Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 17 giugno 2021 - Ricorso n. . 53729/15 - Causa Di Febo contro Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con la sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA DI FEBO C. ITALIA

(Ricorso n. 53729/15)

SENTENZA

STRASBURGO

17 giugno 2021

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Di Febo c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in un comitato composto da:
Alena Poláčková, presidente,
Péter Paczolay,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Liv Tigerstedt, cancelliere aggiunto di sezione,

Visto il ricorso (n. 53729/15) presentato contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. Guglielmo Di Febo («il ricorrente»), che, il 20 ottobre 2015, ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),

Vista la decisione di informare il governo italiano («il Governo») della doglianza relativa all’equità del procedimento,

Viste le osservazioni delle parti,

Vista la decisione con la quale la Corte ha respinto l’opposizione del Governo all’esame del ricorso da parte di un comitato,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 25 maggio 2021,

Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. Il ricorso riguarda la condanna penale in appello del ricorrente, che era stato assolto in primo grado. La giurisdizione di appello lo ha riconosciuto colpevole senza avere proceduto a una nuova audizione del principale testimone a carico. Il ricorrente invoca l'articolo 6 § 1 della Convenzione.

IN FATTO

2. Il ricorrente è nato nel 1947 e risiede a Montesilvano. È stato rappresentato dall'avv. G. Stellato.

3. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia.

4. Il ricorrente era insegnante in una scuola media. Fu accusato di avere aggredito sessualmente, durante una gita scolastica, C.S., un'alunna che aveva allora tredici anni, e di avere poi avuto con lei per parecchi mesi una relazione sentimentale durante la quale ebbero rapporti sessuali. Il 24 ottobre 2008, il ricorrente fu rinviato a giudizio dinanzi al tribunale di Pistoia.

5. Durante il dibattimento, il tribunale interrogò numerosi testimoni, tra cui C.S. Poiché quest'ultima aveva diciassette anni, fu predisposto un paravento per garantire la sua audizione protetta.

6. Con una sentenza emessa il 26 gennaio 2010 il tribunale di Pistoia assolse il ricorrente, considerando che, sebbene l'esistenza per oltre due anni di una relazione sentimentale di natura erotica tra lui e C.S. fosse stata dimostrata dalle diverse testimonianze e dalle intercettazioni telefoniche effettuate nel corso delle indagini, i due episodi di abusi sessuali che gli erano ascritti nel capo di imputazione, invece, non erano stati dimostrati. Il tribunale ritenne che la versione del ricorrente non fosse credibile, ma osservò che C.S. era l'unica testimone diretta dei presunti abusi sessuali, e che le dichiarazioni fatte da quest'ultima erano state in parte smentite dalle testimonianze di due sue amiche, N.M. e S.L., con le quali si era confidata all'epoca dei fatti. Il tribunale considerò, inoltre, che la versione di C.S. presentava varie incoerenze, che attribuì ai sentimenti che quest'ultima provava per il ricorrente, e alla sua volontà di non nuocergli. Il tribunale considerò che tali incoerenze inficiavano la credibilità di C.S. e che, in queste condizioni, le dichiarazioni di quest'ultima non fossero sufficienti per fondare un giudizio di colpevolezza.

7. La procura interpose appello. Con una sentenza emessa il 21 febbraio 2013, la corte d'appello di Firenze ribaltò la sentenza e condannò il ricorrente, ritenendo che affermare, come aveva fatto il tribunale, che le dichiarazioni di C.S. non erano attendibili in quanto erano state dettate dal timore della ragazza di nuocere al ricorrente, fosse una contraddizione in termini. La corte d'appello ritenne anche che il tribunale non avesse adeguatamente tenuto conto della personalità della ragazza, descritta dai testimoni come molto timida e riservata, tratti che avrebbero spiegato il motivo per cui, per lungo tempo, essa aveva nascosto alle persone a lei vicine la sua relazione con il ricorrente e i rapporti sessuali in causa. La corte considerò inoltre che il tribunale non aveva correttamente interpretato le dichiarazioni di N.M. e di S.L., considerandole degli elementi che inficiavano la credibilità di C.S. Infine, la Corte concluse che l'esame dei tabulati relativi alle intercettazioni telefoniche degli interessati, e il contenuto delle conversazioni e dei messaggi telefonici intercettati, corroboravano le dichiarazioni della giovane vittima e smentivano la versione del ricorrente.

8. La corte d'appello precisò che le sue conclusioni non derivavano da una valutazione diversa della credibilità di C.S., ma da una lettura diversa degli elementi del fascicolo, e che le prove documentali, soprattutto le trascrizioni dei messaggi e delle conversazioni telefoniche intercettate, avevano un ruolo determinante nel suo giudizio. Pertanto, essa osservò che non si poneva, nel caso di specie, alcuna questione di compatibilità con l'articolo 6 della Convenzione, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sua sentenza Dan c. Moldavia (n. 8999/07, 5 luglio 2011).

9. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione, affermando in particolare che la corte d'appello lo aveva dichiarato colpevole basandosi esclusivamente sulle dichiarazioni di C.S., senza averla sentita direttamente.

10. Con una sentenza emessa il 21 maggio 2015, la Corte di cassazione respinse il ricorso, osservando che la corte d'appello aveva cercato di fare una lettura corretta e logica delle dichiarazioni di C.S., che aveva debitamente tenuto conto degli altri elementi di prova, e che aveva considerato che le incertezze del tribunale rispetto alle testimonianze di N.M. e S.L. non erano pertinenti ai fini della valutazione della credibilità della versione della vittima.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

11. Il quadro giuridico e la prassi interni pertinenti nel caso di specie sono descritti nella sentenza Lorefice c. Italia, n. 63446/13, §§ 26 28, 29 giugno 2017.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

12. Il ricorrente lamenta che la corte d'appello di Firenze lo abbia dichiarato colpevole senza avere sentito direttamente il testimone a carico, che il giudice di primo grado aveva ritenuto non credibile. Egli invoca l'articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, è così formulato:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.»

A. Sulla ricevibilità

13. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per uno degli altri motivi di cui all'articolo 35 della Convenzione, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

14. Il ricorrente contesta alla corte d'appello di avere riesaminato i fatti accertati in primo grado e fondato il suo giudizio di colpevolezza sostanzialmente sulla deposizione di C.S., che il tribunale aveva ritenuto non credibile, senza sentire direttamente la ragazza.

15. Il Governo afferma che il ricorrente chiede alla Corte di procedere a una nuova valutazione della causa, ossia di fungere da giudice di «quarto grado di giudizio», e sostiene che non vi è stata una violazione del diritto a un processo equo, poiché la corte d'appello non ha fondato il giudizio di colpevolezza esclusivamente sulle dichiarazioni di C.S., ma su tutti gli elementi di prova disponibili, compresi gli elementi ottenuti per mezzo di intercettazioni telefoniche.

16. La Corte rinvia ai principi generali che regolano le modalità di applicazione dell'articolo 6 della Convenzione ai procedimenti di appello, così come richiamati nelle sentenze Dan c. Moldavia (n. 8999/07, § 30, 5 luglio 2011), Lorefice (sopra citata, § 36), e Tondo c. Italia ([comitato], n. 75037/14, §§ 38-39, 22 ottobre 2020).

17. Nella fattispecie, essa osserva che la corte d'appello di Firenze ha ribaltato il giudizio di assoluzione emesso in primo grado basandosi sulle deposizioni di C.S., presunta vittima e unico testimone degli abusi sessuali denunciati. Ora, il tribunale di Pistoia aveva ritenuto che tali dichiarazioni fossero incoerenti e insufficienti per fondare un giudizio di colpevolezza.

18. Anche se è vero che spettava alla corte d'appello valutare i diversi elementi di prova raccolti, e l'accusa era corroborata soprattutto dal risultato di intercettazioni telefoniche, resta comunque il fatto che la testimonianza di C.S. ha avuto senza dubbio un peso determinante nella condanna del ricorrente, e che la corte d'appello ha proceduto a una nuova interpretazione delle dichiarazioni fatte da questa testimone dinanzi al tribunale. Emettendo un giudizio di colpevolezza senza aver sentito C.S. direttamente, la corte d'appello ha dunque leso in maniera significativa i diritti della difesa.

19. In queste condizioni, la Corte considera che il ricorrente sia stato privato del suo diritto a un processo equo.

20. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

II. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

21. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione:

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

22. Il ricorrente chiede la somma di 500.000 euro (EUR) per danno morale e materiale. Questa somma costituisce, secondo lui, il risarcimento per le conseguenze nefaste che avrebbe avuto sulla sua salute la detenzione da lui scontata a causa della sua condanna.

23. Il Governo contesta tali richieste.

24. La Corte osserva che, nel caso di specie, l'unica base da prendere in considerazione per accordare un'equa soddisfazione sta nel fatto che il ricorrente non ha beneficiato delle garanzie di un processo equo ai sensi dell'articolo 6 § 1 della Convenzione. Essa non ravvisa alcun nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto, e respinge pertanto la domanda formulata in tal senso, accordando tuttavia al ricorrente la somma di 6.500 EUR per danno morale. Invece, poiché il ricorrente non ha chiesto il rimborso delle spese legate al procedimento, la Corte decide di non accordare somme a questo titolo.

25. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi, la somma di 6.500 EUR (seimilacinquecento euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 17 giugno 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Alena Poláčková
Presidente

Liv Tigerstedt
Cancelliere aggiunto