorrente precisò che N.P. non era arrivato alle mani, e che non voleva sporgere denuncia nei suoi confronti.

22. Il 9 settembre 2017 i carabinieri di Scarperia trasmisero al procuratore un rapporto aggiornato sulla situazione della ricorrente che, precisarono, non intendeva sporgere denuncia.

III. DICEMBRE 2017: INTERVENTO DEI CARABINIERI DURANTE UNA LITE

23. Il 31 dicembre 2017 i carabinieri intervennero in occasione di una violenta lite in strada tra la ricorrente e N.P.

24. A seguito dell’intervento dei carabinieri, N.P. si rifiutò di dare indicazioni sulla propria identità personale. Fu redatto un rapporto e fu inviata comunicazione all’autorità giudiziaria.

IV. FEBBRAIO 2018: TERZA AGGRESSIONE COMMESSA NEI CONFRONTI DELLA RICORRENTE

25. Visto lo stato di agitazione in cui si trovava N.P., il 22 febbraio 2018 la ricorrente lo accompagnò presso il centro di salute mentale. Poiché il suo medico non era presente, N.P. fu visitato da un altro medico che gli somministrò un calmante per endovena.

26. Nel pomeriggio la ricorrente sollecitò l’intervento dei carabinieri.

27. Al loro arrivo, l’interessata spiegò che N.P. era entrato in casa molto agitato accusandola di aver parcheggiato male l’auto e che, in seguito, le aveva sferrato una testata sul viso tanto da farle perdere sangue dal naso.

28. Alla richiesta della ricorrente di farsi curare, N.P. iniziò nuovamente ad urlare contro di lei assumendo atteggiamenti autolesionistici. In particolare, sbatteva la propria testa contro la parete della cucina al fine di procurarsi delle ferite.

29. Durante questo episodio, N.P. tentò di impossessarsi della pistola di un carabiniere.

30. Dopo ciò, N.P. veniva trasportato presso il centro di salute mentale reparto di psichiatria di Borgo San Lorenzo dove fu ricoverato.

31. La ricorrente fu condotta in ospedale dove le furono riscontrate lesioni guaribili in sette giorni.

32. Il 23 febbraio 2018 la ricorrente si presentò nella stazione dei carabinieri per sporgere denuncia. Indicò che, nel corso dell’ultimo mese, aveva ricevuto insulti quali «sei una persona inutile, non servi a niente» ed era stata oggetto più volte di minacce quali «ti ammazzo» o «io ti ammazzo i bambini», il tutto accompagnato da violenza rivolta verso diversi oggetti di casa. La ricorrente fornì un CD contenente tutti i messaggi scambiati tra lei e N.P. dal 30 marzo 2016 al 23 febbraio 2018.

33. Lo stesso giorno i carabinieri furono informati dai medici del servizio psichiatrico di diagnosi e di cura che, nel corso dei colloqui effettuati con N.P. e la sua famiglia, erano stati riferiti parecchi episodi di maltrattamento e di violenza domestica.

34. Il 26 febbraio 2018 N.P. fu dimesso dall’ospedale con una terapia medica specifica, che doveva proseguire a domicilio. Gli fu diagnosticato un disturbo di personalità esplosivo intermittente, che sembrava sotto controllo. N.P. andò a vivere presso i suoi genitori a Reggello.

35. Il 28 febbraio la ricorrente si recò dai carabinieri per ritirare la sua denuncia.

36. Il 2 marzo 2018 i carabinieri di Scarperia inviarono al procuratore di Firenze la denuncia che era stata ritirata e la comunicazione dei reati relativi ai maltrattamenti e alle lesioni inflitte da N.P. I carabinieri, dopo aver riepilogato tutti gli interventi fatti a casa della ricorrente a partire dal 2015, chiesero al procuratore di valutare la necessità di procedere all’applicazione di una misura privativa della libertà nei confronti di N.P. al fine di proteggere la ricorrente e i bambini. La comunicazione era così redatta:
«Tenuto conto:

  • del comportamento di N.P., il quale periodicamente, a seguito della sua malattia, sfocia in improvvisi e pericolosi scatti d’ira e di violenza che coinvolgono spesso la Landi;
  • della necessità di tutelare le persone della stessa Landi nonché dei figli minori V. di sette anni e N. di appena cinque mesi;
  • che non si può escludere un reiterarsi delle condotte violente tenute dal medesimo, che sono iniziate già dall’anno 2010 e che, come detto, periodicamente vengono rimesse in atto;
  • che, in data 08.01.2010, N.P. veniva deferito all’A.G di Arezzo per i reati di furto, vilipendio alle tombe, atti persecutori, danneggiamento e molestia. A seguito di tale deferimento il giudice per le indagini preliminari emetteva ordinanza di divieto di avvicinamento alla persona di C.D.;
     

Si voglia valutare la possibilità di avanzare richiesta di idonea misura cautelare.»

37. Nei confronti di N.P. fu avviato un procedimento per il delitto di maltrattamenti in famiglia (articolo 572 del codice penale).

38. Nell’aprile 2018 N.P. ritornò a vivere a casa della ricorrente, perché secondo l’interessata, il dottor S.D., che seguiva N.P., raccomandava una riunione della coppia a supporto della terapia di N.P.

39. Durante l’indagine non venne adottata alcuna misura per proteggere la ricorrente e i suoi bambini.

40. Il 25 luglio 2018 fu redatta una perizia psichiatrica su N.P. La relazione concluse che, sebbene la personalità di N.P. rivelasse un disturbo del controllo degli impulsi e un disturbo bipolare, lo stesso non presentava alcuna manifestazione psicotica al momento dei fatti. Si trattava di una persona che aveva presentato dei disturbi del comportamento con una tendenza all’impulsività durante tutta la sua vita, e gli esami mostravano una riduzione funzionale del controllo delle reazioni anormali e impulsive. Tenuto conto del fatto che il comportamento aggressivo derivava sempre dalle discussioni e dalle liti nell’ambiente familiare, e che, di fronte a una relazione motivazionale diretta tra le caratteristiche del disturbo e il comportamento, il suo discernimento e la sua volontà erano fortemente ridotti. Per quanto riguarda la sua pericolosità sociale, l’esperto sottolineò che, sebbene cosciente dei suoi problemi, N.P. aveva una pericolosità sociale legata alla sua patologia per la quale doveva essere costantemente sottoposto a un programma terapeutico.

V. SETTEMBRE 2018: QUARTA AGGRESSIONE COMMESSA NEI CONFRONTI DELLA RICORRENTE E DEI SUOI FIGLI E OMICIDIO DI M.

41. Il 14 settembre 2018, prima di cena, N.P. fu disturbato dal rumore provocato da suo figlio e da una telefonata che la ricorrente aveva ricevuto. Si alterò e afferrò il cellulare di quest’ultima e andò a prendere un coltello. In quel momento la ricorrente prese i bambini e si rifugiò sul balcone.

42. N.P. si avvicinò al balcone e, dopo aver ferito il cane con il coltello, afferrò V. per i capelli e la scaraventò contro il muro. Tentò poi di afferrare M. che era in braccio a sua madre. Rientrò in cucina, cercò un altro coltello e si gettò sulla ricorrente ferendola al viso e sul corpo. L’interessata cadde per terra e posò M. sul pavimento. In quel momento N.P. inflisse diverse coltellate al bambino provocando in tal modo il suo decesso.

43. Il 9 ottobre 2018, durante l'indagine che seguì l'omicidio di M. e il tentato omicidio della ricorrente, S.D., lo psichiatra di N.P., fu sentito dai carabinieri. Ricordando i fatti dell'aggressione avvenuta nel febbraio 2018, fece riferimento a una «lite» tra coniugi e indicò che a seguito di tale lite, N.P. era stato ricoverato alcuni giorni nel centro di salute mentale.

44. N.P. fu rinviato a giudizio per l'omicidio di suo figlio, il tentato omicidio della ricorrente e della loro figlia V. e per i maltrattamenti inflitti alla ricorrente a partire dal maggio 2010. La ricorrente e sua figlia V. si costituirono parti civili.

45. Con sentenza del 24 ottobre 2019, N.P. fu condannato dal tribunale a vent'anni di reclusione per l'omicidio di M., il tentato omicidio della ricorrente e i maltrattamenti inflitti a quest’ultima. I fatti commessi contro V. furono invece riqualificati in lesioni, che non potevano essere perseguite a causa dell'assenza di denuncia. Il tribunale ritenne che la capacità di intendere e di volere di N.P. fossero ridotte a causa dei suoi disturbi psichici. Condannò N.P. a versare alle parti civili, in via provvisoria fino alla determinazione definitiva dei danni, la somma di 100.000 euro a titolo di risarcimento dei danni che queste ultime avevano subìto.

46. Le parti non hanno informato la Corte del corso successivo del procedimento.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

I. IL DIRITTO INTERNO

A. Le disposizioni interne pertinenti in materia penale dopo l’adozione della legge n. 38 del 23 aprile 2009, della legge n. 119 del 15 ottobre 2013 (piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere) e della legge n. 69 del 19 luglio 2019 («Codice rosso»)

47. Le disposizioni pertinenti del codice penale (di seguito il «CP») sono così formulate:

Articolo 572 –Maltrattamenti in famiglia

«Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.

La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato.»

Articolo 582 – Lesioni

«Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.»

Articolo 583 – Circostanze aggravanti

«La lesione personale è «grave» e si applica la reclusione da tre a sette anni: 1) se dal fatto deriva una malattia (…) o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni (…).»

Articolo 612 – Minaccia

«Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1.032 euro.

Se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno.

Si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339.»

Articolo 612 bis – Atti persecutori

« Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.»

48. Le disposizioni pertinenti del codice di procedura penale recitano:

Articolo 282 bis – Allontanamento dalla casa familiare

«Con il provvedimento che dispone l'allontanamento il giudice prescrive [al coniuge che ha avuto il comportamento pregiudizievole] di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede. L'eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita.

Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell'incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.

(...)

Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 septies 1, 600 septies 2, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquiese 609 octies e 612, secondo comma, 612 bis del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 280, anche con le modalità di controllo previste all'articolo 275 bis.»

Articolo 283 bis [sic] – Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa

«1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive [al coniuge che ha avuto il comportamento pregiudizievole] di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, anche disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'art. 275 bis.

2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone.

3. Il giudice può, inoltre, vietare all'imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2.

4. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.»

Articolo 362 – Assunzione di informazioni

«Il pubblico ministero assume informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini (...)

Quando si procede per il delitto previsto dall'articolo 575 del codice penale, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies et 612 bis del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell'interesse della persona offesa.»

Articolo 370 – Atti diretti e delegati

«1. Il pubblico ministero compie personalmente ogni attività di indagine. Può avvalersi della polizia giudiziaria per il compimento di attività di indagine e di atti specificamente delegati, ivi compresi gli interrogatori [375, 388] ed i confronti [364] cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà, con l'assistenza necessaria del difensore.

2. Quando procede a norma del comma 1, la polizia giudiziaria osserva le disposizioni degli articoli 364, 365 e 373.

2 bis Se si tratta del delitto previsto dall'articolo 575 del codice penale, nella forma tentata, o di uno dei delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 612 bis et 612 ter del codice penale, ovvero dagli articoli 582 et 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5, 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, la polizia giudiziaria procede senza ritardo al compimento degli atti delegati dal pubblico ministero.
2 ter Nei casi di cui al comma 2 bis, la polizia giudiziaria pone senza ritardo a disposizione del pubblico ministero la documentazione dell'attività nelle forme e con le modalità previste dall'articolo 357.

(...)»

Articolo 384 bis – Allontanamento d’urgenza dalla casa familiare

«Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica, l'allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all'articolo 282 bis, comma 6, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l'integrità fisica o psichica della persona offesa. La polizia giudiziaria provvede senza ritardo all'adempimento degli obblighi di informazione previsti dall'articolo 11 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, e successive modificazioni.

Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui agli articoli 385 e seguenti del presente titolo. Si osservano le disposizioni di cui all'articolo 381, comma 3. Della dichiarazione orale di querela si dà atto nel verbale delle operazioni di allontanamento.»

B. Le disposizioni pertinenti del codice civile.

49. Le disposizioni pertinenti del codice civile recitano:

Titolo IX – Dei fatti illeciti
Articolo 2043 – Risarcimento per fatto illecito

«Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.»

Articolo 2059 – Danni non patrimoniali

«Il danno non patrimoniale deve essere risarcito soli nei casi determinati dalla legge.»

Titolo IX bis– Ordini di protezione

Articolo 342 bis – Ordini di protezione contro gli abusi familiari

«Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice, (…), può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo 342 ter.»
Articolo 342 ter – Contenuto degli ordini di protezione
«Con il decreto di cui all'articolo 342 bis il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone [il suo] allontanamento dalla casa familiare (…) prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro (…)

Con il medesimo decreto il giudice (…) stabilisce la durata dell'ordine di protezione, che (…) non può essere superiore a sei mesi e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario.

(...) Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l'attuazione, ivi compreso l'ausilio della forza pubblica e dell'ufficiale sanitario.»

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNAZIONALI

Consiglio d’Europa

1. La raccomandazione Rec(2002)5 del Comitato dei Ministri del 30 aprile 2002

50. Nella sua raccomandazione sulla protezione delle donne contro la violenza, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha invitato gli Stati membri, in particolare, a introdurre, sviluppare e/o migliorare, se del caso, politiche nazionali di lotta contro la violenza basate sulla massima sicurezza e sulla protezione delle vittime, sul sostegno e l'assistenza, sull'adeguamento del diritto penale e civile, sulla sensibilizzazione del pubblico, sulla formazione dei professionisti che si occupano di violenza contro le donne e sulla prevenzione.

51. Per quanto riguarda la violenza domestica, il Comitato dei Ministri ha raccomandato agli Stati membri di qualificare come reato qualsiasi violenza perpetrata all’interno della famiglia, di considerare la possibilità di interventi normativi, soprattutto per permettere alle autorità giudiziarie, allo scopo di proteggere le vittime, di adottare delle misure provvisorie volte a impedire all'autore di violenza di entrare in contatto con la vittima, di comunicare con essa o di avvicinarsi ad essa, di risiedere in determinati luoghi o di frequentare tali luoghi. Gli Stati membri sono inoltre invitati a considerare reato qualsiasi violazione delle misure che le autorità hanno imposto all'aggressore e a stabilire un protocollo obbligatorio affinché la polizia e i servizi medici e sociali seguano le stesse procedure di intervento.

2. La Convenzione di Istanbul

52. Le disposizioni pertinenti della Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica («la Convenzione di Istanbul»), che è entrata in vigore nei confronti dell’Italia il 1° agosto 2014, sono state citate nella causa Kurt c. Austria ([GC], n. 62903/15, §§ 76-86, 15 giugno 2021).

53. Il GREVIO è l'organo specializzato indipendente incaricato di monitorare l'attuazione, ad opera delle Parti, della Convenzione di Istanbul. Il GREVIO pubblica dei rapporti nei quali valuta le misure legislative e di altro tipo adottate dalle Parti per dare effetto alle disposizioni della Convenzione; può anche adottare, se del caso, raccomandazioni generali su temi o nozioni della Convenzione.

54. Il GREVIO ha pubblicato il suo primo rapporto di valutazione di riferimento sull'Italia il 3 gennaio 2020. La sintesi afferma che «L'Italia ha adottato una serie di misure per attuare la Convenzione di Istanbul, fatto che testimonia la sua reale volontà politica di prevenire e combattere la violenza nei confronti delle donne. Una serie di riforme legislative successive ha creato un vasto insieme di regole e di meccanismi che rafforzano la capacità delle autorità di far corrispondere le loro intenzioni ad azioni concrete per porre fine alla violenza (...)». La sintesi precisa anche che il GREVIO ha individuato un certo numero di altri settori in cui sono necessari dei miglioramenti per conformarsi pienamente agli obblighi della convenzione.
I passaggi seguenti di questo rapporto di valutazione di riferimento pertinenti nel caso di specie sono:

IV. Protezione e sostegno
A. Obblighi generali (articolo 18)

«130. Il GREVIO sollecita le autorità italiane affinché offrano una risposta coordinata e multiagenzia a tutte le forme di violenza contro le donne e ne favoriscano l’attuazione sviluppando delle adeguate linee guida e formando il personale interessato. Questo tipo di strumenti dovrebbe essere basato su un forte coinvolgimento delle autorità locali e sulla partecipazione di tutti i soggetti interessati, comprese le organizzazioni non governative che difendono i diritti delle donne e combattono la violenza contro le donne.»

V. Diritto sostanziale
A. Diritto civile
1. Processo civile e vie di diritto (articolo 29)

«172. Il GREVIO sollecita le autorità italiane affinché adottino misure per colmare il vuoto legislativo dovuto all'assenza di rimedi civili nei confronti delle autorità statali, siano esse giudiziarie o istituzionali, che non abbiano rispettato il proprio dovere ad assumere le necessarie misure preventive o protettive adeguate nell'ambito dell'esercizio dei propri poteri, come previsto dai requisiti dell’Articolo 29, paragrafo 2 della Convenzione di Istanbul.

(...)

179. Il GREVIO esorta vivamente le autorità italiane ad adottare ulteriori misure per:

  1. agevolare l'accesso delle vittime al risarcimento nei procedimenti civili e penali e a garantire che tale risarcimento sia prontamente riconosciuto e proporzionato alla gravità del danno subito;
  2. elaborare criteri per garantire una quantificazione armonizzata dei danni subiti dalla vittima, compresi in particolare i danni morali;
  3. agevolare l'accesso delle vittime al risarcimento statale, garantire che tale risarcimento sia adeguato secondo i requisiti dell’Articolo 30, comma 2 della Convenzione di Istanbul, che sia riconosciuto entro un lasso di tempo ragionevole, come previsto dall’Articolo 30, comma 3 della Convenzione, e che sia idoneo a soddisfare le vittime di tutte le forme di violenza contemplate dalla Convenzione che abbiano subito gravi lesioni personali o danni alla salute.»

VI. Indagini, procedimenti penali, diritto processuale e misure di protezione
A. Risposta immediata, prevenzione e protezione (articolo 50)
1.Denuncia alle forze dell’ordine e indagini

«217. Il GREVIO esorta le autorità italiane a continuare ad adottare misure per garantire che le vittime vengano ascoltate senza ritardo da funzionari delle forze dell’ordine specificamente formati, e che le forze dell’ordine stesse che si trovino a gestire casi di violenza contro le donne condividano un approccio di genere sulla violenza contro le donne e pongano l'accento sulla sicurezza ed i diritti umani delle donne e dei loro figli.

(...)

225. Il GREVIO esorta vivamente le autorità italiane a:

  1. dar seguito al proprio impegno per consentire una rapida gestione delle indagini e dei procedimenti penali nei casi di violenza basata sul genere, garantendo al tempo stesso che le misure adottate a tal fine siano supportate da adeguati finanziamenti;
  2. affermare la responsabilità degli autori di violenze e perseguire la giustizia penale per tutte le forme di violenza contemplate dalla Convenzione di Istanbul;
  3. garantire che la condanna in casi di violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, sia commisurata alla gravità del reato e che rispetti la funzione deterrente della pena.

I progressi in questo ambito dovrebbero essere misurati tramite dati adeguati e supportati da analisi della gestione dei casi penali da parte delle forze dell’ordine, dei pubblici ministeri e dei tribunali al fine di individuare i punti di criticità e le eventuali lacune nella risposta istituzionale alla violenza contro le donne»

B. Valutazione e gestione del rischio (articolo 51)

«233. [Il] GREVIO esorta le autorità italiane:

  1. elaborino ulteriormente le procedure di valutazione e gestione del rischio e ne garantiscano la diffusione nell'ambito di tutti gli enti istituzionali che si occupano di casi di violenza basata sul genere;
  2. garantiscano che le valutazioni del rischio siano ripetute in tutte le fasi del procedimento, in particolare alla scadenza della misura cautelare, e che tali valutazioni tengano conto delle opinioni e dalle preoccupazioni espresse dalle vittime;
  3. garantiscano che le procedure di valutazione e gestione del rischio rappresentino l’elemento cardine di una risposta multiagenzia e coordinata in tutti i casi di violenza contro le donne contemplati dalla Convenzione di Istanbul, compreso il matrimonio forzato e le mutilazioni genitali femminili;
  4. considerino l’ipotesi di introdurre un sistema, come ad esempio un meccanismo di revisione critica dell'omicidio, per analizzare tutti i casi di omicidio di donne basate sul genere- femminicidio, al fine di prevenirli in futuro, tutelando la sicurezza delle donne e obbligando a rispondere sia gli autori delle violenze, sia le varie organizzazioni che sono entrate in contatto con le parti.»

C. Misure urgenti di allontanamento imposte dal giudice, ordinanze di ingiunzione o di protezione (articoli 52 e 53)

«241. Sottolineando innanzitutto che nei casi di violenza grave, l'arresto e la custodia cautelare dovrebbero rappresentare le principali soluzioni per proteggere le vittime in situazioni di immediato pericolo, il GREVIO sollecita le autorità italiane affinché:

  1. rispettino il principio secondo cui i provvedimenti d’urgenza devono essere accessibili alle vittime di violenza domestica in tutte le sue manifestazioni, compresa la violenza psicologica, e che i provvedimenti d’urgenza: divieti, ingiunzioni e ordini di protezione, devono essere accessibili alle vittime di qualsiasi tipo di violenza contemplata dalla Convenzione di Istanbul, compresa la violenza psicologica e forme di violenza rese recentemente perseguibili come il matrimonio forzato;
  2. garantiscano il potenziale di deterrenza delle misure cautelari, facendole rispettare in modo adeguato, garantendo una risposta tempestiva da parte degli enti istituzionali in caso di violazioni e garantendo che tali violazioni vengano adeguatamente;
  3. modifichino la legislazione che subordina l’applicazione di una sanzione in caso di violazione degli ordini di protezione di natura civile alla denuncia della vittima;
  4. garantiscano che i provvedimenti di ingiunzione vengano emessi in maniera rapida per scongiurare situazioni di imminente pericolo e che, ove necessario, gli ordini di ingiunzione e/o di protezione vengano emessi inaudita altera parte;
  5. garantiscano che non si verifichino lacune nella protezione delle vittime dovute alla scadenza degli ordini di allontanamento, di ingiunzione o di protezione, adottando successive misure cautelari che possano essere applicate subito dopo;
  6. mettano fine alle pratiche dei tribunali civili che assimilano la violenza a situazioni di conflitto e tentano di raggiungere accordi tra la vittima e l'autore della violenza invece di valutare le esigenze della vittima in termini di sicurezza;
  7. migliorino e armonizzino le pratiche in materia di applicazione delle altre misure cautelari, come gli ammonimenti e l'arresto in flagranza di reato, attingendo dalle buone prassi esistenti e garantendo in ogni momento che tali misure tengano conto della scelta della vittima.

I progressi in questo ambito dovrebbero essere attentamente monitorati e analizzati, attraverso un'adeguata raccolta dei dati che enfatizzi, in particolare, il numero di misure cautelari (ordini di allontanamento, di protezione, di ingiunzione o ammonimenti) richieste e concesse, indipendentemente dal fatto che esse siano state adottate su richiesta di parte o per iniziativa delle autorità, dal motivo della loro mancata concessione, dal tipo di reato per cui sono state adottate, dal tempo medio trascorso prima della loro emissione, dalla loro durata, da quanto spesso sono state violate e dalle conseguenze delle eventuali violazioni. I risultati di questa attività di monitoraggio e analisi andrebbero resi pubblici.»

D. Indagini
E. Procedibilità d'ufficio e di parte (articolo 55)

«243. L’Articolo 55, paragrafo 1, della Convenzione di Istanbul prevede per le parti l’obbligo di accertarsi che le indagini per varie categorie di reati non dipendano interamente da una segnalazione o da una denuncia da parte della vittima e che il procedimento possa continuare anche se la vittima dovesse ritrattare l'accusa o ritirare la denuncia.

244. La legislazione italiana rispetta tale requisito per la maggior parte delle forme di violenza tranne due tipi di reato. Il primo è il reato di lesioni personali semplici (Articolo 582, comma 2, del Codice Penale); infatti, all'atto della ratifica della Convenzione di Istanbul, l’Italia non ha depositato alcuna riserva che l'avrebbe esentata dall’obbligo di sottoporre tutti gli atti di violenza fisica sulle donne, compresi i reati minori, a indagini e procedimenti d’ufficio. Il secondo è il reato di violenza sessuale (Articolo 609-bis del Codice Penale); la violenza sessuale è perseguibile solo dietro denuncia da parte della vittima, fatto salvo nel caso in cui la violenza si configuri come una delle circostanze aggravanti descritta dall’Articolo 609-septies, comma 2 del codice. Perciò, ad esempio, la violenza sessuale commessa contro un minore o da un pubblico ufficiale è perseguibile d’ufficio

245. Il GREVIO sollecita le autorità italiane affinché modifichino la legislazione per renderla conforme alle norme sulla procedibilità d’ufficio e di parte previsti dall’Art. 55, comma 1 della Convenzione di Istanbul, con particolare riferimento ai reati di violenza fisica e sessuale.»

F. Misure di protezione (articolo 56)

«246. Il GREVIO prende atto con favore delle numerose misure attuate in Italia per ottemperare l’obbligo, previsto dall’Articolo 56 della Convenzione, di adottare misure protettive per le vittime durante i procedimenti giudiziari. Molte di queste misure sono state definite a seguito della emanazione della Legge n. 119/2013. Altre sono state istituite mediante l’attuazione della Direttiva UE 2012/29/UE, che contiene degli standard minimi relativi ai diritti, il supporto e la protezione delle vittime di reati. Queste misure sono state ulteriormente rafforzate dalla giurisprudenza dei tribunali di grado più elevato194 ed il Consiglio Superiore della Magistratura ha emanato delle linee guida per ricordare ai tribunali quanto essi siano importanti per garantire che le vittime della violenza basata sul genere siano protette da intimidazioni, rappresaglie e ulteriore vittimizzazione.

247. Ciononostante, secondo quanto riportato dagli operatori giudiziari al GREVIO, vi sono ancora lacune nelle leggi in vigore e nelle prassi dei tribunali che potrebbero esporre le vittime ad ulteriori danni. Ciò è dovuto al fatto che l’obbligo di informare la vittima non è valido per tutte le misure cautelari e per tutte le circostanze e fasi del procedimento in cui cessano il loro effetto, e dunque in alcuni casi, le vittime potrebbero non essere al corrente del fatto che l’autore della violenza non è più detenuto.195 Il GREVIO osserva che le normative vigenti196 subordinano l'erogazione di informazioni ad un’espressa richiesta della vittima, un requisito che potrebbe essere visto come una limitazione eccessiva al campo di applicazione della responsabilità da parte delle autorità di garantire che le vittime siano informate, nei casi in cui esse e la loro famiglia potrebbero essere in pericolo, quando l’autore del reato evade o viene temporaneamente o definitivamente rimesso in libertà, conformemente a quanto previsto dall’Articolo 56, lettera b della Convenzione. Il GREVIO osserva inoltre che indipendentemente dalla formulazione delle norme in vigore, le autorità sono vincolate dal dovere di accertarsi in tutte le fasi delle procedure che venga svolta una valutazione in merito al rischio di letalità, la gravità della situazione e il rischio di reiterazione della violenza, come previsto dall’Articolo 51, comma 1, della Convenzione. Pertanto, ci si riferisce alle considerazioni espresse in precedenza all’interno del presente rapporto, in riferimento a questo articolo.

[Il] GREVIO esorta le autorità italiane a continuare ad adottare misure per:

  1. garantire che le vittime ricevano le informazioni rilevanti ai fini della protezione propria e delle loro famiglie da intimidazioni, ritorsioni e vittimizzazione secondaria, a prescindere da una loro esplicita richiesta di ricevere tali informazioni, in particolare quando si verificano modifiche alle misure volte alla loro protezione;
  2. favorire l'accesso delle vittime alle misure di protezione esistenti volte a tutelare la loro testimonianza nelle condizioni più adeguate, nello specifico sensibilizzando gli operatori e le operatrici interessati, in particolare la magistratura, sulla natura traumatica della violenza basata sul genere e sulle esigenze particolari delle vittime nel corso dei procedimenti giudiziari, ed investendo nei mezzi materiali necessari, come le attrezzature informatiche o stanze protette all’interno dei palazzi di giustizia, per rendere tali meccanismi disponibili alle vittime in tutto il Paese.
  3. mettere al centro dell'attenzione un approccio alla violenza contro le donne attento alle specificità di genere nell’ambito di tutte le nuove iniziative volte a creare e/o ampliare i servizi di sostegno e supporto per le donne vittime di reati durante i procedimenti giudiziari.»

55. Il 1° dicembre 2019 il Governo italiano ha sottoposto i suoi commenti in risposta al rapporto di valutazione di riferimento pubblicato dal GREVIO. I commenti riguardano esclusivamente delle proposte di revisioni linguistiche.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 2 DELLA CONVENZIONE

56. La ricorrente lamenta un inadempimento delle autorità nazionali al loro obbligo positivo derivante dall’articolo 2 della Convenzione, in quanto queste ultime avrebbero omesso di adottare tutte le misure necessarie alla protezione della sua vita e di quella di suo figlio. La ricorrente invoca l'articolo 2 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, è così formulato:

«1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena.»

A. Sulla ricevibilità

1. Tesi delle parti

57. Il Governo sostiene che la ricorrente non ha esaurito le vie di ricorso interne, spiegando che l'interessata non ha mai chiesto ai giudici nazionali di constatare che aveva subito una violazione dei suoi diritti. Facendo riferimento alla sentenza n. 26972 del 2008 emessa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, il Governo sostiene che i giudici nazionali possono constatare una violazione dei diritti dell'uomo e, di conseguenza, accordare contestualmente un'equa riparazione per i danni (ad esempio, quelli subiti in occasione di un incidente stradale) causati a tutte le persone i cui diritti siano stati violati.

58. Inoltre, il Governo ritiene che la ricorrente non abbia esaurito le vie di ricorso interne in quanto ha ritirato le sue denunce contro N.P., non si è opposta all'archiviazione della denuncia presentata nel 2015 e, conformemente agli articoli 342 bis e 342 ter del codice civile, non ha richiesto al giudice civile delle misure di protezione.

59. La ricorrente rammenta che il Governo non ha dimostrato che fosse necessario esercitare dei ricorsi interni. Sostiene che la condanna di N.P. a una pena detentiva di venti anni non può porre rimedio alla violazione dell'articolo 2 della Convenzione. Inoltre, la ricorrente rileva che le osservazioni del Governo sul ritiro della denuncia e sulle misure di protezione riguardano il merito della causa e non la questione dell'esaurimento delle vie di ricorso interne.

2. Valutazione della Corte

60. Per quanto riguarda la prima parte dell'eccezione, la Corte osserva che, intentando un'azione di risarcimento danni contro le autorità dinanzi ai giudici civili, come sottolinea il Governo, la ricorrente avrebbe potuto ottenere il risarcimento del danno non pecuniario che ha subìto. La Corte constata altresì che la ricorrente si è costituita parte civile nel procedimento penale contro N.P. (paragrafo 43 supra).

61. La Corte rammenta che le doglianze della ricorrente riguardano, in particolare, l'inadempimento dello Stato convenuto, che non ha adottato misure di protezione e di assistenza nei suoi confronti e nei confronti dei suoi figli a seguito delle violenze domestiche inflitte dal suo compagno, e il fatto che le autorità non avrebbero condotto un'indagine effettiva a seguito delle sue denunce.

62. La Corte ritiene che questa eccezione debba essere esaminata alla luce della giurisprudenza Kurt c. Austria ([GC], n. 62903/15, § 109, 15 giugno 2021) distinguendo i ricorsi aventi lo scopo di porre rimedio a violazioni già commesse da quelli aventi lo scopo di impedire violazioni future.

63. La Corte osserva che l'oggetto del ricorso consiste anzitutto nello stabilire se le autorità abbiano esercitato la diligenza richiesta per impedire gli atti di violenza commessi contro la ricorrente e i suoi figli. Infatti, la Corte è del parere che le disposizioni invocate dal Governo (si veda il paragrafo 57 supra) avessero lo scopo di porre rimedio a violazioni già commesse. Così, se è vero che, costituendosi parte civile con sua figlia nel procedimento penale contro N.P. per omicidio e tentato omicidio, la ricorrente e sua figlia hanno ottenuto, in via provvisoria, la somma di 100.000 EUR in risarcimento del danno causato da N.P., la Corte ritiene che un'azione per risarcimento danni intentata successivamente dinanzi ai giudici civili contro le autorità pubbliche interessate non sarebbe stata idonea ad offrire alla ricorrente un risarcimento per le sue doglianze esaminate sotto il profilo dell'articolo 2 della Convenzione. In ogni caso, la Corte constata che non c'è nulla nel fascicolo che indichi che il ricorso civile menzionato dal Governo avrebbe potuto essere proposto dalla ricorrente per far riconoscere la responsabilità dello Stato e, in particolare, dell'apparato giudiziario per inosservanza dell’obbligo positivo di proteggere, nell'ambito delle violenze domestiche, la sua vita e quella dei suoi figli, e per ottenere un riconoscimento della violazione, nonché un risarcimento adeguato. A tale proposito, la Corte rammenta che, nel suo rapporto sull'Italia, il GREVIO (si veda il paragrafo 54 infra) ha esortato le autorità italiane a colmare il vuoto legislativo dovuto all’assenza di ricorsi civili effettivi contro qualsiasi autorità statale che non adempia al suo dovere di adottare le misure di prevenzione o di protezione necessarie in materia di violenza domestica. In queste condizioni, la Corte ritiene che la ricorrente non disponesse di un ricorso in ambito civile da esperire per far valere l'inadempimento dello Stato. Pertanto, respinge la prima parte dell'eccezione del Governo.

64. Per quanto riguarda la seconda e la terza parte dell'eccezione e il fatto che la ricorrente non avrebbe utilizzato le vie di ricorso che offriva il diritto interno, in particolare quelle previste dagli articoli 342 bis e 342 ter del codice civile (si veda il paragrafo 58 supra), e che avrebbe ritirato le sue denunce (paragrafo 59 supra), la Corte ritiene che queste eccezioni non riguardino in senso stretto una questione di esaurimento delle vie di ricorso interne, dato che le disposizioni pertinenti avevano lo scopo di impedire violazioni future. Di conseguenza, essa ritiene che tali questioni siano piuttosto delle argomentazioni di merito, per il fatto che riguardano la capacità del quadro giuridico di assicurare una protezione sufficiente alla ricorrente e ai suoi figli, e un eventuale obbligo di diligenza che sarebbe spettato alle autorità. Pertanto, la Corte decide di unire tali questioni al merito e di esaminarle sotto il profilo dell'articolo 2 della Convenzione (Kurt, sopra citata, § 109).

65. Constatando che questa doglianza non è manifestamente infondata né irricevibile per uno degli altri motivi di cui all'articolo 35 della Convenzione, la Corte la dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomentazioni delle parti

a) La ricorrente

66. La ricorrente rammenta anzitutto che le donne che subiscono violenza domestica spesso attenuano la portata delle loro dichiarazioni in ragione della loro vulnerabilità e del loro stato di sottomissione. L'interessata stessa ha più volte denunciato N.P., ma poi ha deciso di ritirare le sue denunce.

67. Nel caso di specie vi erano diversi indizi e prove che avrebbero dovuto indurre le autorità a prendere una decisione, o almeno a temere che N.P. potesse commettere un atto irreparabile.

68. La ricorrente ha sporto diverse denunce penali, ma nessuna delle autorità ha preso sul serio la situazione, creando in tal modo un contesto di impunità favorevole alla ripetizione degli atti di violenza da parte di N.P. nei confronti dell'interessata (Talpis c. Italia, n. 41237/14, § 117, 2 marzo 2017, e Halime Kılıç c. Turchia, n. 63034/11, § 99, 28 giugno 2016). Le autorità italiane, anche se sono state avvertite della pericolosità di N.P., non hanno adottato le misure necessarie e appropriate per proteggere la vita della ricorrente e dei suoi figli. Esse sapevano e avrebbero dovuto essere a conoscenza della pericolosità di N.P. e del rischio che ne derivava per la sua famiglia.

69. La ricorrente rammenta di aver sporto due denunce e di essere stata oggetto di quattro aggressioni tra il 2015 e il 2018, prima che N.P. commettesse l'omicidio di suo figlio e il tentato omicidio nei suoi confronti. Le autorità erano anche a conoscenza dei precedenti di N.P. riguardo al comportamento violento con la sua ex compagna: difatti, gli era stato vietato di avvicinarsi a quest'ultima.

70. La ricorrente indica che, tra il 2015 e il 2018, i carabinieri avevano segnalato al procuratore la preoccupante situazione in cui essa si trovava, e che i carabinieri avevano suggerito di valutare la necessità di chiedere al giudice l'adozione di una misura cautelare e, nel febbraio 2018, di una misura privativa della libertà personale. La ricorrente sottolinea che, anche in presenza di evidenti segni di pericolo, non è stata adottata alcuna misura.

71. Dopo l'episodio avvenuto nel febbraio 2018, il reato è stato qualificato come maltrattamenti in famiglia (paragrafo 37 supra). Pertanto, la ricorrente ritiene che il procuratore avrebbe sottovalutato la gravità della situazione, e non avrebbe adottato le misure appropriate per salvaguardare la sua vita e quella dei suoi figli, ritenendo che N.P. avrebbe potuto essere perseguito anche se lei aveva ritirato la sua denuncia.

72. In particolare, anche se la legge permetteva al procuratore di approfondire le indagini e di invitare il giudice a ordinare delle misure cautelari, nulla è stato fatto. I procuratori incaricati di esaminare le denunce della ricorrente avrebbero dovuto valutare concretamente il pericolo e avrebbero dovuto qualificare e analizzare i reati ascritti a N.P. di modo che il procedimento avrebbe potuto essere condotto in modo più approfondito.

b) Il Governo

73. Il Governo sostiene che le autorità non potevano prevedere che N.P. sarebbe passato alle vie di fatto, tanto più che la ricorrente stessa ha deciso di continuare a vivere con lui e ha ritirato le denunce che aveva presentato.

74. Ora, secondo il Governo, tale comportamento induce a pensare che la ricorrente non avesse previsto che il suo compagno avrebbe commesso un omicidio. La tragedia che l'interessata ha vissuto non può essere considerata una violazione dei suoi diritti umani di cui sarebbe responsabile lo Stato, perché le autorità (la polizia, i carabinieri) non hanno potuto impedire a N.P. di uccidere il figlio della ricorrente e di tentare di commettere altri crimini odiosi.

75. In effetti, durante il periodo da febbraio a settembre 2018, la relazione tra la ricorrente e N.P. era pacifica, non essendo stato segnalato nessun altro episodio di violenza domestica.

76. Inoltre, N.P. era seguìto dal servizio di salute pubblica che gli ha permesso di curarsi.

77. Peraltro, il Governo sostiene che la causa Talpis (sopra citata) invocata dalla ricorrente, non è pertinente.

1. Valutazione della Corte

a) Principi generali

78. L'obbligo positivo, derivante dell'articolo 2 della Convenzione, di adottare misure operative preventive per proteggere una persona la cui vita è minacciata dalle azioni criminali di terzi è stato formulato per la prima volta nella causa Osman c. Regno Unito (28 ottobre 1998, §§ 115-16, Recueil des arrêts et décisions 1998-VIII). Ai sensi di tale sentenza le autorità, se sanno o avrebbero dovuto sapere che esiste un rischio reale e immediato per la vita di una determinata persona a causa degli atti criminali di un terzo, devono adottare, nell'ambito dei loro poteri, tutte le misure che si possono ragionevolmente attendere da esse per evitare tale rischio.

La portata e il contenuto di tale obbligo nel contesto della violenza domestica sono stati recentemente chiariti nella causa Kurt c. Austria ([GC], n. 62903/15, §§ 157-189, 15 giugno 2021), e si possono riassumere come segue (ibid., § 190):

  1. Le autorità devono reagire immediatamente alle denunce di violenza domestica.
  2. Quando tali denunce vengono portate a loro conoscenza, le autorità devono stabilire se esiste un rischio reale e immediato per la vita della o delle vittime di violenza domestica che sono state individuate, e devono a tal fine procedere a una valutazione del rischio che sia autonoma, proattiva ed esaustiva. Le autorità devono tenere debitamente conto del contesto particolare che caratterizza le cause in materia di violenza domestica nel valutare il carattere reale e immediato del rischio.
  3. Quando tale valutazione mette in evidenza l'esistenza di un rischio reale e immediato per la vita altrui, le autorità hanno l'obbligo di adottare misure operative preventive. Tali misure devono essere adeguate e proporzionate al livello di rischio rilevato.

b) Applicazione di questi principi nel caso di specie

79. La Corte osserva anzitutto che non vi sono dubbi sul fatto che l’articolo 2 della Convenzione si applica al caso della ricorrente, in quanto la stessa è stata vittima di violenza domestica ripetuta e di un tentato omicidio, e a causa del decesso di suo figlio.

80. La Corte osserva che, da un punto di vista generale, il quadro giuridico italiano era idoneo ad assicurare una protezione contro atti di violenza che possono essere commessi da privati in una determinata causa. Essa osserva, inoltre, che l’ampia serie di misure giuridiche e operative disponibili nel sistema legislativo italiano (paragrafi 47-53 supra), offriva alle autorità interessate una varietà sufficiente di possibilità adeguate e proporzionate rispetto al livello di rischio (mortale) nel caso di specie.

81. Allo scopo di verificare se le autorità abbiano soddisfatto gli obblighi derivanti dall’articolo 2 in materia di violenza domestica, la Corte deve dunque esaminare: i) se le autorità italiane abbiano dato una risposta immediata alle accuse di violenza domestica, ii) se abbiano esaminato se sussisteva un rischio reale e immediato per la vita della ricorrente [e dei suoi figli] attraverso una valutazione del rischio autonoma, proattiva ed esaustiva, e tenendo debitamente conto del contesto particolare delle cause in materia di violenza domestica, iii) se le autorità sapessero o avrebbero dovuto sapere che esisteva un rischio reale e immediato per la vita della ricorrente e dei suoi figli, e iv) se le autorità abbiano adottato misure preventive adeguate nelle circostanze del caso di specie.

i. Sulla questione se le autorità abbiano reagito immediatamente alle accuse di violenza domestica

82. La Corte osserva che, mentre i carabinieri hanno reagito senza indugio alla denuncia presentata dalla ricorrente nel 2015, e sono intervenuti durante i litigi e in occasione degli episodi violenti, i procuratori, invece, informati più volte dai carabinieri, sono rimasti inerti. A seguito del deposito della prima denuncia nel 2015, e nonostante sia stato avviato un procedimento penale per molestie, per quattro mesi non è stato effettuato alcun atto di indagine: la ricorrente non è mai stata sentita, e non sono state richieste misure di protezione al giudice nonostante la domanda motivata che i carabinieri, testimoni delle minacce di morte, avevano inviato al procuratore.

83. Pertanto, la Corte osserva che la decisione del procuratore di archiviare la prima denuncia, sebbene non fosse stato compiuto alcun atto di indagine e la ricorrente o la sua famiglia non fossero mai state sentite, era basata sul fatto che la ricorrente aveva ritirato la sua denuncia, senza tenere conto che non si trattava di un singolo episodio, ma che le minacce erano continuamente rivolte alla ricorrente, e che l’interessata era stata anche oggetto di violenze fisiche (paragrafo 8 supra).

84. La Corte rammenta che non rientra nelle sue competenze sostituirsi alle autorità nazionali e operare al loro posto una scelta tra le misure da adottare. Tuttavia, essa ritiene che, in riferimento ai numerosi elementi di cui disponevano le autorità, il procuratore investito del caso nel 2015 avrebbe potuto mantenere aperto il procedimento sebbene fosse stata ritirata la denuncia, o almeno effettuare un’indagine approfondita prima di procedere alla sua archiviazione (paragrafo 18 supra).

85. La Corte osserva inoltre che, nel settembre 2017, dopo una nuova aggressione sulla ricorrente e l’invio da parte dei carabinieri di una relazione aggiornata sulla situazione dell’interessata (paragrafo 22 supra), nella quale veniva evidenziato il comportamento pericoloso di N.P., che soffriva di seri problemi di salute mentale, non è stata condotta alcuna indagine dal procuratore, e non è stata adottata alcuna misura.

86. Nel 2018, dopo l’aggressione subita dalla ricorrente e il breve ricovero di N.P. in un centro di salute mentale, i carabinieri hanno inviato una nuova comunicazione ai procuratori (paragrafo 36 supra), nella quale sottolineavano la pericolosità di N.P., i suoi problemi di salute mentale e il suo casellario giudiziario, ricordavano i vari interventi effettuati al domicilio della ricorrente e chiedevano che fosse adottata una misura privativa della libertà per proteggere la ricorrente e i suoi figli. La Corte osserva che, anche se è stata aperta un’inchiesta dal procuratore per il reato di maltrattamenti, e sebbene sia stata richiesta una perizia sullo stato psicologico di N.P., la ricorrente non è stata mai sentita, e non è stata adottata alcuna misura di protezione.

87. Essa ritiene che, anche se i carabinieri hanno proceduto a una valutazione del rischio autonoma, proattiva ed esaustiva indipendentemente dalla denuncia della ricorrente (si veda il paragrafo 94 infra), tenendo debitamente conto del contesto particolare delle cause in materia di violenza domestica, chiedendo, alla luce della presunta esistenza di un rischio reale e immediato per la vita della ricorrente e dei suoi figli, delle misure cautelari (paragrafo 14 supra) e delle misure privative della libertà (paragrafo 36 supra), i procuratori che avevano il compito di valutare tali proposte non hanno dimostrato la particolare diligenza necessaria al fine di reagire immediatamente alle accuse di violenza domestica formulate dalla ricorrente.

ii. La qualità della valutazione dei rischi

88. La Corte rammenta che, allo scopo di stabilire se le autorità avrebbero dovuto essere a conoscenza del rischio ripetuto di atti di violenza, essa ha individuato e preso in considerazione, in un certo numero di cause, gli elementi seguenti: i precedenti di comportamento violento dell'autore e il mancato rispetto dei termini di un'ordinanza di protezione (Eremia c. Repubblica di Moldavia, n. 3564/11, § 59, 28 maggio 2013), l'escalation della violenza che rappresenta una minaccia continua per la salute e la sicurezza delle vittime (Opuz c. Turchia, n. 33401/02, §§ 135-36, CEDU 2009), le richieste di aiuto ripetute della vittima per mezzo di appelli urgenti, nonché le denunce formali e le petizioni rivolte al capo della polizia (Bălşan c. Romania, n. 49645/09, §§ 135-36, 23 maggio 2017). Alcuni degli elementi sopra indicati erano presenti anche nelle circostanze della presente causa.

89. La Corte osserva che, ad eccezione delle proposte fatte dai carabinieri ai procuratori (paragrafo 87 supra), le autorità competenti, nel complesso, non hanno condotto né un'azione autonoma e proattiva, né una valutazione completa dei rischi. Le autorità non hanno mai seguìto una procedura di valutazione dei rischi della situazione della ricorrente e di quella dei suoi figli. Sebbene fossero stati informati dai carabinieri dei precedenti di violenza di N.P., i procuratori non hanno dimostrato, nell'esaminare le denunce della ricorrente, di aver preso coscienza del carattere e della dinamica specifici della violenza domestica, sebbene fossero presenti tutti gli indizi, ossia, in particolare, lo schema di escalation delle violenze subite dalla ricorrente (e dai suoi figli), le minacce proferite, le aggressioni ripetute, nonché la malattia mentale di N.P. Le autorità non hanno considerato che, trattandosi di una situazione di violenza domestica, le denunce meritavano un intervento attivo. Anche lo psichiatra che seguiva N.P. ha sottovalutato la situazione, considerando l'aggressione subìta dalla ricorrente nel 2018 come un «litigio» tra coniugi (paragrafo 43 supra). Le autorità non hanno messo in atto delle misure di protezione, sebbene fossero state sollecitate dai carabinieri. I rischi di violenza ricorrente non sono stati correttamente valutati o presi in considerazione.

90. La Corte constata che le autorità si sono sottratte al loro dovere di procedere a una valutazione immediata e proattiva del rischio di recidiva della violenza commessa nei confronti della ricorrente e dei figli, e di adottare misure operative e preventive volte ad attenuare tale rischio, a proteggere la ricorrente e i suoi figli, e a censurare la condotta di N.P. I procuratori, in particolare, sono rimasti passivi di fronte al rischio serio di maltrattamenti inflitti alla ricorrente e, con la loro inazione, hanno permesso a N.P. di continuare a minacciarla, molestarla e aggredirla senza ostacoli e in totale impunità (Volodina c. Russia, n. 41261/17, § 91, 9 luglio 2019, e Opuz, sopra citata, §§ 169-70).

iii. Le autorità sapevano, o avrebbero dovuto sapere, che esisteva un rischio reale e immediato per la vita del figlio della ricorrente?

91. Alla luce degli elementi sopra esposti, la Corte ritiene che le autorità nazionali sapessero o avrebbero dovuto sapere che esisteva un rischio reale e immediato per la vita della ricorrente e dei suoi figli a causa delle violenze commesse da N.P., e che avessero l'obbligo di valutare il rischio di reiterazione di tali violenze, nonché di adottare misure adeguate e sufficienti per la protezione della ricorrente e dei suoi figli. Tuttavia, esse non hanno rispettato tale obbligo, dato che non hanno reagito né «immediatamente», come richiesto nei casi di violenza domestica, né in qualsiasi altro momento.

iv. Le autorità hanno adottato misure preventive adeguate nelle circostanze del caso di specie?

92. Per i motivi sopra menzionati la Corte ritiene che, sulla base delle informazioni che erano note alle autorità all'epoca dei fatti, e che indicavano che esisteva un rischio reale e immediato che fossero commesse nuove violenze contro la ricorrente e i suoi figli, di fronte alle denunce di escalation delle violenze domestiche che formulava la ricorrente, e tenuto conto dei problemi di salute mentale di N.P., le autorità non abbiano dimostrato la diligenza richiesta. Non è stata effettuata una valutazione del rischio di letalità che abbia considerato specificamente il contesto della violenza domestica, e in particolare la situazione della ricorrente e dei suoi figli, e che avrebbe giustificato misure preventive concrete allo scopo di proteggerli da un tale rischio. Ignorando palesemente l’ampia serie di misure di protezione diverse che erano direttamente a loro disposizione, le autorità, che avrebbero potuto applicare delle misure di protezione, informando i servizi sociali e gli psicologi, e collocando la ricorrente e i suoi figli in un centro antiviolenza, non hanno dimostrato una diligenza particolare al fine di prevenire le violenze commesse nei confronti dell'interessata e dei suoi figli, il che è sfociato nel tentato omicidio della ricorrente e nell'omicidio di M. Le misure sopra menzionate – come ha riconosciuto anche il GREVIO verificando la conformità del quadro giuridico nazionale con l’articolo 55.1 della Convenzione di Istanbul (si veda il paragrafo 54 supra, in cui si riconosce che in Italia, all'epoca, vi erano soltanto due delitti che non potevano essere perseguiti d'ufficio) – potevano e dovevano essere adottate dalle autorità, conformemente alla legislazione italiana, indipendentemente dal deposito di denunce e dal fatto che tali denunce fossero ritirate, o dal fatto che la vittima avesse mutato la sua percezione del rischio (Kurt, sopra citata, §§ 138, 140 e 170).

93. In queste circostanze, la Corte conclude che non si può considerare che le autorità abbiano dimostrato la diligenza richiesta. Pertanto, essa ritiene che queste ultime si siano sottratte al loro obbligo positivo, derivante dall'articolo 2, di proteggere la vita della ricorrente e quella di suo figlio.

94. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che la seconda e la terza parte dell'eccezione di mancato esaurimento debbano essere respinte (paragrafo 57 supra), e conclude che vi è stata violazione dell'articolo 2 della Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE IN COMBINATO DISPOSTO CON L'ARTICOLO 2

95. Invocando l'articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l'articolo 2, la ricorrente sostiene che l'assenza di protezione legislativa e di risposta adeguata da parte delle autorità alle denunce di violenza domestica da lei formulate costituisca un trattamento discriminatorio a causa del suo sesso.

L'articolo 14 della Convenzione è così formulato:

«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»

A. Tesi delle parti

96. Dopo aver indicato dettagliatamente tutte le leggi sulla lotta contro la violenza domestica, il Governo sottolinea che non vi è una prassi caratterizzata da una indifferenza e da abusi nei confronti delle donne in quanto, secondo dati statistici precisi e affidabili, l'Italia sarebbe uno dei paesi europei con il numero più basso di casi di femminicidio, e il più avanzato in materia di lotta contro le violenze alle donne.

97. Il Governo afferma che le autorità non possono evitare la perpetrazione di ogni singolo episodio di violenza domestica (il che costituisce il suo obiettivo finale), ma il fatto che alcuni episodi di violenza si producano non dimostra di per sé che il Governo è indifferente a questo problema.

98. Dopo aver rammentato che la Corte ha constatato una violazione dell'articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con gli articoli 2 e 3 nella sentenza Talpis c. Italia (n. 41237/14, §§ 141-149, 2 marzo 2017), la ricorrente afferma che l'assenza di protezione delle vittime di violenza domestica è una forma di discriminazione nei confronti delle donne. La ricorrente aggiunge che la discriminazione, quando non riguarda la legge ma risulta da un atteggiamento generale delle autorità pubbliche, è considerata una discriminazione indiretta.

99. La ricorrente rammenta che, secondo i dati statistici del 2014 forniti dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ed esaminati nella sentenza Talpis (sopra citata), la situazione in Italia resta critica nonostante i cambiamenti legislativi. Sebbene siano state adottate delle leggi specifiche per lottare contro la discriminazione nei confronti delle donne, questo tipo di discriminazione continua ad esistere nella pratica in quanto, secondo la ricorrente, le autorità non adottano le misure necessarie per lottare contro la violenza domestica.

100. L'interessata sottolinea che, sebbene siano state introdotte varie leggi che permettono di offrire una protezione alle vittime, le autorità non adottano misure efficaci in presenza di segni che lasciano presagire l'imminenza evidente di un’aggressione, e continuano a condurre indagini basandosi su criteri che oggi sono superati dal quadro legislativo interno e da quello europeo. Se è vero che l'Italia ha adottato numerose leggi contro il femminicidio, a suo parere tali leggi restano lettera morta se, nella pratica, le autorità continuano a operare nei confronti delle donne una discriminazione, ad esempio chiudendo le indagini nel momento in cui vengono ritirate le denunce, sebbene i reati in questione possano essere perseguiti d’ufficio.

B. Valutazione della Corte

101. I principi pertinenti, enunciati per la prima volta nella sentenza Opuz (sopra citata, §§ 184-91), sono stati integrati nella sentenza Volodina (sopra citata, §§ 109-114), e si possono riassumere come segue:

  1. Una disparità di trattamento tra persone che si trovano in situazioni analoghe o equiparabili è discriminatoria se non ha alcuna giustificazione oggettiva e ragionevole;
  2. Una politica generale che ha effetti pregiudizievoli sproporzionati su un determinato gruppo può essere discriminatoria anche se non riguarda specificamente tale gruppo e se non vi è intenzione discriminatoria. La discriminazione può anche risultare da una situazione di fatto;
  3. La violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, è una forma di discriminazione nei confronti delle donne. L’inosservanza – anche involontaria – da parte di uno Stato del suo obbligo di proteggere le donne contro tale violenza costituisce una violazione del diritto di queste ultime a una pari protezione della legge;
  4. Una disparità di trattamento volta ad assicurare la parità materiale tra i sessi si può giustificare e anche imporre;
  5. Quando il ricorrente ha dimostrato l'esistenza di una disparità di trattamento, spetta allo Stato convenuto dimostrare che tale disparità era giustificata. Se è stabilito che la violenza domestica riguarda le donne in maniera sproporzionata, spetta a questo Stato dimostrare quali misure correttive ha adottato per porre rimedio agli svantaggi associati al sesso;
  6. I tipi di elementi idonei a invertire l'onere della prova a svantaggio dello Stato convenuto in tali casi non sono predeterminati, e possono variare. Tali elementi possono essere ricavati da rapporti di organizzazioni non governative o di osservatori internazionali come il CEDAW, o da dati statistici, provenienti da autorità o istituzioni accademiche, che dimostrano che (i) la violenza domestica riguarda principalmente le donne, e che (ii) l'atteggiamento generale dell'autorità – che si manifesta, ad esempio, nel modo in cui le donne vengono trattate nei commissariati di polizia quando segnalano dei casi di violenza domestica, o nella passività della giustizia quando si deve offrire una protezione adeguata alle donne che ne sono vittime – ha creato un clima propizio a tale violenza; e
  7. Se è accertato che sussistono importanti pregiudizi strutturali, il ricorrente non ha bisogno di dimostrare che la vittima era anche bersaglio di pregiudizi individuali. Se, invece, le prove della natura discriminatoria della legislazione o delle prassi ufficiali, o dei loro effetti discriminatori, sono insufficienti, la dedotta discriminazione potrà essere dimostrata soltanto provando la parzialità dei funzionari incaricati del caso della vittima. In assenza di tale prova, il fatto che tutte le sanzioni o le misure ordinate o raccomandate nel singolo caso della vittima non siano state rispettate, non rivela di per sé un’intenzione discriminatoria fondata sul sesso.

102. Nella presente causa, la Corte osserva che la ricorrente è stata più volte vittima di violenze da parte di N.P., e che le autorità erano state informate di tali fatti. Essa osserva, tuttavia, che i procuratori non hanno condotto alcuna indagine né durante i quattro mesi successivi al deposito della prima denuncia della ricorrente, né dopo la perpetrazione dell'aggressione del 2018, e che non è stata adottata alcuna misura di protezione nonostante la richiesta dei carabinieri. Si tratta, nel caso di specie, di una passività imputabile ai procuratori incaricati di condurre l'indagine.

103. La Corte prende atto che del fatto che, a partire dal 2017, e dall'adozione della sentenza Talpis sopra citata, l'Italia ha adottato delle misure per mettere in atto la Convenzione di Istanbul, dimostrando in tal modo la sua volontà politica reale di prevenire e combattere la violenza nei confronti delle donne. Come sottolinea il Governo, una serie di riforme legislative già adottate a partire dal 2008 (in particolare l'introduzione di misure di protezione contro gli abusi familiari, del reato di molestie, di circostanze aggravanti per i reati contro le persone e i minori, della misura dell'allontanamento d'urgenza dal domicilio familiare) ha creato un insieme importante di regole e di meccanismi che rafforzano la capacità delle autorità di far corrispondere le loro intenzioni ad azioni concrete per porre fine alla violenza (si veda il rapporto del GREVIO del 2020 citato nel paragrafo 54 supra). Successivamente sono state adottate altre misure legislative in materia penale e civile (si vedano i paragrafi 47-49 supra).

104. La Corte non è convinta che la ricorrente sia riuscita a stabilire un inizio di prova relativa a una passività generalizzata della giustizia nel fornire una protezione efficace alle donne vittime di violenza domestica (A. c. Croazia, n. 55164/08, § 97, 14 ottobre 2010) o al carattere discriminatorio delle misure o delle pratiche adottate dalle autorità nei suoi confronti. Essa non ha fornito alcun dato statistico o osservazione di organizzazioni non governative.

105. La ricorrente non ha affermato nemmeno che gli agenti di polizia avessero cercato di dissuaderla dal far perseguire N.P. o dal testimoniare contro di lui, o che avessero cercato in qualsiasi modo di ostacolare le sue denunce volte a chiedere una protezione contro le violenze denunciate (A. c. Croazia, sopra citata, § 97, e a contrario, Eremia, sopra citata, § 87, e Munteanu c. Repubblica di Moldavia, n. 34168/11, § 81, 26 maggio 2020). Al contrario, essi hanno segnalato varie volte ai procuratori la situazione dell'interessata, anche quando la stessa aveva ritirato la sua ultima denuncia, e hanno chiesto che fossero adottate misure di protezione.

106. La Corte ritiene che i procuratori si siano sicuramente sottratti al loro obbligo di adottare misure preventive che avrebbero potuto avere una reale possibilità di modificare l'esito tragico, o almeno di attenuare il pregiudizio. Nonostante le diverse misure di protezione di cui disponevano direttamente, le autorità non hanno dimostrato una particolare diligenza nel prevenire le violenze commesse nei confronti della ricorrente e dei suoi figli, che hanno portato al decesso di M. (paragrafi 101 e 93 supra). Tuttavia, la Corte ritiene che, tenuto conto soprattutto dell'atteggiamento proattivo dei carabinieri, l'inazione delle autorità inquirenti nel caso di specie non possa essere considerata come una carenza sistemica.

107. La Corte è del parere che, nel caso di specie, non vi siano elementi che tendano a dimostrare che i procuratori che hanno esaminato il caso della ricorrente abbiano agito in maniera o con intenzione discriminatoria nei confronti dell'interessata stessa. Essa rammenta che può esservi violazione dell'articolo 14 solo nel caso di carenze generalizzate derivanti dal fatto che le autorità nazionali, chiaramente e sistematicamente, non valutino la gravità, la portata e l'effetto discriminatorio sulle donne del problema della violenza domestica.
108. Di conseguenza, la Corte conclude che le carenze denunciate nella presente causa, essendo derivate da una grave passività da parte delle autorità, e sebbene riprovevoli e contrarie all'articolo 2 della Convenzione (si vedano i paragrafi 101-93 supra) non possono essere considerate di per sé indicative di un atteggiamento discriminatorio da parte delle autorità (paragrafo 101 g) supra).

109. Tenuto con conto di tutti gli elementi di cui dispone, e nella misura in cui è competente per esaminare le accuse formulate, la Corte non rileva alcuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà sanciti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli. Di conseguenza, questa doglianza è manifestamente infondata e deve essere respinta, in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

III. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

110. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno morale

111. La ricorrente chiede la somma di 100.000 euro (EUR) in riparazione del danno morale che ritiene di avere subìto.

112. Il Governo contesta le richieste della ricorrente e ritiene che, in caso di violazione della Convenzione, la Corte dovrebbe tenere conto delle somme accordate dal tribunale interno. Il Governo osserva, a tale proposito, che il tribunale penale di Firenze ha condannato N.P. a versare alla ricorrente e a sua figlia V. una somma provvisoria di 100.000 EUR, e che il giudice civile dovrà pronunciarsi sull'importo finale del risarcimento. Per questi motivi, la Corte non dovrebbe accordare nulla, a maggior ragione in quanto il danno morale non è stato dimostrato.

113. La Corte ritiene che la ricorrente abbia sicuramente provato angoscia e dolore a causa delle violenze domestiche subite, del tentato omicidio di cui è stata oggetto, dell'omicidio di suo figlio, nonché del fatto che le autorità non hanno rispettato il loro obbligo positivo di adottare misure adeguate per prevenire tali violenze. Essa rileva, inoltre, che non vi è alcuna prova che sia stata versata una qualsiasi somma alla ricorrente a seguito della sentenza emessa dal tribunale di Firenze. Di conseguenza, la Corte respinge l'argomentazione del Governo secondo la quale si dovrebbe tenere conto delle somme già accordate dal tribunale, in quanto i giudici interni, se necessario, possono, in caso di risarcimento integrale, tenere conto della somma accordata dalla Corte. Deliberando in via equitativa, la Corte accorda alla ricorrente la somma di 32.000 EUR per il danno morale subìto.

B. Spese

114. La ricorrente chiede la somma di 14.000 EUR per le spese che avrebbe sostenuto nell'ambito del procedimento condotto dinanzi alla Corte.

115. Il Governo contesta la richiesta della ricorrente sottolineando che non è stata suffragata da elementi di prova.

116. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, la Corte respinge la domanda relativa alle spese, in quanto la ricorrente non ha prodotto documenti giustificativi a tale riguardo.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda le doglianze fondate sull’articolo 2 della Convenzione, e irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 2 della Convenzione;
  3. Dichiara,
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza diverrà definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 32.000 EUR (trentaduemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, per danno morale;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 7 aprile 2022, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Renata Degener
Cancelliere

Marko Bošnjak
Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata del giudice Sabato.

M.B.
R.D.

OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE SABATO

I. Introduzione

1. Ho votato in favore dell’intero dispositivo, e sono d’accordo anche con quasi tutta la motivazione della sentenza Landi c. Italia («la sentenza Landi»), alla quale allego l’esposizione della mia opinione separata, che tiene conto dell’importanza di questa sentenza, che è una delle prime emesse dalla Corte (si veda anche Y e altri c. Bulgaria, n. 9077/18, 22 marzo 2022, non definitiva) in materia di violenza domestica successivamente all’adozione da parte della Grande Camera della sentenza Kurt c. Austria ([GC], n. 62903/15, §§ 157-189, 15 giugno 2021).

2. Dato che sottoscrivo tutte le parti essenziali della sentenza, sento soltanto il bisogno di aggiungere delle considerazioni personali su alcune parti della sua motivazione, e di evidenziare un solo passaggio in merito al quale non concordo, ma che non mi impedisce, per i motivi che spiegherò, di approvare il dispositivo.

II. Un'efficacia orizzontale ben «delimitata» dell'articolo 2 protegge contro la violenza domestica per quanto possibile in uno Stato democratico

3. La sentenza Kurt – come la sentenza Landi rammenta nei paragrafi 78 e seguenti – ha chiarito la portata e il contenuto, nel suddetto contesto della violenza domestica, dell'obbligo positivo dello Stato – derivante dall'articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo («la Convenzione») – di adottare misure operative preventive per proteggere una persona la cui vita sia minacciata dalle azioni criminali di terzi, obbligo che era stato formulato per la prima volta nella causa Osman c. Regno Unito (28 ottobre 1998, §§ 115-16, Recueil des arrêts et décisions 1998-VIII).

4. La sentenza Kurt – ad eccezione di alcuni voti contrari da parte di giudici che avrebbero preferito approcci diversi – è stata accolta nel senso che auspicava, alla luce della Convenzione di Istanbul, un rafforzamento della protezione delle persone vulnerabili nel contesto familiare, in linea con altre recenti sentenze emesse dalla Corte in altri contesti (ad esempio, X e altri c. Bulgaria [GC], n. 22457/16, 2 febbraio 2021, che «mobilita» – secondo l’espressione utilizzata da Jean-Pierre Marguénaud – la Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali).

5. Nel contempo, la sentenza Kurt ha confermato la validità del criterio introdotto dalla sentenza Osman (sopra citata), secondo il quale: a) affinché entri in gioco l'obbligo positivo, deve essere stabilito che le autorità sapevano o avrebbero dovuto sapere sul momento che esisteva un rischio reale e immediato per la vita di una determinata persona a causa dell'azione criminale di un terzo; e b) le autorità hanno soltanto l'obbligo di adottare, nell'ambito dei loro poteri, le misure che si potevano ragionevolmente attendere per contrastare tale rischio. Perciò, la Grande Camera ha condiviso l'approccio che alcuni autori avevano definito come una «delimitazione» dell'effetto cosiddetto orizzontale dell'articolo 2: la dottrina degli obblighi positivi, che permette alla Corte di estendere la protezione della Convenzione ad alcune relazioni interpersonali, presuppone per la sua stessa natura dei limiti – che spetta alla Corte chiarire – strettamente legati al ruolo dello Stato per quanto riguarda le suddette relazioni tra persone in una società democratica, nonché al funzionamento stesso della Convenzione.

6. Pertanto, è sulla base di queste premesse che considero importante esprimere la mia approvazione senza riserve sulla scelta, fatta dalla sentenza Landi, di seguire fedelmente la giurisprudenza Osman-Kurt. A mio parere, i paragrafi che si concludono con il paragrafo 90 della sentenza Landi meritano di essere sottolineati: è proprio in quel punto che la camera esamina chiaramente i motivi per i quali le autorità nazionali sapevano, o avrebbero dovuto sapere, che esisteva un rischio che era non soltanto «reale», ma anche «immediato», per la vita della ricorrente e dei suoi figli.

7. Mi sembra assolutamente chiaro, secondo questa motivazione, che una cosa è constatare l'«immediatezza del rischio» (secondo il criterio della sentenza Osman), e tutt'altra cosa è verificare l'«immediatezza della reazione delle autorità» (secondo le precisazioni apportate dalla sentenza Kurt – si veda il paragrafo 78 a) della sentenza Landi): la prima constatazione richiede la seconda.

8. Se è vero che la sentenza Landi riafferma dunque un concetto rigoroso della nozione di rischio «reale e immediato», l'unico che fa sorgere un obbligo di reazione immediata da parte delle autorità, mi sembra che tale sentenza tenga conto delle giuste critiche che il giudice Spano, nella sua opinione parzialmente dissenziente, aveva formulato qualche anno fa rispetto alla sentenza Talpis (c. Italia, n. 41237/14, 2 marzo 2017), sottolineando il modo corretto, a suo parere, di valutare la «realtà» e soprattutto l'«immediatezza» del pericolo, il che l'aveva portato ad affermare che «lo Stato deve condurre [la] lotta [contro la violenza domestica], come ogni altra azione pubblica volta a tutelare la vita e l’integrità fisica dei suoi cittadini, entro i limiti previsti dalla legge e non al di fuori di essi» (si vedano i paragrafi 2-16, e specificamente il paragrafo 15, dell’opinione separata, in traduzione).

9. A mio parere, la sentenza emessa dalla Grande Camera nella causa Kurt ha dunque giustamente guidato la camera, nell'esame della causa Landi, verso una delimitazione adeguata dell'efficacia orizzontale dell'articolo 2, in modo da permettere la protezione contro la violenza domestica per quanto possibile in uno Stato democratico, il che denota, secondo il mio modesto parere, un approccio notevolmente diverso rispetto alla sentenza Talpis.

III. I criteri relativi alla prova della discriminazione nel contesto della violenza domestica

10. Una seconda parte della motivazione della sentenza Landi che vorrei accogliere con favore per la sua importanza, e alla quale aderisco totalmente, è quella dei paragrafi da 100 a 108: in questi passaggi, la camera espone il motivo per cui ritiene che i fatti di causa, sebbene rivelino una violazione dell'articolo 2 a causa della tragica carenza delle autorità nel caso di specie, non potessero essere considerati di per sé indicativi di un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle donne, e pertanto doveva essere esclusa la violazione dell'articolo 14 della Convenzione.
11. Le mie osservazioni a tale riguardo possono ancora una volta essere fondate soltanto sulla relazione tra queste considerazioni nella sentenza Landi e nella precedente sentenza Talpis.

12. Com'è noto, la sentenza Talpis era stata criticata (soprattutto – nelle loro opinioni separate allegate alla stessa sentenza – dai giudici Eicke e Spano, rispettivamente nei paragrafi 14-22 e 17-23 di tali opinioni, in traduzione) sia perché «gli strumenti internazionali sui quali la maggioranza si basa[va] per riscontrare una violazione dell’articolo 14 non evidenzia[va]no un problema discriminatorio nel sistema» (si veda specificamente l’opinione del giudice Spano, sopra citata, paragrafo 22), sia perché era difficile giustificare la nascita nel paese di un clima discriminatorio generalizzato che era stato escluso nella sentenza Rumor c. Italia (n. 72964/10, § 77) del 27 maggio 2014, ossia meno di tre anni prima (opinioni sopra citate del giudice Eicke, paragrafi 20-23, e del giudice Spano, paragrafo 23).

13. Sebbene la camera, nella sentenza Landi (paragrafo 102), prenda in considerazione soprattutto le innovazioni legislative messe in atto successivamente alla sentenza Talpis, mi sembra evidente che, se si esaminano le critiche rivolte alla sentenza Talpis, e se si analizza la motivazione della sentenza Landi sulla scia della sentenza Rumor, la sentenza Talpis – che conserva innegabilmente tutta la sua importanza in quanto precedente, in generale, nel contesto della violenza domestica – si caratterizza in quanto hápax legómenon in materia di discriminazione.

14. Al di là di queste osservazioni, tuttavia, la questione più interessante della motivazione della sentenza Landi è l'esplicito allineamento di quest'ultima (nel paragrafo 100) sui criteri di prova della discriminazione nel contesto della violenza domestica espressi per la prima volta nella sentenza Opuz c. Turchia (n. 33401/02, §§ 184-191, CEDU 2009), e poi sviluppati nella sentenza Volodina c. Russia (n. 41261/17, §§ 109-114, 9 luglio 2019). È importante sottolineare tale allineamento, tenendo presente che le critiche già espresse nei confronti della sentenza Talpis (soprattutto quelle sopra citate, da parte dei giudici Eicke e Spano) erano fondate precisamente sul divario rispetto alla precedente sentenza Opuz.

IV. L’esaurimento delle vie di ricorso interne mediante l'azione di responsabilità pubblica

15. Devo ora menzionare il punto della sentenza Landi sul quale non posso essere d'accordo, senza tuttavia, per le ragioni che spiegherò, che questo disaccordo incida sulla mia approvazione del dispositivo, per cui sono necessari solo alcuni commenti da parte mia.

16. Le mie preoccupazioni riguardano l'esame che viene fatto nella sentenza Landi dell'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in particolare per quanto riguarda due delle questioni sollevate dal Governo (non mi soffermerò sulla terza):

  1. la possibilità di intentare un'azione generale di risarcimento danni dinanzi ai tribunali nazionali (che è identica nel diritto interno – rammenta il Governo – all'azione intentata, per esempio, in materia di responsabilità per incidenti stradali), che permette di porre rimedio alle violazioni dei diritti dell'uomo come quelle in esame (la sentenza Landi tratta questa parte dell’eccezione nel paragrafo 57);
  2. la possibilità di richiedere ai giudici nazionali un’ordinanza di protezione (ordinanze previste da più fonti interne, compreso il codice di procedura penale – il Governo cita gli articoli 342 bis e 342 ter del codice civile – la sentenza Landi menziona questa parte dell’eccezione nel paragrafo 58).

17. A mio avviso, prima di trattare queste parti dell'eccezione di mancato esaurimento, occorre innanzitutto riflettere sul contenuto della sentenza Kurt emessa dalla Grande Camera.

18. Nella causa Kurt – ricordiamolo – la ricorrente aveva intentato un'azione di responsabilità pubblica contro lo Stato, chiedendo una somma per il danno morale già subìto e per i danni futuri, anche psicologici, soprattutto in relazione al decesso del figlio, sostenendo che la fonte dei danni era il comportamento omissivo delle autorità e l'inadeguatezza dell'ordinanza di protezione adottata (si veda il paragrafo 40 della sentenza Kurt: «la procura avrebbe dovuto chiedere che E. fosse sottoposto a custodia cautelare (...), dopo averlo denunciato alla polizia»; «la misura di divieto e di protezione non garantirebbe una protezione sufficiente, tanto più che la polizia sapeva, a suo parere, che tale misura non poteva essere estesa alla scuola dei figli»).

19. Il tribunale di primo grado investito dell'azione di responsabilità pubblica aveva dichiarato che il pubblico ministero «non aveva (...) agito né in modo irregolare né con colpa decidendo di non applicare a E. la custodia cautelare» e ordinando la «misura meno severa (...) di divieto e di protezione riguardante il domicilio della ricorrente e quello dei suoi genitori» (si veda il paragrafo 41 della sentenza Kurt). La corte d'appello aveva respinto l'appello della ricorrente e la Corte suprema aveva rigettato il ricorso straordinario proposto dalla ricorrente su alcuni punti di diritto (si vedano i paragrafi 42-44 della sentenza Kurt).

20. In questo contesto fattuale, il Governo aveva sostenuto dinanzi alla Corte, per quanto riguarda la doglianza relativa all'esistenza nel quadro legislativo di carenze che avrebbero ostacolato la protezione dei minori, che la ricorrente non aveva esaurito le vie di ricorso interne, in particolare non avendo richiesto misure di protezione urgenti più specifiche, offerte dall'ordinamento giuridico interno (si veda il paragrafo 105 della sentenza Kurt). La ricorrente aveva risposto di aver avviato l'azione di responsabilità pubblica e di non essere tenuta a richiedere anche un'ordinanza di allontanamento temporaneo che coprisse la scuola dei suoi figli.

21. Per quanto riguarda queste eccezioni, nella causa Kurt, la camera aveva ritenuto che una domanda di ordinanza temporanea, in quanto priva di effettività, non avrebbe fornito alla ricorrente e ai suoi figli la protezione immediata di cui avevano bisogno (si veda il paragrafo 108 della sentenza della Grande Camera). La Grande Camera ha invece espressamente dichiarato di «optare per un approccio diverso da quello [era] stato adottato dalla camera», ritenendo che «l'eccezione preliminare sollevata dal Governo non riguarda[sse] strettamente una questione di esaurimento delle vie di ricorso interne dato che le disposizioni pertinenti avevano lo scopo di impedire violazioni future e non di porre rimedio a violazioni già commesse». Essa ha pertanto considerato che «tale questione [era] indissolubilmente legata a quella della capacità del quadro giuridico di assicurare una protezione sufficiente alla ricorrente e ai suoi figli, e a quella di un eventuale obbligo di diligenza che sarebbe spettato alle autorità». Pertanto, la Grande Camera ha deciso di «unire tale questione al merito e di esaminarla sotto il profilo dell'articolo 2 della Convenzione» (si veda il paragrafo 109 della sentenza della Grande Camera).

22. Su questa base, per parlare della sentenza Landi, mi sembra opportuno sottolineare, nella sentenza Kurt, l'importanza di ciò che ha affermato la Grande Camera quando ha giustamente fatto osservare che l’adeguatezza del quadro giuridico volto alla protezione contro la violenza domestica era uno degli aspetti in base al quale giudicare il rispetto dell'obbligo positivo che deriva dall'articolo 2, di modo che l'eccezione di mancato esaurimento può, in questo caso, essere esaminata congiuntamente al merito (si veda anche il paragrafo 179 della sentenza Kurt).

23. La Grande Camera ha inoltre precisato che qualsiasi richiesta di ordinanza urgente supplementare che la ricorrente avesse formulato (cosa che, secondo il Governo, quest'ultima avrebbe dovuto fare) avrebbe consentito di «prevenire violazioni future e non [di] porre rimedio a violazioni già commesse».

24. Dopo aver constatato che non vi era stata violazione del profilo materiale dell'articolo 2, la Grande Camera ha ritenuto, nella sentenza Kurt, «di non doversi pronunciare sull'eccezione preliminare sollevata dal Governo per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne», un'eccezione che avrebbe quindi dovuto essere esaminata se ci fosse stata violazione (si veda il paragrafo 213 della sentenza Kurt).

25. Ora, non è qui il caso di indagare – qualora nella causa Kurt ci fosse stata una prospettiva di violazione – se i mezzi di ricorso interni potessero essere considerati esauriti. Certo, in tale causa, la ricorrente aveva intentato un'azione di risarcimento danni contro le autorità pubbliche per ottenere un risarcimento del danno sia passato che futuro derivante da violazioni presentate come già esistenti (inadeguatezza del quadro normativo di protezione e omissioni operative delle autorità investigative). Per quanto riguarda l'esercizio di tale azione, nella causa Kurt, il Governo non era stato manifestamente in grado di indicare che tale ricorso avrebbe dovuto essere esperito in via preliminare, poiché in realtà era già stato esercitato.

26. Detto questo, occorre piuttosto chiedersi come – applicando i criteri Kurt sopra enunciati – l'eccezione di mancato esaurimento sollevata dal Governo avrebbe dovuto essere esaminata nella causa Landi (al di là di quanto è stato fatto nel paragrafo 63 della sentenza Landi).

27. Nella causa Landi, come è stato indicato, il Governo sostiene, in modo del tutto speculare rispetto al caso Kurt, come parte della sua eccezione di mancato esaurimento, che sarebbe stato necessario richiedere delle ordinanze di protezione. Nel paragrafo 63 della sentenza Landi, la camera respinge, a mio avviso giustamente, questa argomentazione perché tali richieste avrebbero avuto lo scopo di prevenire future violazioni, senza poter porre rimedio alle violazioni già commesse. Come è stato detto, l'esistenza di ordinanze di protezione adeguate persegue altre finalità.

28. Al contrario, per quanto riguarda l'altra parte dell'eccezione di mancato esaurimento legata all'obbligo di intentare un'azione di risarcimento danni contro le autorità pubbliche (eccezione non esaminata nella sentenza Kurt, dove tale azione era stata proposta), devo esprimere il mio disaccordo con la risposta data dalla sentenza Landi: nel paragrafo 63 di quest'ultima, la camera invoca un passaggio di un rapporto del Grevio (si veda anche il paragrafo 54 della sentenza), al quale, peraltro, il Governo non aveva dato alcun seguito (si veda il paragrafo 55) e che indica che, nell'ordinamento giuridico nazionale, esisterebbe un vuoto legislativo da colmare riguardo ai ricorsi civili effettivi contro qualsiasi autorità statale, che si tratti dell'apparato giudiziario o di un altro ente pubblico, che sarebbe venuto meno al suo dovere di adottare le misure di prevenzione o di protezione necessarie. Su questa base, la camera ritiene in termini assoluti che «la ricorrente non disponesse di un ricorso civile da esperire».

29. Tale rigetto non può essere accettato nei termini assoluti così utilizzati.

30. In primo luogo, devo osservare che nella causa Landi vi sono due differenze rispetto alla causa Kurt: oltre al fatto che vi è violazione (di conseguenza non è possibile includervi l'esame dell'eccezione), vi è anche il fatto che, contro lo Stato, non è stata intentata nessuna azione basata sul diritto interno.

31. In secondo luogo, e come ho ricordato sopra, dalle osservazioni del Governo (dell'8 gennaio 2020, paragrafo 9) risulta che, come negli altri sistemi (compreso quello esaminato nella sentenza Kurt), l'azione generale di risarcimento danni (prevista dagli articoli 2043-2059 del codice civile, essendo l'ultimo articolo espressamente citato «inter alia» dal Governo) esiste anche nell'ordinamento giuridico dello Stato convenuto.

32. Infatti, l'azione generale di risarcimento danni sopra menzionata – nella forma specifica che assume quando è esercitata più specificamente come «azione di responsabilità pubblica» – è sancita al più alto livello, nell'articolo 28 della Costituzione, che recita:
«I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.».
Esistono anche delle leggi speciali che, pur mantenendo la responsabilità dello Stato che può sempre essere perseguito direttamente dalla parte lesa, prevedono solo la responsabilità limitata di alcuni funzionari (come magistrati e insegnanti dello Stato), che possono successivamente essere citati dinanzi al giudice dallo Stato mediante un'azione di rivalsa.

33. Su questa base, non posso approvare l'ultima parte sopra menzionata del paragrafo 63, che espone considerazioni che, sebbene corroborate da documenti di provenienza attendibile, sono inesatte nella loro sostanza a causa di un malinteso che non può essere qui esaminato.

34. Mi resta da precisare il motivo per cui ho potuto comunque approvare la decisione di ricevibilità del ricorso. Lo si ritrova nella formula – contenuta ancora una volta nel paragrafo 63 – secondo la quale
«non c'è nulla nel fascicolo che indichi che il ricorso civile menzionato dal Governo avrebbe potuto essere proposto dalla ricorrente per far riconoscere la responsabilità dello Stato e, in particolare, dell'apparato giudiziario per inosservanza dell’obbligo positivo di proteggere, nell'ambito delle violenze domestiche, la sua vita e quella dei suoi figli, e per ottenere un riconoscimento della violazione, nonché un risarcimento adeguato».
Se si considera questa formula separatamente, estrapolata dal contesto di questo paragrafo, posso essere d'accordo, anche se con una certa esitazione che spiegherò. Infatti, questa formula è conforme a una giurisprudenza della Corte secondo la quale la disponibilità del ricorso invocato, compresa la sua portata e il suo campo di applicazione, deve essere confermata o completata dalla prassi o dalla giurisprudenza, consolidata e anteriore alla data di presentazione del ricorso, salvo eccezioni giustificate dalle circostanze di una causa.

35. Avendo il Governo menzionato chiaramente questa via di ricorso, la camera avrebbe potuto benissimo prendere in esame l'esistenza di circostanze particolari (ad esempio la scarsità delle azioni di responsabilità pubblica contro lo Stato in materia di violenza domestica) che – una volta che il Governo avesse regolarmente eccepito l'esistenza di un ricorso di questo tipo e ne avesse dimostrato la base legale – lo avrebbero esonerato dall'obbligo supplementare di fornire la prova di una pratica corrispondente. Da qui le mie esitazioni, poiché da questo punto di vista si sarebbe potuto benissimo considerare che i ricorsi interni non erano stati esauriti e che il ricorso era quindi irricevibile.

36. Tuttavia, per ragioni di fedeltà alla giurisprudenza della Corte, ho deciso di sottolineare il fatto che, in realtà, come afferma chiaramente il paragrafo 63, nel fascicolo non c'era nulla che indicasse che l'azione di responsabilità pubblica fosse stata precedentemente utilizzata dallo Stato. Peraltro, la giurisprudenza citata dal Governo riguardava in generale il riconoscimento del risarcimento danni ai sensi dell'articolo 2059 del codice civile.

37. L'applicazione rigorosa del criterio secondo il quale la disponibilità delle vie di ricorso deve essere dimostrata è in ogni caso una prassi giurisprudenziale della Corte che merita una riflessione in vista del suo cambiamento, in particolare nelle cause come quella in esame: la Corte stessa dispone di alcuni esempi, tratti dalla sua giurisprudenza, in cui è stata chiamata in causa la responsabilità pubblica in questione nel paese interessato.

V. Conclusione

38. In conclusione, la sentenza Landi è certamente una sentenza che si caratterizza per la sua fedeltà alla giurisprudenza della Corte e che, per questo motivo, contribuisce alla causa della protezione dei diritti delle vittime di violenza domestica, pur rispettando le compatibilità imposte in uno Stato democratico.

39. I miei dubbi sulla ricevibilità, come ho cercato di spiegare, non precludono questa conclusione.

40. Mi resta da precisare un altro aspetto che non ha costituito un ostacolo al mio voto finale e che riguarda in particolare la qualità di vittima della ricorrente: il fatto che non esista alcun elemento che provi che il risarcimento provvisoriamente accordato dal giudice nazionale a carico del presunto autore dell'atto omicida sia stato versato alla ricorrente e che il suo importo sia stato fissato in modo definitivo (si veda il paragrafo 45 della sentenza) mi dispensa da qualsiasi altra riflessione (che altrimenti sarebbe stata necessaria) sull'articolazione tra l'azione civile contro il presunto autore di tale atto (mediante la costituzione di parte civile nel procedimento penale) e l'azione civile di responsabilità pubblica (si veda il paragrafo 112 della sentenza).