Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 28 ottobre 2021 - Ricorso n. 55064/11 e altri 2 - Succi e altri contro Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE
CAUSA SUCCI E ALTRI c. ITALIA

(Ricorso nn. 55064/11 e altri 2 – si veda elenco allegato)

SENTENZA

Art 6 § 1 (civile) - Accesso a un tribunale - Formalismo e assenza di eccessivo formalismo della Corte di cassazione che ha dichiarato inammissibili i ricorsi dei ricorrenti rispetto ai criteri di redazione dei ricorsi per cassazione
 

STRASBURGO

28 ottobre 2021

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Succi e altri c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:

  • Ksenija Turković,  presidente,
  • Péter Paczolay,
  • Alena Poláčková,
  • Gilberto Felici,
  • Erik Wennerström,
  • Raffaele Sabato,
  • Lorraine Schembri Orland,  giudici,
  • e da Renata Degener, cancelliere di sezione,

Visti:

i ricorsi (nn. 55064/11, 37781/13 e 26049/14) presentati contro la Repubblica italiana da otto cittadini di questo Stato («i ricorrenti») (si veda l’elenco allegato) che, nelle date indicate nella tabella allegata, hanno adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),

la decisione di informare il governo italiano («il Governo») della doglianza relativa all'articolo 6 § 1 della Convenzione,

le osservazioni delle parti,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 5 ottobre 2021,

Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. I ricorsi vertono sull'inammissibilità dei ricorsi per cassazione, che i ricorrenti ritengono viziata da eccessivo formalismo. I ricorrenti invocano l'articolo 6 § 1 della Convenzione (diritto a un tribunale).

IN FATTO

  1. Le date di nascita e i luoghi di residenza dei ricorrenti, nonché i nomi dei loro rappresentanti sono riportati in allegato.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex co-agente, M.G. Civinini, e dal suo agente, L. D'Ascia.
  3. Per quanto riguarda il ricorso n. 26049/14, uno dei ricorrenti, il signor F. Di Dario, è deceduto dopo la presentazione del ricorso dinanzi alla Corte. I suoi eredi, gli altri ricorrenti dello stesso ricorso, hanno informato la Corte della loro intenzione di proseguire il procedimento. Il Governo ha accettato il locus standi degli eredi nel procedimento.
  1. RICORSO n.55064/11
  1. Il ricorrente gestiva un'impresa commerciale con sede a Catania. Il 19 novembre 2003 la proprietaria dei locali commerciali che egli aveva preso in affitto gli notificò un avviso di sfratto. Il 12 marzo 2008 il tribunale di Catania dichiarò la risoluzione del contratto d'affitto e ordinò di rilasciare i locali. Il 12 ottobre 2009 la corte d'appello di Catania confermò la sentenza.
  2. Il 2 marzo 2010 il ricorrente presentò un ricorso per cassazione (RG n. 6688/2010), la cui esposizione dei fatti conteneva una sintesi dell'oggetto della controversia e dello svolgimento del procedimento. I motivi di ricorso e la motivazione della sentenza impugnata erano trascritti; gli atti processuali e i documenti citati erano parzialmente riportati o riassunti e recavano la numerazione del fascicolo di parte di primo grado.

    La seconda parte del ricorso (pagine 33-51) verteva sui motivi di ricorso sollevati avverso la sentenza. Ogni motivo indicava l’ipotesi invocata, conformemente all'articolo 360 del codice di procedura civile (il «CPC»):

«I - Violazione o falsa applicazione degli articoli 2 della Costituzione, 1175 e 1375 del codice civile, 1455 del codice civile e del principio generale di buona fede e del divieto di abuso del diritto (art. 360, comma 1, n. 3 del CPC) - Motivazione contraddittoria su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5 del CPC). (...)

II - Motivazione contraddittoria su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5 del CPC) (...)

III - Violazione o falsa applicazione dell'articolo 34 della legge n. 392 del 1978 (art. 360, comma 1, n. 3 CPC) - Motivazione contraddittoria su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5 del CPC). (…)

IV - Nullità della sentenza o del procedimento (art. 360, comma 1, n. 4, del CPC), ai sensi dell'articolo 112 del CPC – Violazione o falsa applicazione degli articoli 88 e 89 del CPC (art. 360, comma 1, n. 3 del CPC). (...)

V - Violazione o falsa applicazione dell'articolo 91 del CPC (art. 360, comma 1, n. 3 del CPC) – Nullità della sentenza o del procedimento (art. 360, comma 1, n. 4 del CPC). (...)»

Per quanto riguarda i documenti trascritti o riassunti nella seconda parte, il ricorrente rinviava alla motivazione della sentenza d’appello o ai documenti del procedimento di merito (note difensive depositate in appello, verbale di un’udienza, memoria della parte convenuta). La sentenza della corte d’appello e i documenti del fascicolo d’appello erano allegati al ricorso per cassazione.

  1. Su proposta del giudice relatore, la Corte di cassazione dichiarò il ricorso inammissibile (ordinanza n. 4977 del 2011). Essa rammentò che:

«il numero 4 dell’art. 366 c.p.c. prescrive, a pena d’inammissibilità, che il ricorso contenga i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norne di diritto su cui si fondano e il successivo n. 6 prescrive, sempre a pena d’inammissibilità, la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti su cui il ricorso si fonda.

Con riferimento al n. 4 dell’art. 366 c.p.c. si ribadisce che il giudizio di cassazione, a differenza del giudizio di appello, è a critica vincolata, cioè limitata alle ipotesi specificamente previste dal precedente art. 360 [del CPC], per cui esso richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che giustificano la cassazione della sentenza.

Con riferimento al n. 6 dell’art. 366 c.p.c. si ribadisce che (…) ad opera del d.lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366, sesto comma c.p.c., oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula (…) in ragione dell’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., anche che esso sia prodotto in sede di legittimità.

In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo о riassumendo nel ricorso il contenuto del documento.

(...)

Il ricorso principale [del ricorrente] non rispetta i principi suesposti, in quanto i cinque motivi in cui è articolato sono privi della rubrica indicativa dei vizi lamentati e dei riferimenti alla documentazione su cui sono basate le argomentazioni a sostegno. (...)»

  1. RICORSO n. 37781/13
  1. A seguito di lavori realizzati dinanzi alla sua abitazione, il ricorrente ottenne dal tribunale di Napoli la nomina di un perito che eseguì un accertamento tecnico preventivo attestante la rottura dei pozzetti e la presenza di una perdita di acqua all’origine di un cedimento delle fondazioni dell’immobile.
  2. Il 20 agosto 2004 il tribunale di Napoli riconobbe la responsabilità del comune di Frattamaggiore e condannò quest’ultimo a risarcire il ricorrente.
  3. Il 2 agosto 2006 la corte d’appello di Napoli riformò questa sentenza, ritenendo che l’eventuale danno non fosse imputabile al comune, ma alla ditta privata aggiudicatrice della gara d’appalto.
  4. Il 16 dicembre 2006 il ricorrente presentò un ricorso per cassazione (RG n. 652/2007). Detto ricorso si apriva con una sintesi del procedimento di primo grado e di quello di appello (pagine 1-4), e proseguiva con l’esposizione dei cinque motivi di cassazione sollevati (pagine 4-11). I primi quattro motivi denunciavano la violazione o falsa applicazione di alcune disposizioni del codice civile, e l'ultimo criticava la motivazione carente o insufficiente della sentenza riguardo a un fatto controverso e decisivo per il processo. Il ricorrente contestava vari passaggi della sentenza d'appello basandosi su documenti del procedimento di merito, alcuni dei quali recavano i riferimenti e alcuni erano, per la maggior parte, sintetizzati nel testo del ricorso. I quattro motivi che criticavano la violazione o la falsa applicazione degli articoli del codice civile terminavano con un «quesito di diritto».
  5. Il 14 febbraio 2013 (sentenza n. 3652 del 2013), la Corte di cassazione dichiarò il ricorso inammissibile, in applicazione degli articoli 366, comma 1, n. 4, 366 bis e 375, comma 1, n. 5 del CPC. Essa ritenne che:

«i quesiti di diritto sono formulati in termini invero difformi dallo schema al riguardo delineato da questa Corte (indicazione dei fatti pertinenti e della valutazione degli stessi da parte dei giudici del merito, indicazione dell’interpretazione alternativa proposta dal ricorrente). Ne consegue che i quesiti di diritto sono astratti e generici, e privi di riferibilità al caso concreto in esame e di decisività. [Essi sono tali] da non consentire in base alla loro sola lettura (sentenze delle Sez. Un., nn. 2658/2008, 3519/2008, 7433/2009, sentenza n. 8463/2009), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (sentenze delle sezioni unite nn. 20360/2007, 11650/2008, 12645/2008), nonché di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto [della questione] (…).

(...)

[Il ricorso] risulta formulato in violazione del requisito richiesto ex articolo 366, 1° comma, n. 6, del CPC atteso che [il ricorrente fa richiamo] ad atti e documenti del giudizio di merito (…) di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso, ovvero, laddove riportati, senza puntualmente ed esaustivamente indicare i dati necessari al reperimento in atti degli stessi (sentenza Sez. Un. n. 22726/2011, sentenze nn. 29279/2008, 15628/2009 e 20535/2009).

A tale stregua il ricorrente non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura dei soli rispettivi ricorsi [di cassazione], non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento sulla base delle sole deduzioni contenute nei medesimi, alle cui lacune non è possibile sopperire, [non avendo la Corte di legittimità] accesso agli atti del giudizio di merito.

Non sono infatti sufficienti affermazioni apodittiche non seguite da alcuna dimostrazione (...).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, [il ricorso non reca] la prescritta «chiara indicazione» - secondo lo schema e nei termini delineati da questa Corte - delle relative «ragioni» [art. 366bis, comma 2, del CPC] inammissibilmente rimettendosene l'individuazione all'attività esegetica della medesima (…).»

  1. RICORSO n. 26049/14
  1. I ricorrenti sono rispettivamente il marito, i figli, i genitori e il fratello della signora D.D., deceduta il 26 giugno 2000 in seguito a un incidente stradale.
  2. Il 23 ottobre 2007 il tribunale di Teramo dichiarò responsabili civili dell'incidente l'autista e il proprietario del veicolo e li condannò a risarcire i ricorrenti. Il 19 ottobre 2010 la corte d'appello di L'Aquila riformò parzialmente la sentenza riducendo l'importo del danno patrimoniale e delle altre somme riconosciute a titolo di risarcimento danni.
  3. Il 21 dicembre 2011 i ricorrenti presentarono ricorso per cassazione.
  4. Il ricorso, lungo ottanta pagine, conteneva un'esposizione dei fatti e quattro motivi di ricorso sollevati avverso la sentenza. In particolare, l’esposizione (pagine 1 - 51) era essenzialmente costituita da una trascrizione dell'atto d'appello, da una sintesi dell'appello incidentale dei ricorrenti e delle loro conclusioni d'appello, da trascrizioni dell'appello di uno dei convenuti e dalla motivazione e dal dispositivo della sentenza della corte d'appello.
  5. Con l’ordinanza n. 21232/2013 del 17 settembre 2013, la Corte di cassazione dichiarò il ricorso inammissibile. La Suprema Corte considerò che il ricorso non rispettava il requisito di cui all'articolo 366, n. 3, del CPC in quanto riprendeva, ricopiandoli quasi integralmente, gli atti del procedimento svoltosi dinanzi ai giudici di merito (sentenza n. 16628 emessa nel 2009 dalle Sezioni Unite). La Suprema Corte rammentò, inoltre, che:

«L’ordinanza n. 19255/2010 ribadisce che l’assolvimento del requisito [previsto dall’articolo 366, n. 3 del CPC] è considerato dal legislatore come un’attività di narrazione del difensore che, in ragione dell'espressa qualificazione della sua modalità espositiva come «sommaria», postula un’esposizione finalizzata a riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio che lo svolgimento del processo.

Il principio è stato confermato con la pronuncia Sez. Un. n. 5698 dell’11 aprile 2012, con cui si è ribadito che (…) la pedissequa riproduzione dell'intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti in quanto equivale ad affidare alla Corte [di cassazione] (…) la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso.

Nella specie l'esposizione sommaria dei fatti di causa è articolata in circa 51 pagine con la tecnica dell'assemblaggio, mediante riproduzione integrale di una serie dl atti processuali, e manca del tutto il momento di sintesi idoneo ad illustrare la ricostruzione del fatto storico e lo svolgimento della vicenda processuale nei punti essenziali.

Anche la illustrazione dei motivi non consente di cogliere i fatti rilevanti in funzione della comprensione dei motivi stessi».

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

  1. LA LEGISLAZIONE INTERNA
    1. Il codice di procedura civile
  1. Ai sensi della legge n. 80 del 14 maggio 2005, il legislatore ha delegato all’esecutivo la riforma del codice di procedura civile («il CPC»), in particolare in materia di cassazione. Tra i principi e i criteri da rispettare, la legge indica che:

«3. Nell’attuazione della [legge] delega (…) il Governo si atterrà ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) (...) l’obbligo che il motivo di ricorso [per cassazione] si chiuda, a pena di inammissibilità dello stesso, con la chiara enunciazione di un «quesito di diritto»; (…) [la Corte di cassazione deve rispondere su ogni motivo con] l’enunciazione di un principio di diritto; (...).»

  1. Di conseguenza, il Governo ha adottato il decreto legislativo n. 40 del 2006, che ha inserito l’articolo 366 bis nel CPC, aggiungendo all’articolo 366 del CPC una disposizione che prevede «la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda», e all’articolo 369 dello stesso codice, l’obbligo di depositare assieme al ricorso gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi che sono in esso citati.
  2. Gli articoli pertinenti del CPC, applicabili all’epoca dei fatti, erano così formulati:

«Articolo 360 – Sentenze impugnabili e motivi di ricorso

Le sentenze pronunziate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione:

  1. per motivi attinenti alla giurisdizione;
  2. per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
  3. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  4. per nullità della sentenza o del procedimento;
  5. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (...)

Articolo 360 bis (Inammissibilità del ricorso)[1]

Il ricorso è inammissibile:

1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;

2) l quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei princìpi regolatori del giusto processo.

(...)

Articolo 366 (Contenuto del ricorso)

Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:

  1. l’indicazione delle parti;
  2. l'indicazione della sentenza o decisione impugnata;
  3. l'esposizione sommaria dei fatti della causa;
  4. i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano (...);

(...)

  1. la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda (...).

Articolo 366 bis – (Formulazione dei motivi) – Nei casi previsti dall'articolo 360, comma 1, numeri 1) - 4), l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto.

Nel caso previsto dall'articolo 360, comma 1, n. 5), l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

(...)

Articolo 369 – Deposito del ricorso in cassazione

Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della Corte, a pena di improcedibilità, nel termine di giorni venti dall'ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto.

Insieme col ricorso debbono essere depositati, sempre a pena di improcedibilità:

(...)

4) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.

Il ricorrente deve chiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione alla cancelleria della Corte di cassazione del fascicolo d'ufficio; tale richiesta è restituita dalla cancelleria al richiedente munita di visto, e deve essere depositata insieme col ricorso.»

  1. Il codice del processo amministrativo
  1. L'articolo 3 del codice di procedura amministrativa (approvato con il decreto legislativo n. 104 del 2 luglio 2010), intitolato «dovere di motivazione e sinteticità degli atti», dispone che il giudice e le parti in causa debbano redigere gli atti processuali in maniera chiara e sintetica.
  2. L’attuazione di questa disposizione è stata successivamente disciplinata con decreti del Presidente del Consiglio di Stato (decreti n. 40 del 2015, n. 167 del 2016 e n. 127 del 2017), che hanno fissato dei criteri di redazione e dei limiti per la lunghezza dei ricorsi amministrativi.
  1. Il protocollo d’intesa tra la Corte di cassazione e il Consiglio nazionale forense del 17 dicembre 2015
  1. Il protocollo d’intesa tra la Corte di cassazione e il Consiglio nazionale forense («il CNF») fissa dei criteri per la redazione del ricorso per cassazione in materia civile e tributaria. Nelle sue parti pertinenti è così formulato:

«La Corte di cassazione (...) e il Consiglio Nazionale Forense (il «CNF») (...) nella convinzione che i tempi siano maturi per una comune presa d’atto:

1) delle difficoltà ingenerate nella gestione dei procedimenti innanzi alla Corte di cassazione: a) dal moltiplicarsi di ricorsi (…), b) dalla riscontrata difficoltà di definire in modo chiaro e stabile il senso e i limiti del c.d. principio di autosufficienza del ricorso affermata dalla giurisprudenza (...);

2) considerato che il sovradimensionamento degli atti (…) possa essere di ostacolo alla effettiva comprensione del loro contenuto (...);

3) considerato altresì che il suddetto sovradimensionamento possa essere, almeno in parte, frutto della ragionevole preoccupazione dei difensori di non incorrere nelle censure di inammissibilità per difetto di autosufficienza (...);

4) ritenuto che una significativa semplificazione possa derivare dall’adozione di un modulo redazionale dei ricorsi (...);

(...)

Il principio di autosufficienza

Il rispetto del principio di autosufficienza non comporta un onere di trascrizione integrale nel ricorso e nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento. Il sunnominato principio deve ritenersi rispettato (...) quando:

  1. ciascun motivo (…) risponda ai criteri di specificità imposti dal codice di procedura [civile];
  2. nel testo di ciascun motivo che lo richieda sia indicato l’atto, il documento, il contratto o l’accordo collettivo su cui si fonda il motivo stesso (art. 366, c. 1, n. 6, del CPC), con la specifica indicazione del luogo (punto) dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo al quale ci si riferisce;
  3. nel testo di ciascun motivo che lo richieda siano indicati il tempo (atto di citazione o ricorso originario, costituzione in giudizio, memorie difensive, ecc.) del deposito dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo e la fase (primo grado, secondo grado, ecc.) in cui esso è avvenuto;
  4. siano allegati al ricorso (in apposito fascicoletto, che va pertanto ad aggiungersi all’allegazione del fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi del giudizio) ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4, del CPC, gli atti, i documenti, il contratto o l’accordo collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso e nel controricorso.»
  1. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza («il PNRR»)
  1. Nel suo Piano nazionale di ripresa e resilienza (il «PNRR») adottato nel 2021, il Governo mira a rendere effettivo il principio di sinteticità degli atti e quello di leale collaborazione tra il giudice e le parti. In particolare, esso prevede di valorizzare, per il procedimento dinanzi alla Corte di cassazione, i principi di autosufficienza e di sinteticità degli atti, di adottare modalità pratiche uniformi di svolgimento del procedimento e, infine, ampliare la procedura in camera di consiglio per semplificare la fase decisoria.
  1. La GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE
  1. Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione
  1. La Corte di cassazione ha menzionato per la prima volta il principio di autosufficienza del ricorso nella sua sentenza n. 5656 del 1986 (si vedano anche le sentenze nn. 4277/1981, 5530/1983 e 2992/1984), affermando che il «controllo di legittimità» deve essere eseguito soltanto sulla base delle argomentazioni contenute nel ricorso e che le lacune di quest’ultimo non possono essere colmate dall’organo giudiziario. La giurisprudenza successiva ha imposto un obbligo di indicare specificamente i fatti e le circostanze menzionate nel ricorso (sentenza n. 9712/2003), stabilendo il principio secondo il quale il giudice di legittimità deve essere in grado di comprendere la portata della censura e di pronunciarsi sulla stessa senza esaminare altre fonti scritte (sentenza n. 6225/2005).
  2. In un primo tempo, la Corte di cassazione ha applicato il principio soltanto ai motivi di ricorso che contestavano un vizio di motivazione della decisione impugnata. Successivamente, ha esteso la sua applicazione ai motivi di ricorso relativi alla errata interpretazione della legge o alla nullità della decisione e del procedimento (si vedano, tra molte altre, le sentenze nn. 8013/1998, 4717/2000, 6502/2001, 3158/2002, 9734/2004, 6225/2005 e 2560/2007).
  3. Per quanto riguarda le modalità di presentazione dei documenti nel ricorso (obbligo di riproduzione), la Corte di cassazione ha affermato che la parte in causa doveva trascriverli integralmente (si vedano, tra molte altre, le sentenze nn. 1865/2000, 17424/2005, 20392/2007 e 21994/2008) o identificarne e illustrarne i passaggi pertinenti ed essenziali (si vedano, tra molte altre, le sentenze 7851/1997, 1988/1998, 10493/2001, 8388/2002, 3158/2003, 24461/2005). In particolare, nella sua sentenza n. 18661 del 2006, la Corte di cassazione ha interpretato tale obbligo come un dovere di «trascrizione integrale» di tutti i documenti nel ricorso ogni volta che la sua sintesi non consenta di presentare alla Corte di cassazione tutti gli elementi necessari per decidere la questione oggetto del motivo di ricorso.
  4. A seguito della riforma del 2006 (paragrafo 19 supra), la Corte di cassazione ha affermato che, ai sensi dell'articolo 366, n. 6 del CPC, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione impone al ricorrente l'obbligo di indicare i documenti pertinenti, riassumendone il contenuto o riproducendone i passaggi essenziali, o anche l’intero documento, ogni qualvolta ciò sia necessario per la comprensione di un motivo di ricorso (si vedano, tra molte altre, le sentenze nn. 19766/2008, 22302/2008, 28547/2008, 18421/2009, 6397/2010 e 20028/2011). Essa ha inoltre affermato che il principio dell'autosufficienza non è rispettato quando la parte in causa riproduce integralmente uno o più documenti lasciando alla Corte di cassazione il compito di selezionare i passaggi pertinenti (si vedano, tra molte altre, le sentenze nn. 4823/2009, 16628/2009 e 1716/2012).
  5. Per quanto riguarda l’articolo 369, comma 2, n.4, del CPC, la Suprema Corte ha affermato che ogni documento citato deve essere accompagnato da un riferimento che permetta di individuare la fase del procedimento in cui è stato prodotto (si vedano, fra molte altre, le sentenze nn. 29729/2008, 15628/2009, 20535/2009, 19069/2011 e la sentenza delle Sezioni Unite n. 22726/2011).
  6. Nella sentenza delle Sezioni Unite n. 5698 del 2012, la Corte di cassazione ha affrontato la questione della riproduzione integrale degli atti (si veda, anche, la sentenza delle Sezioni Unite n. 19255/2010) rammentando che il principio dell’esposizione sommaria dei fatti presupponeva da parte del difensore un’attività di narrazione volta a riassumere (si vedano le ordinanze nn. 19100/2006 et 19237/2003). In particolare, ha affermato che:

«La testuale riproduzione (in tutto o in parte) degli atti e dei documenti è invece richiesta quante volte si assuma che la sentenza è censurabile per non averne tenuto conto e che, se lo avesse fatto, la decisione sarebbe stata diversa.

(…)

La selezione di ciò che integralmente rileva in funzione della pedissequa riproduzione, nonché la esposizione sommaria dei fatti di causa (…) vanno insomma fatte dal difensore del ricorrente. In altri termini, riproducendo il fatto come riportato nella sentenza impugnata, il ricorrente assume il rischio che il suo ricorso sia dichiarato inammissibile. La riproduzione totale o parziale della sentenza impugnata può dunque ritenersi idonea ad integrare il requisito di cui all'articolo 366 n. 3 del CPC, soltanto quando se ne evinca una chiara esposizione dei fatti rilevanti alla comprensione dei motivi di ricorso (si veda anche la sentenza n. 5836/2011).»

  1. In seguito, nella sua sentenza a Sezioni Unite n. 8077 del 2012, la Corte di cassazione ha affermato che:

«(...) il giudice di legittimità (...) è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma2, n. 4 del CPC. (…)»

  1. La giurisprudenza relativa all’articolo 366 bis del codice di procedura civile
  1. In materia di articolo 366 bis del CPC, la Corte rinvia alla giurisprudenza citata nella sentenza Trevisanato c. Italia (n. 32610/07, §§ 21-23, 15 settembre 2016). In particolare, secondo le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di cassazione nn. 14385/2007, 22640/2007 e 3519/2008, e l'ordinanza n. 2658 del 2008, la lettura del quesito di diritto deve consentire al giudice di legittimità di comprendere l'errore di diritto che la parte denuncia e la soluzione prospettata da quest'ultima. Secondo tale giurisprudenza, il quesito di diritto costituisce il punto di congiunzione tra la soluzione del caso di specie e l'enunciazione di un principio di diritto applicabile successivamente a casi analoghi.

IN DIRITTO

  1. OSSERVAZIONI PRELIMINARI
  1. Il Governo sostiene che le procure relative al ricorso n. 26049/14, ad eccezione di quella firmata dal primo ricorrente, sig. S. Di Romano, non sono validamente compilate e firmate e non soddisfano i requisiti di cui all'articolo 47 del regolamento della Corte. Invita la Corte, qualora constatasse che l'irregolarità segnalata sia reale, a prendere dei provvedimenti per regolarizzare le procure.
  2. I ricorrenti sostengono di aver rispettato le istruzioni pratiche fornite dalla Corte e disponibili al momento della presentazione del ricorso. Inoltre, essi sostengono che, nella fase di comunicazione della causa, tutti hanno firmato nuove procure agli avvocati Formisani e Mascia. Chiedono alla Corte di respingere le argomentazioni del Governo.
  3. La Corte ribadisce che l'applicazione dell'articolo 47 del suo regolamento rientra nella sua competenza esclusiva per quanto riguarda la gestione dei procedimenti dinanzi ad essa, poiché gli Stati contraenti non possono ricavarne dei motivi di irricevibilità per eccepirli ai sensi dell'articolo 35 della Convenzione (si vedano, tra altre, Gözüm c. Turchia, n. 4789/10, § 31, 20 gennaio 2015, Aydoğdu c. Turchia, n. 40448/06, § 53, 30 agosto 2016, e Müftüoğlu e altri c. Turchia, nn. 34520/10 e altri 2, § 42, 28 febbraio 2017). Nella fattispecie, la Corte osserva che i ricorrenti, in applicazione dell'articolo 36, secondo paragrafo, del regolamento della Corte, sono tutti validamente rappresentati dagli avvocati E. Formisani e A. Mascia.
  4. Di conseguenza, la Corte ritiene che le procure dei ricorrenti del ricorso n. 26049/14 siano debitamente compilate e firmate.
  1. RIUNIONE DEI RICORSI
  1. Tenuto conto della similitudine del contenuto dei ricorsi, la Corte ritiene opportuno esaminarli congiuntamente in un’unica sentenza.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
  1. I ricorrenti lamentano il rigetto dei loro ricorsi da parte della Corte di cassazione, dovuto, a loro parere, ad un’applicazione eccessivamente formalistica dei criteri di redazione dei ricorsi per cassazione. Essi invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:

«1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (...).»

  1. Sulla ricevibilità
  1. 39. Constatando che i ricorsi non sono manifestamente infondati né irricevibili per uno degli altri motivi di cui all’articolo 35 della Convenzione, la Corte li dichiara ricevibili.
  1. Sul merito
  1. I ricorrenti
  1. Ricorso n. 55064/11
  1. Il ricorrente afferma che l'interpretazione eccessivamente formalistica adottata dalla Corte di cassazione ha impedito l'esame del suo ricorso. In particolare, sostiene che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, come applicato all'epoca dei fatti, non era sufficientemente prevedibile, chiaro e coerente.
  2. Egli sostiene che il Governo ha ammesso nelle sue osservazioni l'origine giurisprudenziale di tale principio (paragrafo 69 infra). A suo parere, la Corte di cassazione ha dovuto chiarire l'applicazione di tale principio con alcune sentenze delle Sezioni Unite, in particolare la sentenza n. 8077/2012 (paragrafo 31 supra). Questa stessa esigenza di chiarimento sarebbe all'origine del protocollo del 2015 (paragrafo 23 supra), la cui firma da parte del CNF avrebbe cercato di arginare l'approccio eccessivamente formalistico della Corte di cassazione. In ogni caso, l'evoluzione qui descritta sarebbe successiva al rigetto del ricorso intervenuto nel 2011.
  3. Il ricorrente ritiene che il rigetto del suo ricorso sia sproporzionato (paragrafo 7 supra). Egli afferma che il principio dell'autosufficienza è volto a permettere alla Corte di cassazione di comprendere il contesto della causa e le domande degli interessati senza dover fare riferimento ad altre fonti scritte, e che il suo ricorso soddisfaceva tali requisiti. Il ricorrente sostiene di aver indicato, per ciascuno dei motivi di ricorso dedotti, l’ipotesi pertinente come enunciata nell'articolo 360 del CPC (paragrafo 20 supra) e le disposizioni invocate, e di aver riprodotto i documenti citati, talvolta in modo dettagliato, talvolta in forma sintetica, indicando in quale fase del procedimento erano stati prodotti. Per quanto riguarda i documenti invocati a sostegno del ricorso, egli sostiene che il fascicolo di primo grado era identico in tutto e per tutto a quello del procedimento d'appello.
  4. Per quanto riguarda le statistiche fornite dal Governo nelle sue osservazioni (paragrafo 67 infra), il ricorrente sostiene che tali elementi, da un lato, sono estranei ai fatti del caso in esame e, dall'altro, dimostrano chiaramente che le autorità giudiziarie hanno sempre avuto come obiettivo reale quello di interpretare il principio di autosufficienza del ricorso come un mezzo per limitare l'accesso alla Corte di cassazione e ridurre il suo arretrato.
  1. Ricorso n. 37781/13
  1. Il ricorrente denuncia l'approccio, a suo avviso eccessivamente formalistico, della Corte di cassazione, che ha accolto due motivi di inammissibilità del ricorso.
  2. Per quanto riguarda il «quesito di diritto», il ricorrente si basa sulle relazioni del servizio dell'Ufficio del Massimario e del Ruolo, nn. 25 e 89 del 2008, su diverse sentenze delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenze nn. 16002/2007, 3519/2008, 4309/2008, 6420/2008, 8897/2008, 4556/2009 e 21672/2013) nonché sulle critiche formulate dalla dottrina e dal CNF in merito al formalismo della Corte di cassazione. In particolare, il ricorrente lamenta l'obbligo, imposto a chi presenta un ricorso per cassazione, di dimostrare il nesso di pertinenza tra il quesito di diritto e il caso in esame, l'obbligo di indicare la norma giuridica che ritiene applicabile, e l'obbligo, previsto dalla giurisprudenza, di concludere i motivi di ricorso con cui viene eccepito un vizio di motivazione con un paragrafo di sintesi che equivalga a un quesito di diritto.
  3. Nella fattispecie, il ricorrente sostiene che la formulazione delle questioni di diritto era sintetica e che la Corte di cassazione aveva tutti gli elementi per comprendere le sue doglianze. A tale proposito, egli afferma che la presente causa è diversa dalla causa Trevisanato c. Italia (sentenza n. 32610/07, 15 settembre 2016), in cui la Corte aveva sanzionato l'assenza di quesiti di diritto, e che il suo ricorso, contrariamente al ricorso in esame nella causa Trevisanato, era stato depositato appena nove mesi dopo l'introduzione della nuova disposizione, in un momento in cui non esisteva quindi una giurisprudenza sul modo di formulare il quesito di diritto, ragione per cui il suo avvocato non aveva potuto preliminarmente valutare le possibilità di ammissibilità del suo ricorso. In ogni caso, il ricorrente sostiene che, anche se nel dicembre 2006 fosse stato possibile prevedere il contenuto del quesito di diritto richiesto dalla Corte di cassazione, l'interpretazione denunciata sarebbe comunque contraria alla Convenzione.
  4. Quanto al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente sostiene anzitutto che gli esempi di giurisprudenza forniti dal Governo nelle sue osservazioni riguardano unicamente i vizi di motivazione. Ritiene, inoltre, che il quadro di diritto comparato sulle procedure di filtraggio esistenti elaborato dal Governo (paragrafo 65 infra) sia privo di qualsiasi pertinenza in quanto si tratta di sistemi che servono a verificare se il ricorso verte, alternativamente o cumulativamente, su: a) una questione giuridica di interesse generale; b) la protezione di un diritto fondamentale; c) l'esistenza di un conflitto di giurisprudenza; d) una controversia di valore significativo.
  5. Inoltre, il ricorrente sostiene che lo scopo perseguito dalla Corte di cassazione è quello di utilizzare il principio di autosufficienza come un mezzo per filtrare i ricorsi per cassazione.
  6. Per quanto riguarda l'esigenza di prevedibilità dei criteri redazionali derivanti da tale principio, il ricorrente afferma che questi ultimi sono stati frequentemente applicati in due modi. Il giudice di legittimità li avrebbe a volte interpretati in maniera «flessibile», limitandosi a chiedere alla parte di presentare tutti gli elementi necessari per la comprensione di quanto lamentato (sentenze nn. 24461/2005, 18661/2006 e 2560/2007), di indicare la fase del processo nella quale il vizio si era verificato, (sentenza n. 4741/2005), o il riferimento dei documenti prodotti a sostegno dei motivi di ricorso (sentenze nn. 317/2002 e 12239/2007). Ma il giudice ne avrebbe dato in altre occasioni una «lettura più rigorosa», imponendo un obbligo supplementare di trascrizione di ciascun documento citato nel ricorso a pena di inammissibilità, nonostante tali documenti fossero stati già depositati nel procedimento sul merito (sentenze nn. 17424/2005, 20392/2007 e 21994/2008).
  7. Il ricorrente afferma che tale giurisprudenza contraddittoria ha portato il legislatore a intervenire, con la riforma del 2006, per tentare di precisare il contenuto del principio dell'autosufficienza e di escludere pertanto l'obbligo di riproduzione. Secondo il ricorrente ciò è stato inutile, in quanto una parte della giurisprudenza avrebbe continuato a esigere la trascrizione degli atti citati (sentenze nn. 1952/2009, 6397/2010, 10605/2010, 24548/2010 e 20028/2011), anche dopo la sentenza n. 8077 del 2012 della Corte di cassazione (paragrafo 31 supra) e il protocollo del 2015 (paragrafo 23 supra) (sentenze nn. 15634/2013, 7362/2015 e 18316/2018). Di fronte a tale giurisprudenza, gli avvocati tenderebbero a riprodurre integralmente i documenti, ma tale prassi sarebbe considerata contraria ai principi della sommaria esposizione dei fatti e dell'autosufficienza del ricorso (sentenze nn. 15180/2010, 11044/2012 e 8245/2018).
  8. Per quanto riguarda le caratteristiche del suo ricorso per cassazione, il ricorrente afferma che quest'ultimo conteneva un riassunto esaustivo dei fatti di causa, del procedimento sul merito e, in particolare, della sentenza impugnata (paragrafo 11 supra). I suoi primi quattro motivi di ricorso avrebbero riguardato la falsa applicazione di articoli del codice civile correttamente citati e accompagnati da riferimenti dettagliati ai documenti menzionati. Inoltre, la sentenza impugnata sarebbe stata allegata al ricorso, insieme al fascicolo del procedimento. In queste condizioni, il rigetto del suo ricorso sarebbe stato sproporzionato, in quanto l'obbligo di riprodurre il contenuto di un documento già inserito nel fascicolo allegato al ricorso e richiamato dal ricorrente non può essere considerato necessario per la corretta amministrazione della giustizia e la certezza del diritto.
  9. In conclusione, il ricorrente ritiene che la Corte di cassazione abbia mostrato un formalismo eccessivo e afferma di essere stato vittima di un ostacolo eccessivo e sproporzionato al suo diritto di accesso a un tribunale.
  1. Ricorso n. 26049/14
  1. I ricorrenti affermano che la restrizione controversa non era proporzionata.
  2. Basandosi sui principi elaborati da questa Corte, essi affermano che, per quanto riguarda le restrizioni previste dalla legge per l’accesso alle giurisdizioni superiori, la Corte ha preso in considerazione, a diversi livelli, alcuni elementi come la prevedibilità della restrizione in contestazione e la questione se quest’ultima fosse viziata da «eccessivo formalismo».
  3. Essi affermano che la Corte di cassazione si è basata su una giurisprudenza posteriore alla presentazione del loro ricorso (paragrafo 17 supra) e che, anche dopo, non ha chiarito i requisiti del principio dell’esposizione sommaria dei fatti e dell’obbligo di riproduzione dei documenti citati nei motivi di ricorso.
  4. In queste condizioni, essi ritengono che la restrizione controversa fosse incerta e imprevedibile, e dunque contraria al principio della preminenza del diritto.
  5. Quanto alla legittimità dello scopo perseguito dalla restrizione, i ricorrenti affermano che quest’ultima mirava soltanto a limitare l’accesso alla giurisdizione superiore, e sostengono che il Governo lo ha confermato indicando nelle sue osservazioni che il legislatore e la giurisprudenza della Corte di cassazione «[avevano] rafforzato i meccanismi esistenti di limitazione procedurale dell’accesso in cassazione». Secondo i ricorrenti, lo scopo di garantire una durata ragionevole dei procedimenti civili non può ostacolare l’accesso al tribunale e limitare il diritto a un processo equo.
  6. In conclusione, i ricorrenti ritengono che la violazione del diritto di accesso alla Corte di cassazione risulti dal fatto che l’obbligo di produrre un riassunto dei fatti – imposto dall’articolo 366, comma 1, n. 3 del CPC – costituisca un filtro e una barriera procedurale il cui contenuto è fissato da una giurisprudenza incerta, contraddittoria e formalistica.
  1. Il Governo
  1. Il Governo richiama anzitutto i principi elaborati dalla Corte europea in materia di accesso alle giurisdizioni superiori, in particolare le sentenze Zubac c. Croazia ([GC], n. 40160/12, 5 aprile 2018), Golder c. Regno Unito (21 febbraio 1975, serie A n. 18), Levages Prestations Services c. Francia (23 ottobre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996‑V) e Kemp e altri Lussemburgo (n. 17140/05, 24 aprile 2008), nonché la decisione resa nella causa Valchev e altri c. Bulgaria, ((dec.), n. 47450/11, 21 gennaio 2014).
  2. Il Governo afferma che le limitazioni, di natura procedurale, applicate ai ricorsi dei ricorrenti rientrano nel margine di apprezzamento dello Stato e sono compatibili con la Convenzione. A suo parere, l’indicazione chiara dei fatti procedurali pertinenti, dei documenti citati e del nesso di causalità tra la decisione impugnata, i vizi denunciati e le disposizioni applicabili è un presupposto per permettere alla Corte di cassazione di svolgere le sue funzioni.
  3. Per quanto riguarda il ricorso n. 55064/11, il Governo afferma che la Corte di cassazione ha pronunciato il rigetto del ricorso del ricorrente in quanto non erano indicati le ipotesi di impugnazione specificamente previste dall’articolo 360 del CPC e non erano menzionati i documenti a sostegno dell’argomentazione del ricorrente.
  4. Per quanto riguarda il ricorso n. 37781/13, il Governo afferma che le questioni di diritto non erano correttamente formulate, in violazione dell’articolo 366 bis del CPC, e che, a causa degli elementi mancanti nel ricorso per cassazione, era impossibile, in primo luogo, comprendere l’oggetto della contestazione, in secondo luogo individuare la disposizione o il documento che avrebbe dovuto permettere al giudice di appello di giungere a una conclusione diversa e, in terzo luogo, ritrovare nel fascicolo i documenti citati.
  5. Per quanto riguarda il ricorso n. 26049/14, il Governo sostiene che la Corte di cassazione ha osservato che l’esposizione dei fatti si articolava in 51 pagine, riproduceva con la tecnica dell’assemblaggio i documenti processuali, e non conteneva alcuna indicazione delle fasi fondamentali del procedimento pertinenti in riferimento ai motivi del ricorso. La Corte di cassazione avrebbe inoltre affermato che l’esposizione dei motivi di ricorso non permetteva di individuare i fatti pertinenti.
  6. Il Governo sostiene che le limitazioni applicate ai ricorsi perseguono uno scopo legittimo. In particolare, l’applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione mirerebbe a garantire una corretta amministrazione della giustizia, il rispetto di termini ragionevoli, l’accelerazione e la semplificazione dell’esame delle cause pendenti, e il consolidamento del principio di certezza del diritto, permettendo in tal modo all’Alta giurisdizione di rafforzare il suo ruolo di garante dell’uniformità del diritto interno.
  7. Il Governo afferma, inoltre, che l’applicazione del principio di autosufficienza era all’epoca prevedibile, e che qualsiasi avvocato poteva conoscere i propri obblighi in materia, se necessario con l’aiuto dell’interpretazione giudiziaria, che presentava una chiarezza e una coerenza sufficienti. Il Governo sostiene che, contrariamente ad altri paesi europei che limitano l’accesso alla corte suprema con disposizioni che lasciano un ampio potere discrezionale al giudice, l’Italia dispone di un codice di procedura civile che fissa dei criteri precisi applicati dopo aver valutato ogni singolo caso.
  8. Infine, il Governo afferma che l’applicazione di questo principio ha mantenuto un rapporto ragionevole di proporzionalità senza cadere in un formalismo eccessivo, e rammenta la funzione dell’Alta giurisdizione e lo svolgimento del procedimento, caratterizzato, per ciascuna causa, da un duplice esame sul merito. Il Governo fa presente che la Corte di cassazione ha concluso, al termine di un ragionamento logico, completo e ben motivato, che le condizioni fissate dal codice di procedura civile non erano state rispettate nelle tre cause.
  9. A livello più generale, il Governo rammenta il ruolo della Corte di cassazione e la finalità del ricorso per cassazione, e sottolinea che, nel sistema italiano, l’accesso al giudice di legittimità è diretto. Afferma che, dalle cifre ufficiali (per il periodo 2008-2018), risulta che il numero di avvocati abilitati a patrocinare dinanzi alle alte giurisdizioni sarebbe attualmente superiore a 40.000 unità, mentre la Corte di cassazione conta soltanto circa 300 giudici, più della metà dei quali formano le sezioni civili. Il Governo espone, inoltre, che la Corte di cassazione riceve circa 30.000 ricorsi ogni anno ed emette in media tra 220 e 240 sentenze, mentre le ordinanze di rigetto rappresentano in media il 14% di tutte le decisioni adottate ogni anno. Infine, vi sarebbe un arretrato di più di 100.000 cause.
  10. Secondo il Governo, è in questo contesto che il legislatore, in particolare nel 2006, e la giurisprudenza di legittimità hanno rafforzato i meccanismi procedurali esistenti allo scopo di limitare l’accesso alla Corte di cassazione.
  11. Per quanto riguarda il principio di autosufficienza, il Governo riconosce che tale principio è di origine pretoriana (la sentenza n. 5656/1986) ed è stato «codificato» dal decreto legislativo n. 40 del 2006, che ha aggiunto all’articolo 366 del CPC l’obbligo di indicare «gli atti processuali, i documenti, i contratti o gli accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda». Il Governo sostiene che, per soddisfare i requisiti formali del ricorso per cassazione, è sufficiente che il motivo di ricorso sia specifico e che i documenti citati siano indicati precisamente, con i relativi riferimenti, affinché sia più facile individuarli nel fascicolo del procedimento sul merito.
  12. Citando un passaggio della Raccomandazione R(95)5 del 7 febbraio 1995 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, il Governo afferma infine che, a livello europeo, la maggior parte delle corti supreme ha adottato o rafforzato, in questi ultimi anni, un meccanismo di «filtraggio» dei ricorsi. Il Governo fa presente che la preoccupazione di evitare che un numero eccessivo di ricorsi possa ostacolare l’attività istituzionale di un tribunale è condivisa dalle corti internazionali, e soprattutto dalla Corte europea (si vedano l’articolo 47 del regolamento della Corte e i criteri di ricevibilità), dal tribunale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, nonché dalla Corte interamericana dei diritti umani che, a suo parere, hanno tutti introdotto dei meccanismi di limitazione dell’accesso.
  1. Valutazione della Corte
  1. Principi generali
  1. La Corte rinvia ai principi applicabili alle limitazioni del diritto di accesso a una giurisdizione superiore (si veda, tra molte, Zubac, sopra citata, §§ 76-82), rammentando in particolare che il modo in cui l’articolo 6 § 1 si applica alle corti d’appello o di cassazione dipende dalle peculiarità del procedimento in questione. Per quanto riguarda le formalità da rispettare per un ricorso per cassazione, la Corte rinvia, tra altre, alle sentenze Sturm c. Lussemburgo (n. 55291/15, §§ 39-42, 27 giugno 2017), Miessen c. Belgio (n. 31517/12, §§ 64-66, 18 ottobre 2016), Trevisanato c. Italia (n. 32610/07, §§ 33-34, 15 settembre 2016), Papaioannou c. Grecia (n. 18880/15, §§ 46-51, 2 giugno 2016), e Běleš e altri c. Repubblica ceca (n. 47273/99, § 62, CEDU 2002‑IX).
  2. Essa rammenta che, in questo tipo di cause, il suo compito consiste nel verificare se il rigetto per inammissibilità di un ricorso per cassazione abbia pregiudicato la sostanza stessa del «diritto» del ricorrente «a un tribunale». Per farlo, essa esaminerà, anzitutto, se le condizioni imposte per la redazione del ricorso per cassazione perseguissero uno scopo legittimo nel caso di specie, e valuterà poi la proporzionalità delle limitazioni imposte (Zubac, sopra citata,§ 96-99, Trevisanato, sopra citata, § 35, con la giurisprudenza citata).
  1. Applicazione nel caso di specie
  1. Lo scopo legittimo
  1. La Corte osserva che la valutazione della legittimità dello scopo perseguito dall’applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione si presta ad un esame unico per le tre cause.
  2. Lo scopo perseguito, che è stato contestato dai ricorrenti (paragrafi 43, 48 e 57 supra), sarebbe, secondo il Governo (paragrafo 64 supra) e secondo quanto risulta dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (paragrafo 25 supra), di agevolare la comprensione della causa e delle questioni sollevate nel ricorso e di permettere alla Corte di cassazione di decidere senza doversi basare su altri documenti, affinché quest’ultima possa mantenere il suo ruolo e la sua funzione che consistono nel garantire in ultimo grado l’applicazione uniforme e l’interpretazione corretta del diritto interno (nomofilachia).
  3. Alla luce di questi elementi, la Corte ritiene che tale principio sia volto a semplificare l’attività della Corte di cassazione e a garantire allo stesso tempo la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia.
  4. Per quanto riguarda il «quesito di diritto» in causa nel ricorso n. 37781/13, la Corte rinvia alla sentenza Trevisanato (sopra citata, §§ 36-37), nella quale essa ha concluso che quest’ultimo soddisfaceva sia le esigenze della certezza del diritto che quelle della corretta amministrazione della giustizia.
  5. Resta dunque da determinare se le conseguenze delle restrizioni dell’accesso alla Corte di cassazione sono state proporzionate.
  1. La proporzionalità della restrizione
  1. La Corte osserva che il principio di autosufficienza permette alla Corte di cassazione di circoscrivere il contenuto delle doglianze formulate e la portata della valutazione che le viene richiesta alla sola lettura del ricorso, e garantisce un utilizzo appropriato e più efficace delle risorse disponibili.
  2. La Corte ritiene che tale approccio sia attinente alla natura stessa del ricorso per cassazione che protegge, da una parte, l’interesse del ricorrente a che siano accolte le sue critiche contro la decisione impugnata e, dall’altra, l’interesse generale alla cassazione di una decisione che rischi di pregiudicare la corretta interpretazione del diritto. Perciò, la Corte ammette che le condizioni di ricevibilità di un ricorso per cassazione possono essere più rigorose che per un appello (Levages Prestations Services, sopra citata, § 45, Brualla Gómez de la Torre c. Spagna, 19 dicembre 1997, § 37, Recueil des arrêts et décisions 1997‑VIII, e Kozlica c. Croazia, n. 29182/03, § 32, 2 novembre 2006; si veda anche Shamoyan c. Armenia, n. 18499/08, § 29, 7 luglio 2015).
  3. La Corte rammenta anche le considerazioni formulate dal Governo (paragrafo 67 supra) per quanto riguarda l’enorme arretrato e il notevole afflusso dei ricorsi presentati ogni anno dinanzi all’Alta giurisdizione. Del resto, questo aspetto è uno dei motivi all’origine del protocollo firmato tra la Corte di cassazione e il CNF nel 2015 (paragrafo 23 supra).
  4. Anche se il carico di lavoro della Corte di cassazione descritto dal Governo può causare difficoltà al normale funzionamento della trattazione dei ricorsi, resta comunque il fatto che le restrizioni dell'accesso alle corti di cassazione non possono limitare, attraverso un'interpretazione troppo formalistica, il diritto di accesso a un tribunale in modo tale o a tal punto che il diritto sia leso nella sua stessa sostanza (Zubac, sopra citata, § 98, Vermeersch c. Belgio, 49652/10, § 79, 16 febbraio 2021, Efstratiou e altri c. Grecia, n. 53221/14, § 43, 19 novembre 2020, Trevisanato, sopra citata, § 38).
  5. In particolare, la Corte osserva che, dalla giurisprudenza fornita dalle parti (paragrafi 41-49-50 e 56 supra) (si veda, a contrario, Efstratiou e altri, sopra citata, § 26), risulta che l'applicazione da parte della Corte di cassazione del principio in questione, almeno fino alle sentenze nn. 5698 e 8077 del 2012 (paragrafi 30 e 31 supra), rivela una tendenza dell'Alta giurisdizione a porre l'accento su aspetti formali che non sembrano rispondere allo scopo legittimo individuato (paragrafo 75 supra), in particolare per quanto riguarda l'obbligo di trascrivere integralmente i documenti citati nei motivi di ricorso, e l’esigenza di prevedibilità della restrizione.
  6. Inoltre, la Corte ritiene che il motivo di tale tendenza risieda, tra l'altro, nella natura del principio di autosufficienza, che prevede che il ricorrente debba presentare tutti gli elementi di fatto e di diritto per ciascun motivo di ricorso affinché la Corte di cassazione possa pronunciarsi unicamente sulla base del ricorso stesso. Per questo motivo la Corte considera che l'analisi comparata del Governo relativa ai «sistemi di filtraggio» messi in atto in altri paesi europei (paragrafi 65 e 70 supra) non possa essere pertinente nel caso di specie. In effetti, come osserva giustamente il ricorrente del ricorso n. 37781/13 (paragrafo 47 supra), l’ammissibilità del ricorso per cassazione dipende in questi sistemi dalla questione se il ricorso verta su una questione giuridica di interesse generale o sulla protezione di un diritto fondamentale, se sollevi un conflitto giurisprudenziale o, infine, se la causa abbia un valore significativo. Secondo la Corte, i «sistemi di filtraggio» citati dal Governo sono piuttosto assimilabili alle disposizioni previste nell'articolo 360 bis del CPC (paragrafo 20 supra).
  7. Nemmeno i criteri relativi alla redazione del ricorso possono essere comparati, come vorrebbe il Governo (paragrafo 70 supra), al sistema di filtraggio e alle condizioni di ricevibilità del ricorso dinanzi alla Corte. Infatti, l'articolo 47 del regolamento della Corte prevede che qualsiasi ricorso depositato in virtù dell'articolo 34 della Convenzione deve essere presentato utilizzando il formulario fornito dalla cancelleria, nel rispetto di criteri formali chiari, prevedibili ed esposti in documenti consultabili da qualsiasi ricorrente. Per quanto riguarda i criteri di ricevibilità, la Corte ritiene che questi potrebbero eventualmente essere in parte equiparabili al meccanismo previsto dall'articolo 360 bis del CPC già menzionato.
  8. La Corte, nell'intento di esaminare i fatti delle presenti cause ispirandosi al principio di sussidiarietà e alla sua giurisprudenza in materia di meccanismi di filtraggio relativi alle vie di ricorso dinanzi alle giurisdizioni supreme (Papaioannou, sopra citata, § 42), procederà alla valutazione dell'applicazione del principio di autosufficienza in ciascuna causa.

α Ricorso n. 55064/11

  1. La Corte osserva che il ricorso per cassazione del ricorrente è stato respinto in primo luogo perché non rispettava l’obbligo di indicare, per ciascuno dei motivi, le ipotesi in cui è ammesso il ricorso per cassazione della sentenza emessa dalla corte d’appello (paragrafo 7 supra). Ora, secondo l’articolo 360, nn. 1 – 5 del CPC, le possibilità di chiedere la cassazione di una decisione sono limitate a cinque casi (paragrafo 20 supra).
  2. Nella fattispecie, ciascuno dei motivi di ricorso del ricorrente (paragrafo 6 supra) che denuncia un error in iudicando, oppure un error in procedendo, si apriva con l’indicazione degli articoli o dei principi di diritto di cui era dedotta la violazione, e rinviava ai numeri 3 o 4 dell’articolo 360 del CPC, due delle ipotesi in cui è ammesso il ricorso per cassazione che possono essere invocate dalla parte interessata.
  3. Analogamente, nella sua critica della sentenza della corte d’appello sotto il profilo del vizio di motivazione, il ricorrente faceva riferimento all’ipotesi prevista nel numero 5 dell’articolo 360 del CPC.
  4. In queste condizioni, la Corte ritiene che l’obbligo di precisare il tipo di critica formulata in riferimento alle ipotesi legislativamente limitate di casi in cui può essere proposto ricorso per cassazione previsti dall’articolo 360 del CPC sia stato sufficientemente rispettato nel caso di specie. La Corte di cassazione poteva, dopo aver letto ciascuno dei titoli, sapere qual era il tipo di caso trattato nel motivo di ricorso e quali disposizioni erano eventualmente invocate.
  5. In secondo luogo, la Corte di cassazione ha dichiarato che il ricorso per cassazione del ricorrente ha omesso di riportare le indicazioni necessarie per individuare i documenti menzionati a sostegno delle critiche che quest’ultimo aveva esposto nei suoi motivi di ricorso (paragrafo 7 supra).
  6. Dalla lettura dei motivi del ricorso per cassazione risulta, invece, che il ricorrente, quando ha fatto riferimento ai punti contestati della sentenza della corte d’appello, ha rinviato alla motivazione della sentenza riprodotta nell’esposizione dei fatti, in cui erano ripresi i passaggi pertinenti. Inoltre, nel citare i documenti del procedimento sul merito per esporre il suo ragionamento, il ricorrente ha trascritto i brevi passaggi pertinenti e ha rinviato al documento originale, permettendo così di individuarlo tra i documenti depositati con il suo ricorso per cassazione.
  7. In queste condizioni, anche a voler supporre che la sentenza della Corte di cassazione faccia correttamente riferimento al ricorso per cassazione del ricorrente, dichiarando che le precisazioni fornite non erano sufficienti l’Alta giurisdizione ha mostrato un formalismo eccessivo che non può essere giustificato rispetto alla finalità propria al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (paragrafo 75 supra) e, pertanto, allo scopo perseguito, ossia la garanzia della certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia.
  8. La Corte considera che la lettura del ricorso per cassazione del ricorrente permetteva di comprendere l’oggetto e lo svolgimento della causa dinanzi alle giurisdizioni di merito, nonché la sostanza dei motivi di ricorso, sia per quanto riguarda la base giuridica degli stessi (il tipo di critica in riferimento ai casi previsti dall’articolo 360 del CPC) che il loro contenuto, attraverso i rinvii ai passaggi della sentenza della corte d’appello e ai documenti pertinenti citati nel ricorso per cassazione stesso.
  9. In conclusione, la Corte ritiene che, nel caso di specie, il rigetto del ricorso per cassazione del ricorrente abbia pregiudicato la sostanza del suo diritto a un tribunale.
  10. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

β Ricorso n. 37781/13

  1. La Corte osserva che il ricorso per cassazione del ricorrente è stato presentato nel dicembre 2006 (paragrafo 11 supra). All’epoca, le disposizioni applicabili prevedevano, oltre al rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, l’obbligo di concludere i motivi di ricorso con un quesito di diritto o di indicare chiaramente i fatti contestati per il motivo di ricorso relativo al vizio di motivazione (paragrafo 20 supra).
  2. Per quanto riguarda i quesiti di diritto, la Corte di cassazione ha dichiarato che il ricorso per cassazione del ricorrente non era ammissibile in quanto questi ultimi erano generici e astratti. Per quanto riguarda l’ultimo motivo di ricorso, esso non indicava chiaramente il fatto contestato rispetto al dedotto vizio di motivazione.
  3. La Corte rinvia alla sua sentenza Trevisanato (sopra citata, § 42), nella quale ha constatato che il fatto di chiedere al ricorrente di concludere il proprio motivo di ricorso con un paragrafo riassuntivo, che sintetizzi il ragionamento seguìto e chiarisca il principio di diritto di cui deduceva la violazione, non avrebbe comportato alcuno sforzo particolare supplementare da parte sua.
  4. Nella fattispecie, sebbene la giurisprudenza citata nella sentenza della Corte di cassazione sia posteriore alla data di presentazione del ricorso del ricorrente (paragrafo 46 supra), resta comunque il fatto che l’articolo 366 bis del CPC era entrato in vigore nove mesi prima della presentazione del ricorso, e che il ricorrente era assistito da un avvocato esperto di procedimenti giudiziari e abilitato a patrocinare dinanzi alle giurisdizioni superiori (Trevisanato, sopra citata, § 45). Inoltre, la Corte osserva che la legge delega del 2005 (paragrafo 18 supra), con la quale il legislatore ha fissato i principi generali che inquadrano i poteri dell’esecutivo ai fini dell’elaborazione della riforma del codice di procedura civile del 2006, prevedeva, tra l’altro, che ciascuno dei motivi di ricorso doveva concludersi con un quesito di diritto e che la Corte di cassazione doveva indicare, sempre per ciascuno dei motivi di ricorso, un principio di diritto che potesse, per la sua stessa natura, rispondere alle critiche formulate nel caso di specie ma anche, in quanto principio generale, essere applicato ad altre cause simili.
  5. Per quanto riguarda le esigenze previste per la formulazione del motivo di ricorso relativo al vizio di motivazione della sentenza impugnata, la Corte osserva che, in effetti, come ha osservato la Corte di cassazione il ricorrente non ha chiaramente indicato il fatto contestato, né i motivi per cui a suo parere la motivazione della sentenza era insufficiente. In effetti, non essendo stati esposti chiaramente i fatti in base ai quali la Corte di cassazione avrebbe potuto sanzionare l’assenza di motivazione, il suo motivo di ricorso si è limitato a una critica della valutazione dei fatti operata dalla corte d’appello, che non poteva essere censurata con la cassazione.
  6. Per quanto riguarda la parte della decisione dell’Alta giurisdizione relativa alla violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la Corte di cassazione ha indicato che il ricorrente si era limitato a menzionare, nei suoi motivi di ricorso, i documenti del procedimento sul merito senza presentarne le parti pertinenti e senza indicare i riferimenti necessari per ritrovarli nel fascicolo allegato al ricorso per cassazione (paragrafo 12 supra).
  7. La Corte rinvia alle sue considerazioni formulate precedentemente (paragrafo 82 supra) per quanto riguarda l’obbligo di riproduzione interpretato come un obbligo di trascrizione di tutti i documenti. Ciò premesso, essa osserva che, nel caso di specie, il ricorso per cassazione del ricorrente ometteva anche, in varie parti, di indicare i riferimenti delle fonti scritte invocate o dei passaggi della sentenza della corte d’appello citati, in violazione della giurisprudenza della Corte di cassazione su questo punto (paragrafi 28-29 supra).
  8. La Corte rammenta che, secondo la giurisprudenza interna non contestata su questo punto, i motivi di ricorso per cassazione che rinviano ad atti o a documenti del procedimento sul merito devono indicare sia le parti del testo in contestazione che l’interessato ritiene pertinenti, che i riferimenti ai documenti originali inseriti nei fascicoli depositati, allo scopo di permettere al giudice di legittimità di verificarne tempestivamente la portata e il contenuto salvaguardando le risorse disponibili.
  9. Di conseguenza, l’indicazione dei documenti del procedimento sul merito era irregolare in quanto mancava, per ciascuno dei passaggi citati, il riferimento ai documenti originali necessario ai sensi della giurisprudenza interna (Dos Santos Calado e altri c. Portogallo, nn. 55997/14 e altri 3, § 115, 31 marzo 2020, Efstratiou, sopra citata, § 49).
  10. Tenuto conto della particolarità del procedimento per cassazione, del processo complessivamente condotto e del ruolo che ha svolto la Corte di cassazione nell’ambito di quest’ultimo (Zubac, sopra citata, 82), nonché del contenuto dell’obbligo specifico che il difensore del ricorrente era tenuto a rispettare nel caso di specie (in particolare indicare, per ciascuna citazione di un’altra fonte scritta, il riferimento al documento depositato con il ricorso per cassazione), la Corte ritiene che la decisione di inammissibilità della Corte di cassazione nella presente causa non possa essere considerata un’interpretazione troppo formalistica che avrebbe impedito l’esame del ricorso per cassazione dell’interessato.
  11. Pertanto, non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

γ Ricorso n. 26049/14

  1. La Corte osserva che l’esposizione dei fatti contenuta nel ricorso per cassazione dei ricorrenti offriva una ricostruzione meticolosa del procedimento sul merito e delle decisioni emesse dal tribunale e dalla corte d’appello (paragrafo 16 supra).
  2. Nella fattispecie, la Corte di cassazione ha interpretato l’obbligo di esporre i fatti sulla base di due sentenze delle Sezioni Unite (paragrafo 17 supra) che rammentano che la presentazione dei fatti di causa implica un’attività del difensore, il quale è tenuto a selezionare i fatti pertinenti in riferimento alle critiche che intende formulare successivamente nei suoi motivi di ricorso. Il legale, in pratica, deve permettere di individuare il thema decidendum di quanto chiede alla Corte di cassazione, compito che richiede necessariamente, ai sensi della giurisprudenza interna, un’attività di sintesi degli aspetti pertinenti del procedimento sul merito (paragrafo 30 supra).
  3. Del resto, questa esigenza di sintesi è espressa, in maniera molto chiara, anche nel codice di procedura amministrativa (paragrafo 21 supra), che prevede che gli atti del giudice e quelli delle parti devono essere redatti in maniera chiara e sintetica. La Corte osserva in particolare che l’attuazione di tale disposizione si è tradotta con la fissazione di criteri di redazione, e persino con limitazioni della lunghezza dei ricorsi amministrativi (paragrafo 22 supra). Nello stesso senso, il Governo ha recentemente evocato, nel suo piano di rilancio e resilienza (paragrafo 24 supra), la necessità di riformare la procedura civile, e più in particolare quella seguita dinanzi alla Corte di cassazione, sviluppando i principi di autosufficienza e di sintesi degli atti della procedura, compresi quelli del ricorso per cassazione.
  4. La Corte ritiene che l’interpretazione data all’esposizione sommaria dei fatti sia, del resto, compatibile con l’applicazione del principio di autosufficienza del ricorso che, come essa ha già rammentato sopra (paragrafo 75 supra), presuppone che la Corte di cassazione, leggendo il ricorso nella sua globalità, possa comprendere l’oggetto della controversia, così come il contenuto delle critiche che dovrebbero giustificare la cassazione della decisione impugnata, ed essere in grado di decidere.
  5. La Corte osserva che, nel momento in cui è stato presentato il ricorso per cassazione dei ricorrenti, la giurisprudenza della Corte di cassazione prevedeva delle modalità chiare e definite (paragrafi 17 e 30 supra) per la redazione dell’esposizione dei fatti pertinenti (Zubac, sopra citata, § 88).
  6. La Corte rileva che il difensore dei ricorrenti si è limitato a trascrivere ampia parte dell’esposizione dei fatti della sentenza della corte d’appello, le conclusioni in appello dei ricorrenti, una parte dell’appello di una delle parti convenute, nonché la motivazione e il dispositivo della sentenza della corte d’appello (paragrafo 16 supra) (ibidem, §§ 90 e 121).
  7. A questo proposito, la Corte osserva che il procedimento dinanzi alla Corte di cassazione prevede l’assistenza obbligatoria di un avvocato che deve essere iscritto in un albo speciale, sulla base di alcune competenze richieste, che garantiscano la qualità del ricorso e il rispetto di tutte le necessarie condizioni formali e sostanziali. Il rappresentante dei ricorrenti era dunque in grado di conoscere i propri obblighi in materia, basandosi sul testo dell’articolo 366 del CPC e con l’aiuto dell’interpretazione della Corte di cassazione, che era sufficientemente chiara e coerente (Trevisanato, sopra citata, § 45).
  8. Considerato quanto sopra esposto, la Corte ritiene che la decisione emessa dalla Corte di cassazione non abbia pregiudicato la sostanza del diritto dei ricorrenti a un tribunale.
  9. Pertanto, non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
  1. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

116. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione:

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

  1. Danno
  1. Il ricorrente del ricorso n. 55064/11 chiede la somma di 26.000 euro (EUR) per il danno materiale e un importo corrispondente ad almeno un terzo di tale somma per il danno morale che ritiene di avere subìto.
  2. Il Governo considera che tale richiesta sia sproporzionata ed eccessiva, e critica i parametri applicati dal ricorrente, che ritiene arbitrari.
  3. La Corte non scorge alcun nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto. Infatti, non spetta alla Corte prevedere quale sarebbe stato l'esito del procedimento in assenza della violazione constatata. Essa respinge pertanto la richiesta formulata a questo titolo. Invece, la Corte accorda al ricorrente la somma di 9.600 EUR per danno morale, più l'importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta.
  1. Spese
  1. Il ricorrente chiede la somma di 20 EUR per le spese di corrispondenza e si affida al giudizio della Corte per quanto riguarda le altre spese sostenute per il procedimento dinanzi ad essa e per il procedimento dinanzi alle giurisdizioni interne.
  2. Il Governo contesta tale richiesta.
  3. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dell’assenza di documenti e dei criteri sopra menzionati, la Corte respinge la domanda presentata dal ricorrente per quanto riguarda le spese.
  1. Interessi moratori
  1. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Decide di riunire i ricorsi;
  2. Dichiara i ricorsi ricevibili;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per quanto riguarda il ricorso n. 55064/11;
  4. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per quanto riguarda i ricorsi nn. 37781/13 e 26049/14;
  5. Dichiara,
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente del ricorso n. 55064/11, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 9.600 EUR (novemilaseicento euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  6. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 28 ottobre 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Renata Degener Ksenija Turković
Cancelliere Presidente

[1] Articolo inserito dalla legge n. 69 del 18 giugno 2009, in vigore dal 4 luglio 2009.

 

ALLEGATO

N.

Ricorso n.

Nome della causa

Presentato il

Ricorrente
Anno di nascita
Luogo di residenza

Rappresentato da

1.

55064/11

Succi c. Italia

13/08/2011

L. SUCCI
1949
Catania

P. Calabretta

2.

37781/13

Pezzullo c. Italia

28/05/2013

L. PEZZULLO
1951
Frattamaggiore

D. Fimmano’

3.

26049/14

Di Romano e altri c. Italia

15/03/2014

S. DI ROMANO
1959
Teramo

M. DI ROMANO
1990
Teramo

S. DI ROMANO
1989
Teramo

D. DI DARIO
1957
Teramo

F. DI DARIO[1]
1930
Teramo
(deceduto il 20/04/2014)

 

A. PIERMARINI
1935
Teramo

E. Formisano –

A. Mascia

[1] Il sig. F. Di Dario è deceduto il 20 aprile 2014, dopo che era stato presentato il ricorso. I suoi eredi, che sono gli altri ricorrenti dello stesso ricorso, hanno informato la Corte che intendevano proseguire il procedimento dinanzi alla Corte.