Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell' 8 luglio 2021 - Ricorsi nn. 20903/15 +3 - Maestri e altri contro Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA MAESTRI E ALTRI c. ITALIA

(Ricorsi nn. 20903/15 e altri 3
Si veda lista allegata)

SENTENZA

Art 6 (penale) • Processo equo • Omissione della corte d’appello di ordinare una nuova audizione degli imputati prima di annullare la loro assoluzione in primo grado • Obbligo del giudice di sentire personalmente l'interessato su fatti e questioni decisive per stabilire la sua eventuale colpevolezza • Una rinuncia al diritto di essere presente al dibattimento non equivale a una rinuncia dell'imputato al diritto di essere sentito dal giudice d'appello • Possibilità di rendere dichiarazioni spontanee nel corso del dibattimento non conforme agli standard della Corte • Diritto dell'imputato di essere l'ultimo a parlare distinto dal suo diritto di essere sentito, durante il dibattimento, da un tribunale

STRASBURGO

8 luglio 2021

Questa sentenza diverrà definitiva nelle condizioni previste dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma

Nella causa Maestri e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Ksenija Turković, presidente,
Péter Paczolay,
Alena Poláčková,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato,
Lorraine Schembri Orland,
Ioannis Ktistakis, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere di sezione,

Visti:
i ricorsi (nn. 20903/15, 20973/15, 20980/15 e 24505/15) proposti contro la Repubblica italiana da sette cittadini di questo Stato, la sig.ra Cristina Maestri («la ricorrente») e i sigg. Giovanni Robusti, Denis Maero, Francesco Robastro, Antonino Bedino, Celestino Giletta e Gianfranco Taricco («i ricorrenti») che, nelle date indicate nella tabella allegata, hanno adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
la decisione di portare a conoscenza del governo italiano («il Governo») le doglianze relative all’equità del procedimento penale e di dichiarare i ricorsi irricevibili per il resto.
le osservazioni delle parti,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 15 giugno 2021,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. In questi ricorsi, i ricorrenti, dal punto di vista dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, contestano alla giurisdizione d’appello di non aver ordinato una nuova audizione dei testimoni a carico e di non aver sentito personalmente i ricorrenti e la ricorrente prima di ribaltare la sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado nei loro confronti.

IN FATTO

2. I ricorrenti e la ricorrente sono stati rappresentati dinanzi alla Corte dall’avvocato A. Saccucci. L’elenco degli interessati, che contiene anche delle informazioni personali, è allegato alla presente sentenza.

3. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia.

4. I ricorrenti e la ricorrente furono coinvolti con altre persone in un procedimento penale relativo ad un abuso del regime delle quote latte che era stato introdotto dal regolamento (CEE) n. 856/84.

5. I ricorrenti Robusti, Maero, Robastro e Bedino erano accusati di aver costituito diverse società cooperative di produzione lattiero-casearia, denominate Savoia, di cui erano membri degli organi di controllo e di amministrazione, e di averle gestite in modo fraudolento allo scopo di permettere ai soci di superare le quote latte imposte dal regolamento CEE senza versare allo Stato le somme dovute in caso di eccedenza. Inoltre, a seguito dell'entrata in vigore della legge n 119 del 2003 che aveva modificato le norme contabili del regime delle quote latte, i ricorrenti avevano costituito una società finanziaria intermedia, la «FGR S.p.A.», che perseguiva lo stesso scopo fraudolento. I ricorrenti Giletta e Taricco, produttori di latte e soci delle società cooperative, erano accusati di aver partecipato al sistema fraudolento in quanto membri dei consigli di amministrazione delle società. La ricorrente, la sig.ra Maestri, aveva esercitato le funzioni di contabile per le suddette società.

6. I ricorrenti e la ricorrente furono accusati dei reati di associazione per delinquere e truffa aggravata, e furono rinviati a giudizio dinanzi al tribunale di Saluzzo il 18 maggio 2007.

7. Nel corso del dibattimento, il tribunale interrogò diversi testimoni, tra cui i funzionari degli organismi di controllo del rispetto del regime delle quote latte che avevano indagato sui conti delle società, nonché un maresciallo dei carabinieri, M., che era stato incaricato delle indagini nell'ambito del procedimento penale. Tra altri, furono sentiti i periti designati dalla procura e dagli imputati, che avevano presentato delle relazioni peritali. Il tribunale sentì anche i ricorrenti e la ricorrente, nonché gli altri imputati.

8. Con sentenza del 15 luglio 2009, il tribunale assolse i sei ricorrenti dal reato di associazione per delinquere e li condannò per il reato di truffa aggravata. La ricorrente fu assolta da entrambi i capi di imputazione.

9. Il tribunale affermò che l'insieme degli elementi di prova raccolti dimostrava che i ricorrenti avevano partecipato a vario titolo alla messa in atto di un sistema fraudolento complesso volto ad aggirare la regolamentazione delle quote latte nonché l'obbligo di versare allo Stato delle somme sull'eccedenza. In particolare, fece riferimento alle testimonianze di diversi coimputati e a quelle dei funzionari dell'autorità di controllo del rispetto del regime delle quote latte, i quali avevano riferito che gli organi amministrativi delle società cooperative Savoia si erano sempre rifiutati di fornire spiegazioni sulla loro contabilità, ostacolando così qualsiasi attività di controllo. Per quanto riguarda le modalità operative, il tribunale affermò che la relazione depositata dal perito nominato dalla procura, C., aveva chiaramente messo in evidenza i dettagli dell’organizzazione contabile fraudolenta adottata dalle cooperative. Queste modalità, peraltro, erano state confermate dalle dichiarazioni del suddetto perito C. e del maresciallo M. Il tribunale affermò che tutti gli elementi costitutivi del reato di truffa erano stati provati. Quanto all'elemento morale del suddetto reato, in particolare, il tribunale indicò che esso risultava in primo luogo implicitamente dalle modalità contabili artificiose messe in atto, e che poteva essere anche desunto dalle dichiarazioni di Cr. e di T., due produttori di latte coimputati nel processo che avevano dichiarato di aver deciso di aderire alle società cooperative Savoia allo scopo di evitare di adempiere agli obblighi fiscali derivanti dal regime delle quote latte.

10. In merito al reato di associazione per delinquere, il tribunale affermò anzitutto, per quanto riguardava l'elemento morale del reato, che la finalità di consentire ai soci delle cooperative di produrre quantità di latte superiori alle quote latte non costituiva di per sé un reato e, pertanto, non poteva rappresentare l'elemento intenzionale del reato. Inoltre, secondo il tribunale, non si poteva ritenere che i ricorrenti avessero avuto il progetto generale di commettere una pluralità di reati, poiché si era visto che l'unica finalità perseguita dagli imputati era stata quella di commettere delle frodi fiscali. Quanto all'elemento materiale, il tribunale affermò che il comportamento addebitato agli imputati nell'atto d'accusa, vale a dire la creazione delle società, non implicava di per sé la costituzione di un'organizzazione a carattere criminale avente lo scopo di commettere diversi reati.

11. Infine, il tribunale esaminò la posizione della ricorrente e affermò che quest’ultima non aveva partecipato attivamente alla gestione delle società cooperative e della società finanziaria, in quanto aveva esercitato funzioni di semplice contabile, e si era limitata ad adempiere ai suoi obblighi contrattuali tenendo la contabilità conformemente alle istruzioni impartite dagli amministratori delle società. Il tribunale riteneva, pertanto, che la ricorrente dovesse essere assolta da tutti i capi di imputazione a suo carico.

12. I ricorrenti e la ricorrente, nonché la procura, interposero appello. La procura chiese, tra l'altro, che gli imputati fossero condannati anche per il reato di associazione per delinquere. La ricorrente assistette alle udienze dinanzi alla corte d'appello, mentre i ricorrenti, che erano stati citati a comparire ai sensi dell'articolo 601 del codice di procedura penale (si veda il paragrafo 27 infra), non si presentarono e furono dichiarati contumaci. Gli avvocati dei ricorrenti e della ricorrente furono sentiti dalla corte d'appello.

13. Con sentenza del 30 giugno 2011, la corte d'appello di Torino riformò parzialmente la sentenza di primo grado. Pur confermando la condanna dei ricorrenti per il reato di truffa aggravata, la corte d'appello accolse l'appello del pubblico ministero, affermò che il tribunale aveva motivato in modo sommario e superficiale l'assoluzione degli imputati dal reato di associazione per delinquere, e aggiunse che riteneva che gli elementi costitutivi del reato fossero provati. In primo luogo, indicò che l'atto d'accusa non soltanto imputava ai ricorrenti di aver costituito le società cooperative Savoia e, in seguito, la società finanziaria FGR S.p.A.– come il tribunale aveva, a suo parere, erroneamente affermato – ma anche di averle utilizzate fin dall'inizio per sottrarsi agli obblighi fiscali derivanti dal regime delle quote latte. Ora, per la corte d'appello, tale comportamento costituiva proprio il nocciolo della truffa addebitata ai ricorrenti e diveniva anche l'elemento chiave di un'organizzazione il cui scopo era quello di commettere, con questo stesso comportamento, una serie imprecisata di truffe. A questo proposito, la corte d'appello affermò che il tribunale non aveva tenuto conto, nel suo esame, della globalità dei fatti e dei comportamenti contestati agli imputati nell'atto d'accusa, ma solo di una parte di essi.

14. Inoltre, per quanto riguardava l'elemento morale del reato, la corte d’appello fece riferimento alla giurisprudenza della Corte di cassazione in materia, e affermò che l'intenzione di commettere una serie imprecisata di truffe poteva costituire l'elemento intenzionale del reato di associazione per delinquere. Essa aggiunse che, a tale proposito, il tribunale aveva erroneamente affermato che solo l'intenzione di commettere una serie di reati diversi poteva costituire l'elemento morale di detto reato. Stando così le cose, la corte d'appello affermò che i ricorrenti Robusti, Maero, Robastro e Bedino avevano agito da promotori e organizzatori del sistema delle società cooperative e della società finanziaria, e quindi erano indubbiamente responsabili del reato di associazione per delinquere. Quanto ai ricorrenti Giletta e Taricco, la corte d'appello ritenne che essi avessero partecipato all'organizzazione in quanto avevano fatto parte dei consigli di amministrazione delle società cooperative. La corte d'appello fece riferimento alle proprie conclusioni sull'elemento morale del reato di truffa e aggiunse che, sebbene non fossero giuristi, gli imputati non potevano non aver capito che se l'attività delle società fosse stata legale, non sarebbe stato necessario creare un sistema contabile complesso e opaco.

15. Quanto alla posizione della ricorrente, la sig.ra Maestri, la corte d'appello osservò che diversi testimoni sentiti dal tribunale, in particolare il maresciallo M. e C., il perito designato dalla procura, avevano descritto con precisione il ruolo attivo che quest'ultima aveva svolto nella gestione delle società. Era emerso che la ricorrente si era direttamente occupata della contabilità delle società cooperative e della società finanziaria, fin dalla loro costituzione e per diversi anni, in modo autonomo e nell'ambito di un rapporto di fiducia con i promotori di questo sistema illecito. Per la corte d'appello ne conseguiva che la ricorrente aveva svolto un ruolo attivo nell'organizzazione illecita, e che doveva essere condannata sia per il reato di associazione per delinquere che per il reato di frode.

16. I ricorrenti e la ricorrente proposero ricorso per cassazione. Essi contestavano, tra l'altro, alla corte d'appello di aver deciso una reformatio in pejus della sentenza del tribunale senza ordinare una nuova audizione dei testimoni a carico. Inoltre, sostenevano che la giurisdizione d'appello aveva omesso di sentirli personalmente prima di decidere di condannarli.

17. Con sentenza del 24 ottobre 2014, la Corte di cassazione respinse il ricorso dei ricorrenti. Essa affermò che il giudice d'appello era tenuto a disporre una nuova audizione dei testimoni qualora ritenesse necessario procedere a una nuova valutazione della loro credibilità e a una nuovo accertamento dei fatti. Ora, nella fattispecie, secondo l'alta giurisdizione, la corte d'appello di Torino non aveva interpretato in modo diverso le dichiarazioni dei testimoni, la cui versione dei fatti non era mai stata messa in discussione. Inoltre, per quanto riguarda l'obbligo di sentire personalmente i ricorrenti, la Corte di cassazione affermò che la possibilità per l'imputato di rendere dichiarazioni spontanee in ogni stato del dibattimento (articolo 494 del codice di procedura penale - CPP) e il diritto di essere l'ultimo a prendere la parola nella discussione (articolo 523 del CPP) garantivano sufficientemente i diritti della difesa degli imputati.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

18. Il quadro giuridico e la prassi interni in materia di reformatio in pejus delle sentenze di assoluzione pronunciate in primo grado sono descritti nella sentenza Lorefice c. Italia, n. 63446/13, §§ 26-28, 29 giugno 2017.

19. In particolare, la sentenza n. 27620 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione italiana («la Corte di cassazione»), depositata in cancelleria il 6 luglio 2016, ha enunciato il principio secondo il quale il giudice d'appello non poteva annullare una sentenza di assoluzione senza avere prima disposto, anche d'ufficio, ai sensi dell'articolo 603, comma 3, del CPP, l'audizione dei testimoni le cui dichiarazioni sono state decisive (ibidem, § 28). In detta sentenza, l'alta giurisdizione italiana ha affermato che questo principio si applicava anche ai testimoni assistiti, ai coimputati – nello stesso processo o in un procedimento connesso – e all'imputato in persona, di cui il giudice d'appello doveva anche ordinare l'audizione qualora le loro dichiarazioni fossero state decisive per l'assoluzione (punto 8.3). Secondo questa sentenza, l'eventuale rifiuto di sottoporsi ad esame comunicato dall'imputato non aveva alcun effetto sull'ammissibilità dell'appello.

20. Con la sentenza n. 46210 del 2 ottobre 2019, la Corte di cassazione ha anche rammentato il principio secondo cui il giudice d'appello che intendeva riformare un giudizio di assoluzione e ordinava la riapertura dell'istruttoria in applicazione dell'articolo 603 del CPP doveva anche ordinare l'audizione dell'imputato in persona quando le sue dichiarazioni rese in primo grado erano considerate decisive.

21. L'articolo 208 del codice di procedura penale (CPP) riguarda l'esame delle parti. Esso dispone che l'imputato nel processo può essere sentito dal giudice solo se ne fa richiesta o vi acconsente.

22. Dalla giurisprudenza della Corte di cassazione risulta che la mancata presenza dell'imputato alla prima udienza non vale di per sé come una rinuncia da parte dell'interessato ad essere sentito dal giudice d'appello. In effetti, la volontà dell'imputato di non essere sentito dal giudice può essere concepita solo dopo che l'audizione sia già stata ordinata e vale solo per l'udienza in cui tale audizione deve aver luogo (sentenza n. 12544 del 16 febbraio 2016).

23. L'articolo 494 del CPP riguarda le dichiarazioni spontanee rese dall'imputato durante il processo, e recita quanto segue:
«Esaurita l'esposizione introduttiva, il presidente informa l'imputato che egli ha facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione e non intralcino l'istruzione dibattimentale.»

24. Nella sentenza n. 51983 del 6 dicembre 2016 la Corte di cassazione ha affermato che il giudice d'appello che intendeva riformare un giudizio di assoluzione sulla base di una diversa interpretazione delle dichiarazioni spontanee rese dall'imputato ai sensi dell'articolo 494 del CPP non era obbligato a rinnovare l'audizione dell'interessato conformemente all'articolo 603, comma 3, del CPP. Secondo la Corte di cassazione, tali dichiarazioni spontanee, contrariamente alle deposizioni formulate dall'imputato nel corso del suo esame, sono rimesse alla libera scelta dell'imputato, non costituiscono mezzi di prova acquisiti secondo il principio del contraddittorio – non potendo rivolgersi alcuna domanda all'interessato – e non sono acquisibili d'ufficio senza pregiudicare il diritto dell'imputato al silenzio, nonché il suo diritto di difesa.

25. L'articolo 523 del CPP definisce l'ordine di intervento delle parti all'udienza in seguito all'ammissione delle prove, vale a dire prima il pubblico ministero, poi il difensore della parte civile, poi quello della persona civilmente responsabile e infine quello dell'imputato. Le parti possono quindi replicare una sola volta. Secondo l'ultimo comma di detto articolo, «in ogni caso l'imputato e il difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi se la domandano ». Ai sensi dell'articolo 602, comma 4, del CPP, detta disposizione si applica anche ai procedimenti dinanzi al giudice d'appello.

26. L’articolo 597, comma 1, del CPP descrive i punti di cui il giudice d'appello deve avere cognizione:
«1. L'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti.

2. Quando appellante è il pubblico ministero:

  1. se l'appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice può, entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge;
  2. se l'appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lettera a) ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;
  3. se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza.

3. Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado.»

27. In applicazione dell'articolo 601 del CPP, il presidente della corte d'appello ordina senza ritardo la citazione a comparire dell'imputato, indipendentemente dal fatto che l'appello sia interposto dall'imputato o dal pubblico ministero. Il decreto di citazione è considerato nullo e deve essere ripetuto se l'imputato non è correttamente identificato.

IN DIRITTO

I. SULLA RIUNIONE DEI RICORSI

28. Tenuto conto della similarità dell'oggetto dei ricorsi, la Corte ritiene opportuno esaminarli insieme in un'unica sentenza.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

29. I ricorrenti e la ricorrente contestano alla corte d'appello di Torino di aver pronunciato la loro condanna senza averli sentiti direttamente e senza aver esaminato i testimoni a carico. Ritengono che ciò costituisca una violazione dell'articolo 6 della Convenzione.

Essi invocano l'articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale (...) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti (...).»

A. Sulla ricevibilità

30. Constatando che i ricorsi non sono manifestamente infondati, né irricevibili per uno degli altri motivi di cui all'articolo 35 della Convenzione, la Corte li dichiara ricevibili.

B. Sul merito

1. Gli argomenti delle parti

31. I ricorrenti e la ricorrente affermano che la corte d'appello di Torino li ha condannati per il reato di associazione per delinquere, dal quale erano stati assolti in primo grado, dopo aver dato un'interpretazione diversa delle dichiarazioni dei testimoni che erano stati sentiti dal tribunale. Essi aggiungono che questa giurisdizione ha ribaltato completamente il giudizio del tribunale per quanto riguarda la ricorrente, condannandola per la prima volta non solo per il reato di associazione per delinquere, ma anche per il reato di truffa.

32. Secondo i ricorrenti e la ricorrente, anche se la credibilità dei testimoni a carico non è stata direttamente messa in discussione nel processo, la corte d'appello aveva l'obbligo di sentirli direttamente prima di dare una nuova interpretazione delle loro dichiarazioni e di utilizzare tali dichiarazioni come base per la loro condanna. Essi sostengono che tra i testimoni a carico vi erano anche dei periti.

33. Inoltre, i ricorrenti e la ricorrente sostengono che la corte d'appello ha esaminato, in particolare, l'esistenza dell'elemento intenzionale del reato di associazione per delinquere alla luce delle dichiarazioni dei testimoni e, anche, delle loro testimonianze in tribunale. Essi precisano, tuttavia, che il giudice d'appello non ha interrogato direttamente né i testimoni né loro stessi. Essi sostengono che, contrariamente a quanto affermato dal Governo, l'esame della corte d'appello si è basato su elementi di fatto e riguardava questioni di notevole complessità che avrebbero richiesto una valutazione diretta degli elementi a carico.

34. Per quanto riguarda l'argomentazione del Governo secondo cui essi avrebbero rinunciato alla possibilità di chiedere di essere sentiti personalmente dalla corte d'appello, gli interessati indicano che, secondo la giurisprudenza della Corte, gli Stati, in questa materia, devono rispettare l'obbligo positivo di ordinare d'ufficio la produzione di prove orali, anche se gli interessati non hanno presentato una richiesta in tal senso. Inoltre, i ricorrenti ritengono che la possibilità per un imputato di essere l'ultimo a prendere la parola, richiamata nella sentenza della Corte di cassazione, non sia sufficiente a garantire il rispetto del diritto a un processo equo.

35. Il Governo afferma che le conclusioni della corte d'appello si sono basate sull'accertamento dei fatti così come era stato istruito dal tribunale alla luce delle dichiarazioni dei testimoni. Aggiunge che la credibilità di questi ultimi non è mai stata messa in dubbio. Esso sostiene che il tribunale aveva condannato i sei ricorrenti per il reato di truffa poiché riteneva che l'insieme degli elementi di prova a sua disposizione avesse dimostrato che gli interessati avevano agito allo scopo di eludere il regime delle quote latte e di sottrarsi ai relativi obblighi fiscali. Per quanto riguarda la questione se il sistema delle società Savoia e FGR costituisse un'organizzazione di tipo criminale, che, secondo il Governo, era l'unica questione sulla quale il tribunale e la corte d'appello avevano statuito in modo diverso, le dichiarazioni dei testimoni erano, a suo parere, manifestamente prive di pertinenza.

36. In risposta ai ricorrenti che asseriscono di non essere stati sentiti personalmente dalla corte d'appello, il Governo sostiene che il processo in appello si è svolto secondo una procedura orale e pubblica e indica che i ricorrenti avevano quindi avuto ampia possibilità di chiedere alla corte d'appello di essere autorizzati ad esprimersi e a presentare le loro argomentazioni difensive ai sensi dell'articolo 494 del CPP.

2. Valutazione della Corte

  1. Principi generali

37. La Corte rammenta che le modalità di applicazione dell’articolo 6 della Convenzione ai procedimenti di appello dipendono dalle caratteristiche del procedimento in questione; si deve tenere conto del procedimento interno nel suo complesso e del ruolo attribuito alla giurisdizione di appello nell’ordinamento giuridico nazionale (Botten c. Norvegia, 19 febbraio 1996, § 39, Recueil des arrêts et décisions 1996 I).

38. Una giurisdizione di appello, quando è chiamata a esaminare una causa in fatto e in diritto, e a studiare nel complesso la questione della colpevolezza o dell’innocenza, non può, per motivi di equità del processo, deliberare su tali questioni senza una valutazione diretta dei mezzi di prova, comprese le testimonianze decisive che tale giurisdizione deve interpretare per la prima volta in modo sfavorevole per l’imputato (Dan c. Moldavia, n. 8999/07, § 30, 5 luglio 2011, Lazu c. Repubblica di Moldavia, n. 46182/08, § 40, 5 luglio 2016, e Lorefice c. Italia, n. 63446/13, § 36, 29 giugno 2017).

39. La Corte ha inoltre affermato che, anche nell'ipotesi di una corte d'appello dotata di piena giurisdizione, l'articolo 6 non implica sempre il diritto a un’udienza pubblica né, a fortiori, il diritto di comparire personalmente. In materia, occorre tenere conto, fra l’altro, delle peculiarità del procedimento in causa e del modo in cui gli interessi della difesa sono stati esposti e protetti dinanzi alla giurisdizione d'appello, considerate soprattutto le questioni che quest'ultima doveva esaminare e la loro importanza per l'appellante (Hermi c. Italia [GC], n. 18114/02, § 62, CEDU 2006 XII). È anche possibile che l’imputato abbia rinunciato inequivocabilmente al suo diritto di partecipare all’udienza di appello (si veda, tra altre, Kashlev c. Estonia, n. 22574/08, §§ 48 e 51, 26 aprile 2016). Resta comunque il fatto che, quando una giurisdizione di appello deve esaminare una causa in fatto e in diritto e analizzare, nel complesso, la questione della colpevolezza o dell'innocenza, per motivi di equità del procedimento tale giurisdizione non può pronunciarsi in merito alle suddette questioni senza valutare direttamente le testimonianze presentate personalmente dall'imputato che vuole dimostrare di non aver commesso l'atto che costituisce un reato (si vedano, tra altre, Ekbatani c. Svezia, 26 maggio 1988, § 32, serie A n. 134, Constantinescu c. Romania, n. 28871/95, § 55, CEDU 2000 VIII, Dondarini c. San Marino, n. 50545/99, § 27, 6 luglio 2004, Igual Coll c. Spagna, n. 37496/04, § 27, 10 marzo 2009, Lacadena Calero c. Spagna, n. 23002/07, § 38, 22 novembre 2011, e Ghincea c. Romania, n. 36676/06, §§ 40-41, 9 gennaio 2018). A tale riguardo, esiste un collegamento stretto con la giurisprudenza consolidata della Corte che dispone che ogni persona accusata dovrebbe, in linea di principio, essere sentita dal tribunale che deve pronunciarsi sulla sua colpevolezza (Júlíus Þór Sigurþórsson c. Islanda, n. 38797/17, § 33, 16 luglio 2019). Tenuto conto della posta in gioco per l’imputato, la questione è se la corte d’appello potesse, ai fini di un processo equo, esaminare correttamente le questioni ad essa sottoposte senza procedere a una valutazione diretta della prova fornita dall’imputato o dal testimone in questione (ibidem, § 35).

40. Inoltre, la giurisprudenza della Corte relativa a tale questione, considerata nel suo complesso e nel suo contesto, opera una distinzione tra i casi nei quali una giurisdizione di appello che ha annullato una sentenza di assoluzione senza sentire direttamente la testimonianza sulla quale era fondata l’assoluzione ha effettivamente proceduto a una nuova valutazione dei fatti, e le situazioni nelle quali la giurisdizione di appello era in disaccordo con la giurisdizione di grado inferiore soltanto sull’interpretazione di una questione di diritto e/o sulla sua applicazione ai fatti già accertati (si veda Júlíus Þór Sigurþórsson, sopra citata, §§ 36 e 37 e la giurisprudenza citata).

41. Pertanto, in alcune cause la Corte ha concluso che non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione dopo avere constatato che la giurisdizione di appello aveva condannato i ricorrenti dopo avere riveduto l’interpretazione di una questione puramente giuridica e senza riesaminare i fatti così come erano stati provati in primo grado (Bazo González c. Spagna, n. 30643/04, § 36, 16 dicembre 2008, Keskinen e Veljekset Keskinen Oy c. Finlandia, n. 34721/09, § 39, 5 giugno 2012, Leș c. Romania (dec.), n. 28841/09, §§ 18 22, 13 settembre 2016, e Dumitrascu c. Romania, n. 29235/14, 15 settembre 2020).

42. La Corte rammenta inoltre che, quando è necessaria la valutazione diretta della testimonianza dell’imputato in base ai principi sopra citati, la giurisdizione di appello è tenuta ad adottare misure positive a tale scopo, anche se il ricorrente non ha assistito all’udienza, non ha chiesto di essere autorizzato a prendere la parola dinanzi a tale giurisdizione, e non si è opposto, tramite il suo avvocato, a che quest’ultima emetta una sentenza sul merito (Botten, sopra citata, § 53, e Júlíus Þór Sigurþórsson, sopra citata, § 38).

43. Invece, un ricorrente non può lamentare una violazione del suo diritto a un processo equo se ha rinunciato espressamente e inequivocabilmente al suo diritto di essere sentito dalla corte d’appello, purché abbia avuto la possibilità di presentare tutte le sue argomentazioni difensive (Lamatic c. Romania, n. 55859/15, §§ 48 e 62, 1° dicembre 2020). La Corte rammenta a tale proposito il principio secondo il quale né il testo né lo spirito dell'articolo 6 della Convenzione impediscono a una persona di rinunciare spontaneamente, espressamente o tacitamente, alle garanzie di un processo equo (Hermi, sopra citata, § 73, e Murtazaliyeva c. Russia [GC], n. 36658/05, §§ 117 e 118, 18 dicembre 2018).

44. Infine, gli Stati contraenti godono di un ampio margine discrezionale nella scelta dei mezzi idonei a permettere al loro sistema giudiziario di rispettare gli imperativi dell'articolo 6 della Convenzione. Il compito della Corte consiste nell’esaminare se la via seguita abbia condotto, in una determinata controversia, a risultati compatibili con la Convenzione, tenuto conto anche delle circostanze specifiche del caso, della sua natura e della sua complessità (Taxquet c. Belgio [GC], n. 926/05, § 84, CEDU 2010). La Corte deve esaminare se il procedimento considerato complessivamente, tenuto conto anche della modalità in cui sono stati presentati i mezzi di prova, sia stato equo (si vedano, tra molte altre, Teixeira de Castro c. Portogallo, 9 giugno 1998, § 34, Recueil 1998‑IV, e Kashlev c. Estonia, n. 22574/08, § 39, 26 aprile 2016).

  1. Applicazione di questi principi nel caso di specie

i. Per quanto riguarda i ricorsi nn. 20973/15, 20980/15 e 24505/15

45. La Corte osserva, anzitutto, che il tribunale di Saluzzo ha condannato per truffa aggravata i sei ricorrenti dei ricorsi nn. 20973/15, 20980/15 e 24505/15 dopo aver sentito vari testimoni. Secondo il giudice di primo grado, le dichiarazioni dei testimoni e le altre prove raccolte avevano dimostrato che gli interessati avevano creato le società cooperative Savoia e FGR e/o avevano aderito alle stesse allo scopo di non versare allo Stato delle somme dovute in caso di superamento delle quote latte imposte dal regolamento (CEE) n. 856/84. Invece, il tribunale ha considerato che il sistema di società in causa non costituiva un'associazione per delinquere punita dal codice penale, e ha assolto i ricorrenti da tale capo di imputazione.

46. La Corte osserva, inoltre, che la corte d'appello di Torino aveva la possibilità, in quanto giudice di appello, di emettere una nuova sentenza sul merito, come ha fatto in data 30 giugno 2011. Questa giurisdizione poteva decidere di confermare o di annullare il giudizio del tribunale, dopo aver proceduto ad una valutazione della responsabilità degli interessati. Per farlo, aveva la possibilità di disporre la riapertura dell'istruzione dibattimentale ai sensi dell'articolo 603 del CPP.

47. La Corte osserva che la corte d'appello, oltre a confermare la condanna dei ricorrenti per il reato di truffa aggravata, ha constatato la loro colpevolezza anche per il reato di associazione per delinquere, annullando in tal modo la sentenza di primo grado su questo punto. La corte d'appello ha fatto riferimento alla giurisprudenza della Corte di cassazione e ha affermato che l'elemento morale di quest'ultimo reato non era costituito soltanto dall'intenzione di commettere una serie di delitti di vario tipo – come a suo parere aveva erroneamente affermato il tribunale – ma anche dall'intenzione di commettere una pluralità di reati dello stesso tipo, ossia, nel caso di specie, una serie imprecisata di frodi. Inoltre, l'elemento materiale del reato di associazione per delinquere era, secondo la corte d'appello, estremamente legato a quello sanzionato dal tribunale sotto la qualificazione di truffa, ossia la costituzione delle società Savoia e FGR, e il loro utilizzo a fini di evasione fiscale. A tale riguardo, la corte d'appello ha evidenziato una lettura incompleta dell'atto di accusa da parte del tribunale (paragrafo 13 supra).

48. La Corte considera che, per condannare per la prima volta i ricorrenti per il reato di associazione per delinquere, la corte d'appello non ha né proceduto a un nuovo accertamento dei fatti, né dato una nuova interpretazione alle dichiarazioni dei testimoni, ma ha effettuato una valutazione diversa degli elementi costitutivi del reato. La Corte osserva che l'esistenza dei fatti ascritti ai ricorrenti è stata accertata dal tribunale sulla base delle prove documentali del fascicolo e delle dichiarazioni dei testimoni – la cui credibilità non è stata contestata dalle parti – e ha comportato fin dal procedimento di primo grado la condanna degli interessati per il reato di truffa. Il fatto che la corte d'appello abbia attribuito una nuova qualificazione giuridica ai fatti già accertati dal tribunale di primo grado, e che sia giunta a una conclusione diversa per quanto riguarda l'esistenza degli elementi costitutivi del reato di associazione per delinquere, oltre a quella di truffa, non può invalidare di per sé tale conclusione (Dumitrascu, sopra citata, § 36).

49. Secondo la Corte, non si può pertanto ritenere che, non procedendo a una nuova audizione dei testimoni a carico, la corte d'appello abbia limitato i diritti della difesa dei ricorrenti nel caso di specie. Del resto, gli interessati non hanno fornito elementi che la portino a pensare che una nuova audizione dei suddetti testimoni sarebbe stata utile nella valutazione dei punti in questione.

50. La Corte deve ora determinare se le questioni per le quali era stata adita la corte d'appello potessero effettivamente risolversi, ai fini di un processo equo, senza una valutazione diretta delle testimonianze rese personalmente dai ricorrenti.

51. Per quanto riguarda anzitutto il ruolo della corte d’appello e la natura delle questioni che doveva esaminare, la Corte osserva in primo luogo che, in applicazione dell’articolo 597 del CPP, tale giurisdizione è competente per emettere una nuova sentenza sul merito dopo aver analizzato la causa in fatto e in diritto e avere proceduto a una valutazione globale della colpevolezza o dell’innocenza degli interessati. Nei limiti dei motivi di appello presentati dalle parti, essa può decidere di confermare o di annullare il giudizio del tribunale, se del caso tramite l’assunzione di nuove prove ai sensi dell’articolo 603 del CPP. Inoltre, essa può modificare la qualificazione giuridica dei fatti e aggravare la misura o il tipo di pena inflitta. Il procedimento ordinario dinanzi alla corte d’appello è pertanto un procedimento disciplinato dalle stesse norme che regolano il processo sul merito, ed è condotto da un organo dotato di piena giurisdizione.

52. La Corte osserva inoltre che, riformando il giudizio del tribunale e deliberando sulla questione della colpevolezza dei ricorrenti per il reato di associazione per delinquere, la corte d’appello ha esaminato anche le intenzioni degli interessati, e si è pronunciata per la prima volta su circostanze soggettive che li riguardano, affermando in particolare che questi ultimi non potevano ignorare, pur non essendo a conoscenza delle questioni giuridiche, che l’attività delle società Savoia e FGR era illegale (paragrafo 13 supra). Secondo la Corte, un tale esame implica, per le sue stesse caratteristiche, una presa di posizione su fatti decisivi per la determinazione della colpevolezza dei ricorrenti (Igual Coll, sopra citata, § 35, e Popa e Tănăsescu c. Romania, n. 19946/04, § 52, 10 aprile 2012). La Corte rammenta che, quando il ragionamento induttivo di un tribunale riguarda elementi soggettivi, non è possibile procedere alla valutazione giuridica del comportamento dell’imputato senza avere precedentemente cercato di dimostrare la realtà di tale comportamento, il che implica necessariamente la verifica dell’intenzione dell’imputato rispetto ai fatti a lui addebitati (Lacadena Calero, sopra citata, § 47).

53. Tenuto conto della portata dell’esame condotto dalla corte d’appello e della posta in gioco per i ricorrenti, la Corte ritiene che le questioni che dovevano essere esaminate dalla corte d’appello richiedessero una valutazione diretta delle dichiarazioni degli imputati (si vedano, a contrario, Kamasinski, §§ 107-108, e Hermi, sopra citata, § 86).

54. La Corte, pertanto, deve stabilire se gli interessati abbiano avuto, nel caso di specie, una possibilità adeguata di essere sentiti e di esporre personalmente le loro argomentazioni difensive dinanzi alla corte d’appello.

55. Essa osserva, anzitutto, che i ricorrenti, che avevano partecipato ai dibattimenti in primo grado e che erano rappresentati dai loro avvocati di fiducia, hanno deciso di non presentarsi alle udienze dinanzi alla corte d’appello sebbene fossero stati citati a comparire nella loro qualità di imputati conformemente alle norme processuali del diritto italiano (paragrafi 12 e 27 supra). Di conseguenza, gli interessati hanno rinunciato inequivocabilmente al loro diritto di partecipare alle udienze dinanzi alla corte d’appello (si veda, mutatis mutandis, Hermi, sopra citata, § 98).

56. Per quanto riguarda la questione se l’assenza degli interessati alle udienze, oltre a costituire una rinuncia al diritto di assistere al dibattimento, costituisse anche una rinuncia da parte loro al diritto di essere sentiti dalla giurisdizione di appello, la Corte ha recentemente affermato che il fatto che un imputato abbia rinunciato al suo diritto di partecipare all’udienza non dispensa di per sé la giurisdizione di appello, che procede a una valutazione globale della colpevolezza o dell’innocenza, dal suo dovere di valutare direttamente gli elementi di prova presentati personalmente dall’imputato che si dichiara innocente e che non ha espressamente rinunciato a prendere la parola (Júlíus Þór Sigurþórsson, sopra citata, § 33, e si veda, a contrario, Lamatic, sopra citata, § 45). In queste circostanze, spetta alle autorità giudiziarie adottare tutte le misure positive idonee a garantire l’audizione dell’interessato, anche se quest’ultimo non ha assistito all’udienza, non ha chiesto di essere autorizzato a prendere la parola dinanzi alla giurisdizione di appello e non si è opposto, tramite il suo avvocato, a che quest’ultima emetta una sentenza sul merito (si vedano, tra altre, Botten, sopra citata, § 53, Ghincea, sopra citata, § 48, e Júlíus Þór Sigurþórsson, sopra citata, § 38).

57. A questo riguardo, la Corte osserva con interesse che la Corte di cassazione italiana si è espressa in maniera conforme ai principi sopra menzionati quando ha affermato che il fatto di essere contumace all’udienza non poteva essere interpretato come una rinuncia dell’imputato al diritto di essere sentito dal giudice di appello purché il giudice non avesse ordinato l’audizione e non fosse stata fissata un’udienza a tale scopo (paragrafo 21 supra). Nel diritto italiano, infatti, la citazione a comparire alla prima udienza ordinata ai sensi dell’articolo 601 del CPP non corrisponde a una convocazione del giudice ai fini dell’audizione. A tale riguardo, la Corte non può che constatare che la ricorrente del ricorso n. 20903/15, seppur presente all’udienza, non è stata comunque sentita dalla corte d’appello (si veda il paragrafo 12 supra).

58. Di conseguenza, non si può affermare che i ricorrenti abbiano espressamente rinunciato, nel caso di specie, al loro diritto di essere sentiti dalla corte d’appello, dato che, anche secondo il diritto interno, una tale rinuncia sarebbe stata possibile unicamente se fosse stata ordinata un’audizione e soltanto se gli interessati non avessero acconsentito o non si fossero presentati all’udienza fissata per l’audizione.

59. Inoltre, dalle osservazioni del Governo risulta che i ricorrenti avrebbero potuto liberamente avvalersi dell’articolo 494 del CPP, il che è descritto come una possibilità adeguata per gli imputati di essere sentiti dalla corte d’appello. A questo proposito, la Corte osserva che le dichiarazioni spontanee regolate da tale disposizione rientrano nella libera scelta dell’imputato, il quale ha la possibilità di esprimersi liberamente in qualsiasi momento senza che il giudice e le altre parti al processo possano porgli domande, in virtù del suo diritto di rimanere in silenzio e di non contribuire alla propria incriminazione (paragrafi 22 e 23 supra). Ora, la Corte non è convinta che la possibilità per l’imputato di fare tali dichiarazioni possa soddisfare l’obbligo che ha il giudice di sentire personalmente l’interessato su fatti e questioni determinanti per l’accertamento della sua eventuale colpevolezza. Essa considera irragionevole affermare che, per assicurare la sua difesa, un imputato prenda la parola di sua iniziativa e scelga di esprimersi su fatti per i quali è stato assolto in primo grado. La Corte ha già avuto occasione di osservare che un imputato non ha alcun interesse a chiedere che gli elementi di prova relativi a fatti per i quali è stato assolto in primo grado siano riesaminati dal giudice di appello (Cipleu c. Romania, n. 36470/08, § 39, 14 gennaio 2014, e Ghincea, sopra citata, § 41). Essa rammenta ancora una volta che spettava al giudice di appello adottare misure positive a tal fine (paragrafo 56 supra).

60. Su quest’ultimo punto, la Corte osserva che la Corte di cassazione ha affermato che il giudice di appello che decide di annullare una sentenza di assoluzione e che, per farlo, ordina la riapertura dell’istruzione in applicazione dell’articolo 603 del CPP e l’audizione dei testimoni (nella procedura di esame) è altresì tenuto a ordinare l’audizione dell’imputato in persona nella misura in cui le dichiarazioni di quest’ultimo sono decisive (paragrafi 19 e 20 supra). Secondo la Corte, la corte d’appello aveva la possibilità di riaprire l’istruzione e ordinare l’audizione dei ricorrenti allo scopo di offrire loro una possibilità adeguata di esprimersi a proposito, soprattutto, dell’elemento intenzionale del reato di associazione per delinquere, questione che era di fondamentale importanza per stabilire la loro eventuale colpevolezza per il reato indicato.

61. Invece, per quanto riguarda l’argomentazione della Corte di cassazione secondo la quale il fatto che l’imputato sia l’ultimo a prendere la parola sarebbe sufficiente (paragrafo 17 supra), la Corte ha già affermato molte volte che, anche se il diritto dell’imputato di essere l’ultimo a parlare è sicuramente importante, tale diritto non può essere confuso con il suo diritto di essere sentito, durante il dibattimento, da un tribunale (Constantinescu, sopra citata, § 58, e Spînu c. Romania, n. 32030/02, § 58, 29 aprile 2008).

62. Visti il procedimento seguìto nel suo complesso, il ruolo della corte d’appello e la natura delle questioni da esaminare, la Corte conclude che il fatto che la condanna per il reato di associazione per delinquere sia intervenuta senza che i ricorrenti abbiano potuto esporre, nell’ambito di un esame dinanzi alla corte d’appello, le loro argomentazioni riguardanti dei fatti determinanti per l’accertamento della loro eventuale colpevolezza, non è, salvo rinuncia da parte loro, compatibile con il principio del processo equo ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

ii. Per quanto riguarda il ricorso n. 20903/15

63. La Corte osserva che, contrariamente ai ricorrenti dei ricorsi nn. 20973/15, 20980/15 e 24505/15, la sig.ra Maestri è stata assolta in primo grado da tutti i capi di imputazione a suo carico. Il tribunale ha considerato che le dichiarazioni dei testimoni e gli altri documenti del fascicolo avevano dimostrato che la ricorrente si era limitata a tenere la contabilità delle società seguendo le direttive degli amministratori e, pertanto, non aveva svolto un ruolo attivo nell’attività delle società Savoia e FGR.

64. La Corte osserva anche che la corte d’appello ha annullato la sentenza emessa in primo grado e si è discostata dal parere del tribunale in merito all’interpretazione di queste stesse dichiarazioni. La corte d’appello si è pronunciata per la colpevolezza della ricorrente dopo essersi convinta che le testimonianze, in particolare, di M. e C., che avevano descritto in dettaglio le funzioni che svolgeva l’interessata, avevano permesso di dimostrare che quest’ultima aveva avuto un ruolo proattivo nella gestione delle società (paragrafo 14 supra). Secondo la Corte, non vi sono dubbi sul fatto che le questioni che la corte d’appello di Torino doveva esaminare prima di decidere di annullare il giudizio di assoluzione e di condannare l’interessata non potevano, ai fini di un processo equo, essere esaminate in maniera appropriata senza una valutazione diretta delle testimonianze, a carico, di M. e C., tenuto conto soprattutto del valore probante di queste ultime.

65. La Corte osserva, inoltre, che la ricorrente, pur essendo presente alle udienze, non è stata sentita dalla corte d’appello e, pertanto, è stata privata, così come i ricorrenti, della possibilità di esporre le proprie argomentazioni in merito a fatti determinanti per l’esame della sua colpevolezza (si vedano i paragrafi 59-62 supra).

66. La Corte considera, pertanto, che non procedendo a una nuova audizione dei testimoni a carico e della ricorrente in persona prima di annullare il giudizio di assoluzione di cui quest’ultima aveva beneficiato in primo grado, la corte d’appello ha sensibilmente limitato i diritti della difesa dell’interessata.

67. Le considerazioni che precedono sono sufficienti per permettere alla Corte di concludere che, considerato nel suo complesso, il procedimento penale nei confronti della ricorrente è stato iniquo.

iii. Conclusione

68. Pertanto, nei presenti ricorsi vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

69. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione:

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

70. I ricorrenti chiedono la somma di 50.000 euro (EUR) ciascuno per danno morale, e chiedono anche che la loro condanna per il reato di associazione per delinquere sia annullata, considerando che solo l’annullamento costituirebbe una riparazione adeguata della violazione della Convenzione.

71. Il Governo contesta tale richiesta.

72. Per quanto riguarda la misura generale specifica richiesta dai ricorrenti, la Corte rammenta che spetta in primo luogo allo Stato in causa scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, quali mezzi utilizzare nel proprio ordinamento giuridico interno per adempiere all’obbligo previsto dall’articolo 46 della Convenzione alla luce delle circostanze particolari della causa (si veda, tra altre, Öcalan c. Turchia [GC], n. 46221/99, § 210, CEDU 2005-IV). In questo contesto, la Corte rammenta tuttavia di avere già affermato che, quando un privato è stato condannato all’esito di un processo che non ha soddisfatto le esigenze dell’articolo 6 della Convenzione, un nuovo processo, o una riapertura del procedimento su richiesta dell'interessato, costituisce in linea di principio un mezzo idoneo per porre rimedio alla violazione constatata.

73. Inoltre, la Corte accorda a ciascun ricorrente la somma di 6.500 EUR per danno morale.

B. Spese

74. I ricorrenti chiedono delle somme, calcolate sulla base del tariffario nazionale, per il rimborso delle spese che affermano di avere sostenuto nell'ambito del procedimento condotto dinanzi alla Corte.

75. Il Governo contesta tali richieste.

76. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, poiché i ricorrenti non hanno prodotto alcuna fattura o parcella, la Corte respinge la domanda da essi formulata in tal senso.

C. Interessi moratori

77. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Decide di riunire i ricorsi;
  2. Dichiara i ricorsi ricevibili;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare a ciascun ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 6.500 EUR (seimilacinquecento euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto l'8 luglio 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Renata Degener
Cancelliere

Ksenija Turković
Presidente

ALLEGATO

Elenco delle cause

N.

Ricorso n.

Nome della causa

Presentato il

Ricorrente

Anno di nascita

Luogo di residenza

Rappresentato da

1.

20903/15

Maestri c. Italia

24/04/2015

Cristina MAESTRI

1962

Viadana

Avv. Andrea SACCUCCI

2.

20973/15

Bedino e altri

c. Italia

24/04/2015

Antonino BEDINO

1966

Scarnafigi

Celestino GILETTA

1951

Cavallerleone

Francesco ROBASTO

1946

Moretta

Gianfranco TARICCO

1956

Fossano

Avv. Andrea SACCUCCI

3.

20980/15

Robusti c. Italia

24/04/2015

Giovanni ROBUSTI

1951

Torre de’ Picenardi

Avv. Andrea SACCUCCI

4.

24505/15

Maero c. Italia

14/04/2015

Denis MAERO

1972

Saluzzo

Avv. Andrea SACCUCCI