Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell'1°dicembre 2009 - Ricorso n. 24418/03 - Stolder c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Ombretta Palumbo

Abstract
CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI - VIOLAZIONE DELL’ART. 8 CEDU RELATIVO AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE SOTTO IL PROFILO DELLA LIBERTÀ DI CORRISPONDENZA, POICHÉ IL CONTROLLO ESERCITATO SULLA CORRISPONDENZA AI SENSI DELL’ART. 18 DELLA LEGGE N. 354 DEL 1975, NEL TESTO PREVIGENTE ALLE MODIFICHE INTRODOTTE CON LA LEGGE N. 95 DEL 2004, CONTRASTA CON IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ.

Fatto. Ricorsi proposti ai sensi degli artt. 3, par. 1, (proibizione della tortura), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 6 (diritto ad un equo processo sotto il profilo del diritto di accesso ad un tribunale) e 13 (diritto ad un ricorso effettivo) CEDU, per la sottoposizione al regime di detenzione speciale previsto dall’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975, sottoposizione prorogata più volte con reiterati provvedimenti. Tra le limitazioni personali con essi disposte vi era anche il controllo della corrispondenza dei ricorrenti.


Diritto. La Corte ha preliminarmente ricordato che la materia del regime di detenzione speciale e del controllo della corrispondenza era stata affrontata nella sentenza Ospina Vargas c. Italia del 14 ottobre 2004 e che, nella sentenza Ganci c. Italia del 30 ottobre 2003, aveva preso atto del mutato orientamento della Corte di cassazione in tema di interesse a ricorrere contro i provvedimenti in materia di detenzione speciale. Infatti, con la sentenza n. 4599 del 2004, la Cassazione italiana aveva riconosciuto l’interesse del detenuto ad una decisione sul merito dell’impugnazione anche una volta scaduto il termine di efficacia del provvedimento impugnato.
Circa la dedotta violazione dell’art. 8, la Corte ha ritenuto di non doversi discostare dall’orientamento già adottato con la sentenza Labita c. Italia del 6 aprile 2000, secondo il quale il controllo della corrispondenza disposto ai sensi dell’art. 18 della legge n. 354 del 1975, nel testo previgente alle modifiche introdotte con la legge n. 95 del 2004 contrasta con il principio di legalità non essendo definiti presupposti e durata delle misure di controllo, né risultando sufficientemente chiare l’estensione e le modalità di esercizio del potere di controllo.

Per tali motivi, la Corte ha quindi constatato la violazione dell’art. 8 CEDU.
Nelle cause Salvatore Piacenti e Annunziata la Corte ha ritenuto manifestamente non fondate le doglianze relative alla dedotta violazione degli artt. 3 (sotto il profilo dei trattamenti inumani e degradanti), 6 e 13 (con riferimento al diritto di accesso ad un tribunale e di un ricorso effettivo avverso il provvedimento di sottoposizione al regime speciale e della sua proroga) e 8 CEDU (quanto alle restrizioni ed alle modalità di visita dei familiari).

Più articolata ed ampia è stata la trattazione della causa Stolder, sebbene la Corte sia giunta alle medesime conclusioni circa le violazioni dedotte. In particolare, con il primo motivo di ricorso, il sig. Stolder invocava l’art. 3 della Convenzione, sostenendo che il suo stato di detenzione costituisse un trattamento disumano e degradante. Sulla questione, la Corte ha ricordato che affinché un maltrattamento possa ricadere nell’ambito dei trattamenti inumani vietati dall’art. 3 è necessario che presenti un minimo di gravità, il cui apprezzamento ha, di per sé, margini relativi e dipende da un insieme di fattori quali la durata del trattamento, gli effetti fisici e mentali, il sesso, l’età, e lo stato di salute della vittima. Sebbene l’applicazione prolungata di certe restrizioni possa porre il detenuto in una situazione di trattamento disumano e degradante, ai sensi dell’art. 3 CEDU, i giudici hanno affermato che non è possibile fissare un termine massimo di sottoposizione a tale regime. Tuttavia, incombe sulla Corte l’onere di verificare se il rinnovo o la proroga delle restrizioni siano sorrette da idonea giustificazione. Nel caso di specie il collegio giudicante ha verificato che il Ministro della Giustizia aveva richiamato, per giustificare la reiterazione dei precedenti provvedimenti di applicazione del regime speciale, la sussistenza delle condizioni che erano alla base della motivazione del primo provvedimento. Il ricorrente, d’altro canto, non aveva fornito elementi idonei per giustificare che il prolungamento del regime di cui all’art. 41-bis avesse causato degli effetti fisici e mentali tali da poter rientrare nel campo di applicazione dell’art. 3 CEDU. Pertanto la Corte, confermando la sua consolidata giurisprudenza in materia, ha ritenuto che le sofferenze o l’umiliazione che il ricorrente ha subito non hanno superato quel livello che, inevitabilmente, comporta una specifica legittima forma di trattamento o di pena.

Ai fini dell’art. 41 CEDU, la Corte ha ritenuto sufficiente compensazione dei danni morali la constatazione di violazione e ha accordato 1.000,00 euro per spese di procedura a ciascuno dei ricorrenti sopra citati.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTO DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA STOLDER c. ITALIA
(Ricorso n. 24418/03)
SENTENZA
STRASBURGO - 1 DICEMBRE 2009

Tale sentenza diventerà definitiva alle condizioni previste dall'articolo 44 § 2 della Convenzione, e potrà subire delle modifiche formali.
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunitasi in camera alla presenza di:
Françoise Tulkens, presidentessa,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nona Tsotsoria,
Kristina Pardalos, giudici,
e di Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 10 novembre 2009,
Pronuncia la seguente decisione, approvata in tal data:

PROCEDIMENTO

1. All'origine della causa vi è un ricorso (n° 24418/03) contro la Repubblica Italiana, presentato alla Corte il 20 giugno 2003 da un cittadino italiano, il sig. Raffaele Stolder («il ricorrente»), ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. Il ricorrente è rappresentato dall’Avv. C. Defilippi, del foro di Parma. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dalla sua agente, E. Spatafora, e dal suo ex coagente, F. Crisafulli.
3. Il ricorrente sosteneva in particolare che le sue condizioni detentive costituivano trattamenti disumani e degradanti e violavano i suoi diritti al rispetto della propria vita familiare e della corrispondenza.
4. Il 29 settembre 2006, la Corte ha deciso di comunicare il ricorso al Governo e, avvalendosi delle norme dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso che la sezione si sarebbe pronunciata contemporaneamente sulla ricevibilità e sulla fondatezza della causa.
5. Sia il ricorrente che il Governo hanno depositato osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 del regolamento).

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE

6. Il ricorrente è nato a Napoli nel 1958. E’ stato condannato per associazione a delinquere ed altri reati. L’insieme delle pene comminate all’interessato ha dato luogo ad un provvedimento di cumulo, emesso il 10 settembre 1999 dal procuratore di Napoli, che fissava in trentun anni la pena da scontare.
7. Dal momento del suo arresto, nel settembre 1992, il ricorrente è stato detenuto in diverse carceri italiane (in particolare Parma, Ascoli Piceno, Sulmona). L’avvocato del ricorrente ha indicato che il suo cliente è stato assegnato ad un settore penitenziario ad elevato indice di vigilanza ai sensi dell’articolo 14 bis OP. Il ricorrente non ha presentato ricorsi in proposito.
8. Il 15 settembre 1992, in considerazione dell’estrema pericolosità dell’interessato, il ministro della Giustizia emise un decreto che imponeva al ricorrente, per un periodo di sei mesi, il regime di carcerazione speciale previsto dall’articolo 41bis, comma 2, della legge sull’ordinamento penitenziario n° 354 del 26 luglio 1975 («la legge n° 354/1975»). Modificata con legge no 356 del 7 agosto 1992, questa norma permetteva di sospendere totalmente o parzialmente il regime detentivo normale in caso fosse richiesto per motivi d’ordine e di sicurezza pubblici. Il decreto imponeva le seguenti limitazioni:
-limitazione delle visite dei familiari (massimo una al mese per un’ora);
-divieto di incontrare terzi;
-divieto di usare il telefono;
-divieto di ricevere o di inviare all’esterno somme di denaro al di là di un ammontare predefinito;
-divieto di ricevere pacchi, ad eccezione di un pacco mensile contenente biancheria;
-divieto di eleggere rappresentanti dei detenuti e di essere eletto come rappresentante;
-divieto di esercitare attività artigianali;
-divieto di organizzare attività culturali, ricreative e sportive;
-divieto di comprare alimenti da cuocere;
-divieto di trascorrere all’aperto più due ore al giorno.
Inoltre, tutta la corrispondenza del ricorrente doveva essere sottoposta a controllo dietro preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
9. L’applicazione del regime speciale al ricorrente fu prorogata di sei mesi in sei mesi fino al mese di dicembre 2002, poi di un anno. Il ricorrente afferma di aver ottenuto una mitigazione del regime nella misura in cui, a partire dal 1997, fu tolto il divieto di comprare alimenti da cuocere, il numero dei pacchi mensili fu portato a due, e il loro contenuto poteva comprendere anche oggetti diversi dalla biancheria; fu autorizzata una chiamata al mese alla famiglia, ascoltata e registrata, nel caso in cui non vi fosse stata la vista mensile della famiglia. Inoltre, a partire dal 1998, fu soppresso il limite di due ore d’aria. Infine, con decisione del Tribunale di Sorveglianza di Ancona del 29 marzo 2004, fu soppressa la durata massima di un’ora per l’incontro mensile con i familiari.
10. Il ricorrente afferma di aver sistematicamente impugnato i decreti dinanzi al competente Tribunale di Sorveglianza, per contestare l’applicazione del regime speciale e per chiedere l’abrogazione delle relative limitazioni. Ottenne delle decisioni giudiziarie che, a volte, mitigavano alcune limitazioni, ma confermavano l’applicazione del 41 bis in quanto erano soddisfatte le condizioni per il mantenimento del regime speciale, alla luce delle informazioni raccolte dalla polizia e dalle autorità giudiziarie sul conto del ricorrente.
Tuttavia, con decisioni del 23 maggio 1994, dell’8 maggio 1995 e del 12 febbraio 2002, il competente Tribunale di Sorveglianza dichiarò il ricorso inammissibile in quanto il decreto impugnato era nel frattempo scaduto.
11. Le parti hanno indicato che, in seguito alla decisione del Tribunale di Sorveglianza di Ancona dell’8 giugno 2006, il ricorrente non era più soggetto al 41 bis.
12. Dai documenti acquisiti al fascicolo risulta che la corrispondenza del ricorrente è stata sottoposta a controllo il 15 e il 27 aprile, il 22 maggio, il 5 giugno, il 17 luglio, il 28 agosto, il 20 dicembre 2000 e poi il 18 aprile e il 22 maggio 2001. Dalla decisione del 14 giugno 2004 del magistrato di sorveglianza di Macerata, risulta che il ricorrente aveva lamentato la mancata consegna di due missive. La sua doglianza fu considerata infondata.
13. Per quanto riguarda le condizioni di salute del ricorrente, dal suo fascicolo medico risulta che nel 1981 aveva subito l’asportazione di une rene; che, in seguito ad una ferita d’arma da fuoco, aveva delle lesioni al fegato; che, in seguito ad una trasfusione, era risultato positivo all’epatite B e C. Soffriva inoltre di epilessia post-traumatica e di cardiopatia. Nel febbraio 2001, subì un esame chirurgico dei vasi sanguigni della gamba sinistra, in seguito ad una diagnosi di trombosi dell’arteria poplitea che aveva comportato un’arteriopatia cronica. Secondo i medici, non era necessario inserirgli un by-pass femorale, in quanto non aveva ischemia critica. Il ricorrente zoppicava. Oltre ai controlli effettuati da specialisti in angiologia e ortopedia, il ricorrente è stato seguito in particolare da un dermatologo, a causa di reazioni allergiche; da uno psichiatra, per depressione ed ansia, e da uno specialista in malattie infettive.

Dal fascicolo risulta che il ricorrente denunciò al Tribunale di Sorveglianza di Ancona il suo stato di salute relativamente al regime detentivo 41 bis. Nella sua decisione del 29 marzo 2004, il Tribunale di Sorveglianza ritenne che non vi fosse un collegamento tra lo stato di salute del ricorrente ed il regime speciale detentivo; in effetti non vi era stata alcuna incompatibilità tra lo stato di salute dell’interessato e la detenzione, e non risultava che le cure fossero insufficienti od inadeguate.
La grave arteriopatia alle gambe e alcuni problemi al menisco gli causarono un’incapacità nel camminare che gli fu riconosciuta come invalidità civile al 50% dalle autorità sanitarie il 31 agosto 2005. Il ricorrente poteva usare per camminare in carcere dei bastoni «canadesi». Il 14 ottobre 2005, le condizioni di salute del ricorrente furono giudicate buone, nonostante le patologie che lo affliggevano. Il 10 novembre 2005, lo psichiatra modificò il trattamento farmacologico in quanto aveva trovato il ricorrente «piuttosto agitato, preoccupato ed ansioso ».
Il 29 dicembre 2005, lo psichiatra trovò il ricorrente «agitato, ansioso, irritabile» e constatò che il suo pensiero era incentrato sulle sue vicende giudiziarie. Nel gennaio 2006, alcuni problemi psichici che portarono il ricorrente a commettere atti di automutilazione furono citati nel fascicolo sanitario.

II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNI PERTINENTI

14. Nella sua sentenza Ospina Vargas, e recentemente nella sentenza Enea, la Corte ha riassunto il diritto e la pratica interni pertinenti relativamente al regime detentivo speciale applicato nella fattispecie e al controllo della corrispondenza (Ospina Vargas c. Italia, no 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004; Enea c. Italia [GC], no 74912/01, §§ 30-42, 17 settembre 2009). La Corte ha altresì menzionato le modifiche introdotte dalla legge n° 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge n° 95 dell’8 aprile 2004 (ibidem).
Tenuto conto di questa riforma e delle decisioni della Corte (Ganci c. Italia, no 41576/98, §§ 19-31, CEDH 2003 XI), la Corte di cassazione si è allontanata dalla propria giurisprudenza e ha ritenuto che un detenuto abbia interesse ad avere una sentenza anche quando il periodo di validità del decreto impugnato è scaduto, e ciò a causa degli effetti diretti della decisione sui decreti successivi al decreto impugnato (Corte di cassazione, prima sezione, sentenza del 26 gennaio 2004, depositata il 5 febbraio 2004, no 4599, Zara).
15. L’assegnamento ad un settore penitenziario E.I.V. è descritto nella sentenza Enea, succitata, §§ 43-47.

IN DIRITTO

I. SULL’ECCEZIONE DEL GOVERNO

16. Il Governo eccepisce l’irricevibilità del ricorso ai sensi dell’articolo 35 § 2 b), nella misura in cui il ricorrente ha presentato i suoi motivi di ricorso al Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti (CPT) del Consiglio d’Europa.
17. Il ricorrente contesta questa tesi.
18. La Corte ricorda di aver già trattato e respinto quest’eccezione in analoghi ricorsi (per esempio, De Pace c. Italia, no 22728/03,
§§ 22-29, 17 luglio 2008), e nella fattispecie non vede alcun motivo per discostarsi da quella conclusione.
19. La Corte quindi respinge l’eccezione espressa dal Governo.

II. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

20. Il ricorrente denuncia l’applicazione nei suoi confronti del regime detentivo previsto dall’articolo 41bis, che secondo lui avrebbe comportato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, che è così redatto:
«Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti.»
21. Il Governo sottolinea la pericolosità del ricorrente che ha giustificato l’applicazione del regime speciale detentivo nei suoi confronti. Le restrizioni imposte al ricorrente dal regime speciale detentivo previsto dall’articolo 41bis non hanno raggiunto il livello minimo di gravità richiesto per rientrare nell’ambito applicativo dell’articolo 3 della Convenzione. Inoltre, queste restrizioni sono state progressivamente ridotte. Il ricorrente non era più soggetto al regime speciale detentivo in seguito ad una decisione del tribunale di sorveglianza dell’8 giugno 2006. Per quanto riguarda le condizioni di salute del ricorrente, le autorità penitenziarie hanno costantemente vigilato sulla sua salute, facendogli effettuare i necessari esami e cure. Infine, il ricorrente non ha fornito prove sull’esistenza di maltrattamenti diversi dalle ordinarie restrizioni previste dall’articolo 41bis della legge sull’ordinamento penitenziario.
22. Il ricorrente rimanda ai rapporti del CPT riguardanti le visite in Italia pubblicati il 27 aprile 2006, il 29 gennaio 2003 ed il 27 gennaio 2000, nonché al rapporto del Commissario ai Diritti dell’Uomo del Consiglio d’Europa pubblicato il 14 dicembre 2005. Il ricorrente fa poi riferimento al suo fascicolo sanitario e contesta il regime 41 bis, senza però criticare la qualità delle cure che gli sono state praticate e senza sostenere che vi sia stato un mancato controllo medico.
23. La Corte ricorda che, stando alla sua giurisprudenza, per rientrare nell’ambito dell’articolo 3 della Convenzione, un maltrattamento deve avere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa per definizione; dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o mentali, nonché, a volte, dal sesso, dall’età e dallo stato di saluto della vittima (Irlanda c. Regno-Unito, 18 gennaio 1978, § 162, série A no 25). In quest’ottica, la Corte deve indagare se l’applicazione prolungata del regime speciale detentivo previsto dall’articolo 41bis – che, tra l’altro, dopo la riforma del 2002, è diventata una norma permanente della legge sull’ordinamento penitenziario – per un periodo superiore ai sei anni nel caso del ricorrente costituisca una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (Labita c. Italia [GC],
no 26772/95, § 119, CEDH 2000 IV).
La Corte riconosce che in generale l’applicazione prolungata di alcune limitazioni può mettere un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento disumano o degradante, ai sensi dell’articolo3 della Convenzione. Tuttavia, non può definire una durata precisa per determinare il momento a partire dal quale si raggiunge la soglia minima di gravità per rientrare nell’ambito dell’articolo 3 della Convenzione. La Corte ha invece il compito di controllare se, in uno specifico caso, il rinnovo e il prolungamento delle restrizioni fossero giustificati (Argenti c. Italia, no 56317/00, § 21, 10 novembre 2005). Ora risulta che ogni volta il ministro della Giustizia si sia riferito, per giustificare il prolungamento delle restrizioni, alla persistenza delle condizioni che motivavano la prima applicazione. Inoltre, i tribunali di sorveglianza hanno controllato l’effettività di queste restrizioni e, eventualmente, queste sono state mitigate. Infine, in seguito alla decisione del tribunale di sorveglianza di Ancona del giugno 2006, il regime in questione non è stato più applicato.
24. La Corte osserva inoltre che il ricorrente non ha dimostrato che le limitazioni a cui è stato soggetto abbiano avuto come conseguenza un peggioramento del suo stato di salute. Il ricorrente, tra l’altro, non ha fornito elementi a sostegno del fatto che l’essere stato soggetto al regime del 41 bis lo abbia privato di un adeguato controllo medico, né ha sostenuto che le cure somministrategli fossero inadeguate.
25. Alla luce degli elementi di cui dispone, la Corte non può concludere che l’applicazione prolungata del regime speciale detentivo previsto dall’articolo 41bis abbia causato al ricorrente effetti fisici o mentali rientranti nella sfera di competenza dall’articolo 3 La sofferenza che il ricorrente ha potuto provare non è quindi andata al di là di quella che una forma data di trattamento – nella fattispecie prolungata – o di pena legittima inevitabilmente comporta (Enea c. Italia [GC], no 74912/01, § 67, 17 settembre 2009, Labita c. Italia, succitata, § 120, e Bastone c. Italia, (dec), no 59638/00, 18 gennaio 2005).
26. Perciò, le condizioni detentive del ricorrente non hanno raggiunto la gravità minima necessaria per rientrare nella sfera di competenza dell’articolo 3 della Convenzione, e questa parte del ricorso deve quindi essere respinta in quanto palesemente infondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

III. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE (DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA)

27. Il ricorrente sostiene che sia stato violato il suo diritto al rispetto della propria corrispondenza, e si appella all’articolo 8 della Convenzione, così redatto nella sua parte pertinente:
«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
2. Non può aversi interferenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto a meno che questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (…), per la sicurezza pubblica, (…), per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, (…).»
28. Il Governo contesta questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

29. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Osserva inoltre che esso non incontra nessun altro motivo di inammissibilità, e deve quindi essere dichiarato ricevibile.

B. Sul merito

30. Il ricorrente lamenta il controllo della propria corrispondenza da parte delle autorità penitenziarie, sostenendo che questo non si basa su una sufficiente base legale.
31. Il Governo si oppone a questa tesi.
32. La Corte constata che vi è stata «ingerenza di un’autorità pubblica» nell’esercizio del diritto del ricorrente al rispetto della sua corrispondenza garantito dall’articolo 8 § 1 della Convenzione. Un’ingerenza di questo tipo viola la norma in questione a meno che, «prevista dalla legge», essa non persegua uno o più scopi legittimi relativamente al paragrafo 2, e, inoltre, non sia «necessaria in una società democratica» al fine di raggiungerli (Calogero Diana c. Italia, 15 novembre 1996, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V, § 28 ; Domenichini c. Italia, 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, § 28 ; Petra c. Romania, 23 settembre 1998, Raccolta 1998-VII, p. 2853, § 36 ; Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 179, CEDH 2000 IV ; Musumeci c. Italia, no 33695/96, § 56, 11 gennaio 2005).
33. Fino al 15 aprile 2004, il controllo della corrispondenza del ricorrente era effettuato in conformità all’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario. La Corte ha in passato più volte affermato che il controllo della corrispondenza secondo l’articolo 18 violava l’articolo 8 della Convenzione in quanto non era «previsto dalla legge» nella misura in cui non specificava né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che potevano giustificare quest’ultime, e non indicava con sufficiente chiarezza l’ampiezza e le modalità di esercizio della discrezionalità delle autorità competenti in quest’ambito (vedi, tra le altre, le sentenze Labita c. Italia, succitata, §§ 175-185; Calogero Diana c. Italia, succitata, § 33; De Pace c. Italia, no 22728/03, § 56, 17 luglio 2008; Enea c. Italia, succitata, §§ 144 e 147). La Corte non vede nella fattispecie alcun motivo per allontanarsi dalla sua giurisprudenza.
34. Alla luce di quanto sopra, nella misura in cui il controllo della corrispondenza del ricorrente acquisita agli atti risale al periodo 2000-2001, esso non era «previsto dalla legge» ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, e questa conclusione rende superfluo verificare nella fattispecie il rispetto degli altri requisiti del paragrafo 2 della stessa norma.
35. Vi è quindi stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

IV. SULLE ALTRE VIOLAZIONI DENUNCIATE

36. Appellandosi all’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente lamenta le limitazioni della vita familiare dovute all’applicazione del regime 41 bis. Dal punto di vista degli articoli 6 e 13, denuncia poi di non aver avuto a disposizione ricorsi interni effettivi avverso le decisioni di applicazione e proroga del regime bis. Tra l’altro, dopo aver comunicato il ricorso, l’avvocato del ricorrente ha denunciato, relativamente all’articolo 6 § 3 della Convenzione, le difficoltà incontrate per raccogliere i documenti pertinenti.
37 Dopo aver esaminato il fascicolo, nella misura in cui le denunce sono state motivate, la Corte non ha rilevato alcuna violazione evidente delle suddette norme, e ritiene quindi che nulla le permetta di allontanarsi dalle conclusioni espresse nelle cause Enea c. Italia ([GC], no 74912/01,
§§ 77-78 e § 131, 17 settembre 2009), Bastone c. Italia ((dec.), no 59638/00, CEDH 2005 II (estratti)), Zagaria c. Italia ((dec.), no 58295/00, 27 novembre 2007), o ancora De Pace c. Italia (no 22728/03, § 49, 17 luglio 2008) e che questa parte del ricorso debba essere respinta ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

V. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

38. Resta aperta la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione. Il ricorrente chiede 200 000 euro (EUR) a titolo di risarcimento per i danni materiali e morali che avrebbe subito. Per quanto riguarda le spese di procedimento dinanzi alla Corte, chiede 20.105,89 EUR.
39. Il Governo contesta queste richieste.
40. La Corte ricorda di aver concluso nella violazione della Convenzione soltanto per quanto attiene al controllo della corrispondenza del ricorrente. La Corte non vede alcun nesso di causalità tra questa violazione e un qualunque danno materiale. Per quanto riguarda i danni morali, essa ritiene che, nelle circostanze della fattispecie, la constatazione di violazione sia sufficiente a risarcirli.
41. Per quanto riguarda le spese del procedimento dinanzi alla Corte, quest’ultima ritiene ragionevole la somma di 1.000 EUR, concessa, eventualmente, insieme agli interessi moratori al tasso d'interesse legale dell’operazione di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile relativamente al motivo riguardante il controllo della corrispondenza ed irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara che questa constatazione di violazione costituisce di per sé un’equa soddisfazione sufficiente a risarcire il danno morale;
  4. Dichiara
    a) che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dal momento in cui la sentenza sarà divenuta definitiva, ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, 1.000 EUR (mille euro) per le spese di procedimento, più qualsiasi altra somma che il ricorrente possa dover pagare a titolo di imposta;
    b) che, dal momento della scadenza di tale termine e fino al versamento, questa somma dovrà essere ricalcolata in base ad un interesse semplice uguale a quello dell’operazione di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Respinge la richiesta di equa soddisfazione per il resto.

Fatto in francese e successivamente comunicato in forma scritta il 1° dicembre 2009 ai sensi dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Sally Dollé
Cancelliera

Françoise Tulkens
Presidentessa