Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 30 novembre 2021 - Ricorso n. 20002/13 - Causa Associazione politica nazionale lista Marco Pannella e radicali italiani c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione effettuata dal Rita Carnevali, assistente linguistico, e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA ASSOCIAZIONE POLITICA NAZIONALE LISTA MARCO PANNELLA E RADICALI ITALIANI c. ITALIA

(Ricorso n. 20002/13)

SENTENZA

Art 10 - Libertà di espressione - Soppressione di una trasmissione di comunicazione politica alla televisione pubblica che non ha privato una associazione soggetto politico della possibilità di far conoscere le sue opinioni - Scelta politica che rientra nel potere discrezionale del Parlamento - Conseguenze subite da tutte le forze politiche - Possibilità di partecipare a delle trasmissioni di informazione che veicolano il messaggio politico - Proporzionalità
Art 13 (+ Art 10) - Assenza di ricorso effettivo

STRASBURGO

31 agosto 2021

DEFINITIVA

30/11/2021

 

Questa sentenza è divenuta definitiva alle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Associazione Politica Nazionale Lista Marco Pannella e Radicali Italiani c. Italia

La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:

  • Ksenija Turković, presidente
  • Péter Paczolay
  • Alena Poláčková,
  • Erik Wennerström,
  • Raffaele Sabato,
  • Lorraine Schembri Orland,
  • Ioannis Ktistakis, giudici,

e da Renata Degener, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso (n. 20002/13) proposto contro la Repubblica italiana da due associazioni politiche italiane, l’Associazione Politica Nazionale Lista Marco Pannella («la prima ricorrente») e Radicali Italiani («la seconda ricorrente»), che il 27 dicembre 2012 hanno adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),

Vista la decisione di portare a conoscenza del governo italiano («il Governo») le doglianze relative agli articoli 10 e 13 della Convenzione.

Viste le osservazioni delle parti,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 29 giugno 2021,

Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. I ricorrenti sostengono che la soppressione di una trasmissione televisiva dedicata al dibattito politico ha comportato la violazione del loro diritto alla libertà di manifestare liberamente le loro opinioni e le loro idee.

IN FATTO

  1. Le ricorrenti sono due associazioni che hanno sede a Roma. Sono state rappresentate dall’avvocato Bultrini.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, M.G. Civinini, della rappresentanza permanente dell’Italia presso il Consiglio d’Europa.
  1. IL CONTESTO GENERALE
  1. Nel sistema radiotelevisivo italiano, le disposizioni legislative relative alla diffusione delle opinioni e dei messaggi di natura politica prevedono una distinzione tra due categorie di trasmissioni.
  2. Le trasmissioni di «comunicazione politica», da una parte, hanno come scopo principale la diffusione delle opinioni e proposte delle forze politiche che partecipano alla vita parlamentare del paese. Queste trasmissioni consistono soprattutto in conferenze stampa, dibattiti a due e tavole rotonde. Esse comprendono le «tribune elettorali», organizzate in periodo pre-elettorale, e le «tribune politiche», trasmesse nel quadro della programmazione ordinaria dei canali televisivi. Per queste trasmissioni, il diritto interno prevede delle regole precise di ripartizione del tempo di antenna per garantire una rigorosa equità di accesso alle forze politiche e garantire l’imparzialità dell’informazione.
  3. Le trasmissioni «d'informazione», dall’altra parte, hanno lo scopo di trattare temi di attualità, di società e di politica. Esse hanno conosciuto negli ultimi anni un notevole sviluppo, in particolare sotto forma di «programmi di approfondimento». Per queste trasmissioni, la direzione della rete, la redazione e il conduttore godono di una certa libertà editoriale nella scelta delle tematiche, degli ospiti e del loro tempo di parola.
  4. Il legislatore ha affidato a due soggetti pubblici il compito di controllare, nell'ambito delle rispettive competenze, la programmazione e l'attività dei canali televisivi, al fine di garantire il rispetto dei principi costituzionali e delle disposizioni che disciplinano la diffusione del discorso politico nei media.
  5. Questi due organi sono la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi – «la commissione di vigilanza») e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni («l’AGCOM»).
  6. La commissione di vigilanza esprime la volontà del Parlamento in materia di servizio pubblico radiotelevisivo. In particolare, è incaricata, in virtù della legge n. 103 del 1975, della direzione generale e della vigilanza sull’attività dell'azienda pubblica concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, la Radio Televisione Italiana («la RAI»). La commissione di vigilanza indica gli indirizzi generali e fissa i criteri che presiedono all'elaborazione dei piani di investimento e di spesa delle reti radiotelevisive pubbliche. Vigila anche sul rispetto dei principi di imparzialità e di pluralismo dell’informazione (legge n. 28 del 2000 – paragrafo 22 infra).
  7. In particolare, al di fuori del periodo elettorale, la commissione di vigilanza indica alla RAI i criteri da applicare per l'organizzazione di «tribune politiche». La RAI deve quindi preparare, per ogni ciclo programmato, trentasei trasmissioni (conferenze stampa, dibattiti a due, tavole rotonde). La commissione di vigilanza designa le forze politiche che potranno partecipare a ciascuna di esse.
  8. L'AGCOM, dal canto suo, è un'autorità amministrativa indipendente che esercita funzioni di regolamentazione e di vigilanza, in particolare nei settori delle telecomunicazioni e dell'audiovisivo. Essa deve assicurare il rispetto del pluralismo e garantire la parità di accesso di tutti i «soggetti politici» (paragrafo 35 infra) alle trasmissioni di informazione, di comunicazione elettorale e di comunicazione politica, nonché l'imparzialità di queste trasmissioni. Inoltre, l’AGCOM vigila sul rispetto degli indirizzi indicati alla RAI dalla commissione di vigilanza, e può essa stessa fissare delle regole complementari per garantire il rispetto della normativa interna.
  9. All'epoca dei fatti, la legge n. 112/2004 disponeva, nell'articolo 20, comma 9 (successivamente abrogato dalla legge n. 220 del 28 dicembre 2015), che sette dei membri del consiglio di amministrazione della RAI fossero nominati dalla commissione di vigilanza e due, tra cui il presidente, dall'esecutivo.
  1. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
  1. Il 21 novembre 2007 la commissione di vigilanza comunicò alla RAI le istruzioni relative all'ultimo ciclo di «tribune politiche» da organizzare prima delle elezioni. Queste istruzioni riguardavano la programmazione delle reti televisive pubbliche fino al 15 aprile 2008.
  2. Dopo le elezioni legislative del 2008, la composizione della commissione di vigilanza fu rinnovata. La nuova commissione omise di fornire alla RAI le istruzioni necessarie per l'organizzazione di un nuovo ciclo di trasmissioni di comunicazione politica. Pertanto, le «tribune politiche» non furono più programmate.
  3. B., rappresentante della prima ricorrente ed eletto alla Camera dei deputati, presentò diverse interrogazioni parlamentari sulla scomparsa delle «tribune politiche». Il 21 ottobre 2009 la direttrice editoriale del canale Rai Parlamento fu sentita dalla commissione di vigilanza. M.B., che era membro della commissione, partecipò a questa audizione e poté interrogare la direttrice editoriale. Quest'ultima gli rispose che la RAI era disposta ad organizzare delle «tribune politiche», ma che a tal fine aveva bisogno di una delibera della commissione di vigilanza che l'autorizzasse a considerare la prima ricorrente come un gruppo parlamentare autonomo.

In precedenza, anche il presidente dell'AGCOM era stato sentito dalla commissione di vigilanza e, all’epoca, aveva dichiarato che era urgente che la commissione adottasse una delibera per permettere alla RAI di organizzare dei cicli di «tribune politiche».

  1. Il 17 dicembre 2009, M.S., segretario della seconda ricorrente, si lamentò con il presidente della commissione di vigilanza della soppressione totale delle «tribune politiche». M.S. riteneva che il pubblico italiano fosse in tal modo privato della possibilità di seguire dei dibattiti su argomenti politici significativi, e criticava la scelta che era stata fatta di dedicare un tempo di antenna, a suo parere sproporzionato, a delle trasmissioni che riguardavano fatti di cronaca molto mediatici.
  2. Queste diverse azioni non produssero alcun risultato. Le «tribune politiche» non furono riprogrammate.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

  1. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
  1. Il quadro giuridico della Commissione di vigilanza e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
  1. La legge n. 103 del 1975
  1. La legge n. 103 del 14 aprile 1975 (modificata dalla legge n. 112/2004), intitolata «Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva», ha trasferito dall’esecutivo al legislativo il controllo del servizio pubblico radiotelevisivo, istituendo una commissione parlamentare bicamerale per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (la commissione di vigilanza). Da allora, il consiglio di amministrazione della RAI è nominato dal Parlamento.

La commissione di vigilanza è composta da quaranta membri, nominati dai presidenti delle due camere parlamentari tra i rappresentanti eletti di tutti i gruppi parlamentari (articolo 1). Essa ha il compito di sovrintendere all'attività della RAI e di provvedere all'elaborazione degli orientamenti generali della sua programmazione, al fine di garantire il rispetto dei principi di indipendenza, obiettività e pluralismo dell'informazione, nel quadro imposto dalla Costituzione.

  1. A questo proposito, l’articolo 4 prevede che la commissione di vigilanza:

«(...) formula gli indirizzi generali per l'attuazione dei principi (…), per la predisposizione dei programmi e per la loro equilibrata distribuzione (…) e adotta tempestivamente le deliberazioni necessarie per la loro osservanza (…);
(...)
Disciplina direttamente le rubriche di «tribuna politica», «tribuna elettorale», «tribuna sindacale» e «tribuna stampa»;
(...)
Riferisce con relazione annuale al Parlamento sulle attività e sui programmi della Commissione;
(...)»

  1. L’articolo 6 prevede che siano riservati ai partiti politici, ai sindacati, alle confessioni religiose, ai movimenti politici, alle associazioni culturali e politiche, alle cooperative, ai gruppi etnici e linguistici e ad altri gruppi di interesse sociale tempi non inferiori al 5% del totale delle ore di programmazione televisiva e al 3% delle ore di programmazione radiofonica.
  1. La legge n. 249 del 1997
  1. La legge n. 249 del 31 luglio 1997 ha istituito l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – l’AGCOM. Quest’ultima ha il compito di vigilare che i servizi e i prodotti forniti dal concessionario del servizio pubblico siano conformi alle disposizioni in vigore, soprattutto alle disposizioni applicabili in materia di comunicazione e di informazione politiche e alle norme relative all’equità di trattamento, alla parità di accesso alle pubblicazioni e alla diffusione di informazioni e di messaggi elettorali. Essa può anche emanare delle disposizioni regolamentari.
  1. Il quadro giuridico della «comunicazione politica» – la legge n. 28 del 2000
  1. La legge n. 28 del 22 febbraio 2000 recante disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica, detta «legge sulla par condicio», disciplina le trasmissioni di «comunicazione politica» e prevede due regimi distinti, uno per il periodo non elettorale e l'altro per il periodo elettorale.
  2. In particolare, l'articolo 2, comma 1, stabilisce che l'accesso alle trasmissioni di informazione e alle trasmissioni di comunicazione politica, vale a dire alle tribune politiche, ai dibattiti, alle tavole rotonde, alle interviste e a qualsiasi altra trasmissione che contenga un messaggio politico, deve essere garantito a tutti i soggetti politici in condizioni di parità. La RAI ha l'obbligo di programmare l’offerta di trasmissioni di comunicazione politica alla radio e alla televisione (articolo 2, comma 4). La commissione di vigilanza e l'AGCOM si consultano per stabilire, ciascuna nell'ambito delle proprie competenze, le regole di applicazione delle disposizioni della legge. In particolare, la commissione di vigilanza elabora le regole per l’applicazione della legislazione primaria per la RAI da parte della Commissione di vigilanza (articolo 2, comma 5).
  3. L’articolo 10, comma 3, prevede che, in caso di violazione del principio di parità di accesso alle trasmissioni, l’AGCOM ordini ai canali radiotelevisivi di organizzare delle trasmissioni di comunicazione politica alle quali parteciperanno i «soggetti politici» che siano stati danneggiati dalle violazioni constatate.
  4. L’articolo 11 ter definisce le trasmissioni di informazione e le trasmissioni di comunicazione politica come segue:

«(...)
b) per «programma di informazione»: il telegiornale, il giornale radio e comunque il notiziario o altro programma di contenuto informativo, a rilevante presentazione giornalistica, caratterizzato dalla correlazione ai temi dell’attualità e della cronaca;
c) per «programma di comunicazione politica» ogni programma in cui assuma carattere rilevante l'esposizione di opinioni e valutazioni politiche manifestate attraverso tipologie di programmazione che comunque consentano un confronto dialettico tra più opinioni (…).»

  1. Il decreto legislativo n. 117 del 2005 (Testo unico della radiotelevisione)
  1. L’articolo 3 del decreto legislativo n. 117 del 31 luglio 2005 contiene i principi fondamentali applicabili al sistema radiotelevisivo, in particolare «la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, la tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee (…), l'obiettività, la completezza, la lealtà e l'imparzialità dell'informazione, l'apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, (…) il rispetto delle libertà e dei diritti [della persona], in particolare della dignità della persona, (…) garantiti dalla Costituzione, dal diritto comunitario, dalle norme internazionali vigenti (…)».
  2. L’articolo 7 contiene i principi generali applicabili in materia di informazione, fra i quali vi è l’obbligo di garantire «l'accesso di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e di imparzialità, nelle forme e secondo le modalità indicate dalla legge» (articolo 7, comma 2, lettera c)).
  3. L’articolo 45, comma 2, lettera d), prevede che il servizio pubblico radiotelevisivo garantisca l’accesso dei partiti politici, dei gruppi rappresentati in Parlamento e, più in generale, dei movimenti, degli enti e dei gruppi politici alle trasmissioni televisive.
  1. La delibera sull’organizzazione delle tribune politiche adottata dalla commissione di vigilanza il 18 dicembre 2002 (e modificata il 29 ottobre 2003)
  1. Il 18 dicembre 2002 la commissione di vigilanza ha adottato una delibera che disciplina le trasmissioni di comunicazione politica diffuse dalla RAI in periodo non interessato da campagne elettorali. L’articolo 2 della delibera precisa le forze politiche alle quali è assicurato l’accesso alle trasmissioni di comunicazione politica. Queste forze sono in particolare le seguenti:

«(...)
a) ciascuna delle forze politiche che costituiscono gruppo in almeno un ramo del Parlamento nazionale;
b) ciascuna delle forze politiche, diverse da quelle di cui al punto a), che hanno eletto con proprio simbolo almeno due rappresentanti al Parlamento europeo;
(...)
d) le componenti politiche del Gruppo Misto della Camera dei deputati e del Gruppo Misto del Senato della Repubblica. I due Gruppi sono considerati come un unico soggetto e l'individuazione della componente politica che di volta in volta partecipa alla singola trasmissione è stabilita secondo i criteri di cui all'articolo 8. Le componenti politiche aventi diritto sono quelle composte da almeno tre parlamentari che rappresentano un partito o un movimento politico che ha presentato liste di candidati ovvero candidature nei collegi uninominali;
e) i Comitati promotori (per i referendum abrogativi) (…), limitatamente ai quesiti dei quali l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione abbia definitivamente accertato la legittimità (…)»

  1. L’articolo 3 precisa che la programmazione di tribune politiche costituisce un obbligo direttamente connesso alle finalità del servizio pubblico radiotelevisivo. Le tribune sono gestite direttamente dalla commissione di vigilanza secondo le modalità e i criteri disciplinati dal provvedimento del 18 dicembre 2002. La commissione di vigilanza demanda alla RAI alcuni compiti relativi alla gestione diretta delle tribune. Secondo l’articolo 4 della delibera, la Commissione deve approvare e trasmettere alla RAI l’elenco delle tribune politiche che saranno programmate sulle reti del palinsesto; ciascun ciclo di trentasei trasmissioni ha frequenza trisettimanale. Ai sensi dell’articolo 9, la RAI può autonomamente programmare delle trasmissioni di comunicazione politica.
  2. L'articolo 11 definisce le trasmissioni di informazione come trasmissioni correlate ai temi di attualità. Esso prevede che ogni direttore, nel rispetto della libertà di informazione, è tenuto ad assicurare che i programmi di informazione a contenuto politico parlamentare attuino un'equa rappresentazione di tutte le opinioni politiche presenti nel Parlamento nazionale e nel Parlamento europeo.
  1. La giurisprudenza nazionale
  1. In una sentenza del 1974 (n. 225), la Corte costituzionale ha dichiarato che, tenuto conto del monopolio dello Stato nel controllo delle reti televisive, il Parlamento, in quanto rappresentante della collettività, dispone di adeguati poteri per garantire l'imparzialità e il pluralismo dell'informazione, ed ha sottolineato che l'accesso ai media televisivi costituiva una condizione essenziale di legittimità delle istituzioni.
  2. In una sentenza delle Sezioni Unite emessa il 25 novembre 1983 (n. 7072 del 25/11/1983), la Corte di cassazione ha dichiarato che, in quanto commissione bicamerale permanente, la commissione di vigilanza era un organo parlamentare che esprimeva la volontà del Parlamento nel settore del servizio pubblico radiotelevisivo. Essa ha precisato che gli atti adottati da tale commissione in virtù della legge n. 103 del 1975 non erano di natura amministrativa ma politica (atti d'indirizzo politico). Ha spiegato che tali atti garantivano la gestione dell'accesso alla televisione e alla radio nonché la regolarità delle tribune politiche (si veda anche, ad esempio, l'ordinanza n. 1404 del 2010 del tribunale amministrativo regionale («il TAR») del Lazio.
  3. In una sentenza emessa il 18 febbraio 2003 (n. 3950), il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla natura dell’articolo 2 della legge n. 28 del 2000, e in particolare sull’obbligo per la RAI di assicurare l’offerta di programmi di «comunicazione politica» (articolo 2, comma 4). Constatando che tale obbligo era subordinato all’adozione di disposizioni da parte della commissione di vigilanza e dell’AGCOM (articolo 2, comma 5), il Consiglio di Stato ha concluso che l’articolo 2 non era di per sé vincolante, in quanto la sua applicazione dipendeva dall’adozione di una regolamentazione secondaria.
  4. In una sentenza emessa il 9 giugno 2011 (n. 8064), il TAR del Lazio, adito dalle due associazioni ricorrenti, ha riconosciuto alla prima ma non alla seconda la qualità di «soggetto politico» ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 177 del 2005.
  1. I DOCUMENTI DEL CONSIGLIO D’EUROPA
  1. La Corte rinvia ai numerosi testi adottati dal Comitato dei Ministri menzionati nella sentenza Manole e altri c. Moldavia (n. 13936/02, §§ 51‑54, CEDU 2009 (estratti)), in particolare alla Raccomandazione n. R (96) 10 sulla garanzia di indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo (1996) e alla Risoluzione n. 1 sul futuro del servizio pubblico radiotelevisivo (1994). Essa rammenta, in particolare, che nella Raccomandazione CM/Rec (2007)3 sulla missione dei media di servizio pubblico nella società dell'informazione, il Comitato dei Ministri si è espresso in questi termini:

«14. I media di servizio pubblico dovrebbero svolgere un ruolo importante nella promozione di un dibattito e di una partecipazione democratici più ampi, con l'aiuto, tra l'altro, di nuove tecnologie interattive, il che permetterebbe alla popolazione di essere maggiormente coinvolta nel processo democratico. I media di servizio pubblico dovrebbero svolgere un ruolo fondamentale nell'educazione di cittadini attivi e responsabili, proponendo non soltanto un contenuto di qualità, ma anche un forum al dibattito pubblico, aperto alla diversità delle idee e delle convinzioni nella società, e una piattaforma per diffondere i valori democratici.

15. I media di servizio pubblico dovrebbero fornire informazioni appropriate sul regime e le procedure democratiche, e promuovere la partecipazione non soltanto alle elezioni ma anche ai processi decisionali e alla vita pubblica in generale. Pertanto, uno dei ruoli dei media di servizio pubblico sarebbe incitare i cittadini a interessarsi maggiormente alle questioni pubbliche e incoraggiarli a prendervi parte più attivamente.
(...)
17. I media di servizio pubblico dovrebbero svolgere un ruolo trainante nella promozione della vigilanza del pubblico nei confronti dei governi nazionali e delle organizzazioni intergovernative, contribuendo a rafforzare la trasparenza di questi ultimi, il loro obbligo di rendere conto ai cittadini e la loro legittimità, partecipando in questo modo alla lotta contro qualsiasi deficit democratico, e allo sviluppo di uno spazio pubblico europeo.»

  1. La Risoluzione 1636 (2008) dell’Assemblea parlamentare invita i parlamenti nazionali ad analizzare la situazione dei media del loro paese allo scopo di poter intervenire, se necessario, soprattutto per garantire ai partiti politici e ai candidati alle elezioni un accesso equo ai media.
  2. Infine, la raccomandazione Rec (2012)1 sulla governance dei media di servizio pubblico rammenta che «i media sono lo strumento più importante per la libertà di espressione nella sfera pubblica, in quanto danno la possibilità alle persone di esercitare il diritto di cercare e ricevere informazione». Con tale Raccomandazione, il Comitato dei Ministri raccomanda agli Stati membri di ripensare e ricostruire il sistema di governance dei media allo scopo di completare la transizione da servizio dello Stato a servizio pubblico e da emittenza radiotelevisiva a media di servizio pubblico.

IN DIRITTO

  1. SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI DEL GOVERNO
  1. Sulla qualità di vittima della seconda ricorrente
  1. Argomentazioni delle parti
  1. Il Governo sostiene che il diritto interno garantisce l’accesso alle trasmissioni di comunicazione politica ai «soggetti politici» e ai «gruppi rappresentati in Parlamento», e spiega che lo scopo delle «tribune politiche» è permettere ai partiti politici che partecipano alla vita parlamentare del paese di presentare le loro idee su un piano di parità e che, analogamente, i partiti politici o i movimenti referendari possono avere accesso alle «tribune politiche» dedicate ai referendum.
  2. Il Governo ritiene che solo la prima ricorrente potesse essere qualificata come «soggetto politico» o come «gruppo rappresentato in Parlamento» ai sensi delle disposizioni interne applicabili durante il periodo in questione e che, invece, la seconda ricorrente non avesse tale qualità in quanto nessuno dei suoi membri era eletto, e non poteva pertanto rivendicare l’accesso alle «tribune politiche». Sottolinea, inoltre, che l’ordinamento interno della seconda ricorrente le vietava di presentare dei candidati alle elezioni.
  3. Il Governo non contesta che la seconda ricorrente abbia partecipato in passato a vari referendum in quanto comitato referendario né che questa qualità dia accesso alle tribune politiche in quanto «soggetto politico» ai sensi dell’articolo 2 e) della delibera del 18 dicembre 2002 (paragrafo 29 supra), ma ritiene che tale disposizione riguardi soltanto il caso in cui sia in corso una campagna referendaria.
  4. Più in generale, il Governo rammenta che la RAI apre dei programmi dell’accesso a tutti i movimenti politici, gruppi religiosi, sindacati, cooperative, ONG, gruppi linguistici e altre organizzazioni, e afferma che la seconda ricorrente avrebbe potuto partecipare a questo tipo di trasmissioni.
  5. Alla luce di queste considerazioni, il Governo invita la Corte a concludere che la seconda ricorrente non ha la qualità di vittima.
  6. Le ricorrenti, da parte loro, sostengono che la nozione di «soggetto politico» ai sensi della legislazione interna è ampia e non si limita ai soli partiti politici o gruppi aventi dei membri eletti al Parlamento nazionale o europeo. Esse ritengono che questa interpretazione sia confermata dalla scelta che ha fatto il legislatore di prevedere due categorie distinte di soggetti che possono accedere alle «tribune politiche», ossia i «gruppi rappresentati» nel Parlamento nazionale e, inoltre, i «soggetti politici», nozione più ampia e comprensiva. Esse aggiungono che il legislatore, quando ha voluto adottare una nozione più stretta di «soggetto politico», l’ha espressamente indicato, ad esempio nelle disposizioni applicabili in periodo elettorale.
  7. Invocando infine la delibera sull’organizzazione delle tribune politiche adottata dalla commissione di vigilanza nel 2002 (paragrafo 29 supra), le ricorrenti sostengono che, avendo militato in favore di un referendum nel 2005, la seconda ricorrente deve essere considerata un «soggetto politico» a tutti gli effetti a causa del suo status di «comitato referendario».
  1. Valutazione della Corte
  1. La Corte interpreta la nozione di vittima in maniera autonoma, indipendentemente dalle nozioni interne come quelle di interesse o di qualità per agire, anche se deve tenere conto del fatto che il ricorrente è stato parte nel procedimento interno (Aksu c. Turchia [GC], nn. 4149/04 e 41029/04, § 52, CEDU 2012, con la giurisprudenza ivi citata).
  2. Nella fattispecie, essa osserva anzitutto che, dalla semplice lettura della disposizione interna invocata, sembra emergere, come sostiene del resto il Governo, che lo status di «soggetto politico», che permette di beneficiare dell'accesso alle tribune politiche, deve essere riconosciuto a un comitato referendario in periodo di referendum a partire dal momento in cui le questioni referendarie sono state definitivamente convalidate dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione (paragrafo 29 supra). Infatti, tale disposizione sembra proteggere non la qualità di comitato referendario di per sé, passata o presente, ma piuttosto il fatto di essere titolare di un interesse attuale volto a far conoscere al pubblico il contenuto e lo scopo di un referendum, e a promuovere in tal modo un dibattito da parte dei cittadini sulle questioni referendarie. Questo implica che né prima dell'apertura della campagna referendaria, né dopo la consultazione, il comitato referendario può essere considerato un «soggetto politico» ai sensi di tale disposizione.
  3. Inoltre, le ricorrenti affermano che la seconda ricorrente è un «soggetto politico» a tutti gli effetti.
  4. La Corte osserva a questo proposito che si può facilmente constatare che, nella sua sentenza del 2011, citata dal Governo e fornita dalle ricorrenti, il TAR del Lazio ha stabilito che la seconda ricorrente non disponeva di eletti e ha dichiarato che essa non era dunque un soggetto politico ai sensi del decreto legislativo n. 177 del 2005 (paragrafo 35 supra).
  5. Essa constata, inoltre, che il sistema radiotelevisivo italiano mira a permettere a una categoria specifica di forze politiche, titolare di interessi politici accertati, di accedere alle trasmissioni di comunicazione politica in condizioni di parità, allo scopo di contribuire liberamente al dibattito politico. In particolare, queste trasmissioni permettono alle forze politiche parlamentari di diffondere le loro opinioni e le loro idee per il tramite dei media radiotelevisivi. Per gli altri gruppi di interesse, comprese le associazioni e i movimenti politici come la seconda ricorrente, sono previste altre trasmissioni radiotelevisive di partecipazione alla vita culturale e politica: i programmi dell'accesso (paragrafo 42 supra) e, in un senso più ampio, le trasmissioni di informazione (si veda, mutatis mutandis, Kalfagiannis e Pospert c. Grecia, (dec.), n. 74435/14, §§ 50-51, 9 giugno 2020).
  6. La Corte rammenta che un ricorrente può sostenere di essere «vittima», ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione, soltanto se è o è stato direttamente interessato dall'azione o dall'omissione in questione, ossia se ne subisce o rischia di subirne direttamente gli effetti (Monnat c. Svizzera, n. 73604/01, § 31, CEDU 2006‑X). Perciò, la Convenzione non prevede la possibilità di avviare una actio popularis ai fini dell'interpretazione dei diritti in essa riconosciuti; la Convenzione non autorizza nemmeno i cittadini a contestare una disposizione di diritto interno semplicemente perché ritengono, senza averne direttamente subìto gli effetti, che essa violi la Convenzione (Aksu, sopra citata, § 50, e Burden c. Regno Unito [GC], n. 13378/05, § 33, CEDU 2008).
  7. Nella fattispecie, la seconda ricorrente non ha dimostrato di essere stata direttamente colpita dalla mancata organizzazione, da parte delle autorità nazionali, della diffusione delle «tribune politiche». Perciò, la sua doglianza riguarda in abstracto delle omissioni da parte delle autorità nazionali che essa ritiene contrarie alla Convenzione.
  8. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la Corte conclude che la seconda ricorrente non può sostenere di essere vittima, ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione, della situazione da essa lamentata e che, pertanto, il suo ricorso è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione, e deve essere respinto, in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 a) e 4 di quest’ultima.
  1. Sull'esaurimento delle vie di ricorso interne
  1. Argomentazioni delle parti
  1. Il Governo sostiene che la commissione di vigilanza ha delegato alla RAI un certo numero di missioni inerenti alla gestione diretta delle tribune politiche (paragrafo 30 supra), tra cui quella di programmare autonomamente delle trasmissioni di comunicazione politica. Il Governo considera che, in queste circostanze, la prima ricorrente, se riteneva che il servizio pubblico avesse omesso di organizzare delle «tribune politiche», avrebbe potuto adire l’AGCOM e poi, se del caso, il giudice amministrativo.
  2. Ritenendo pertanto che la prima ricorrente non abbia debitamente esperito tutti i ricorsi disponibili, il Governo invita la Corte a concludere che il ricorso è irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
  3. La prima ricorrente, da parte sua, contesta anzitutto l'affermazione del governo convenuto secondo la quale la commissione di vigilanza ha delegato alla RAI dei compiti inerenti alla gestione diretta delle tribune politiche, e precisa che spetta esclusivamente alla commissione di vigilanza decidere lo svolgimento delle «tribune politiche» e pianificarle, e che alla RAI sono stati delegati soltanto dei compiti di mera esecuzione.
  4. Quest'ultima, pertanto, non avrebbe il potere di decidere in maniera autonoma la programmazione delle «tribune politiche». La prassi consolidata in materia confermerebbe del resto questa tesi: la RAI non avrebbe mai preso la decisione di organizzare autonomamente questo tipo di trasmissione, in quanto non disponeva di questo potere, essenzialmente politico, che resta una prerogativa della commissione di vigilanza.
  5. La prima ricorrente, inoltre, afferma che le Sezioni unite della Corte di Cassazione e il Tar del Lazio (paragrafo 33 supra) hanno affermato che gli atti della commissione di vigilanza erano di natura politica, e non erano soggetti a un controllo giurisdizionale.
  6. Essa deduce perciò che non poteva adire né l'AGCOM né, eventualmente, il giudice amministrativo per lamentare che la RAI avesse omesso di trasmettere di propria iniziativa delle «tribune politiche» – trasmissione che, in ogni caso, l’emittente televisiva pubblica non avrebbe avuto il potere di decidere autonomamente.
  7. Ad abundantiam, la prima ricorrente fa notare che il governo convenuto non ha prodotto alcun precedente giurisprudenziale che confermi la sua tesi, e invita la Corte a respingere l'eccezione sollevata dal Governo.
  1. Valutazione della Corte
  1. I principi generali applicabili in materia di esaurimento delle vie di ricorso interne sono riassunti, tra l'altro, nella sentenza Vučković e altri c. Serbia ([GC] (eccezione preliminare), nn. 17153/11 e altri 29, §§ 69-77, 25 marzo 2014). La Corte rammenta, in particolare, che la finalità dell'articolo 35 della Convenzione è garantire agli Stati contraenti l'occasione di prevenire le violazioni dedotte contro di essi o di porvi rimedio prima che tali accuse le vengano sottoposte. Gli Stati non devono rispondere dei loro atti dinanzi a un organismo internazionale prima di avere avuto la possibilità di porre rimedio alla situazione nel loro ordinamento giuridico interno. Pertanto, la doglianza che si intende presentare alla Corte deve essere stata prima sollevata, nelle forme ed entro i termini previsti dal diritto interno, dinanzi alle giurisdizioni nazionali appropriate (Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, §§ 68‑69, 17 settembre 2009). Infine, spetta al Governo che eccepisce il mancato esaurimento convincere la Corte che il ricorso era effettivo e disponibile sia in teoria che in pratica all'epoca dei fatti, ossia che era accessibile, poteva offrire al ricorrente la riparazione delle sue doglianze, e presentava delle prospettive ragionevoli di successo (Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 46, CEDH 2006‑II).
  2. Nella fattispecie, nella misura in cui la prima ricorrente lamenta la soppressione delle «tribune politiche», imputabile, a suo parere, a un’inerzia della commissione di vigilanza, la Corte osserva che, secondo le disposizioni interne applicabili e la prassi che le parti hanno portato a sua conoscenza, la RAI può organizzare tali trasmissioni solo dopo aver ricevuto dalla commissione di vigilanza le istruzioni necessarie.
  3. Essa osserva, inoltre, che le giurisdizioni interne hanno considerato che, in quanto organo parlamentare bicamerale, la commissione di vigilanza esprimeva la volontà del Parlamento italiano, e che, pertanto, i suoi atti erano di natura politica (paragrafo 33 supra).
  4. Essa rileva, infine, che il Governo non ha prodotto alcun esempio di giurisprudenza interna a sostegno della sua tesi.
  5. Pertanto, alla luce di questi elementi, la Corte respinge l'eccezione sollevata dal Governo su questo punto.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 10 DELLA CONVENZIONE
  1. La prima ricorrente lamenta la soppressione delle «tribune politiche», che a suo parere è una conseguenza dell'inerzia della commissione di vigilanza. Essa si ritiene vittima di una violazione del diritto alla libertà di comunicare opinioni e idee, e invoca l'articolo 10 della Convenzione, così formulato:

«1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.

2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.»

  1. Sulla ricevibilità
  1. Constatando che questa doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell'articolo 35 della Convenzione, e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte la dichiara ricevibile.
  1. Sul merito
  1. La Corte rammenta di avere già esaminato in precedenza delle cause relative a un divieto di accesso alle trasmissioni televisive riguardante un partito politico (VgT Verein gegen Tierfabriken c. Svizzera, n. 24699/94, CEDU 2001-VI e TV Vest AS e Rogaland Pensjonistparti c. Norvegia, n. 21132/05, CEDU 2008 (estratti)) o a un divieto di diffusione di annunci pubblicitari di natura politica (Animal Defenders International c. Regno Unito [GC], n. 48876/08, § 78, CEDU 2013 (estratti)). Essa osserva che l'ingerenza lamentata dalla prima ricorrente non riguarda un divieto di accesso alle trasmissioni televisive, ma deriverebbe piuttosto dall'inerzia della commissione di vigilanza che ha comportato la soppressione di una trasmissione diffusa dal servizio radiotelevisivo pubblico. Perciò, anche a voler supporre che vi sia stata un'ingerenza nel caso di specie, la Corte rileva che tale ingerenza era «prevista dalla legge», in quanto le disposizioni interne subordinano l'organizzazione delle tribune politiche a una decisione della commissione di vigilanza, come del resto ha rammentato la Corte di cassazione nella sua sentenza emessa a sezioni unite (paragrafo 33 supra): la legge affida a un organo di natura politica la missione di valutare la necessità di programmare tali trasmissioni. Sulla questione dello scopo legittimo, la Corte ammette che, secondo i principi fissati dalla Corte costituzionale (paragrafo 32 supra) e ripresi dal legislatore, l'attribuzione del potere di controllo alla commissione di vigilanza era volta a garantire, grazie all'intervento di un organo parlamentare, l'imparzialità e il pluralismo dell'informazione, e dunque a proteggere il processo democratico. Tale devoluzione dei ruoli perseguiva, pertanto, lo scopo legittimo che consiste nel proteggere i «diritti altrui», ai sensi del secondo paragrafo dell'articolo 10 (si veda, mutatis mutandis, Animal Defenders International, sopra citata, § 78).
  2. La questione fondamentale in gioco nella presente causa è dunque se l'ingerenza controversa fosse proporzionata allo scopo legittimo perseguito, e se i motivi invocati dal Governo per giustificarla sembrino pertinenti e sufficienti (si veda, mutatis mutandis, Magosso e Brindani c. Italia, n. 59347/11, § 45, 16 gennaio 2020).
  1. Tesi delle parti
  1. La prima ricorrente afferma che la soppressione delle «tribune politiche» le ha impedito di esprimere le proprie opinioni e di diffondere informazioni su argomenti di interesse pubblico.
  2. Essa afferma che la scelta di cessare di trasmettere le «tribune politiche» era motivata dalla volontà delle autorità responsabili di privilegiare altre trasmissioni, in particolare le trasmissioni di informazione politica, che favoriscono le forze politiche più popolari.
  3. Per quanto riguarda le trasmissioni che il Governo ritiene possano avere un effetto compensativo, ossia la trasmissione in diretta delle sedute del Parlamento e i programmi dell’accesso, la prima ricorrente afferma che questi non sono in alcun modo equiparabili alle «tribune politiche». La ricorrente indica che la trasmissione dei lavori parlamentari consiste nel mandare in onda puramente e semplicemente le sedute e i dibattiti parlamentari, senza mettere in discussione i diversi argomenti e i punti di vista espressi, che sarebbero difficilmente comprensibili per il pubblico. Essa afferma che nemmeno i programmi dell'accesso sono equiparabili ai dibattiti che avevano luogo nel corso delle «tribune politiche»: si tratterebbe di semplici monologhi molto brevi e trasmessi in orari assolutamente secondari e con scarsa audience.
  4. La prima ricorrente aggiunge che la RAI non organizza mai di propria iniziativa delle trasmissioni di comunicazione politica. Al contrario, manda in onda delle trasmissioni di informazione politica che assumono in genere la forma di talk show, soggetti alle scelte operate dal direttore della rete, dalla redazione e dal conduttore della trasmissione. Ora, essa ritiene che tali trasmissioni, anche se devono in linea di massima rispettare il principio del pluralismo, finiscano in pratica per presentare sistematicamente due schieramenti opposti, ripetendo all’infinito uno schema rigido che esclude i movimenti politici considerati minoritari. Peggio ancora, aggiunge la prima ricorrente, non soltanto i talk show sono lungi dal rappresentare in maniera soddisfacente la pluralità delle opinioni politiche, ma contribuiscono anche ad accentuare la tendenza alla polarizzazione del dibattito politico. In altri termini, a suo parere, qualsiasi opinione politica situata al di fuori dei blocchi politici dominanti è tagliata fuori.
  5. Infine, la prima ricorrente si basa sulle sentenze emesse dalla Corte nelle cause Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia ([GC], n. 38433/09, CEDU 2012) e Manole (sopra citata) per sostenere che le tribune politiche sono necessarie in quanto permettono di garantire l'accesso del pubblico, per il tramite della televisione e della radio, a informazioni imparziali ed esatte, nonché a una pluralità di opinioni e di commenti che rispecchiano in particolare la diversità delle opinioni politiche nel paese. In conclusione, essa afferma che la soppressione delle «tribune politiche» costituisce un'ingerenza sproporzionata nel suo diritto alla libertà di espressione, sancito dall'articolo 10 della Convenzione.
  6. Il Governo non contesta che, a partire dal 2008, la commissione di vigilanza non ha più adottato istruzioni relative alle «tribune politiche», ma ritiene che la soppressione di tali trasmissioni non abbia comportato una violazione del diritto, per la prima ricorrente, di manifestare le sue opinioni politiche, in quanto le «tribune politiche» sono state sostituite da altre trasmissioni che riguardano tematiche politiche. Il Governo indica che queste nuove trasmissioni, che assumerebbero soprattutto la forma di talk show, hanno conosciuto uno sviluppo considerevole.
  7. Il Governo spiega, basandosi su cifre di audience stabilite dalla RAI, che il pubblico ha progressivamente perso ogni interesse per le «tribune politiche», concepite all'inizio degli anni 1970, e che tale disinteresse è stato uno dei fattori che ha portato ad abbandonare tali trasmissioni a partire dal 2008.
  8. Sottolinea inoltre che, allo scopo di garantire un'informazione politica completa, la RAI propone, oltre a dei talk show e ad altre trasmissioni di informazione politica, ulteriori possibilità di diffusione del discorso politico in televisione e alla radio. A tal fine, la RAI avrebbe intensificato la trasmissione in diretta delle sedute del Parlamento, e messo a disposizione – soprattutto dei partiti politici – dei programmi dell’accesso. Inoltre, lo Stato contribuirebbe al finanziamento della stazione radio gestita dalla prima ricorrente, e tale radio offrirebbe un servizio di informazione di interesse generale trasmettendo tutte le sessioni del Parlamento, dei congressi dei partiti politici e delle conferenze di interesse generale.
  9. In conclusione, il Governo afferma che il sistema italiano garantisce in maniera effettiva l'accesso del pubblico a informazioni imparziali e oggettive per il tramite della televisione e della radio, e assicura il pluralismo dell'informazione permettendo a tutte le opinioni politiche di esprimersi. Il Governo ritiene che il diritto della prima ricorrente alla libertà di espressione non sia stato violato.
  1. Valutazione della Corte
  1. Principi generali
  1. La Corte rammenta anzitutto i principi generali derivanti dalla sua giurisprudenza in materia di necessità di un’ingerenza nell’esercizio della libertà di espressione e di pluralismo nei media audiovisivi (Animal Defenders International, sopra citata, §§ 100 e 101) e, in particolare, il principio secondo il quale non vi è democrazia senza pluralismo (Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano, sopra citata, § 129, CEDU 2012, e Manole, sopra citata, § 95). La democrazia rappresenta senza alcun dubbio un elemento fondamentale dell’«ordine pubblico europeo» (Partito comunista unificato di Turchia e altri c. Turchia, 30 gennaio 1998, § 45, Recueil des arrêts et décisions 1998‑I).
  2. La libertà della stampa fornisce all’opinione pubblica uno dei mezzi migliori per conoscere e giudicare le idee e i comportamenti dei dirigenti. Più in generale, il libero gioco del dibattito politico è al centro della nozione di società democratica sulla quale è interamente basata la Convenzione (Lingens c. Austria, 8 luglio 1986, § 42, serie A n. 103).
  3. I media audiovisivi hanno un ruolo particolarmente importante da svolgere a tale riguardo. A causa del loro potere di far passare dei messaggi attraverso il suono e l’immagine, hanno effetti più immediati e più potenti della stampa scritta (Jersild c. Danimarca, 23 settembre 1994, § 31, serie A 298, Pedersen e Baadsgaard c. Danimarca [GC], n. 49017/99, § 79, CEDU 2004-XI, e Murphy c. Irlanda, n. 44179/98, § 74, CEDU 2003-IX).
  4. Una situazione nella quale una frazione economica o politica della società può ottenere una posizione di dominio sui media audiovisivi ed esercitare in tal modo una pressione sulle emittenti per limitare, in definitiva, la loro libertà editoriale, pregiudica il ruolo fondamentale che svolge in una società democratica la libertà di espressione sancita dall’articolo 10 della Convenzione, in particolare quando si tratta di comunicare informazioni e idee di interesse generale, che il pubblico, per di più, ha il diritto di ricevere (VgT Verein gegen Tierfabriken c. Svizzera, sopra citata, §§ 73 e 75; si veda anche De Geillustreerde Pers N.V. c. Paesi Bassi, n. 5178/71, rapporto della Commissione del 6 luglio 1976, Décisions et rapports (DR) 8, p. 25, § 86).
  5. La Corte considera che, nell’ambito della trasmissione radiotelevisiva, questi principi impongono allo Stato, ultimo garante del pluralismo (Manole, sopra citata, 99, Informationsverein Lentia e altri c. Austria, 24 novembre 1993, § 38, serie A n. 276, VgT Verein gegen Tierfabriken, sopra citata, §§ 44-47), l’obbligo di garantire, da una parte, l’accesso del pubblico, per il tramite della televisione e della radio, a informazioni imparziali ed esatte, nonché a una pluralità di opinioni e di commenti che rispecchiano, in particolare, la diversità delle opinioni politiche nel paese, e, dall’altra, la protezione dei giornalisti e degli altri professionisti dei media radiotelevisivi dagli ostacoli alla comunicazione di tali informazioni e commenti. La scelta dei mezzi attraverso i quali questi scopi devono essere raggiunti deve variare in funzione delle condizioni locali e rientra dunque nel margine di apprezzamento dello Stato. Così, ad esempio, anche se la Corte e, prima di essa, la Commissione hanno riconosciuto che un servizio pubblico di radiodiffusione può contribuire alla qualità e all’equilibrio dei programmi (Informationsverein Lentia e altri, sopra citata, § 33, Tele 1 Privatfernsehgesellschaft mbH c. Austria, n. 32240/96, 21 settembre 2000, e X. SA c. Paesi Bassi, n. 21472/93, decisione della Commissione dell’11 gennaio 1994, DR 76-B, p. 129), l’articolo 10 non obbliga in alcun modo gli Stati a creare un tale servizio quando sono messi in atto altri mezzi allo stesso scopo.
  6. Tuttavia, quando lo Stato decide di istituire un sistema radiotelevisivo pubblico, dai principi sopra esposti deriva che il diritto e la prassi interni devono garantire che tale sistema assicuri un servizio pluralistico. In particolare, quando le stazioni private sono ancora troppo deboli per proporre una vera alternativa e l'ente pubblico o statale è quindi l'unica emittente o l'emittente dominante in un paese o in una regione, è indispensabile per il buon funzionamento della democrazia che esso diffonda informazioni e commenti imparziali, indipendenti e neutrali, e che fornisca, inoltre, un forum di discussione pubblica all’interno del quale possa esprimersi una gamma quanto più ampia possibile di opinioni e punti di vista (Manole, sopra citata, § 101).
  7. Per quanto riguarda il dibattito politico, la Corte ha affermato che la libertà di espressione è una delle condizioni che assicurano la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo (Bowman c. Regno Unito, 19 febbraio 1998, § 42, Recueil 1998‑I).
  1. Applicazione di questi principi nel caso di specie
  1. In periodo non elettorale, il regime giuridico italiano che inquadra la diffusione delle opinioni politiche alla televisione distingue le trasmissioni di «comunicazione politica», tra cui le «tribune politiche», dalle trasmissioni di informazione, tra cui i programmi di approfondimento politico (paragrafo 25 supra). Le prime sono concepite come un mezzo per diffondere il messaggio dei partiti politici, le seconde inseriscono tale messaggio in un contesto dinamico legato all'attualità. Entrambe hanno lo scopo di contribuire al dibattito politico nazionale, garantendo la diffusione delle opinioni e delle idee e il pluralismo dell'informazione.
  2. L'organizzazione delle «tribune politiche» sulle reti pubbliche necessitava di un atto di impulso proveniente da un organo parlamentare, la commissione di vigilanza, mentre l'iniziativa delle trasmissioni di informazione rientra nell'autonomia editoriale di ciascuna rete e di ciascuna redazione. Queste ultime devono in ogni caso rispettare i principi generali di imparzialità e di pluralismo dell'informazione.
  3. La prima ricorrente, «soggetto politico» ai sensi del diritto interno, lamenta di non poter avere accesso alle «tribune politiche», a causa, a suo parere, di un’inerzia della commissione di vigilanza. Essa solleva pertanto la questione generale dell'accesso delle forze politiche ai media radiotelevisivi.
  4. La Corte rammenta, anzitutto, che il rischio che minaccia il pluralismo dei dibattiti pubblici, le elezioni e il processo democratico non è limitato al periodo elettorale, in quanto il processo democratico è continuo e deve essere costantemente alimentato da un dibattito pubblico libero e pluralistico (Animal Defenders International, sopra citata, § 111, e la giurisprudenza ivi citata). Essa ha anche indicato che l'obbligo positivo per lo Stato di intervenire per garantire un pluralismo effettivo nel settore audiovisivo non era limitato a determinati periodi particolari (Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano, sopra citata, § 134).
  5. La Corte riconosce che le trasmissioni radiotelevisive svolgono un ruolo fondamentale nel dibattito politico, in quanto permettono la circolazione su una più vasta scala delle idee e delle opinioni su argomenti di interesse generale. Tali trasmissioni alimentano il dibattito politico a beneficio del grande pubblico, contribuendo a fissare le priorità politiche e a formare l'opinione del pubblico ai fini della sua partecipazione effettiva alla vita sociale e politica del paese (paragrafo 36 supra). La radio e la televisione, e oggi i nuovi media, sono altrettanti forum moderni di dibattito e di discussione, che facilitano la diffusione dell'informazione e delle opinioni di qualsiasi schieramento, e che aiutano il pubblico a reperire le informazioni pertinenti.
  6. Tenuto conto dell'importanza attribuita alla libertà del dibattito politico, la Corte ritiene che ciascuna forza politica possa aspirare a presentare le proprie idee e opinioni nell'ambito del sistema radiotelevisivo pubblico se ciò permette di assicurare il pluralismo (Manole, sopra citata, §§ 100 e 101, Saliyev c. Russia, n. 35016/03, § 53, 21 ottobre 2010, e Murphy, sopra citata, § 61, CEDU 2003‑IX (estratti)). La democrazia si nutre, infatti, della libertà di espressione, ed è nella sua essenza permettere la proposta e la discussione di progetti politici diversi, anche quelli che rimettono in discussione il modo di organizzazione attuale di uno stato, purché non mirino a nuocere alla democrazia stessa (Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano, sopra citata, § 129, Manole, sopra citata, § 95).
  7. La Corte considera che i fatti della presente causa non siano equiparabili a quelli che sono all'origine delle sentenze VgT e TV Vest, che trattavano un divieto assoluto opposto alle associazioni ricorrenti di ricorrere alla pubblicità televisiva, politica o di interesse sociale, per diffondere le loro opinioni e le loro idee (VgT Verein gegen Tierfabriken, sopra citata, § 71, e TV Vest AS e Rogaland Pensjonistparti, sopra citata, §§ 63 e 73, CEDU 2008 (estratti)). Nella fattispecie, la prima ricorrente lamenta di non avere avuto accesso a una precisa trasmissione televisiva, le «tribune politiche». Anche se la prima ricorrente considera tale trasmissione come il mezzo privilegiato di presentazione e di diffusione delle sue opinioni, la Corte ritiene che non si tratti in questo caso di un divieto assoluto di accesso alle trasmissioni televisive di natura politica, imposto a un partito politico, il che potrebbe essere incompatibile con l'articolo 10 della Convenzione.
  8. La presente causa non riguarda nemmeno la questione dell'accesso alle trasmissioni dedicate al dibattito politico durante la fase preelettorale. A tale riguardo, la Corte rammenta la propria giurisprudenza secondo la quale, nell'ambito del discorso politico e delle elezioni, il margine di apprezzamento degli Stati è ristretto, soprattutto durante la fase che precede le elezioni o i referendum, in cui la questione democratica è al suo apice. Le restrizioni della libertà per i partiti politici di esprimere le loro opinioni sono pertanto oggetto di un controllo rigoroso (si vedano, tra altre, Magyar Kétfarkú Kutya Párt c. Ungheria [GC], n. 201/17, § 100, 20 gennaio 2020, e Orlovskaya Iskra c. Russia, n. 42911/08, § 110, 21 febbraio 2017).
  9. Passando ora ad analizzare la soppressione delle «tribune politiche», la Corte constata che quest'ultima è la conseguenza dell'inerzia della commissione di vigilanza, che non ha più fornito alla RAI le istruzioni necessarie per organizzare tali trasmissioni (paragrafo 15 supra). La commissione di vigilanza è un organo politico che esprime la volontà del Parlamento italiano in materia di servizio radiotelevisivo pubblico. La scelta di non organizzare più le tribune politiche è, pertanto, una scelta politica, i cui motivi rientrano nel potere discrezionale del Parlamento. La Corte, da parte sua, è chiamata a verificare se gli effetti della soppressione di queste trasmissioni sulla libertà di espressione della prima ricorrente siano compatibili con la Convenzione (Gorzelik e altri c. Polonia [GC], n. 44158/98, § 67, CEDU 2004‑I, e Orlovskaya Iskra, sopra citata, § 112).
  10. Su questo punto, la Corte osserva anzitutto che il format delle «tribune politiche» è stato concepito all'inizio degli anni 1970, in un contesto sociale completamente diverso da quello attuale. Tali trasmissioni miravano a offrire ai partiti politici uno strumento di discussione e di dibattito esterno al Parlamento e rivolto in maniera privilegiata al grande pubblico. Da allora, l'offerta mediatica si è evoluta in maniera considerevole, non soltanto con i progressi tecnici della televisione e della radio, ma anche con la comparsa di nuovi modi di concepire le trasmissioni nei media. Nelle sue osservazioni, il Governo ha perciò menzionato, da una parte, un disinteresse del pubblico per le tribune politiche e le trasmissioni di comunicazione politica e, dall'altra, un'evoluzione dell'offerta di trasmissioni di informazione che permettono ai partiti politici di veicolare le loro opinioni e le loro idee in maniera diversa (paragrafo 76 supra).
  11. La Corte osserva, inoltre, che la prima ricorrente non è stata l'unico «soggetto politico» ad aver subìto gli effetti della soppressione delle tribune politiche: tutte le forze politiche che vi partecipavano, senza distinzioni, hanno subìto le conseguenze di tale soppressione. La situazione sarebbe stata diversa se il rifiuto di accordare un tempo di trasmissione a un partito o a un gruppo specifico fosse stato accompagnato dalla diffusione delle opinioni delle altre forze politiche, creando una disparità di trattamento che avrebbe potuto sollevare un problema rispetto all'articolo 10 della Convenzione.
  12. La Corte osserva anche che la sostituzione progressiva delle «tribune politiche» con programmi di approfondimento politico permette alla RAI di beneficiare di una maggiore flessibilità e, dunque, di una più ampia libertà editoriale. Perciò, l'inerzia della commissione di vigilanza e l'interruzione di un nuovo ciclo di «tribune politiche» devono essere ricollocate nel contesto di un sistema radiotelevisivo pubblico che offre ormai alla prima ricorrente altre possibilità concrete di diffusione delle sue idee e opinioni (Animal Defenders International, sopra citata, § 124).
  13. Più in generale, la Corte ritiene che l'abbandono delle «tribune politiche» debba essere considerato nell'ambito dell'evoluzione generale del sistema radiotelevisivo pubblico italiano. Tale evoluzione, sebbene sia lungi dall'aver realizzato la transizione della governance del servizio pubblico (paragrafo 38 supra), vede la progressiva riduzione del ruolo diretto del potere politico e riconosce, rispetto al passato, una maggiore autonomia editoriale a ciascuna rete televisiva, nonché alle redazioni responsabili delle trasmissioni di informazione, allo scopo di promuovere l'imparzialità, l'obiettività e il pluralismo dell'informazione. A tale riguardo, la Corte rinvia alla Risoluzione n. 1 sul futuro del servizio radiotelevisivo pubblico (1994), nella quale gli Stati partecipanti si sono impegnati a «garantire l'indipendenza delle emittenti radiotelevisive pubbliche da qualsiasi interferenza politica ed economica», e all'Allegato alla Raccomandazione n. R (96) 10 riguardante la garanzia dell'indipendenza del servizio radiotelevisivo pubblico (1996), nella quale il Comitato dei Ministri ha adottato un certo numero di linee guida volte ad assicurare l'indipendenza delle emittenti radiotelevisive pubbliche (paragrafo 36 supra) e ha ritenuto che «il quadro giuridico che regola gli organismi radiotelevisivi del servizio pubblico dovrebbe chiaramente affermare la loro indipendenza editoriale e la loro autonomia istituzionale», in particolare in diversi ambiti di attività essenziali, tra cui l'edizione e la presentazione dei programmi di informazione e di attualità (Manole e altri c. Moldavia, n. 13936/02, § 102, CEDU 2009 (estratti).
  14. Alla luce di queste considerazioni, la Corte conclude che la soppressione delle «tribune politiche» non ha privato la prima ricorrente della possibilità di diffondere le proprie opinioni e che, in queste circostanze, tale soppressione non può tradursi in un’ingerenza sproporzionata nel diritto dell'interessata alla libertà di espressione.
    Pertanto, non vi è stata violazione dell'articolo 10 della Convenzione.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
  1. La prima ricorrente afferma di non avere disposto di una via di ricorso effettiva per lamentare la violazione, da lei dedotta, del suo diritto alla libertà di espressione. Essa invoca l’articolo 13 della Convenzione, così formulato:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

  1. Sulla ricevibilità
  1. Tenuto conto delle informazioni fornite, la Corte constata che la doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, e pertanto la dichiara ricevibile.
  1. Sul merito
  1. La prima ricorrente afferma che il sistema interno non prevede una via di ricorso effettiva che le avrebbe permesso di lamentare la violazione del suo diritto a causa della soppressione delle «tribune politiche».
  2. Il Governo afferma che la prima ricorrente avrebbe potuto rivolgersi all'AGCOM per lamentare l'inazione della RAI e far valere i propri diritti sanciti dall'articolo 10.
  3. La Corte rammenta le sue conclusioni relative all'eccezione di mancato esaurimento sollevata dal Governo sotto il profilo dell'articolo 10 (paragrafi 65 e seguenti supra) e, nella fattispecie, ritiene che, di fronte alla soppressione delle «tribune politiche», la prima ricorrente non abbia disposto di un ricorso che le permettesse di lamentare tale situazione e la dedotta violazione del suo diritto alla libertà di espressione dinanzi alle autorità nazionali.
  4. Le considerazioni sopra esposte sono sufficienti per permettere alla Corte di concludere che la prima ricorrente non ha disposto di un ricorso interno effettivo.
  5. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 13 della Convenzione.
  1. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

 

  1. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione:

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

  1. Danno
  1. La prima ricorrente chiede un indennizzo per danno morale, e si affida al giudizio della Corte per determinarne l’importo.
  2. Il Governo non si è espresso sulla domanda presentata dalla prima ricorrente per quanto riguarda il danno morale.
  3. La Corte ritiene che la prima ricorrente abbia subìto un pregiudizio morale a causa della violazione dell'articolo 13 della Convenzione, e che la semplice constatazione di una violazione sia sufficiente per compensarlo.
  1. Spese
  1. La prima ricorrente chiede la somma di 127,20 euro (EUR) per le spese che afferma di avere sostenuto ai fini del procedimento condotto dinanzi alla Corte. Per quanto riguarda il rimborso delle parcelle del suo rappresentante, essa si affida al giudizio della Corte.
  2. Il Governo non si è espresso sulla domanda presentata dalla prima ricorrente per quanto riguarda le spese.
  3. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute soltanto nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene ragionevole accordare alla prima ricorrente la somma di 127 EUR per il procedimento condotto dinanzi ad essa, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta.
  1. Interessi moratori
  1. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda la prima ricorrente;
  2. Dichiara il ricorso irricevibile per quanto riguarda la seconda ricorrente;
  3. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione nei confronti della prima ricorrente;
  4. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione nei confronti della prima ricorrente;
  5. Dichiara che la constatazione di una violazione costituisce di per sé un’equa soddisfazione sufficiente per il danno morale subìto dalla prima ricorrente;
  6. Dichiara,
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla prima ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 127 EUR (centoventisette euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma dalla prima ricorrente, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  7. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 31 agosto 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Renata Degener
Cancelliere

Ksenija Turković
Presidente