Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell' 11 maggio 2021 - Ricorso n. 44166/15 - Causa Penati contro Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA PENATI c. ITALIA

(Ricorso n. 44166/15)

SENTENZA
 

Art 2 (procedurale) • Procedimento penale efficace sull’infanticidio commesso nel corso di un incontro tra padre e figlio organizzato dall’autorità pubblica
Art 34 • Qualità di vittima della madre rispetto al profilo procedurale dell’art. 2 nonostante quest’ultima abbia ottenuto una somma a seguito della composizione amichevole del procedimento civile • Perdita della qualità di vittima dal punto di vista del profilo materiale

STRASBURGO

11 maggio 2021

DEFINITIVA

06/09/2021

Questa sentenza è divenuta definitiva in applicazione dell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Penati c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Ksenija Turković, presidente,
Krzysztof Wojtyczek,
Armen Harutyunyan,
Pere Pastor Vilanova,
Pauliine Koskelo,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 17 dicembre 2019, l’8 settembre 2020 e il 23 marzo 2021,
Emette la seguente sentenza, adottata in quest’ultima data:

PROCEDURA
1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 44166/15) proposto contro la Repubblica italiana da una cittadina di questo Stato, la sig.ra Antonella Penati («la ricorrente»), che ha adito la Corte il 3 settembre 2015 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. La ricorrente è stata rappresentata dall’avvocato B. Nascimbene, del foro di Milano. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, M.G. Civinini.
3. La ricorrente lamentava una violazione dell’articolo 2 della Convenzione a causa del decesso di suo figlio, F., vittima di un infanticidio commesso da suo padre.
4. Il 9 novembre 2017 il ricorso è stato comunicato al Governo.
5. Inoltre, l’associazione UDI (Unione Donne in Italia) ha presentato delle osservazioni in qualità di terzo interveniente (articolo 36 § 2 della Convenzione e articolo 44 § 3 del regolamento della Corte).

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

6. La ricorrente è nata nel 1963 e risiede a San Donato Milanese.
7. Nel 1999 la ricorrente allacciò una relazione sentimentale con Y.B., un cittadino egiziano, dalla quale nacque un figlio, F, il 19 aprile 2000.
8. Questa relazione in seguito si deteriorò e si concluse nel marzo 2005, motivo per cui Y.B. lasciò la casa familiare.

A. Gli eventi precedenti all’infanticidio di F.

1. Le denunce presentate dalla ricorrente ai carabinieri di San Donato Milanese («i carabinieri»)

a) Le dichiarazioni del 10 aprile 2005

9. Il 10 aprile 2005 la ricorrente si recò dai carabinieri per informarli di aver ricevuto molte telefonate da Y.B., in cui quest’ultimo diceva che voleva vedere suo figlio da solo.

10. Nelle sue dichiarazioni, la ricorrente indicava che non si opponeva a che Y.B. vedesse il bambino, ma chiedeva che gli incontri si svolgessero in ambiente protetto perché temeva che Y.B. potesse adottare dei comportamenti contrari all'interesse di F. La ricorrente riferiva di aver scoperto, in occasione delle pratiche amministrative avviate ai fini del riconoscimento del figlio, che Y.B. era stato condannato penalmente in passato e detenuto per più di otto anni. Precisava che Y.B. era un consumatore abituale di stupefacenti leggeri, che non desiderava rivelare il suo luogo di residenza, che non si era mai preoccupato dei bisogni materiali del bambino e che aveva espresso a quest'ultimo la sua intenzione di portarlo con sé in Egitto.

11. Inoltre, la ricorrente dichiarava che lavorava come assistente commerciale, che era proprietaria della sua casa, e che F. era sereno e frequentava la scuola materna.

12. La ricorrente ribadiva tali dichiarazioni dinanzi al tribunale per i minorenni il giorno dopo.

b) La denuncia del 19 maggio 2005

13. Il verbale relativo a questa denuncia riportava che la ricorrente si era presentata in uno stato di forte agitazione poiché temeva che Y.B. avrebbe rapito F., che in quel momento si trovava con la nonna materna, per portarlo all'estero. Secondo questo documento, la ricorrente aveva dichiarato di aver appreso che Y.B. viveva sotto false generalità e aveva commesso vari reati in Italia. In seguito a tale denuncia, i carabinieri allertarono il commando territorialmente competente affinché fossero effettuati dei controlli a tale riguardo.

14. Inoltre, i carabinieri inviarono al tribunale per i minorenni una nota in cui si segnalava la pessima condotta di Y.B., che aveva numerosi precedenti giudiziari, fra i quali vi erano i reati di associazione a delinquere, ricettazione e furto, nonché dei reati inerenti alla legislazione sugli stupefacenti. I carabinieri precisarono che non era stato possibile reperire Y.B.

c) Le denunce del 2 e dell’11 agosto 2005 e il relativo procedimento penale

15. In occasione di tali denunce, la ricorrente ribadì di essere venuta a conoscenza dei precedenti giudiziari di Y.B. nel momento in cui aveva avviato le pratiche per far riconoscere il figlio. Secondo lei, i reati in questione riguardavano il traffico di stupefacenti ed erano stati commessi in Italia e in Egitto, in un'epoca in cui Y.B. lavorava come guida turistica in questi due paesi.

16. La ricorrente espose le tappe della sua storia familiare come segue: in seguito agli attentati dell'11 settembre 2001, l'attività di Y.B. aveva cominciato ad attraversare una crisi; Y.B. aveva poi avuto un esaurimento nervoso e, per questo, era stato seguito dal medico di base; il suo ex compagno aveva poi lasciato la casa familiare, e un giorno lei lo aveva trovato in un dormitorio di Milano; persuasa che il periodo di crisi fosse legato alla depressione di Y.B., aveva cercato di convincere quest'ultimo a tornare a casa, per il bene del bambino; Y.B. era allora tornato a vivere nella casa familiare nell’ottobre 2004.

17. La ricorrente aggiunse quanto segue: dopo un periodo di calma, Y.B. le aveva chiesto 130.000 euro (EUR) per aprire un bar; di fronte al rifiuto che lei gli aveva opposto si era allora chiuso in se stesso e aveva di nuovo lasciato la casa familiare.

18. La ricorrente proseguì come segue: Y.B. aveva in seguito procurato un telefono cellulare al bambino per poter prendere contatto con lui ogni volta che ne aveva voglia e unicamente su questo dispositivo, in particolare mediante videochiamata; quando questo telefono era spento, Y.B. chiamava insistentemente sul telefono della ricorrente o su quello di sua madre, e minacciava le due donne dicendo loro che, se non fosse riuscito a parlare con il bambino, avrebbe «fatto loro visita», e avvertendole di «tenere il numero dei carabinieri a portata di mano».

19. La ricorrente dichiarò anche che, in occasione di queste telefonate, Y.B. le aveva rivolto delle parole molto volgari e offensive (che indicava in dettaglio nelle sue denunce). Disse di aver sempre informato Y.B. del luogo in cui si trovava il bambino, ma di aver rifiutato che lo incontrasse da solo.

20. La ricorrente riferì anche l'episodio del 19 aprile 2005 (paragrafo 46 infra).
Inoltre, al momento della presentazione della seconda denuncia, la ricorrente indicò che il 9 agosto 2005 aveva ricevuto una telefonata da parte di Y.B. e che, in tale occasione, pur profferendo delle volgarità nei suoi confronti, quest'ultimo aveva pronunciato la seguente frase: «mio figlio è meglio che viva da solo; io ti ammazzo e poi ammazzo anche me, ma mio figlio non deve più vivere con te». Secondo la ricorrente, dieci minuti prima di questa telefonata, Y.B. aveva chiamato F. e gli aveva detto di non avere paura se un giorno fosse rimasto solo e se non avesse più visto il papà e la mamma, perché sarebbe andato a vivere da suo cugino A. (il figlio del fratello della ricorrente).
La ricorrente chiedeva pertanto alle autorità giudiziarie di intervenire affinché Y.B. fosse sanzionato per i suoi comportamenti.

21. Il 13 agosto 2005 i carabinieri trasmisero gli elementi così raccolti alla procura della Repubblica presso il tribunale ordinario di Milano, e li trasmisero anche alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, per informazione.

22. Fu quindi avviato un procedimento penale a carico di Y.B.

23. Nell'ambito di questo procedimento, G.B., madre della ricorrente, fu sentita il 15 marzo 2006. Quest’ultima raccontò che spesso, quando si recava a casa di sua figlia per occuparsi di F., aveva trovato Y.B. addormentato o, se sveglio, molto stordito, come se avesse ecceduto nel consumo di alcol. Fu messa al corrente dal bambino che suo padre litigava spesso con sua madre. Il bambino le aveva detto di essere spaventato perché suo padre urlava sempre con sua madre e un giorno aveva rotto la porta dell'armadio con un pugno.

24. G.B. indicò anche che, negli ultimi due anni, sua figlia le aveva raccontato che, dopo il suo allontanamento dalla casa familiare, Y.B. telefonava spesso a sua figlia e la minacciava, accusandola di avergli sottratto il bambino. Profferiva minacce di morte contro la ricorrente. Nel mese di agosto 2005, Y.B. aveva minacciato di portare il bambino in Egitto dicendo a G.B. che sua figlia non l'avrebbe più rivisto. G.B. sottolineò che sua figlia viveva nel terrore a causa di queste minacce e che, spesso, Y.B. si presentava all'improvviso davanti a casa sua e, a volte, entrava in casa esigendo di vedere il bambino e minacciandola.

25. G.B. raccontò poi l'episodio avvenuto nel giugno 2005 mentre era in vacanza con F. (si veda il paragrafo 60 infra) e quello della visita a Y.B. all'ospedale dopo il coma, circostanza nella quale sua figlia trovò sul cellulare di Y.B. delle foto pornografiche. Riferì che, dopo l'uscita dall'ospedale, Y.B. aveva continuato a minacciare sua figlia di morte e aveva tenuto un comportamento instabile, essendo a volte tranquillo e a volte estremamente aggressivo. Y.B. aveva anche detto al bambino che sua madre era cattiva e che non doveva aveva paura di rimanere da solo, perché sarebbe potuto andare a vivere con suo zio. Quest'ultima conversazione si era tenuta per telefono, con una videochiamata tra Y.B. e F., ragione per la quale sua figlia ne era al corrente. Durante le feste, F. aveva quindi comunicato a sua madre di non voler andare a trovare suo zio, perché temeva che l'avrebbe portato con sé. G.B. raccontò che, a quel tempo, suo nipote aveva paura del padre, che lui lo rifiutava e che, quando suo padre chiamava, lei e sua figlia cercavano di convincerlo a parlargli, ma il bambino non voleva saperne. Quando il bambino rifiutava il contatto, Y.B. si scatenava con urla furiose e nuove minacce, profferite contro la ricorrente per telefono.

26. Un'udienza fu fissata per il 23 marzo 2009 e non ebbe luogo, poiché l'infanticidio e il suicidio di Y.B. si erano consumati il 25 febbraio 2009.

d) La denuncia del 17 agosto 2005

27. In tale occasione, la ricorrente chiese alle forze dell’ordine di mettere in atto tutte le misure necessarie per permetterle di vivere in modo sereno con suo figlio. Dichiarò che continuava ad essere minacciata e insultata per telefono, in particolare a seguito delle sue denunce.

28. Presentò il testo di diversi SMS che Y.B. le aveva inviato, nei quali quest'ultimo esprimeva, tra l'altro, minacce, oscenità e frasi volgari nei suoi confronti, accusandola di impedirgli di vedere il bambino da solo e formulando, in particolare, la seguente intimidazione: «se non vuoi ancora capire dove sta il problema, allora ti farò capire io come vengano risolti per sempre sia per te che per me».

e) La denuncia dell’8 maggio 2006 e il relativo procedimento penale

29. L'8 maggio 2006 la ricorrente sporse denuncia contro Y.B. per violenza fisica e verbale. Dichiarava di essersi presentata al domicilio di Y.B. per trovare un accordo affinché egli vedesse il bambino in modo sereno ed evitasse di presentarsi inaspettatamente a casa sua tenendo dei comportamenti aggressivi. Indicò che Y.B. l'aveva aggredita, prima verbalmente e, dopo, fisicamente, dandole schiaffi, pugni e calci, e che poi si era gettato su di lei cercando di prenderla per il collo. La ricorrente era riuscita a fuggire e si era recata al pronto soccorso di San Donato. Quest’ultima dichiarò, inoltre, che tra le 21.00 e l'1.00 del mattino, mentre lei era al pronto soccorso, Y.B. si era recato più volte al suo domicilio spaventando sua madre ed esigendo di sapere dove lei si trovasse.

30. Indicò anche che il medico del pronto soccorso che l'aveva visitata aveva diagnosticato un trauma contusivo del rachide cervicale guaribile in sette giorni.

31. In seguito a questa denuncia, Y.B. fu accusato del reato di lesioni volontarie lievi. Il procedimento avviato dinanzi al giudice di pace di Milano si concluse con l'estinzione del procedimento, in quanto la ricorrente aveva deciso di ritirare la sua denuncia.

f) La denuncia del 20 dicembre 2008

32. Nel frattempo, il 20 dicembre 2008, la ricorrente si recò dai carabinieri e sporse denuncia per danneggiamento della porta di ingresso della sua abitazione che, secondo lei, era stato commesso da ignoti.

g) Le denunce del 20 e 26 gennaio 2009 e del 1° febbraio 2009

33. Nell'ambito di queste denunce, la ricorrente segnalò che le minacce e le molestie da lei segnalate continuavano, e che la situazione era sempre più insostenibile per la sua sicurezza e per quella di F. Il suo ex-compagno continuava a chiamarla al telefono e a suonare al citofono, giorno e notte (la ricorrente fornì dei dettagli sul giorno e l’ora di ciascuno di questi fatti), avrebbe controllato i suoi movimenti e l'avrebbe seguita in auto.

34. La ricorrente dichiarò, in particolare, che Y.B., che aveva allora il diritto di vedere il bambino solo in occasione degli incontri in ambiente protetto, insisteva per vedere F. da solo, minacciandola se mai si fosse azzardata ad impedirglielo. Reiterava la sua richiesta alle autorità di mettere in atto tutte le misure necessarie idonee a garantire la sicurezza di suo figlio.

35. Essa indicò che, durante le sue innumerevoli telefonate, Y.B. l'aveva minacciata rivolgendole frasi volgari e offensive (che indicò in dettaglio nelle sue denunce) e dicendole che, se non avesse fatto ciò che le ordinava entro una settimana, le avrebbe «fatto togliere il bambino». Ricordò che Y.B. era oggetto di un procedimento penale per minacce di morte profferite nei suoi confronti.

36. La ricorrente riferì anche che, in una telefonata alla quale una persona aveva assistito (P.M., che si era peraltro dichiarato disposto a testimoniare), Y.B. aveva urlato dicendo che voleva il bambino e le aveva chiesto se avesse «preso una decisione».

37. Dinanzi ai carabinieri, la ricorrente denunciò la situazione divenuta ormai un vero e proprio calvario, in quanto, a suo dire, subiva «una estenuante e costante pressione, delle minacce e dei controlli limitativi della sua libertà e di quella di suo figlio». Dichiarò, inoltre, che la sua abitazione era stata oggetto di un tentativo di effrazione da parte di ignoti, che la sua auto era stata danneggiata, che era stata destinataria di disegni pornografici e che aveva ricevuto una telefonata da una persona con la voce mascherata che le avrebbe rivolto delle parole molto sconce.

38. La ricorrente chiese, pertanto, alle autorità di fare in modo che Y.B. non si avvicinasse più al suo domicilio, che era anche quello di suo figlio, e di mettere in atto tutte le misure necessarie per far cessare queste molestie, soprattutto nell'interesse e a tutela di F.

2. La demanda di decadenza dalla responsabilità genitoriale presentata dalla ricorrente, e il suo ritiro

39. Il 12 maggio 2005 la ricorrente dichiarò dinanzi al tribunale per i minorenni che Y.B. si era comportato in modo aggressivo nei suoi confronti, fisicamente e verbalmente, e che soffriva di esaurimento nervoso e di un disturbo bipolare.

40. Dichiarò che il suo ex compagno, quando viveva ancora a casa sua, passava il tempo a bere e a usare droghe leggere, ad impasticcarsi di psicofarmaci, non provvedeva ai bisogni della famiglia e non si occupava della cura del figlio, che si scordava di andare a prendere all'asilo.

41. Aggiunse che aveva cercato in diversi modi di aiutare il suo ex compagno cercando di farlo curare, sostenendolo materialmente e mettendolo anche in contatto con un legale che specificamente si occupava di riabilitazione dopo una condanna penale.

42. La ricorrente chiese al tribunale per i minorenni di dichiarare con urgenza il divieto di espatrio di F., in quanto Y.B. aveva più volte comunicato la sua intenzione di portare il bambino con sé in Egitto, e chiese allo stesso tribunale di ottenere l’affidamento esclusivo del minore, nonché la decadenza dalla responsabilità genitoriale di Y.B.

43. Lo stesso giorno, il tribunale per i minorenni trasmise gli elementi di informazione forniti dalla ricorrente ai servizi sociali del comune di San Donato Milanese, indicando loro che quest'ultima riteneva Y.B. soggetto disturbante e pericoloso per il bambino. Il tribunale chiese ai servizi sociali di inviargli la relazione psicosociale sulla situazione personale e familiare del minore.

44. Il 10 gennaio 2007 la ricorrente ritirò la domanda di decadenza dalla responsabilità genitoriale che aveva formulato nei confronti di Y.B., indicando al riguardo che il bambino aveva espresso il desiderio di incontrare regolarmente suo padre.

45. Inoltre, la ricorrente dichiarò di voler comunque proteggere F. sul piano fisico e psicologico, tenuto conto, da un lato, dei problemi di Y.B. con l'alcol e, dall'altro, delle minacce di quest'ultimo di portare il figlio in Egitto, e dell'esistenza di rischi per il minore di essere esposto a situazioni pericolose, in particolare in relazione ai fotomontaggi a carattere pornografico (paragrafo 59 infra).

3. Le denunce presentate dinanzi al tribunale per i minorenni di Milano («il tribunale per i minorenni»)

a) La lettera del 30 giugno 2005

46. Nell'ambito di questa lettera, di cui la ricorrente inviò una copia a E.T. ed a N.C., rispettivamente psicologa e assistente sociale incaricata del controllo della sua famiglia, la ricorrente denunciava che, il 19 aprile 2005, Y.B. si era presentato a scuola di F. senza avvertire nessuno e che, non avendo trovato il bambino che, secondo sue indicazioni, era a casa di sua madre, Y.B. aveva profferito delle minacce per telefono nei suoi confronti. Aggiungeva che il suo ex-compagno aveva poi chiamato e minacciato sua madre per obbligarla a comunicargli l'indirizzo al quale il minore si trovava.

47. Inoltre, in questo stesso documento, la ricorrente segnalava, tra l'altro, di aver scoperto che il suo ex-compagno organizzava, via Internet, degli incontri sessuali. Allegava alla sua lettera delle fotografie che aveva scaricato, accompagnate dalla descrizione dei servizi proposti da Y.B. Si diceva molto turbata e preoccupata da questa situazione.

b) Il fax inviato al giudice C. del tribunale per i minorenni

48. Il 12 settembre 2005 la ricorrente inviò un fax al giudice C. per fissare un appuntamento e informarlo della sua situazione, che si era fortemente deteriorata negli ultimi due mesi. La ricorrente riferì che in questo periodo aveva subito minacce di morte da parte di Y.B. Chiese quindi di vedere il giudice C. con urgenza, accompagnata dal suo avvocato.

4. Le denunce presentate ai servizi sociali e la valutazione psicologica della ricorrente

a) La denuncia depositata il 19 ottobre 2005

49. Nel frattempo, il 19 ottobre 2005, la ricorrente inviò una denuncia scritta a E.T. e N.C. per informarle dei seguenti fatti: la mattina stessa, alle 8.30, mentre usciva per accompagnare F. a scuola, Y.B. si era presentato davanti a casa sua; aveva preso il bambino con violenza, aveva stretto la sua presa quando lei aveva cercato di avvicinarsi; aveva avuto un atteggiamento aggressivo, e le aveva urlato di stare lontana e di dirgli dove il bambino andava a scuola.

50. L'esito di questi fatti, così come descritto dalla ricorrente, era il seguente: Y.B. aveva alla fine lasciato il bambino; la ricorrente aveva comunque rassicurato quest'ultimo e lo aveva portato a scuola; più tardi, aveva ritrovato le gomme della sua automobile bucate.

51. Nella sua denuncia, la ricorrente indicava che la situazione era estremamente preoccupante in quanto, secondo lei, Y.B. aveva detto al bambino che sarebbe andato a visitarlo a scuola. Essa esortava le autorità ad adottare tutte le misure ritenute utili per la protezione del minore, sostenendo che il pericolo non consisteva soltanto nel rischio di rapimento, ma anche nella preoccupazione e nella paura suscitate da Y.B. nel bambino.

52. Il 21 ottobre 2005 la ricorrente ripeté queste dichiarazioni dinanzi alla polizia in occasione della presentazione di una denuncia. Aggiunse che, a seguito dell'episodio che aveva riferito, Y.B. aveva profferito contro di lei minacce telefoniche del tipo «Stronza..., prima o poi ti ammazzo e poi vado dai carabinieri». Queste minacce sarebbero state peraltro ascoltate dal suo legale, nello studio del quale si sarebbe trovata al momento della loro formulazione, attraverso il viva voce. Nella sua denuncia, la ricorrente chiedeva in particolare la prosecuzione del procedimento penale avviato contro Y.B. e chiese che fossero prese delle misure per la protezione della sua persona e di suo figlio.

53. Il 17 novembre 2005 la polizia informò il procuratore presso il tribunale di Milano che aveva sentito la ricorrente e verificato le generalità di Y.B., e che si attendevano nuove istruzioni.

b) La relazione dei servizi sociali del 12 dicembre 2005

54. A seguito dei colloqui che ebbero con la ricorrente e con Y.B., le assistenti sociali E.T. e N.C. compilarono una relazione, datata 12 dicembre 2005, che fu trasmessa al tribunale per i minorenni. Da questa relazione risultava che l'interessata temeva per la sua sicurezza e per quella di suo figlio.

55. Dalla relazione emergeva anche quanto segue: Y.B. si era presentato una sola volta agli incontri con gli assistenti sociali ed era stato in seguito irraggiungibile, non mostrando così alcuna volontà di collaborare con questi ultimi; nel colloquio che aveva avuto con detti servizi, aveva espresso il desiderio, in ogni caso, di svolgere maggiormente il suo ruolo di padre; aveva anche accusato la ricorrente di non volerlo più lasciare incontrare il bambino da solo e aveva espresso la sua rabbia verso la sua ex compagna, sostenendo che quest'ultima l'aveva usato unicamente allo scopo di avere un figlio e che, in seguito, lei gli aveva reso la vita impossibile.

56. Secondo questa relazione, il tentativo dei servizi sociali di trovare un terreno d'intesa tra la ricorrente e Y.B. era fallito e, dopo gli incontri, Y.B. aveva continuato a fare chiamate alla ricorrente, minacciandola più volte di «farle male».

57. Per quanto riguarda il bambino, la relazione indicava che era ben inserito a scuola, e che parlava di sua madre e di sua nonna, ma non di suo padre.

58. I servizi sociali chiesero una misura di divieto di uscita dal territorio del minore. Quanto alla domanda di decadenza dalla responsabilità genitoriale del padre, essi indicarono che occorreva svolgere altre indagini, in particolare per quanto riguarda i reati commessi da Y.B. in passato e la detenzione alla quale quest'ultimo sarebbe stato sottoposto.

c) La relazione complementare del 6 marzo 2006

59. Il 6 marzo 2006 E.T. e N.C. compilarono una relazione complementare che fu trasmessa al tribunale per i minorenni. Secondo questa relazione, Y.B. era stato ricoverato per un problema cardiaco ed era stato indotto in coma farmacologico. Sempre secondo questo documento, la ricorrente si era recata in ospedale e, in tale occasione, aveva visto delle fotografie di F. sul telefono cellulare di Y.B. sulle quali il bambino era rappresentato, mediante fotomontaggi, accanto a donne nude e organi genitali maschili.

60. Sempre secondo questa relazione, la ricorrente era stata informata da una delle due persone che erano al capezzale di Y.B. e sostenevano di vivere con lui che quest'ultimo aveva numerosi contatti con altre donne attraverso delle «chat», e che aveva parlato di un progetto per andare in Svizzera con una di loro e di portarvi il bambino. La relazione indicava anche che la ricorrente aveva espresso un forte timore che Y.B. potesse farle del male o fare del male al bambino, o che tentasse di allontanarlo dalla casa familiare.

d) La lettera ai servizi sociali del 14 giugno 2006

61. Il 14 giugno 2006 la ricorrente scrisse a E.T. e N.C. in merito all'organizzazione delle vacanze estive. Nella sua lettera, indicava che Y.B. l'aveva ricattata dicendole che «se non avesse ritirato le sue denunce contro di lui, avrebbe commesso un atto folle», che era quindi fortemente preoccupata e che questa situazione la esponeva a una pressione psicologica costante.

e) La relazione di valutazione psicologica di Y.B. e della ricorrente

62. Il 10 novembre 2006 fu redatta una relazione di valutazione psicologica in cui era indicato che Y.B. era affetto da un disturbo della personalità e che la ricorrente soffriva di una nevrosi isterica. La relazione concludeva che era necessario un sostegno psicologico per entrambi i genitori.

f) Le relazioni del 30 novembre e del 24 dicembre 2007

63. Il 30 novembre 2007 l’educatore M.S.1 , che, all'epoca, era incaricato di seguire gli incontri tra Y.B. e F., scrisse una relazione.

64. Da questo documento emergeva quanto segue: Y.B. aveva difficoltà a comprendere le esigenze affettive del minore e a stabilire un rapporto positivo con lui; continuava a chiamare F. con il suo nome di origine araba, «S.», anche se il bambino aveva più volte espresso il proprio scontento a questo riguardo; inoltre, aveva pronunciato frasi aggressive nei confronti dei dipendenti dei servizi sociali, ai quali rimproverava di essere all'origine delle difficoltà relazionali che aveva con suo figlio; F. esprimeva spesso la sua ansia e la sua inquietudine per i suoi rapporti con suo padre, che non viveva comunque in modo sereno.

65. Il 24 dicembre 2007 anche E.T. e N.C. scrissero una relazione, secondo la quale i rapporti tra F. e Y.B. si erano molto deteriorati. La relazione indicava quanto segue: Y.B. aveva chiamato con insistenza un campeggio dove F. e la ricorrente avevano trascorso le vacanze estive, per assicurarsi della loro presenza, e aveva così creato una situazione di tensione; aveva anche parlato al bambino di una gravidanza di sua madre, fatto che aveva messo F. in uno stato di agitazione; aveva inoltre parlato direttamente al bambino dei suoi problemi di salute, senza passare attraverso i servizi sociali, chiedendogli di venire a visitarlo all'ospedale; questa situazione aveva molto preoccupato il minore.

66. Inoltre, da tale relazione, emergeva che Y.B. aveva ammesso dinanzi al tribunale di Milano di aver fatto subire alla ricorrente i maltrattamenti che gli erano addebitati, ma, al contrario, davanti ai servizi sociali aveva negato di aver inflitto questi trattamenti e si era così mostrato poco incline a riconoscere le sue responsabilità.

67. Dalla relazione risultava anche che F. si mostrava preoccupato per suo padre, in particolare per il fatto che quest'ultimo aveva smentito di aver suonato molte volte a casa della ricorrente, e che manifestava sempre di più la sua scarsa di voglia di incontrarlo.

68. I servizi sociali conclusero che non era opportuno aumentare la frequenza degli incontri, e che era comunque necessario che tali incontri continuassero a svolgersi in ambiente protetto.

5. Il decreto di affidamento al comune di F. e il ricorso della ricorrente

69. Nel frattempo, con decreto del 5 febbraio 2007, il tribunale per i minorenni affidò F. ai servizi di assistenza pubblica del comune di San Donato Milanese e stabilì la sua residenza presso la madre.

70. A sostegno della sua decisione, rilevò che Y.B. era affetto da un disturbo della personalità e che la ricorrente soffriva di una nevrosi di tipo isterico. Inoltre, il tribunale per i minorenni incaricò l'azienda sanitaria locale («la A.S.L.») di organizzare degli incontri in ambiente protetto tra il padre e il bambino, e di predisporre un controllo psicologico individuale per il minore e per i suoi genitori. Il tribunale sottolineò che l'eventuale fallimento dell'intervento dei servizi sociali, laddove ascrivibile ad uno dei genitori, «sarebbe stato valutato ai fini dell'adozione di provvedimenti più drastici sulla potestà, a tutela del minore». Infine, ordinò ai servizi sociali di prevedere «i necessari controlli» e «di riferire alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni in caso di pregiudizio».

71. Il 21 marzo 2007 la ricorrente presentò un reclamo dinanzi alla corte d’appello di Milano. In primo luogo, la ricorrente rammentò che, a seguito dell'aggressione fisica subita e denunciata in sede penale e «per timore che F. potesse essere in qualche modo minacciato dal comportamento aggressivo del padre», aveva chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di quest’ultimo. Per quanto riguarda il provvedimento adottato dal tribunale, la ricorrente contestò che quest’ultimo fosse fondato unicamente sulle indicazioni contenute nella relazione psicodiagnostica, secondo le quali soffriva di isteria. A tale scopo la ricorrente produsse un’altra relazione medica che metteva in evidenza la mancanza di affidabilità scientifica di quanto indicato nella relazione.

72. Inoltre, la ricorrente sosteneva che la decisione del tribunale avrebbe dovuto tener conto delle relazioni dei servizi sociali, secondo le quali essa aveva offerto al bambino un contesto positivo per il suo sviluppo e aveva preso nei suoi confronti delle decisioni che si erano sempre rivelate positive per la sua evoluzione. Chiese, pertanto, di ottenere l’affidamento in via esclusiva del bambino e la limitazione dell'intervento dei servizi sociali alla sola regolamentazione, in ambiente protetto, dei rapporti tra padre e figlio.

73. La ricorrente sosteneva inoltre che la personalità di Y.B. era ambigua e complessa e che la relazione del 10 novembre 2006 concludeva che quest’ultimo aveva un «disturbo della personalità» senza tuttavia specificare di quale tipologia di disturbo fosse affetto. Pertanto, l'analisi psicologica di Y.B. avrebbe dovuto essere più approfondita.

74. Con decreto del 31 gennaio 2008, la corte d'appello di Milano confermò il decreto di primo grado, tenuto conto dell'esistenza di rapporti conflittuali tra la ricorrente e il suo ex-compagno e della necessità di garantire al bambino relazioni equilibrate e paritarie con entrambi i genitori. Inoltre, la corte d’appello ritenne necessaria la prosecuzione di un supporto psicologico in favore del minore e di entrambi i genitori.

6. I colloqui della ricorrente con gli psicologi del comune di San Donato Milanese

75. Il 12 dicembre 2008, nel corso di un colloquio con gli psicologi del comune di San Donato Milanese, la ricorrente riferì che Y.B. aveva avuto comportamenti aggressivi e violenti nei suoi confronti e le aveva fatto subire frequenti episodi di molestie. Questo colloquio fu seguito da altri quattro incontri, con i suddetti psicologi, all'inizio del 2009.

76. Così, il 9 gennaio 2009, la ricorrente espresse le sue preoccupazioni per suo figlio e per se stessa di fronte ai comportamenti inquietanti di Y.B. Essa dichiarò che desiderava sentirsi maggiormente protetta, e comunicò la sua angoscia e la sua paura per suo figlio e per se stessa.

77. Il 23 gennaio 2009 la ricorrente manifestò una grande apprensione all'idea che gli incontri tra Y.B. e F. potessero svolgersi liberamente, al di fuori dell'ambiente protetto, in particolare a causa della minaccia di Y.B. di portare il bambino in Egitto, più volte formulata in passato.

78. Il 12 febbraio 2009 la ricorrente indicò di essere seriamente «in cerca di protezione e di tutela per F., e di essere preoccupata che i servizi sociali potessero liberalizzare gli incontri del bambino con suo padre».

79. Il 25 febbraio 2009, giorno dell'infanticidio di F., la ricorrente riferì che Y.B. si era aggirato sotto casa sua la sera precedente e dichiarò di aver avuto molta paura. Disse anche di aver provato a rassicurare il bambino a tale proposito.

B. L’infanticidio

80. Il 25 febbraio 2009, in occasione di un incontro in ambiente protetto organizzato dai servizi sociali nei locali dell'A.S.L. del comune di San Donato Milanese, Y.B. chiese a S.P., unico educatore presente sul posto, al fine di allontanarlo, di andare a bussare alla porta dell'ufficio di un assistente sociale, con il pretesto che doveva parlare con lui.

81. Dopo che questi si fu allontanato, Y.B. tirò fuori una pistola e sparò a breve distanza sulla nuca del bambino. Allertato dal rumore, S.P. tornò immediatamente sul posto. Poiché il minore non era stato colpito mortalmente (F. premeva sulla ferita con le sue mani), l'educatore tentò, invano, di afferrarlo per le braccia per allontanarlo da suo padre.

82. Y.B. allora minacciò S.P., come pure le persone che erano intervenute nel frattempo, con un coltello di venti centimetri, e poi inflisse più di venti coltellate 2 a F., prima di suicidarsi.

83. L'aggressione avvenne intorno alle 16:40 e il bambino morì per le ferite alle 17:37. L'autopsia eseguita sul corpo del bambino mostrò che, durante l'aggressione, il minore aveva tentato di difendersi, come dimostravano le ferite osservate sulle sue mani e sulle sue braccia.

84. Inoltre, dall'autopsia eseguita sul corpo di Y.B. risultò che, al momento dei fatti, quest'ultimo era sotto l'effetto di droghe (cannabis). In particolare, l'autopsia rilevò una quantità di cannabis dieci volte superiore a quella che la comunità scientifica considerava come un indice di consumo cronico. L'autopsia concludeva che, da otto – dieci mesi prima del suo decesso, Y.B. era un consumatore cronico di cannabis.

C. Il procedimento penale

1. Il procedimento di primo grado

a) La denuncia della ricorrente

85. Il 24 marzo 2009 la ricorrente presentò al tribunale di Milano una denuncia per omicidio colposo contro N.C., E.T. e S.P., ai quali rimproverava di non aver messo in atto tutte le misure idonee ad assicurare la protezione della vita di F. Inoltre, chiese al suddetto tribunale di perseguire tutti coloro che avessero potuto avere una responsabilità nella morte del figlio.

86. La ricorrente sosteneva, in particolare, che i servizi sociali avevano continuato a favorire lo svolgimento degli incontri tra F. e Y.B. nonostante le numerose denunce che lei aveva presentato e nonostante gli elementi che attestavano la pericolosità di Y.B. per la sua sicurezza e per quella del bambino. Denunciava anche carenze nella presa in carico di Y.B., che soffriva di un disturbo psicologico, e il fatto che, sebbene i servizi sociali fossero a conoscenza dei problemi di droga di Y.B., non abbiano ritenuto opportuno effettuare alcuna perizia tossicologica al riguardo.

87. La ricorrente sottolineava anche un'inosservanza da parte di S.P. dei suoi obblighi di protezione, in quanto quest’ultimo si era allontanato, anche se brevemente, da F. e da Y.B. Inoltre, deplorava che Y.B. fosse potuto entrare nei locali dell'A.S.L. munito di una pistola e di un coltello.

b) Le audizioni dei testimoni

i. La ricorrente

88. La ricorrente fu sentita il 15 giugno 2009. Dichiarò che la tragica morte di suo figlio avrebbe potuto essere evitata e ricordò che, pochi giorni prima dei fatti, aveva chiamato i carabinieri perché Y.B. l'aveva seguita in macchina mentre era con il bambino. Una volta arrivata davanti casa, Y.B. aveva fermato l'auto in mezzo alla strada e si era avvicinato al bambino. La ricorrente indicò che Y.B. sembrava «fatto», in quanto le sue pupille erano dilatate. Il bambino gli aveva allora chiesto perché si comportava così, poiché gli metteva paura. La ricorrente riferì che una volta arrivata al portone, entrò chiudendo la porta dietro di sé e chiamò subito i carabinieri. Lo stesso giorno, Y.B. aveva infatti cercato di tornare a casa di sua madre, colpendo la porta in modo insistente e chiedendole di parlarle. Sua madre, tuttavia, non aveva aperto, spaventata dalle minacce di morte che aveva ricevuto in precedenza.

89. La ricorrente riferì i numerosi episodi passati di minacce e indicò che la personalità e la pericolosità del padre di suo figlio erano state fortemente sottovalutate.

90. Segnalò anche di essere stata invitata da E.T. e dalla persona che ha effettuato la perizia a non portare avanti la sua domanda di decadenza dalla responsabilità genitoriale poiché, secondo loro, questa domanda avrebbe semplicemente aumentato la conflittualità con Y.B.
ii. Gli altri testimoni sentiti su richiesta del procuratore

91. Il 16 giugno 2009 il procuratore chiese alla polizia di raccogliere altre testimonianze, in particolare del sacerdote che aveva seguito la ricorrente dopo la morte di suo figlio, della direttrice della scuola di F. e delle sue insegnanti, del padre di un compagno di F., del pediatra di quest'ultimo, di M.S., ex educatore del bambino, e degli psicologi che avevano seguito la ricorrente.

92. Il 23 ottobre 2009 la polizia presentò una relazione in cui si affermava in particolare che, secondo tutte le persone sentite, la ricorrente aveva sempre temuto per la propria sicurezza e per quella di suo figlio, perché Y.B. aveva più volte minacciato di rapire il minore e nel periodo anteriore ai fatti, aveva detto alla ricorrente che «se il bambino non poteva stare con lui, non sarebbe stato nemmeno con lei». La ricorrente aveva manifestato a tutti i testimoni il sentimento di non essere realmente ascoltata da E.T. e N.C., aggiungendo che queste ultime la trattavano con superficialità e arroganza e non la ascoltavano. Dalla relazione risultava anche che, secondo la ricorrente, E.T. e N.C. sottovalutavano fortemente la pericolosità di Y.B.

93. In particolare, la direttrice della scuola di F. e le sue insegnanti riferirono che la ricorrente temeva violenze da parte di Y.B., soprattutto un possibile rapimento del bambino, e che la ricorrente aveva chiesto che il bambino venisse consegnato dalla scuola soltanto a lei o a sua madre. Inoltre, questi testimoni indicarono che i servizi sociali non avevano richiesto alcun contatto con la scuola. Emerse anche che sia prima che dopo gli incontri con suo padre, F. mostrava sistematicamente e chiaramente malessere e agitazione. La direttrice osservò in particolare che i contatti con i servizi sociali erano stati inesistenti, mentre invece, in situazioni di bambini affidati a questi servizi, i contatti tra i servizi sociali e la scuola avevano luogo di norma tre volte all'anno.

94. Il padre di un compagno di F., da parte sua, testimoniò di aver assistito ad una telefonata di Y.B. a casa della ricorrente qualche settimana prima dell'infanticidio, nel corso della quale quest'ultimo, in modo fortemente alterato, le diceva «Voglio vedere fino a che punto arrivi, tu non sai dove posso arrivare». Il bambino era stato molto spaventato e si era poi avvicinato a sua madre rassicurandola e dicendole di non preoccuparsi.

95. Il pediatra del bambino aveva riferito che Y.B. era una presenza passiva, che non c'era secondo lui un vero rapporto padre-figlio tra i due. Egli aveva consigliato alla ricorrente di vedere uno psicologo perché, a suo parere, la ricorrente non era isterica e le persone che si occupavano del caso erano fuori strada.

96. Gli psicologi che avevano seguito la ricorrente indicarono, da un lato, di aver segnalato al tribunale per i minorenni che gli incontri tra padre e figlio dovevano essere rallentati poiché Y.B. aveva un atteggiamento manipolatore verso il bambino e si arrabbiava ogni volta che quest'ultimo nominava sua madre. Il bambino aveva manifestato il timore di vedere suo padre, in particolare perché aveva minacciato di portarlo in Egitto. Nelle notti successive agli incontri con suo padre, il bambino era agitato, aveva incubi e aveva episodi di enuresi notturna. Uno degli psicologi della ricorrente tentò più volte di mettersi in contatto con i servizi sociali in merito alla situazione di quest’ultima. Tuttavia, gli fu negato un colloquio perché, secondo i servizi, in quanto terapeuta della ricorrente, lo psicologo «era di parte» e quindi, non obiettivo.

97. L'ex educatore del bambino riferì, da parte sua, che Y.B. era artificioso nei suoi rapporti con i servizi sociali, che non era collaborativo e si relazionava a lui in modo conflittuale. Il suo scopo era infatti quello di ampliare i tempi di visita con F., circostanza che il bambino stesso non era disposto ad accettare, e non sopportava che questa possibilità gli fosse negata. Indicò anche che nessuno gli aveva mai detto di prestare maggiore attenzione per la sicurezza di F., nonostante le minacce di Y.B. di rapirlo.

c) L’integrazione della denuncia della ricorrente

98. Il 19 novembre 2009 la ricorrente presentò un'integrazione della sua denuncia. Chiese, tra l'altro, di indagare maggiormente sull'assenza di S.P., sebbene temporanea, relativamente al controllo e alla protezione del bambino e al suo intervento effettivo al momento dell'aggressione. Chiese anche che fosse fatta luce sull'opportunità di verificare, prima dell'incontro con F., che Y.B. non fosse sotto l'effetto di stupefacenti, tenuto conto dei risultati dell'autopsia. Chiese quindi l'acquisizione della cartella clinica di Y.B. presso l'ospedale e l'audizione di dodici testimoni.

d) La richiesta di archiviazione del caso formulata dal procuratore

99. L'8 febbraio 2011 il procuratore specificò che l'accusa era rivolta contro E.T., N.C. e S.P. e, il 16 febbraio 2011, chiese che fosse disposta l'archiviazione del procedimento. A tale proposito, indicò che E.T e N.C. avevano preso in carico il nucleo familiare dal 2005 e che, con provvedimento del tribunale per i minorenni del 5 febbraio 2007, era stato affidato loro il compito di regolamentare i rapporti tra F. e suo padre. Inoltre, osservò che l'educatore S.P. aveva sostituito l'educatore M.S. nel mese di maggio 2008, e che il suo ruolo era consistito essenzialmente nel monitorare gli incontri settimanali tra padre e figlio.

100. Il procuratore attestò una situazione conflittuale estrema tra i genitori, pur affermando che tale situazione non aveva tuttavia dato luogo, da parte della ricorrente, ad una segnalazione di un potenziale pericolo per l'incolumità del minore rispetto a eventuali comportamenti del padre.

101. Il procuratore rilevò che E.T. e N.C. avevano certamente una posizione di garanzia, e quindi degli obblighi di protezione e di controllo, a tutela del minore. Precisò che, ciò premesso, gli incontri di cui erano responsabili erano «protetti» nel senso che tali incontri dovevano permettere di assicurare la protezione del minore rispetto alla situazione conflittuale che esisteva tra i genitori e non in ragione di una qualsiasi pericolosità del padre nei confronti del figlio. Pertanto, per il procuratore, la morte del bambino non poteva essere considerata come una materializzazione del rischio che le misure di protezione avrebbero dovuto evitare.

102. Il procuratore rilevò anche che nessun elemento sopraggiunto dopo il provvedimento sopra citato del tribunale per i minorenni lasciava presagire un rischio per la sicurezza di F. Secondo lui, la condotta professionale di E.T. e N.C. non era quindi caratterizzata da negligenza colposa e, per quanto riguardava S.P., risultava che quest'ultimo aveva fatto tutto quanto era in suo potere per evitare il decesso di F.

103. Il 4 marzo 2011 la ricorrente propose opposizione avverso la richiesta di archiviazione del procuratore rilevando, in particolare, che quest'ultimo aveva omesso di prendere in considerazione le numerose testimonianze che giustificavano un approfondimento dell'indagine (paragrafi 91 e seguenti supra). Inoltre, non erano stati presi sufficientemente in considerazione il disturbo mentale di Y.B. e le possibili conseguenze comportamentali legate alla sua patologia. Peraltro, la ricorrente sostenne che avrebbe dovuto essere condotta un'indagine supplementare per il fatto che il signor M., psicologo che aveva seguito la ricorrente e Y.B., aveva tentato invano di mettersi in contatto con gli assistenti sociali, «così violando il principio fondamentale dello scambio di informazioni». Inoltre, vi erano molti elementi che provavano che Y.B. era un consumatore abituale di cannabis ed era sotto l'effetto di una notevole quantità di cannabis al momento dei fatti. Questa circostanza avrebbe richiesto anche un ulteriore approfondimento per determinare le responsabilità derivanti da fatti della causa.

e) Le testimonianze raccolte dal difensore della ricorrente

104. Tra il 1° ottobre 2010 e il 12 gennaio 2012, furono sentiti diversi testimoni presso lo studio del legale della ricorrente al fine di raccogliere informazioni, ai sensi dell'articolo 391-bis del codice di procedura penale.

105. E.G.B., una degli psicologi che avevano seguito la ricorrente, dichiarò che la stessa era molto angosciata a causa dei comportamenti di Y.B. e aveva segnalato che quest'ultimo aveva problemi di droga. Segnalò anche che, nella tarda mattinata del 25 febbraio 2007, giorno dell'infanticidio di F., si era svolto un incontro con l'ufficio «Tutela Minori» che aveva avuto ad oggetto la situazione della ricorrente, e disse di avere trasmesso le informazioni riguardanti le angosce di quest’ultima, e che, tuttavia, tali informazioni non furono seguite da alcuna risposta né reazione concreta. Essa ricordava che la ricorrente era «terrorizzata all'idea che gli incontri tra padre e figlio potessero essere liberalizzati». Poiché aveva avuto accesso ai documenti del fascicolo, aveva appreso che Y.B. era affetto da un disturbo della personalità con dei tratti antisociali. Essa indicò che «secondo l'esperienza scientifica, [questo disturbo] era generalmente irrecuperabile e, rispetto ad esso, era sempre presente un rischio di pericolosità sociale».

106. M.P., un amico di famiglia e padre di un bambino che frequentava la stessa scuola di F., riferì che la ricorrente si lamentava del fatto che le autorità interpellate non avevano attribuito sufficiente peso ai «messaggi che aveva lanciato». Segnalò anche che la ricorrente era preoccupata perché Y.B. appariva pericoloso per la salute del bambino, era affetto da disturbi psicologici e aveva precedenti penali per droga.

107. D.D., maresciallo dei carabinieri in servizio all'epoca delle denunce presentate dalla ricorrente, indicò che, su richiesta di quest'ultima, il 20 gennaio 2009, aveva cercato di raggiungere Y.B. per telefono e poi sul posto di lavoro, ma senza successo. Egli fece notare che «poiché erano già aperti dei procedimenti penali, spettava all'autorità giudiziaria prendere provvedimenti a carico di Y.B.». Alla domanda se avesse poi preso contatto con i servizi sociali, D.D. rispose di no, perché non conosceva i nomi degli operatori che si occupavano del caso e non era a conoscenza delle visite protette.

108. S.M., legale della ricorrente fino al 2009, segnalò che quest’ultima gli aveva comunicato più volte la sensazione di non essere debitamente ascoltata e il pericolo esistente per lei e per suo figlio. La ricorrente indicò anche di aver contattato E.T. tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio 2009 per segnalarle che il comportamento di Y.B. era peggiorato, come aveva fatto presente con una denuncia il 20 gennaio 2009. Y.B. aveva di fatto seguito la ricorrente e F. in automobile, aveva minacciato la ricorrente dicendo che «le avrebbe mostrato ciò di cui era capace» e che le avrebbe fatto togliere il bambino. Secondo gli appunti che ancora aveva, la frase pronunciata da Y.B. era la seguente: «se non fai quello che ti dico sarà la fine per nostro figlio». A causa di queste frasi, S.M. aveva contattato E.T. Quest'ultima la invitò tuttavia a verificare la credibilità della ricorrente, e S.M. le chiese quindi di convocare i due genitori per un confronto diretto.

109. S.M. indicò anche a E.T. che, nel suo ruolo di psicologa, avrebbe dovuto andare al di là delle apparenze per capire quale fosse la vera personalità dei due genitori, in particolare tenuto conto della posizione del minore. E.T. le aveva allora chiesto se era a conoscenza del fatto che la ricorrente mostrava F. a suo padre al di fuori degli incontri protetti. S.M. segnalò allora che era successo solo una volta, in una circostanza eccezionale, mentre Y.B. era ricoverato per un grave problema cardiaco e aveva espresso il desiderio di vedere suo figlio.

110. E.T. indicò anche che la ricorrente l'assillava e che aveva solo questo caso nel suo ufficio.

111. Nel mese di dicembre 2008, Y.B. aveva presentato una domanda per modificare le modalità del suo diritto di visita al fine di poter incontrare F. al di fuori dell’ambiente protetto. Tale circostanza aveva fortemente preoccupato la ricorrente, che aveva contattato i servizi sociali per fare in modo che intervenissero affinché tale richiesta non fosse accolta.

112. D.C., un amico e coinquilino di Y.B. dichiarò di aver vissuto con Y.B. dopo che quest'ultimo aveva lasciato l'abitazione della ricorrente. Y.B. gli aveva confidato che il senso della sua vita era di portare il bambino con lui in Egitto e che, per realizzare questo progetto, aveva bisogno di soldi. Quindi lavorava di sera e si era anche registrato su un sito porno proponendosi come escort. Aveva anche spacciato droga per raccogliere la somma necessaria. Egli indicò che, nel periodo della loro convivenza, Y.B. fumava cannabis e hashish tutti i giorni, mattina e sera, e che consumava e spacciava anche altre sostanze.

113. D.C. comunicò anche che, all'uscita dall'ospedale, a causa del suo rapporto più stretto con la ricorrente, Y.B. aveva cambiato atteggiamento con lui, era aggressivo e lo aveva minacciato di morte, era cattivo ed aveva tirato fuori la sua vera personalità. Dopo tre mesi, aveva lasciato l'appartamento e, quando D.C. lo incontrava, appariva magro, pallido, sotto l'effetto di droghe o alcool ed in uno stato alterato.

f) Il rigetto della richiesta di archiviazione e la sentenza di assoluzione

114. Con ordinanza del 27 luglio 2011, il giudice per le indagini preliminari («G.I.P. ») presso il tribunale di Milano respinse la richiesta di archiviazione e chiese al procuratore di formulare l'imputazione nei confronti di E.T., N.C. e S.P. per concorso omissivo colposo in omicidio doloso.

115. Questi ultimi chiesero di essere giudicati con rito abbreviato. Il 3 febbraio 2012 si tenne un'udienza nel corso della quale la ricorrente si costituì parte civile.

116. Con sentenza del 10 febbraio 2012, il giudice per le indagini preliminari assolse E.T., N.C. e S.P., per non aver commesso il fatto. Per pronunciarsi in tal modo, il GIP ritenne in particolare che, anche se non poteva essere contestato che le preoccupazioni della ricorrente erano ben fondate, e che nella fattispecie i servizi sociali avevano fallito nella loro missione, l'esame della causa dovesse essere effettuato in funzione della prevedibilità della materializzazione del rischio.

117. Il giudice ritenne che la decisione di affidare F. all'assistenza pubblica non derivasse dalla necessità di tutelare l'incolumità fisica del bambino, ma piuttosto da quella di garantire «un adeguato sviluppo del bambino in presenza di genitori inadeguati». Osservò, peraltro, che la necessità di tutelare l'incolumità fisica del bambino non era emersa durante il procedimento e che, sebbene il comportamento di Y.B. fosse ambiguo, quest'ultimo aveva mostrato un attaccamento al bambino, che emergeva in particolare dalla testimonianza di D.C., e non aveva mai manifestato intenzioni violente verso suo figlio.

118. Inoltre, il giudice rilevò che il consumo abituale di cannabis da parte di Y.B. non era mai stato segnalato ai servizi sociali, e che il fatto che quest'ultimo si era trovato sotto l'effetto di una quantità importante di stupefacenti al momento dei fatti non poteva pesare sulla situazione di S.P. Quanto al disturbo della personalità di Y.B., il tribunale ritenne che nella perizia non fosse stato fornito alcun dettaglio circa la tipologia della patologia in questione.

2. Il procedimento di appello

119. Il procuratore generale e la ricorrente interposero appello, rispettivamente il 15 e il 21 marzo 2012.

120. Nel suo ricorso, la ricorrente sottolineò, in particolare, che il fatto che Y.B. fosse un consumatore abituale di cannabis era noto alle autorità e che, per di più, quest'ultimo soffriva di un disturbo della personalità. Faceva valere anche il nesso tra consumo di stupefacenti e malattia mentale, in quanto il consumo di droga avrebbe potuto facilitare la perdita di controllo nei comportamenti di Y.B., tenuto conto dei suoi disturbi.

121. Con sentenza del 17 luglio 2013, la corte d'appello inflisse una pena di quattro mesi di reclusione a E.T. Inoltre, condannò quest'ultima al pagamento in favore della ricorrente di una provvisionale di 50.000 EUR.

122. La corte d'appello rilevò, in particolare, che E.T. era responsabile delle decisioni concrete concernenti le modalità di controllo degli incontri e che, nella fattispecie, la stessa aveva omesso di verificare l'evoluzione dei rapporti tra padre e figlio, e di adottare le misure necessarie, soprattutto particolare per quanto riguarda il consumo di cannabis da parte di Y.B., il suo disturbo della personalità, le violenze verso la sua ex-compagna e il suo comportamento minaccioso e aggressivo.

123. Quanto a N.C. e S.P., la corte d'appello ritenne che questi ultimi avessero avuto un semplice ruolo di esecuzione delle decisioni prese da E.T., e, di conseguenza, li assolse.

3. Il procedimento per cassazione

124. Il 28 novembre 2013 la ricorrente, E.T. e il procuratore proposero ricorso per cassazione. Nell'ambito dei loro rispettivi ricorsi, la ricorrente e il procuratore sostenevano, in particolare, che anche N.C. e S.P. erano penalmente responsabili nella causa.

125. La ricorrente faceva valere, in particolare, la pericolosità di Y.B. e la circostanza che quest'ultimo fosse potuto entrare armato nell'A.S.L.

126. Con una sentenza depositata in cancelleria il 6 marzo 2015, la Corte di cassazione accolse il ricorso di E.T., annullò senza rinvio la sentenza della corte d'appello, pronunciò l'assoluzione di E.T. perché il fatto non sussisteva, e confermò l'assoluzione di N.C. e S.P. Secondo la Corte di cassazione, nel caso di specie mancava l'elemento costitutivo della colpevolezza di E.T. In particolare, la Corte suprema rilevò quanto segue:

«Applicando i principi di diritto, ora richiamati, al caso di specie, deve rilevarsi che la valutazione espressa dalla Corte di Appello, circa la posizione di garanzia assunta da [E.T.], rispetto alla sfera del minore [F.], nel riformare la pronuncia assolutoria del primo giudice, risulta vulnerata dalla dedotta violazione di legge, refluente dalla errata selezione degli obblighi impeditivi posti a carico della predetta psicologa. Il Collegio, infatti, nell'analisi della specifica fonte da cui scaturisce, nel caso in esame, l'obbligo giuridico di impedire l'evento, data dal decreto del Tribunale per i Minorenni di Milano del 5.02.2007, confermato in sede di reclamo, è incorso in un insanabile travisamento delle specifiche finalità sottese al decreto di affidamento del bambino al Comune di San Donato Milanese.

Come correttamente evidenziato dal G.i.p. presso il Tribunale di Milano, nella sentenza di primo grado, si deve rilevare che il decreto del Tribunale per i Minorenni del 5 febbraio 2007 derivava non già dalla necessità di tutelare l'incolumità fisica del bambino, ma dall'esigenza di garantire un adeguato sviluppo del minore, in presenza di genitori inadeguati; e che, entro tali confini, doveva essere interpretato l'ambito di controllo demandato all'ente pubblico.

Al riguardo, risultano dirimenti i rilievi che seguono, che discendono dalla conferente analisi del decreto di affidamento, operata dal primo giudice: - il Tribunale per i Minorenni, pur sollecitato da Penati Antonella, non aveva disposto la decadenza di [Y.B.] dalla potestà genitoriale; - tra le molteplici forme di affidamento di [F.] al Comune di San Donato Milanese, il Tribunale per i Minorenni aveva individuato una modalità caratterizzata da interventi di sostegno educativo, scolastico e psicologico a favore del minore; - la regolamentazione dei rapporti tra il bambino e il padre, in uno spazio protetto, era stata formalizzata nella prospettiva della possibile «facoltà di ampliamento, anche in forma non protetta», ricorrendone le condizioni; - proprio la conflittualità che caratterizzava i rapporti all'interno della coppia genitoriale aveva determinato il Tribunale per i Minorenni a prevedere sia l'attivazione di uno spazio di supporto psicologico «individuale» per ciascun genitore, sia l'attivazione di uno spazio di mediazione «tra i genitori».

Sul punto, deve pertanto osservarsi che correttamente il primo giudice ha affermato che la posizione di garanzia assunta dalla psicologa [E.T.], per effetto dell'intervenuto affidamento del bambino al Comune di San Donato Milanese, non contemplava un obbligo di protezione di [F.], rispetto al pericolo di aggressioni fisiche da parte del padre.

A questo punto della trattazione, deve sottolinearsi che neppure può ritenersi che [E.T.], operatrice dei servizi sociali del Comune di San Donato Milanese, sia venuta meno ai controlli che erano stati demandati dal Tribunale per i Minorenni con il richiamato decreto di affidamento, ovvero che vi sia stata una sottovalutazione, da parte della operatrice, di elementi indicativi della possibile aggressività del padre nei confronti del bambino. Preme, al riguardo, rilevare che la Corte di Appello di Milano, con il decreto in data 31.01.2008, nel confermare il provvedimento di affidamento reso dal Tribunale per i Minorenni di Milano, aveva espressamente considerato che la «verifica» della qualità della relazione intercorrente tra padre e figlio doveva essere effettuata dall'Ente affidatario, quale soggetto «terzo», rispetto alla coppia genitoriale; e che tale verifica era finalizzata ad evitare che la disciplina dei rapporti tra padre e figlio venisse rimessa «ai bisogni ed allo stato emotivo della madre, che inizialmente aveva promosso il procedimento chiedendo la decadenza del padre dalla potestà sul minore».

In conclusione, il complessivo tenore dei provvedimenti giudiziari che scolpiscono, nel caso, il contenuto degli obblighi protettivi specificamente gravanti sugli operatori dell'Ente affidatario, evidenzia, in termini di certezza, che le finalità protettive erano orientate – unicamente – al sostengo educativo e psicologico del bambino, a fronte della esasperata conflittualità della coppia genitoriale».

D. Il procedimento civile

127. Nel frattempo, il 14 marzo 2011, la ricorrente e sua madre, G.B., avviarono un procedimento civile dinanzi al tribunale di Milano contro E.T., N.C., S.P., della cooperativa sociale «Libera Compagnia di Arti e Mestieri Sociali» (di seguito, «la cooperativa»), datore di lavoro dell'educatore S.P., e del comune di San Donato Milanese.

128. A seguito della costituzione di parte civile della ricorrente nel procedimento penale (paragrafo 115 supra), con ordinanza del 26 luglio 2012, il tribunale di Milano dichiarò l'estinzione del procedimento civile riguardante E.T., N.C. e S.P. Il procedimento civile proseguì, quindi, unicamente nei confronti della cooperativa e del comune.

129. Con sentenza del 21 giugno 2016, il tribunale respinse la richiesta delle parti ricorrenti. Queste ultime interposero appello.

130. Successivamente, le parti attrici rinunciarono alla loro azione, in quanto il 6 ottobre 2017 era intervenuta una transazione tra di esse. Le parti pertinenti di questa transazione sono formulate come segue:

«Atto di transazione e contestuale rinuncia al procedimento

Tra, da un lato, la sig.ra Antonella Penati (...) e la sig.ra G.B. [madre della ricorrente] (...) e, dall'altro, la cooperativa, il Comune di San Donato Milanese, parti convenute, e [due compagnie di assicurazione], terze parti chiamate a comparire nella causa.

Considerando che:

  1. Dinanzi alla corte d'appello di Milano è pendente la causa R.G. n. 3383/2016, avente ad oggetto la responsabilità per il decesso del figlio [della ricorrente], F.B., ai sensi degli articoli 2043, 2048 e 2049 del codice civile;
  2. In primo grado, N.C., E.T. e S.P. erano parti nella suddetta causa;
  3. Queste parti convenute sono state successivamente escluse dal procedimento con una decisione del tribunale di Milano che dichiarava l'estinzione del procedimento nei loro confronti;
  4. Con sentenza del 21 giugno 2016, il tribunale ha respinto le richieste delle parti attrici;
  5. È stato interposto appello;
  6. Tutte le parti attualmente presenti nella causa ritengono opportuno chiudere il contenzioso di cui sopra per via extra-giudiziaria, senza che si possa dedurre alcuna ammissione di responsabilità per i fatti oggetto della causa da parte del Comune di San Donato Milanese e della cooperativa. [Le parti menzionate] giungono quindi a tale accordo esclusivamente in una prospettiva pro bono pacis;
  7. Le parti ritengono che, per ragioni funzionali, l'accordo sopra menzionato esplichi i suoi effetti anche nei confronti delle parti escluse (...).

Articolo 1: Oggetto [della transazione]

1.1 Le [due compagnie di assicurazione] si impegnano a versare la somma di 50.000 EUR a favore della sig.ra Antonella Penati e, nello stesso tempo, rinunciano alla ripetizione della somma di 50.000 EUR che è già stata versata a quest'ultima nell'ambito dell'esecuzione provvisoria della sentenza della corte d'appello penale di Milano del 17 luglio 2013, successivamente annullata dalla Corte di cassazione (...).

1.2 La sig.ra Antonella Penati accetta l'offerta di 50.000 EUR e la rinuncia alla ripetizione della provvisionale di 50.000 EUR e dichiara di non avere più alcuna pretesa a qualsiasi titolo, ragione o causa, anche se non ancora invocata, nei confronti del Comune, della cooperativa e dei rispettivi soci, amministratori, dipendenti o collaboratori, compresi N.C., E.T. e S.P., nonché di [due compagnie di assicurazione], essendo stata soddisfatta e [chiusa] ogni pretesa da parte sua. In particolare, la parte attrice rinuncia a qualsiasi tipo di azione, domanda, pretesa e/o diritto, che può anche essere collegato in modo occasionale all'oggetto del contenzioso e a qualsiasi altro tipo di domanda correlata o collegata.

1.3 Con la sottoscrizione del presente contratto la sig.ra Antonella Penati, il Comune di San Donato Milanese, la cooperativa e le [due compagnie di assicurazione] dichiarano di rinunciare agli atti del contenzioso in appello alle seguenti condizioni.

Articolo 2 Cessazione della materia del contendere

Il Comune di San Donato Milanese, la cooperativa (...) dichiarano di rinunciare agli atti del contenzioso alle seguenti condizioni.

Articolo 3 Riservatezza

Il Comune di San Donato Milanese, la cooperativa da un lato e la sig.ra Antonella Penati e la sig.ra G.B. dall'altro si impegnano a non rivelare a terze persone i termini e il contenuto del presente accordo, fatta eccezione per il caso del perseguimento degli obiettivi fissati o previsti dalla legge, nonché dell'esercizio del diritto di difesa e di protezione, anche in relazione agli obblighi previsti dall'articolo 3 sub 3.5.

3.2 Il Comune di San Donato Milanese, la cooperativa da un lato e la signora Antonella Penati e la signora G.B. dall'altro si impegnano a non divulgare le informazioni relative alla transazione una volta avvenuta.

3.3 Il Comune di San Donato Milanese e la cooperativa da un lato e la sig.ra Antonella Penati e la sig.ra G.B. dall'altro, nell'esercizio del loro diritto di parola e di critica, garantiti dalla Costituzione, si impegnano a dare atto della verità dei fatti, quale risulta dalla sentenza della Cassazione penale passata in giudicato e dalla sentenza di primo grado impugnata dalla sig.ra Penati e passata in giudicato in seguito alla rinuncia all'appello.

3.4 La Sig.ra Antonella Penati e la Sig.ra G.B. si impegnano a non fare, pubblicare o distribuire dichiarazioni di contenuto denigratorio o lesivo dell'onore o dell'immagine della cooperativa, dei suoi amministratori, dipendenti o collaboratori, compreso S.P., nonché del Comune di San Donato Milanese dei suoi amministratori, dipendenti o collaboratori, compresi N.C. e E.T., rispetto ai fatti oggetto della causa.

3.5 In ogni caso la Sig.ra Antonella Penati si impegna a non prendere iniziative che possano ledere la reputazione o il percorso professionale delle persone indicate nell'articolo 3.4, o di qualsiasi altro dipendente o collaboratore del Comune di San Donato Milanese che sia coinvolto, direttamente o indirettamente, nei fatti di causa.

Articolo 4 Riserva d'azione

La sig.ra Antonella Penati si riserva ogni e qualsiasi facoltà in merito alle eventuali responsabilità che dovessero sorgere, anche davanti a un giudice diverso dal giudice italiano, imputabili a singoli, enti o istituzioni diversi da quelli che sono parte o nominati nel presente accordo.

Articolo 5 Rinuncia all'azione

La sig.ra G.B. (...) rinuncia a qualsiasi azione nei confronti di N.C., E.T., S.P., del Comune di San Donato Milanese, della cooperativa e dei rispettivi soci, amministratori, dipendenti e collaboratori per reclamare il risarcimento del danno o qualsiasi altra somma a titolo contrattuale, extracontrattuale o quasi-contrattuale, in relazione ai fatti oggetto della causa e in particolare in relazione alla morte del nipote, F.B., regolamentando direttamente con la figlia ogni questione finanziaria.

Articolo 6 Penalità

Qualora le Sig.re Antonella Penati e G.B. dovessero non rispettare il divieto di comunicazione e divulgazione di cui all'articolo 3 sub 3.2, 3.3 e 3.4, nonché gli obblighi conseguenti di cui all'articolo 3.5, le stesse dovranno versare alle parti alle quali le informazioni si riferiscono (...) una penale pari al 5 % della somma loro attribuita ai sensi dell'articolo 1 del presente accordo, per ciascuna delle violazioni (...).

Articolo 7 Accettazione delle rinunce e compensazione delle spese

Tutte le parti dichiarano di accettare le rinunce delle altre parti agli atti del contenzioso e alle domande oggetto del procedimento attualmente pendente dinanzi alla corte d'appello di Milano, con compensazione integrale delle spese (…).»

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

131. Il diritto e la prassi interni pertinenti sono riportati nella sentenza Talpis c. Italia (n. 41237/14, §§ 49-55, 2 marzo 2017).

132. Le disposizioni del codice civile pertinenti nel caso di specie sono formulate come segue:

Articolo 342 bis – Ordini di protezione contro gli abusi familiari

«Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice, (…) può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo 342 ter.»

Articolo 342 ter – Contenuto degli ordini di protezione

«Con il decreto di cui all'articolo 342 bis il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla casa familiare (…) prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro. (...)

Con il medesimo decreto il giudice (…) stabilisce la durata dell'ordine di protezione, (…) che non può essere superiore a sei mesi e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario.
(...) Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l'attuazione, ivi compreso l'ausilio della forza pubblica e dell'ufficiale sanitario.»

133. Inoltre, nella sua disposizione pertinente nel caso di specie, il codice di procedura penale recita:

Articolo 391 bis del codice di procedura penale – Colloquio, ricezione di dichiarazioni e assunzione di informazioni da parte del difensore

(...)

2. Il difensore o il sostituto possono inoltre chiedere alle [persone in grado di riferire circostanze utili] (…) di rendere informazioni da documentare (…).

IN DIRITTO

SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 2 DELLA CONVENZIONE

134. La ricorrente lamenta che le autorità nazionali non hanno rispettato il loro obbligo positivo derivante dall'articolo 2 della Convenzione, in quanto avrebbero omesso di adottare tutte le misure necessarie alla protezione della vita di suo figlio. In particolare, l’interessata denuncia, in questo contesto, le gravi omissioni delle autorità alle quali suo figlio era stato affidato, mettendo comunque in causa in maniera generale i comportamenti dello Stato in quanto tale e nel suo complesso.

135. Dal punto di vista del profilo procedurale dell'articolo 2 della Convenzione, la ricorrente afferma che le autorità interne non hanno condotto indagini volte a fare luce su tutte le circostanze che hanno caratterizzato l'evento tragico in questione, non hanno determinato tutti i fattori che hanno contribuito al decesso del minore e non hanno esaminato l'importanza della carenza del sistema nell’assicurare una reazione immediata e appropriata al pericolo esistente per la salute e la vita del minore F. La ricorrente fa riferimento, in particolare, alle argomentazioni sollevate nell'ambito della sua opposizione alla richiesta di archiviazione della causa (paragrafo 103 supra).

136. L'articolo 2 della Convenzione, nella sua parte pertinente, è così formulato:

«1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge (...)»

A. Sulla ricevibilità

1. Sull'eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

a) Tesi del Governo

137. Facendo riferimento soltanto al profilo materiale della doglianza della ricorrente relativa all'articolo 2 della Convenzione, nelle sue osservazioni del 3 aprile 2018, il Governo osserva quanto segue:

«Se la ricorrente volesse oggi lamentare i provvedimenti adottati ex articolo 336 del codice civile dal tribunale per i minorenni e dalla corte d'appello o la gestione delle denunce penali (…) da parte dei carabinieri di San Donato Milanese, si dovrebbe constatare che la stessa non ha mai dato alle autorità interne la possibilità di porre rimedio alla violazione, né dinanzi al giudice civile né dinanzi al giudice penale, prima di adire la Corte. La causa verte dunque esclusivamente (o soprattutto) sulle lacune dei servizi di sostegno alla famiglia e ai minori da parte dell'amministrazione locale (il Comune di San Donato Milanese) e dei servizi sociali.»

138. Nelle stesse osservazioni, il Governo prosegue osservando:

«Nel nostro caso preciso, tre autorità interne diverse sono intervenute tra marzo 2005 e febbraio 2008: i giudici, le forze dell'ordine, e i servizi sociali. L'azione dei giudici e dei carabinieri non è mai stata messa in discussione dalla ricorrente nei procedimenti interni. A tale proposito si deve ricordare che né il padre né la madre erano stati dichiarati decaduti dalla potestà genitoriale (…) [che] era stata limitata ai sensi dell'articolo 333 del codice civile nel senso che il Comune doveva predisporre un sostegno (educativo, scolastico e psicologico) per il minore e aveva la facoltà di regolamentare gli incontri padre-figlio inizialmente in un ambiente protetto e controllato, con la possibilità, successivamente, di ampliare progressivamente tali incontri anche in forma non protetta. (…) Al di fuori di questo ambito specifico nessuna azione (legittima) era preclusa. Più specificamente, la madre avrebbe potuto proporre un ricorso dinanzi al tribunale per i minorenni per chiedere la modifica delle condizioni, o anche l'esclusione del diritto di visita e altre misure di protezione (decadenza del padre dalla potestà genitoriale, collocamento della madre e del figlio in una struttura protetta). (...)»

139. Nelle sue osservazioni complementari e sull'equa soddisfazione, depositate il 10 luglio 2018, facendo riferimento questa volta a tutto il ricorso, e dunque a entrambi i profili, materiale e procedurale, dell'articolo 2, il Governo aggiunge che la ricorrente non ha esercitato alcuna azione di risarcimento contro lo Stato, presumibilmente responsabile degli atti e delle omissioni degli agenti pubblici nell'esercizio delle loro funzioni. La ricorrente avrebbe inoltre omesso di citare i giudici e i carabinieri per omicidio colposo o per omissione di atti d'ufficio sulla base dell'articolo 328 del codice penale.

140. Nelle sue osservazioni del 10 gennaio 2019, il Governo indica che la domanda con la quale la ricorrente ha richiesto al tribunale di Milano di avviare l'azione penale nei confronti di tutti coloro che avevano potuto avere una responsabilità nel decesso di suo figlio, espressa dall’interessata nella sua denuncia del 24 marzo 2009, corrisponde a una semplice formula di stile e che, al più tardi nella fase di rinvio a giudizio, che riguardava soltanto E.T., N.C. e S.P., era evidente che l'azione penale non poteva continuare nei confronti di altre persone.

b) Tesi della ricorrente

141. La ricorrente indica che la questione dell'esaurimento delle vie di ricorso interne è stata sollevata espressamente dal Governo soltanto nelle sue osservazioni complementari e sull’equa soddisfazione del 10 luglio 2018, e considera che, in questa fase, il Governo non poteva più formulare una tale eccezione.

142. In ogni caso, la ricorrente afferma di avere presentato la sua denuncia non soltanto nei confronti degli operatori dei servizi sociali, ma anche di tutti coloro che potevano essere responsabili del decesso di suo figlio.

c) Valutazione della Corte

143. Per quanto riguarda le argomentazioni del Governo sollevate relativamente ai profili materiale e procedurale dell'articolo 2, e relative alle possibili azioni da intentare contro lo Stato e contro i giudici e i carabinieri in base all'articolo 328 del codice penale, la Corte constata che tali argomentazioni sono state esposte per la prima volta nelle osservazioni complementari e sull'equa soddisfazione e nei commenti.

144. La Corte osserva, invece, che altre argomentazioni, riguardanti soltanto il profilo materiale dell'articolo 2 della Convenzione, sono state sollevate nelle osservazioni sulla ricevibilità e la fondatezza della causa depositate il 3 aprile 2018. La tesi della ricorrente relativa all’impossibilità per il Governo di formulare tale eccezione deve dunque essere respinta per quanto riguarda questa parte delle osservazioni.

145. Il Governo eccepisce, sebbene in maniera piuttosto generale, che la ricorrente non ha lamentato a livello interno il comportamento dei giudici e dei carabinieri, che avrebbe potuto esperire le vie civili o penali e presentare un ricorso affinché fosse dichiarata la decadenza del padre dalla potestà genitoriale, o ottenere di essere collocata con suo figlio in una struttura protetta.

146. In questo contesto, si deve rammentare che le disposizioni dell'articolo 35 § 1 prescrivono l'esaurimento soltanto dei ricorsi relativi alle violazioni dedotte, che siano disponibili e adeguati. Tali ricorsi devono esistere con un grado sufficiente di certezza non soltanto in teoria, ma anche nella pratica, poiché in caso contrario mancherebbero dell'effettività e dell'accessibilità richieste; spetta allo Stato convenuto dimostrare che tali esigenze sono soddisfatte (Vučković e altri c. Serbia (eccezione preliminare) [GC], nn. 17153/11 e altri 29, §§ 69-77, 25 marzo 2014 e McFarlane c. Irlanda [GC], n 31333/06, § 107, 10 settembre 2010). In particolare, spetta al Governo che eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne convincere la Corte che il ricorso era effettivo e disponibile sia in teoria che nella pratica all'epoca dei fatti, ossia che era accessibile, poteva offrire al ricorrente la riparazione di quanto da lui dedotto e presentava prospettive ragionevoli di successo (Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 46, CEDU 2006 II). Inoltre, spetta al Governo giustificare, basandosi sulla giurisprudenza interna, l'evoluzione, la disponibilità, la portata e l’ambito di applicazione del ricorso che invoca (Parrillo c. Italia [GC], n. 46470/11, § 90, CEDU 2015).

147. Nel caso di specie, la Corte constata che il Governo non ha dimostrato di quali ricorsi civili o penali la ricorrente avrebbe potuto concretamente avvalersi, né in quale misura le domande alle quali fa riferimento (la decadenza del padre dalla potestà genitoriale e la domanda di ottenere un collocamento in una struttura) avrebbero potuto porre rimedio alle doglianze della ricorrente. Inoltre, il Governo non cita le fonti del diritto nazionale applicabili, né fornisce alla Corte esempi di giurisprudenza interna pertinente.

d) Conclusione relativa all’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

148. Pertanto, la Corte conclude che l'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo nell'ambito delle sue osservazioni sulla ricevibilità e sul merito della causa soltanto per quanto riguarda il profilo dell'articolo 2 della Convenzione deve essere respinta.

149. La Corte constata, inoltre, che il Governo non poteva più sollevare l'eccezione di mancato esaurimento, relativamente ai profili materiale e procedurale dell'articolo 2, nella fase delle sue osservazioni complementari e sull'equa soddisfazione e nei suoi commenti (Khlaifia e altri c. Italia [GC], n. 16483/12, §§ 51 54, 15 dicembre 2016).

2. Sull’eccezione del Governo relativa alla mancanza della qualità di «vittima» della ricorrente

a) Tesi del Governo

150. Nelle sue osservazioni del 3 aprile 2018 sulla ricevibilità e la fondatezza della causa, facendo riferimento alle cause Calvelli e Ciglio c. Italia ([GC], n. 32967/96, CEDU 2002 I), Powell c. Regno Unito ((dec.), n. 45305/99, CEDU 2000 V) e Vo c. Francia ([GC], n. 53924/00, CEDU 2004 VIII), il Governo afferma che la ricorrente ha rinunciato definitivamente a qualsiasi diritto a un risarcimento a seguito della transazione intervenuta il 6 ottobre 2017 nell'ambito del procedimento civile.

151. A tale riguardo, il Governo precisa nelle sue osservazioni complementari depositate il 10 luglio 2018 che non eccepiva «la sopravvenuta perdita della qualità di vittima della ricorrente», ma considerava soltanto che quest'ultima «ha rinunciato a fare luce sulla portata della responsabilità dei servizi sociali per quanto riguarda il decesso di suo figlio».

152. Tuttavia, nei suoi commenti del 10 gennaio 2019, il Governo argomenta che la transazione sopra menzionata, intervenuta in ambito civile, comporta «l’irricevibilità del ricorso».

b) Tesi della ricorrente

153. La ricorrente indica che, secondo la giurisprudenza della Corte, la perdita della qualità di vittima è subordinata al riconoscimento della violazione da parte delle autorità statali, nonché alla riparazione della violazione subita, condizioni che non sarebbero soddisfatte nel caso di specie.

c) Valutazione della Corte

i. Relativamente al profilo materiale dell’articolo 2 della Convenzione

154. Si deve osservare anzitutto che la ricorrente lamenta la violazione dei due profili, quello materiale e quello procedurale, dell'articolo 2 della Convenzione. Per quanto riguarda il primo profilo, in materia di negligenze imputabili allo Stato, la Corte ha già concluso che, alla luce della composizione amichevole della causa in sede civile, tenuto conto dell'utilizzo dei rimedi interni disponibili, dell'ottenimento di una somma sostanziale a risarcimento, e della rinuncia alla continuazione della causa, non sia più possibile sostenere di essere vittima della doglianza sollevata sotto il profilo materiale dell'articolo 2 e ha pertanto concluso che questa parte del ricorso è irricevibile (si veda Bailey c. Regno Unito (dec.), n. 39953/07, 19 gennaio 2010).

155. Pertanto, la Corte considera che, avendo accettato la somma di 100.000 EUR a titolo di composizione amichevole del procedimento civile avviato nei confronti della cooperativa presso cui S.P. lavorava e del Comune di San Donato Milanese, e avendo rinunciato a qualsiasi tipo di azione nei confronti delle controparti alla transazione, la ricorrente non può più sostenere di essere vittima di quanto da lei dedotto sotto il profilo materiale dell'articolo 2.

156. Questa parte del ricorso è dunque incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione, e deve essere dichiarata irricevibile ai sensi dell'articolo 35 §§ 3 e 4.

ii. Relativamente al profilo procedurale dell’articolo 2 della Convenzione

157. Lo stesso non vale per quanto riguarda il profilo procedurale del suddetto articolo (si vedano Bailey, sopra citata, e Mustafa Tunç e Fecire Tunç c. Turchia [GC], n. 24014/05, § 130, 14 aprile 2015).

158. La Corte osserva che i fatti della presente causa, che riguardano una morte inflitta non intenzionalmente da parte degli accusati, sono simili a quelli delle cause nelle quali le vittime si trovavano sotto la responsabilità delle autorità nazionali. La Corte si riferisce in particolare ai casi di suicidio in carcere (Molga c. Polonia (dec.), n. 78388/12, § 88, 17 gennaio 2017 e Bailey, sopra citata) e di decesso durante il servizio militare (Turgut c. Turchia (dec.), n. 64625/11, 30 agosto 2016).

159. Infatti, la particolarità della presente causa sta nel fatto che, al momento dell’infanticidio, il figlio della ricorrente era stato affidato a un ente statale, il Comune di San Donato milanese, incaricato di organizzare incontri tra padre e figlio in ambiente protetto e di mettere in atto i controlli necessari per evitare qualsiasi pregiudizio (si vedano il paragrafo 70 supra e, mutatis mutandis, la sentenza Branko Tomašić e altri c. Croazia, n. 46598/06, § 10, 15 gennaio 2009, in cui i fatti sono simili a quelli del caso di specie, ma la relazione tra le vittime e l'autore dei fatti non era regolamentata dalle autorità nazionali). L’incontro in contestazione, che ha avuto luogo nei locali pubblici della ASL, era pertanto il risultato di una decisione appartenente soltanto all’autorità pubblica e organizzata esclusivamente da quest'ultima.

160. Le circostanze del caso di specie sono dunque simili a quelle in cui i fatti avvengono «in un’area posta sotto il controllo esclusivo delle autorità o degli agenti dello Stato o in locali più o meno inaccessibili al pubblico, in cui i protagonisti sono reputati essere gli unici che possano, da una parte, conoscere lo svolgimento esatto dei fatti e, dall'altra, avere accesso alle informazioni idonee a confermare o confutare le affermazioni formulate nei loro confronti dalle vittime; pertanto la giurisprudenza della Corte in materia impone, in determinate situazioni, un'applicazione rigorosa dell'obbligo di condurre un'indagine ufficiale, di natura penale, che risponda ai criteri minimi di effettività» (Gençarslan c. Turchia (dec.) n. 62609/12, § 19, 14 marzo 2017).

161. Ora, nelle cause Molga e Turgut rammentate nel paragrafo 158 supra, valutando la qualità di vittima dal punto di vista del profilo procedurale della doglianza relativa all'articolo 2, la Corte ha attribuito un'importanza fondamentale al fatto che le vittime si trovavano sotto la responsabilità dello Stato, e ciò nonostante fosse stata ottenuta una somma in sede civile, che era rilevante soltanto per quanto riguarda il profilo materiale della doglianza.

162. La Corte conclude che il caso di specie rientra in una situazione nella quale la reazione giudiziaria richiesta era di natura penale, e che la ricorrente non ha perduto la sua qualità di vittima in riferimento al profilo procedurale della doglianza da lei sollevata dal punto di vista dell'articolo 2 della Convenzione (si veda Molga, sopra citata, § 79).

163. Inoltre, la Corte osserva che la qualità di vittima della ricorrente deve essere valutata alla luce della doglianza da lei sollevata dal punto di vista del profilo procedurale dell'articolo 2. Ora, la ricorrente non lamenta la responsabilità nel decesso di suo figlio di un determinato individuo o ente, ma denuncia l'inefficacia dell'indagine in senso ampio, in quanto, secondo lei, le indagini non hanno permesso di ricostruire i fatti di causa né di individuarne i responsabili.

164. La Corte è del parere che, considerato da questo punto di vista, l’oggetto della transazione, le cui controparti erano soltanto la cooperativa per la quale lavorava S.P., assolto in sede penale in tutte le fasi del procedimento, e il Comune di San Donato Milanese, non corrisponda alle doglianze presentate dalla ricorrente dinanzi alla Corte. Nell'articolo 4 della transazione, quest'ultima si era del resto riservata il diritto di adire altri giudici oltre a quello italiano «per quanto riguarda le eventuali responsabilità imputabili agli individui, agli enti o alle istituzioni diverse da quelle che fanno parte dell'accordo».

165. In questo contesto la Corte ritiene che, anche se fosse continuato per via contenziosa, il procedimento civile intentato dalla ricorrente, che si era concluso con un rigetto in primo grado ed era pendente in appello, avrebbe potuto difficilmente portare a chiarire tutti i fatti e le responsabilità di causa, come richiesto dall'articolo 2 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Tikhonova c. Russia, nn. 13596/05, § 79, 30 aprile 2014 e Nicolae Virgiliu Tănase c. Romania [GC], nn. 41720/13, § 157, 25 giugno 2019).

166. Infine, si deve osservare che, nelle sue osservazioni complementari del 10 luglio 2018, il Governo ha precisato da parte sua che la rinuncia della ricorrente a qualsiasi diritto di risarcimento a seguito della transazione non comportava di per sé la perdita della qualità di vittima della stessa.
3. Conclusioni sulla ricevibilità del ricorso

167. Pur rammentando le sue conclusioni relative alla irricevibilità della parte del ricorso riguardante il profilo materiale dell'articolo 2 della Convenzione (si veda il paragrafo 155 supra), la Corte constata che la doglianza relativa al profilo procedurale dell'articolo 2 non è manifestamente infondata ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione, e non incorre in altri motivi di ricevibilità. È dunque opportuno dichiararla ricevibile. Inoltre, si deve precisare che solo il procedimento penale, e non quello civile, è in causa nella fattispecie.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

168. La ricorrente ritiene che il fatto che il procedimento penale avviato a seguito della denuncia da lei depositata si sia concluso senza che sia stato individuato alcun responsabile del decesso di suo figlio costituisce una violazione del profilo procedurale dell’articolo 2 della Convenzione.

169. La stessa osserva che l'indagine non è stata approfondita e non ha fatto luce su tutte le circostanze che hanno caratterizzato i tragici eventi allo scopo di individuare i responsabili del decesso di F., avvenuto mentre il bambino si trovava sotto il controllo esclusivo dello Stato. Nelle sue osservazioni complementari del 10 ottobre 2018, rispondendo all'argomentazione del Governo secondo la quale l'interessata non avrebbe esercitato alcuna azione contro lo Stato, omettendo in tal modo di esaurire le vie di ricorso interne, la ricorrente argomenta che non ha esercitato l'azione penale soltanto nei confronti degli assistenti sociali, ma anche di tutti coloro che potevano avere avuto una responsabilità nel decesso di suo figlio. In questo contesto, la ricorrente spiega che, a seguito del deposito della sua denuncia, la procura di Milano ha aperto un fascicolo a carico di ignoti registrato il 2 aprile 2009. Dopo due anni di indagini, la procura ha deciso di muovere delle accuse soltanto nei confronti dei funzionari dei servizi sociali, mentre potevano esistere delle responsabilità anche a carico del Comune di San Donato Milanese, incaricato della protezione del minore, sui magistrati del tribunale per i minorenni, che avevano deciso di affidare il minore al Comune, o sui responsabili delle forze di polizia, ai quali la ricorrente si era rivolta varie volte.

170. Il Governo afferma che la durata del procedimento è stata ragionevole, e che l'indagine è stata effettiva e imparziale. Indica che il procuratore ha partecipato attivamente al procedimento e la polizia ha indagato su tutti gli elementi segnalati dalla ricorrente. Quest'ultima e vari testimoni sono stati sentiti, le autopsie e un rapporto tossicologico sono stati ottenuti nel corso del procedimento, e tutti i documenti pertinenti sono stati esaminati. Pertanto, il profilo procedurale dell'articolo 2 non è stato violato.

171. Il Governo ritiene infine che le osservazioni della terza parte (paragrafi 172 e seguenti infra) siano generiche e prive di fondamento.

2. Osservazioni del terzo interveniente

172. L’associazione UDI indica che, secondo il diritto interno, gli incontri in ambiente protetto mirano a inquadrare le visite tra genitori e figli in situazioni familiari certamente conflittuali, ma non caratterizzate da un contesto di violenza.

173. Il terzo interveniente indica anche che, nel caso di specie, gli incontri sono stati condotti in maniera superficiale, in assenza di perizia psicologica realizzata sul minore, che sarebbe stato evidentemente a disagio, e nonostante le linee guida sui «servizi in materia di diritto di visita e di relazioni» fissate dalla provincia di Milano.

3. Valutazione della Corte

a) Principi generali

174. La Corte rammenta che, avendo l’obbligo di proteggere il diritto alla vita, lo Stato deve anche assicurarsi di disporre, nei casi di decessi o di ferite potenzialmente mortali, di un sistema giudiziario effettivo e indipendente che permetta, a breve termine, di accertare i fatti, di obbligare i responsabili a renderne conto, e di fornire alle vittime una riparazione adeguata (Nicolae Virgiliu Tănase, § 157, sopra citata).

175. Inoltre, in alcune circostanze eccezionali, può essere necessario, ai fini dell’articolo 2, che sia condotta un’indagine penale effettiva, anche in caso di violazione involontaria del diritto alla vita o all’integrità fisica. Questo può avvenire, ad esempio, quando il decesso o la messa in pericolo risultano dal comportamento di un’autorità pubblica che va oltre un errore di giudizio o un’imprudenza, quando un decesso avviene in circostanze sospette o quando un privato ha deliberatamente e in maniera sconsiderata contravvenuto agli obblighi che gravavano su di lui in virtù della legislazione applicabile (ibidem, § 160, con i riferimenti ivi citati).

176. Nei casi di decesso, la Corte ha dichiarato che quando non viene accertato immediatamente e in maniera chiara che il decesso è risultato da un incidente o da un altro atto involontario, e quando la tesi dell’omicidio è, alla luce dei fatti, almeno difendibile, la Convenzione esige che sia condotta un’indagine che risponda ai criteri minimi di effettività e che sia volta a far luce sulle circostanze del decesso. Il fatto che l’indagine confermi alla fine la tesi dell’incidente non influisce su tale questione, in quanto l’obbligo di indagare ha precisamente lo scopo di invalidare o confermare le tesi esistenti. In tali circostanze, l’obbligo di condurre un’indagine ufficiale effettiva esiste anche quando il presunto autore della violazione in questione non ha la qualità di agente dello Stato (ibidem, § 161).

177. L’articolo 2 della Convenzione non implica in alcun modo il diritto per un ricorrente di far perseguire o condannare penalmente dei terzi (si veda, mutatis mutandis, Perez c. Francia [GC], n. 47287/99, § 70, CEDU 2004-I). Invece, le giurisdizioni nazionali non devono in nessun caso rivelarsi disposte a lasciare impunite delle violazioni ingiustificate del diritto alla vita. Questo è indispensabile per mantenere la fiducia dei cittadini e assicurare la loro adesione allo Stato di diritto, nonché per prevenire qualsiasi parvenza di tolleranza di atti illegali o di collusione nella loro perpetrazione (si veda, mutatis mutandis, Hugh Jordan c. Regno Unito, n. 24746/94, §§ 108, 136 140, CEDU 2001 III).

178. Il compito della Corte consiste dunque nel verificare se e in quale misura si possa ritenere che le giurisdizioni abbiano sottoposto la causa di cui erano investite all’esame scrupoloso richiesto dall’articolo 2 della Convenzione, allo scopo di assicurare che la forza di dissuasione del sistema giudiziario messo in atto e l’importanza del ruolo che quest’ultimo deve svolgere nella prevenzione delle violazioni del diritto alla vita non siano sminuite (Öneryıldız c. Turchia [GC], n. 48939/99, § 96, CEDU 2004 XII, sopra citata, Giuliani e Gaggio c. Italia [GC], n. 23458/02, § 306, CEDU 2011 (estratti)).

179. Obbligando lo Stato ad adottare le misure necessarie per la protezione della vita delle persone che rientrano nella sua giurisdizione, l'articolo 2 impone a quest'ultimo il dovere di assicurare il diritto alla vita mettendo in atto una legislazione penale concreta che dissuada dal commettere delle violazioni contro la persona e che sia basata su un meccanismo di applicazione concepito per prevenirne, reprimerne e sanzionarne le violazioni. Tale obbligo richiede, per implicazione, che sia condotta un'indagine ufficiale effettiva quando vi sono motivi per ritenere che un individuo abbia subìto delle ferite potenzialmente mortali in circostanze sospette, nonostante l'assenza della qualità di agente dello Stato del presunto autore dell’attentato alla vita dell'interessato (Mustafa Tunç e Fecire Tunç c. Turchia, sopra citata, § 171).

180. Inoltre, nei casi di perdite di vite umane in circostanze per le quali lo Stato può essere considerato responsabile, il profilo procedurale dell'articolo 2 impone allo Stato di garantire, con ogni mezzo a sua disposizione, una risposta appropriata – giudiziaria o di altro tipo – che permetta al quadro legislativo e amministrativo, concepito per proteggere il diritto alla vita, di essere messo in atto come si deve, e garantendo la repressione e la sanzione di qualsiasi violazione di tale diritto (Budayeva e altri c. Russia, nn. 15339/02 e altri 4, § 138, CEDU 2008 (estratti) Nencheva e altri c. Bulgaria, n. 48609/06, § 109, 18 giugno 2013).

181. Infine, la Corte rileva che nelle cause in materia di omicidio, l'articolo 2 è interpretato nel senso che implica un obbligo di condurre un'inchiesta ufficiale non soltanto in quanto qualsiasi denuncia di un tale reato comporta normalmente una responsabilità penale, ma anche perché spesso le informazioni legate alle circostanze reali del decesso sono in gran parte in possesso di agenti o autorità dello Stato (si veda Tikhonova, sopra citata, § 79).

b) Applicazione nel caso di specie

182. La Corte osserva che, nella presente causa, la ricorrente ha potuto presentare le proprie doglianze ai giudici grazie ai ricorsi che le erano aperti nel diritto interno, allo scopo di far luce sulle cause del decesso di suo figlio (si vedano i paragrafi 174, 177 e 181 supra).

183. Sul piano penale, la Corte ha il compito di esaminare se le autorità italiane abbiano condotto l'indagine conformemente alle esigenze di diligenza e tempestività richieste dall'articolo 2 della Convenzione (Nencheva e altri c. Bulgaria, n. 48609/06, §§ 126 e 127, 18 giugno 2013). In particolare, la Corte deve esaminare se, nelle circostanze di ciascun caso, le indagini siano state approfondite, imparziali e scrupolose.

184. Essa rileva anzitutto che la ricorrente ha adito il tribunale di Milano presentando una denuncia il 24 marzo 2009. Nel corso dell'indagine, numerosi testimoni sono stati sentiti dalla polizia su richiesta del procuratore. Queste audizioni sono state seguite da un rapporto in data 23 ottobre 2009 e integrate dalle testimonianze raccolte dalla difesa della ricorrente, ai sensi dell'articolo 391 bis del codice di procedura penale. Inoltre, la ricorrente è stata sentita personalmente nel corso del procedimento ed ha potuto integrare anche lei la propria denuncia (si vedano i paragrafi 88 e 98 supra).

185. Alla luce di tutte le prove raccolte, con una sentenza del 10 febbraio 2012 il tribunale di primo grado ha deciso di assolvere E.T., N.C. e S.P., ossia coloro che erano stati indicati dalla ricorrente come principali autori dei fatti denunciati, considerando che la causa doveva essere analizzata secondo il criterio della prevedibilità della materializzazione del rischio, che, nel caso di specie, era assente, e che la responsabilità degli operatori dei servizi sociali era limitata allo sviluppo adeguato del minore e non si estendeva alla sua sicurezza fisica.

186. Dopo la sentenza della corte d'appello del 17 luglio 2013, che ha concluso che soltanto E.T. era penalmente responsabile, il 6 marzo 2015 la Corte di cassazione ha annullato senza rinvio la suddetta sentenza e, sulla base essenzialmente delle stesse argomentazioni del tribunale di primo grado, ha concluso per l'assoluzione di E.T.

187. La Corte constata, pertanto, che il procedimento penale in esame, che è durato circa quattro anni per tre gradi di giudizio, ha soddisfatto l'esigenza di tempestività prevista dall'articolo 2 della Convenzione.

188. Per quanto riguarda l'effettività dell'indagine, la Corte è del parere che le autorità abbiano adottato nel caso di specie le misure ragionevoli di cui disponevano per ottenere le prove relative ai fatti di causa. Sono stati sentiti numerosi testimoni, è stata eseguita un'autopsia sul corpo di F. e di Y.B., è stato condotto un esame tossicologico su Y.B., e le autorità hanno disposto dei rapporti necessari per la valutazione dei fatti, soprattutto quelli dei servizi sociali, e di una perizia psicologica relativa alla ricorrente e a Y.B. (si veda Mustafa Tunç e Fecire Tunç c. Turchia, sopra citata, § 174).

189. La Corte ritiene di non essere competente per analizzare oltre le conclusioni dei giudici interni, ed è convinta che spetti in primo luogo alle autorità nazionali applicare e interpretare la legislazione interna (Waite e Kennedy c. Germania [GC], n. 26083/94, § 54, CEDU 1999 I).

190. Poiché gli obblighi dello Stato convenuto sono di mezzi e non di risultato, il fatto che i tre imputati siano stati assolti non permette di per sé di concludere che il procedimento penale riguardante il decesso di F. non abbia risposto alle esigenze dell'articolo 2 della Convenzione.

191. La Corte osserva, inoltre. che l'azione civile intentata dalla ricorrente nei confronti della cooperativa per la quale lavorava S.P. e del comune di San Donato Milanese è stata chiusa con la firma, il 6 ottobre 2017, di una composizione amichevole tra le parti nell'ambito della quale è stata accordata alla ricorrente una somma consistente.

192. Di conseguenza, secondo la Corte il profilo procedurale dell'articolo 2 della Convenzione non è stato violato nel caso di specie.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

  1. Dichiara, all'unanimità la doglianza relativa al profilo materiale dell'articolo 2 della Convenzione irricevibile;
  2. Dichiara, a maggioranza, la doglianza relativa al profilo procedurale dell'articolo 2 della Convenzione ricevibile;
  3. Dichiara, all'unanimità, che non vi è stata violazione del profilo procedurale dell'articolo 2 della Convenzione.

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto l’11 maggio 2021, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Renata Degener
Cancelliere

Ksenija Turković
Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l'esposizione delle opinioni separate seguenti:

  • opinione parzialmente dissenziente, e parzialmente concordante del giudice Koskelo, alla quale aderiscono i giudici Wojtyczek e Sabato;
  • opinione parzialmente dissenziente, e parzialmente concordante del giudice Sabato;
  • opinione separata del giudice Felici.
     

K.T.U.
R.D.

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, la traduzione della presente opinione è stata eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE E PARZIALMENTE CONCORDANTE DEL GIUDICE KOSKELO, CUI SI ASSOCIANO I GIUDICI WOJTYCZEK E SABATO

Sintesi del contesto

1. Il caso di specie deriva da un fatto estremamente tragico. Il giovane figlio della ricorrente è stato ucciso brutalmente dal padre nel corso di un incontro protetto negli uffici di un’autorità locale. Successivamente all’aggressione al figlio, il padre si è ucciso.

2. A causa del suicidio, non è stato possibile svolgere alcun procedimento penale nei confronti dell’autore del reato. La questione a livello interno è stata limitata a stabilire se atti di negligenza o omissioni da parte di agenti statali avessero contribuito all’uccisione del minore. Sono state formulate imputazioni nei confronti di tre dipendenti dell’autorità locale e della cooperativa sociale. Alla fine sono stati tutti assolti. Sono stati instaurati procedimenti civili nei confronti dei tre dipendenti e dei loro datori di lavoro, vale a dire l’autorità locale e la cooperativa. Tali procedimenti si sono conclusi mediante una transazione in base alla quale la ricorrente ha ricevuto un totale di 100.000 euro di risarcimento per il danno non patrimoniale.

Punto condiviso: la perdita della qualità di vittima in ordine all’aspetto sostanziale dell’articolo 2

3. La Camera ha concluso all’unanimità che la doglianza della ricorrente ai sensi dell’aspetto sostanziale dell’articolo 2 era irricevibile perché, a causa del risarcimento accordatole ai sensi della composizione della sua causa civile, non possedeva più la qualità di vittima dinanzi alla Corte (si vedano i paragrafi 154 156 della presente sentenza). Sottoscriviamo pienamente tale conclusione.

Il principale punto di dissenso

4. La rimanente questione, sulla quale dissentiamo dalla maggioranza, concerne la ricevibilità della doglianza della ricorrente ai sensi dell’aspetto procedurale dell’articolo 2. A differenza della maggioranza, riteniamo che anche tale doglianza sia irricevibile. Vi sono motivi distinti per tale irricevibilità. Il primo concerne la questione della qualità di vittima. Riteniamo che, alla luce delle circostanze della causa e sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte, che la ricorrente non possieda più la qualità di vittima neanche in ordine all’aspetto procedurale dell’articolo 2. Su questo punto, riteniamo che la posizione adottata dalla maggioranza non si limiti a deviare dai principi sanciti dalla esistente giurisprudenza della Corte ma, inoltre, derivi da opinioni politiche delle quali non sono forniti i motivi sostanziali e che la Corte non abbia alcuna giustificazione per imporle agli Stati Parti.

L’importante problema alla base della questione

5. Benché la questione sia trattata nel contesto della qualità di vittima, il nocciolo del problema concerne un’interpretazione degli obblighi derivanti per gli Stati Parti dall’aspetto procedurale dell’articolo 2. Quindi, vi è un’importante questione sostanziale alla base della qualità di vittima. La posizione adottata dalla maggioranza (si veda il paragrafo 162 della sentenza) comporta che il dovere di indagare su eventuali atti di negligenza o omissioni da parte di agenti statali nel contesto di un decesso causato da un atto delittuoso doloso commesso da un privato possa essere soddisfatto soltanto mediante lo svolgimento di un’indagine penale.

6. Tale approccio è, a nostro avviso, sia infondato che inappropriato quale regola generale della Convenzione che deve essere osservata da tutti gli Stati Parti. In tale contesto, è importante rilevare preliminarmente che sussiste una distinzione fondamentale che deve essere mantenuta tra l’obbligo di perseguire, ai sensi del diritto penale, gli autori di omicidi volontari, e quello di assicurare un quadro giuridico effettivo per trattare la questione della giustificabilità e della responsabilità delle autorità pubbliche e dei pubblici ufficiali nei confronti dei quali non sussiste alcun sospetto o alcuna accusa di cattiva condotta dolosa. L’unico contesto del caso di specie è quest’ultimo.

La deviazione dalla giurisprudenza consolidata della Corte

7. Come già indicato, la posizione adottata dalla maggioranza non è conforme alla giurisprudenza della Corte.

8. Sorprendentemente, la maggioranza (si veda il paragrafo 160 della sentenza) invoca la decisione relativa alla causa Gençarslan c. Turchia (n. 62609/12, 14 marzo 2017) nonostante, e senza menzionare, il fatto che la conclusione della Corte in tale causa fosse il contrario di quella adottata dalla maggioranza nel caso di specie, vale a dire che le circostanze di tale caso non esigevano un’indagine avente la forma di un procedimento penale (si veda il paragrafo 23 della decisione citata: “gli atti o le omissioni che hanno potuto avere un ruolo nella sopravvenienza di questa tragedia, pur essendo deplorevoli, non si inscrivono (...) in un quadro nel quale la risposta giudiziaria richiesta sarebbe di natura penale”).

9. La posizione ai sensi della giurisprudenza consolidata della Corte in ordine all’obbligo procedurale di cui all’articolo 2 comporta, in primo luogo, che debba esservi un’indagine ufficiale effettiva qualora una persona sia deceduta o abbia subito lesioni che mettono in pericolo la vita in circostanze sospette, anche quando il presunto autore dell’aggressione non è un agente statale (si vedano Menson c. Regno Unito (dec.), n. 47916/99, CEDU 2003-V; Zashevi c. Bulgaria, n. 19406/05, § 56, 2 dicembre 2010, con numerosi ulteriori rinvii; e Mustafa Tunç e Fecire Tunç c. Turchia [GC], n. 24014/05, § 171, 14 aprile 2015).

10. Nel caso di specie, le circostanze del decesso non erano oscure: il minore è stato ucciso dolosamente da suo padre, il quale si è anche immediatamente suicidato. Nel caso di specie l’obbligo di indagare sul brutale delitto commesso dal padre non è in questione in quanto tale. I principali fatti concernenti la letale aggressione erano noti fin dall’inizio.

11. In secondo luogo, tuttavia, l’obbligo procedurale può comportare il dovere di indagare in ordine al concorso nella commissione del letale delitto di persone diverse dall’immediato autore del reato. Nel caso di specie, non sono stati sollevati sospetti o accuse, né dalla ricorrente né da altri, in ordine al concorso doloso di agenti statali o di altri terzi nel delitto commesso dal padre del minore. Nel caso di specie non è neanche in questione alcun obbligo di tale tipo.

12. Tuttavia, l’obbligo procedurale può comprendere anche un dovere aggiuntivo di indagare per stabilire se atti di negligenza o omissioni da parte di pubblici ufficiali abbiano contribuito direttamente alla tragica uccisione del minore. Dalla giurisprudenza della Corte risulta chiaro che l’adempimento di tale dovere non esige necessariamente lo svolgimento di un’indagine penale. Altri tipi di procedimenti possono certamente soddisfare tale obbligo procedurale (si veda, per esempio, l’ampia giurisprudenza citata recentissimamente nella causa Ribcheva e altri c. Bulgaria, nn. 37801/16 e 2 altri, § 129, 30 marzo 2021, non ancora definitiva). Tale linea giurisprudenziale è sia consolidata che fondata.

13. In casi concernenti atti o omissioni non dolosi, la Corte ha ritenuto che possano sussistere circostanze eccezionali in cui per soddisfare l’obbligo procedurale imposto dall’articolo 2 è necessaria un’effettiva indagine penale. Tale può essere il caso in cui si è verificata la perdita di una vita o essa è stata messa in pericolo a causa della condotta di un’autorità pubblica che ha ecceduto l’errore di giudizio o la negligenza, o in cui vi è stata la perdita di una vita in circostanze sospette o a causa dell’asserita volontaria e imprudente inosservanza da parte di un privato dei suoi doveri giuridici ai sensi della pertinente legislazione (si veda Nicolae Virgiliu Tănase c. Romania [GC], n. 41720/13, § 160, 25 giugno 2019, con ulteriori rinvii). Il caso di specie non comporta alcuna accusa di tale natura.

14. La Corte ha inoltre sottolineato che gli eventuali vizi dei procedimenti pertinenti e del processo decisionale devono essere significativi per sollevare una questione ai sensi degli obblighi procedurali dello Stato. In altre parole, la Corte non si occupa di accuse di errori o di isolate omissioni, bensì soltanto di vizi significativi in grado di minare la capacità dell’indagine di accertare le circostanze del caso o la persona responsabile (si veda S.M. c. Croazia [GC], n. 60561/14, § 320, 25 giugno 2020).

15. A sostegno della sua opinione secondo la quale nel caso di specie era necessaria un’indagine penale, la maggioranza invoca anche casi in cui, nonostante la perdita della qualità di vittima ai sensi dell’aspetto sostanziale dell’articolo 2, tale perdita non ostacolava l’esame di una doglianza nella misura in cui essa riguardava l’aspetto procedurale dell’articolo 2. I casi citati concernono decessi avvenuti mentre la persona deceduta era detenuta in carcere (Molga c. Polonia (dec.), n. 78388/12, 17 gennaio 2017) o svolgeva il servizio militare obbligatorio (Turgut c. Turchia (dec.), n. 64625/11, 30 agosto 2016).

16. A tale riguardo si deve rilevare, in primo luogo, che mentre tali ultime cause confermano il requisito consolidato secondo il quale deve essere svolta un’effettiva indagine ex officio in tali situazioni perché la persona è detenuta o, in caso di servizio militare obbligatorio, comunque collocata in custodia e sottoposta all’esclusivo controllo di autorità statali, ciò non significa che il dovere di indagare sulle circostanze del decesso possa essere soddisfatto soltanto mediante lo svolgimento di un’indagine penale anche in situazioni in cui non sussiste alcun sospetto o alcuna accusa in ordine al concorso doloso di agenti statali (si veda, per esempio, Panovy c. Russia (dec.), n. 21024/08, § 56, 1° dicembre 2020).

17. In secondo luogo, a nostro avviso non è ragionevole equiparare situazioni quali la detenzione o il servizio militare obbligatorio a circostanze in cui le autorità pubbliche hanno essenzialmente il compito di fornire servizi finalizzati all’adempimento degli obblighi positivi dello Stato in campi quali la salute o l’assistenza sociale. Nel presente contesto, è importante sottolineare che il minore non era affidato all’assistenza pubblica. Le misure di protezione disposte dal giudice nazionale si basavano principalmente sul rapporto conflittuale esistente tra i genitori del minore ed erano di natura limitata, consistendo nella fornitura di un sostegno per lo sviluppo educativo e psicologico del minore nonché nell’organizzazione di incontri protetti tra il minore e il padre (si veda il paragrafo 126 della sentenza, che cita a tale riguardo la sentenza della Corte di Cassazione).

18. Il fatto che vi fosse una decisione giudiziaria che regolamentava l’organizzazione dell’esercizio dei diritti di visita tra il minore e il padre, imponendo la partecipazione dei servizi sociali locali al fine dell’organizzazione e del controllo delle sedute degli incontri, non è a nostro avviso sufficiente a giustificare l’equiparazione di tali circostanze a situazioni di privazione della libertà ordinata dallo Stato o al servizio militare obbligatorio. Nel campo dell’assistenza sanitaria, per esempio, la giurisprudenza consolidata della Corte chiarisce – per validi motivi – che le indagini penali non sono obbligatorie al fine dell’osservanza degli obblighi procedurali derivanti dall’articolo 2 in casi in cui si verifica la perdita di vite a causa di asserita negligenza medica. Ciò avviene anche se le persone possono essere sottoposte a cure di emergenza, a prescindere dalla propria volontà o scelta di ottenere cure cruciali in circostanze in cui le loro vite dipendono dalle cure che sono fornite. Il contesto del caso di specie non appartiene alla medesima categoria della detenzione o del servizio obbligatorio nell’esercito.

19. Più generalmente, la Corte ha giustamente ritenuto che gli Stati Parti abbiano un margine di discrezionalità nella scelta delle modalità con le quali osservare i loro obblighi positivi ai sensi della Convenzione (si vedano, per esempio, Lambert e altri c. Francia [GC], n. 46043/14, § 144, CEDU 2015 (estratti), e Lopes de Sousa Fernandes c. Portogallo [GC], n. 56080/13, § 216, CEDU 2017). Quindi, essi godono – e dovrebbero continuare a godere – di una notevole libertà nella scelta dei mezzi finalizzati ad assicurare che i loro ordinamenti nazionali soddisfino i suoi requisiti (si vedano, benché in contesti differenti, König c. Germania, 28 giugno 1978, § 100, Serie A n. 27; Taxquet c. Belgio [GC], n. 926/05, §§ 83 e 84, CEDU 2010; e Finger c. Bulgaria, n. 37346/05, § 120, 10 maggio 2011).

La questione della politica

20. Quando un tragico evento quale quello che ha dato luogo al caso di specie avviene nel contesto di servizi pubblici, è naturalmente importante indagare sulle circostanze per scoprire i motivi che possono aver giocato un ruolo, riesaminare le procedure e le prassi e determinare le modifiche che possono essere necessarie al fine di impedire analoghi eventi in futuro. Sarebbe, tuttavia, fondamentalmente incauto imporre, ai sensi del diritto della Convenzione, di ricorrere al diritto penale e alle indagini penali quale panacea per soddisfare tali necessità.

21. Secondo la giurisprudenza della Corte, l’obbligo procedurale è finalizzato essenzialmente a permettere l’accertamento dei fatti e a far sì che i responsabili ne rispondano. Mentre i procedimenti giudiziari possono essere in definitiva necessari per accertare le responsabilità e fornire, se opportuno, una riparazione, non vi è motivo perché la Corte consideri, e imponga, i procedimenti penali quale primo e unico mezzo per osservare gli obblighi procedurali dello Stato in un contesto quale quello in questione nel caso di specie.

22. Al contrario, in molti campi dei servizi pubblici, quali la salute o l’assistenza sociale, non vi è motivo di ritenere che la migliore scelta per osservare i requisiti di cui sopra consisterebbe necessariamente nel ricorrere al sistema della giustizia penale e alle autorità di polizia. Invero, gli organi di controllo specialistici in possesso di una sostanziale competenza possono essere più idonei a svolgere funzioni investigative in tali contesti, al fine dell’accertamento dei fatti. Né vi è alcun motivo per insistere che l’accertamento della responsabilità e la riparazione possono essere assicurati effettivamente soltanto mediante i procedimenti penali. I ricorsi civili possono essere notevolmente potenziati introducendo una responsabilità oggettiva, o rafforzati proceduralmente mediante l’inversione dell’onere della prova e/o l’adeguamento del livello della prova, mentre la responsabilità penale rimane soggetta alla prova della colpevolezza individuale oltre ogni ragionevole dubbio. Paradossalmente, il caso di specie è un caso in cui i procedimenti penali hanno dato luogo ad assoluzioni, mentre i procedimenti civili si sono conclusi con una generosa transazione a favore della ricorrente!

23. Ovviamente, possono esservi situazioni in cui è richiesto il ricorso al procedimento penale, anche se non sussiste alcun sospetto di atti o omissioni dolosi (come citato sopra, la giurisprudenza della Corte rinvia a tale riguardo a situazioni eccezionali, in cui la condotta di un’autorità pubblica eccede l’errore di giudizio o la negligenza). Non vi è, tuttavia, alcuna ragionevole giustificazione perché la Corte introduca l’uso del procedimento penale quale requisito generale, eliminando in tal modo il margine di discrezionalità. Né vi è alcun valido motivo per assumere che soltanto i procedimenti penali possano essere in grado di offrire un quadro procedurale effettivo per soddisfare gli obblighi procedurali. In effetti, la maggioranza non offre alcun argomento sostanziale per giustificare la sua insistenza sul ricorso ai procedimenti penali. Quando sussistono questioni sistemiche di questa natura sarebbero necessari solidi motivi affinché la Corte imponga un modello organizzativo uniforme per l’adempimento degli obblighi procedurali derivanti dall’articolo 2. La maggioranza non fornisce alcun motivo. La modifica della giurisprudenza che tale posizione comporterebbe è pertanto lungi dall’essere convincente.

La perdita della qualità di vittima in ordine all’aspetto procedurale

24. Per i suesposti motivi, riteniamo che la maggioranza erri nel considerare che la ricorrente abbia mantenuto la qualità di vittima, in quanto le circostanze del caso di specie erano di natura tale da rendere obbligatoria una risposta ai sensi del diritto penale a norma del diritto della Convenzione.

25. Peraltro, tuttavia, è un fatto che nel caso di specie siano stati svolti dei procedimenti penali che hanno comportato l’assoluzione definitiva degli imputati mediante la sentenza della Corte di Cassazione del 6 marzo 2015 (si vedano i paragrafi 124-126 della sentenza). I procedimenti civili a loro volta sono giunti alla conclusione definitiva successivamente, con la transazione stipulata in data 6 ottobre 2017. Secondo le condizioni della transazione, la ricorrente si impegnava ad astenersi dal promuovere qualsiasi ulteriore azione nei confronti delle parti contemplate dalla transazione (si veda il punto 1.2. della transazione, citato nel paragrafo 130 della sentenza e infra)3 .

26. Tale inequivocabile rinuncia, avvenuta successivamente alla definitiva conclusione dei procedimenti penali, non può che comportare che si debba ritenere che la ricorrente avesse perso la qualità di vittima anche in ordine alle doglianze sollevate ai sensi dell’aspetto procedurale dell’articolo 2 in relazione alle parti della transazione.

27. Oltre al nostro dissenso concernente la questione di principio affrontata sopra, vale a dire l’affermazione secondo la quale gli obblighi procedurali potevano essere soddisfatti soltanto ricorrendo al procedimento penale, è difficile comprendere il modo in cui è affrontata tale questione in questo specifico caso. Secondo la sentenza (paragrafo 165), i procedimenti civili non sarebbero stati in grado di soddisfare i requisiti di chiarimento dei fatti e delle responsabilità in ordine al decesso del minore. È tratta tale conclusione nonostante il fatto che, come già menzionato, (i) i principali fatti relativi all’omicidio erano chiari sin dall’inizio; (ii) il procedimento penale nei confronti dell’autore del reato è stato escluso a causa del suo suicidio; e (iii) il procedimento penale era già stato svolto, e concluso in via definitiva, oltre due anni prima della transazione. Date le circostanze, la posizione adottata dalla maggioranza nel paragrafo 165 può essere intesa soltanto come se sottintenda che la ricorrente aveva diritto a far svolgere ulteriori indagini penali, su un ampio fronte, non soltanto nei confronti dei dipendenti dell’autorità e dei servizi sociali locali, bensì anche nei confronti degli appartenenti alla magistratura e alle forze dell’ordine che avevano partecipato alle decisioni relative al minore e al conflitto tra la ricorrente e il padre del minore. Sorprendentemente, tuttavia, quando è trattato il merito della doglianza della ricorrente, tale aspetto non è affrontato minimamente in alcun modo. Al contrario, a differenza dei suoi motivi relativi alla qualità di vittima, in tale contesto la maggioranza si dà da fare per riconoscere la limitata natura del dovere di ricorrere a indagini penali conformemente a quanto sancito nella giurisprudenza della Corte (si veda il paragrafo 175 della sentenza). L’esame del merito non contiene alcuna discussione della necessità di indagini in aggiunta a quelle già svolte e concluse molto prima della definizione della causa civile.

28. In altre parole, gli argomenti decisivi per la giustificazione, da parte della maggioranza, del mantenimento della qualità di vittima non giocano alcun ruolo nella sua valutazione del merito della doglianza. Sebbene tale discrepanza e tale incoerenza della sentenza siano sconcertanti, sembra che esse dimostrino ulteriormente che la linea adottata nel contesto della qualità di vittima non sia fondata.

Altri motivi di irricevibilità

29. Nella misura in cui si può intendere che le doglianze non specifiche della ricorrente sollevino reclami relativi ad atti o omissioni da parte di persone fisiche o giuridiche diverse dalle parti della transazione (in ordine alle quali era stata persa la qualità di vittima), deve essere rilevato preliminarmente che tali atti o omissioni avrebbero potuto sollevare questioni ai sensi dell’aspetto procedurale dell’articolo 2 soltanto se fossero state causalmente rilevanti al fine del decesso del minore. L’obbligo di indagare sulle circostanze che possono aver contribuito all’esito letale non può ragionevolmente estendersi a fatti che sono causalmente troppo remoti per essere connessi al fatale evento che ha determinato l’obbligo. A tale riguardo, è particolarmente importante che i reclami basati sulle asserite omissioni da parte delle autorità di adempiere i loro obblighi procedurali dovrebbero essere sollevati in primo luogo a livello nazionale.

30. Nel caso di specie, la ricorrente è ricorsa inizialmente a una denuncia che, da una parte, era rivolta nei confronti di tre dipendenti individuati dei servizi sociali locali, e dall’altra chiedeva che si agisse nei confronti di qualsiasi altra persona che avrebbe potuto essere responsabile in relazione al decesso di suo figlio (si veda il paragrafo 85 della sentenza). La prima parte della denuncia ha comportato la formulazione di imputazioni a carico di tre persone coinvolte (che sono state successivamente assolte con sentenza definitiva della Corte di Cassazione, pronunciata in data 6 marzo 2015), mentre l’ultima parte, non precisata, non ha dato luogo a specifiche indagini o imputazioni.

31. A seguito della decisione adottata dal pubblico ministero in data 27 luglio 2011 di formulare imputazioni soltanto nei confronti delle tre persone menzionate nella prima parte della denuncia della ricorrente (si veda il paragrafo 114 della sentenza), deve essere diventato chiaro alla ricorrente che non vi sarebbero state imputazioni a carico di alcuna altra persona. Ciononostante, ella non ha compiuto alcuna altra azione finalizzata a perseguire la mancata indagine in ordine a eventuali atti o omissioni da parte di qualsiasi altro pubblico ufficiale in relazione al decesso del minore, né ha instaurato un’azione civile nei confronti di altre persone fisiche o giuridiche diverse dalle parti della successiva transazione. L’unico ulteriore passo compiuto è stato il deposito di una doglianza dinanzi alla Corte oltre quattro anni dopo (in data 3 settembre 2015), sempre senza alcuna specifica indicazione di quali atti o omissioni da parte di quali altri organi o persone fisiche fossero asseritamente connessi al decesso del minore e quindi in grado di comportare l’obbligo procedurale di indagare.

32. Date le circostanze, la Corte non è stata in grado di individuare e determinare, quale prima e unica istanza, se si fossero verificate significative carenze nelle indagini, e tale doglianza non dovrebbe essere ricevibile in applicazione dell’articolo 35 § 1. In tale contesto, è importante sottolineare la giurisprudenza della Corte secondo la quale i ricorrenti devono introdurre le loro doglianze dinanzi alla Corte senza ingiustificato ritardo quando è chiaro che non vi è alcuna realistica prospettiva di un esito favorevole o di progresso delle loro doglianze a livello nazionale (si veda Sokolov e altri c. Serbia (dec.), nn. 30859/10 e 6 altri, § 31, 14 gennaio 2014).

33. A nostro avviso, non si può ritenere che la ricorrente abbia rispettato la regola dei sei mesi, nella misura in cui le sue doglianze pretendevano di sostenere che lo Stato convenuto avesse violato i suoi obblighi procedurali ai sensi dell’articolo 2 a causa della mancata indagine su atti o omissioni da parte di persone giuridiche o fisiche diverse da quelle contemplate dalla transazione.

Conclusione

34. Per i motivi di cui sopra, riteniamo che le doglianze della ricorrente siano irricevibili sia in ordine all’aspetto sostanziale che in ordine all’aspetto procedurale dell’articolo 2.

35. Poiché la maggioranza ha dichiarato ricevibile la doglianza ai sensi dell’aspetto procedurale dell’articolo 2, abbiamo votato contro la constatazione di violazione per tale motivo. Date le circostanze della causa, gli obblighi procedurali esposti nella giurisprudenza della Corte non sono stati violati.

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, la traduzione della presente opinione è stata eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE E PARZIALMENTE CONCORDANTE DEL GIUDICE SABATO

I. INTRODUZIONE

1. Come è stato ben spiegato nell’opinione separata del Giudice Koskelo, cui mi sono associato, convengo con la maggioranza che la doglianza formulata dalla ricorrente ai sensi dell’aspetto sostanziale dell’articolo 2 della Convenzione sia irricevibile, mentre mi rammarico di non poter sottoscrivere la conclusione della maggioranza secondo la quale la doglianza ai sensi dell’aspetto procedurale della medesima disposizione sia ricevibile. Invero, tale conclusione della maggioranza introduce un’elaborazione che si discosta dalla precedente giurisprudenza della Corte, come – ancora – l’opinione separata del Giudice Koskelo ha spiegato chiaramente.

2. Detto ciò, ritengo che alcune osservazioni aggiuntive possano essere utili per sottolineare pienamente alcune altre gravi questioni sollevate dall’approccio della maggioranza.

II. IL RAPPORTO TRA LA DEFINIZIONE DELLA LITE NAZIONALE E IL MANTENIMENTO DELLA QUALITÁ DI VITTIMA IN UN RICORSO DINANZI ALLA CORTE

3. La ricorrente – madre di un bambino ucciso tragicamente dal padre – ha adito la Corte con un ricorso in data 3 settembre 2015 (si veda il paragrafo 1 della sentenza); il Governo è stato informato del ricorso due anni dopo, in data 9 novembre 2017 (si veda il paragrafo 4 della sentenza).

4. Precedentemente al ricorso alla Corte:

  1. in data 4 marzo 2011 la ricorrente aveva presentato opposizione alla domanda formulata dal Pubblico ministero italiano al giudice di chiusura delle indagini penali nei confronti di E.T. (la psicologa), N.C. (l’assistente sociale) e S.P. (l’educatore, l’unico dei tre che era stato presente sulla scena del delitto, essendo responsabile della sessione di mediazione tra il padre e il figlio negli uffici dell’Azienda sanitaria locale – “A.S.L.” – si vedano i paragrafi 70 e 80 della sentenza). Nella sua denuncia del 24 marzo 2009 la ricorrente stessa aveva individuato tali professionisti quali complici involontari nell’uccisione poiché non avevano adottato misure di protezione (si veda il paragrafo 85 della sentenza);
  2. dieci giorni dopo il deposito della summenzionata opposizione, vale a dire, in data 14 marzo 2011 – mentre iniziava la trattazione dell’opposizione (è stato emesso un decreto in data 27 luglio 2011 – si veda il paragrafo 114 della sentenza) – la ricorrente (e sua madre) hanno instaurato un’azione civile, anch’essa nei confronti di E.T., N.C. e S.P., nonché dei loro datori di lavoro, uno dei quali era un’autorità comunale (si veda il paragrafo 127 della sentenza);
  3. in data 3 febbraio 2012, poiché il giudice del tribunale penale aveva ritenuto l‘opposizione meritevole e aveva fissato un’udienza, la ricorrente si è costituita parte civile nel procedimento penale, presentando successivamente anche due appelli (si vedano i paragrafi 115, 119 e 124 della sentenza);
  4. a questo punto è sorto un problema a causa dell’impossibilità, a norma dell’articolo 75 del Codice di procedura penale italiano, di avere due azioni in corso contemporaneamente (la domanda di costituzione quale parte civile nell’ambito del procedimento penale e l’azione dinanzi a un tribunale civile). A norma della suddetta disposizione il giudice del tribunale civile, con decreto del 26 luglio 2012, ha sospeso il procedimento in tale tribunale nella misura in cui esso concerneva E.T., N.C. e S.P., mentre proseguiva il procedimento nei confronti dei loro datori di lavoro (si veda il paragrafo 128 della sentenza);
  5. in data 17 luglio 2013 la Corte di appello penale ha ritenuto E.T. colpevole e ha disposto il pagamento di una provvisionale pari a EUR 50.000 in attesa della determinazione del risarcimento (si veda il paragrafo 121 della sentenza); è successivamente divenuto chiaro che la somma era stata versata da una società assicuratrice (si veda il § 1.2 dell’accordo transattivo citato nel paragrafo 130 della sentenza )4;
  6. in data 6 marzo 2015 la Corte di Cassazione ha pronunciato una sentenza definitiva, rigettando il ricorso della ricorrente avverso il procedimento penale (si veda il paragrafo 126 della sentenza), rendendo quindi il pagamento della provvisionale privo di finalità.

5. In tale contesto è stato presentato un ricorso alla Corte, come menzionato, in data 3 settembre 2015. Successivamente, in data 21 giugno 2016 è stata rigettata l’azione civile nei confronti dei datori di lavoro di E.T., N.C. e S.P. La ricorrente e sua madre hanno proposto appello (si vedano i paragrafi 129-30 della sentenza).

6. A seguito di trattative, in data 6 ottobre 2017 – un mese prima che il Governo fosse informato del ricorso presentato alla Corte – la ricorrente e sua madre hanno sottoscritto un accordo transattivo con due società assicuratrici e i datori di lavoro di E.T., N.C. e S.P. (uno dei quali era un’autorità municipale), in base al quale è stato versato un totale di EUR 100.000 (compresi i 50.000 EUR già accordati nell’ambito del procedimento penale). Da parte sua, la ricorrente ha rinunciato a qualsiasi diritto o azione connessi, anche incidentalmente, alla lite (sia civile che penale) e a qualsiasi pretesa connessa, e si è impegnata a rappresentare la verità dei fatti rispecchiata nella sentenza della Corte di Cassazione nell’ambito del procedimento penale, e nella sentenza di primo grado pronunciata nel procedimento civile, e ad astenersi da qualsiasi atto suscettibile di recare pregiudizio all’immagine delle persone coinvolte; la transazione si applicava anche a favore di E.T., N.C. e S.P. (si vedano i §§ 1.2, 3.3, 3.4, e 3.5 dell’accordo transattivo, e il considerando 7).

7. La transazione – contenente clausole che prevedevano la riservatezza e (§ 3) penali per eventuali violazioni (§ 6) – conteneva anche una clausola (§ 4) che recita come segue:

“la Sig.ra Antonella Penati si riserva ogni diritto [di agire] sulla base di eventuali responsabilità che possono essere accertate, anche in procedimenti dinanzi a giudici diversi da quelli appartenenti alla Magistratura italiana, da parte di persone fisiche, giuridiche o istituzioni diverse dalle parti o dai beneficiari menzionati nel presente accordo.”

8. Sulla base delle considerazioni di cui sopra, mi sento obbligato a dissentire con rispetto dalla conclusione della Corte (nel paragrafo 164 della sentenza) secondo la quale il summenzionato § 4 dell’accordo transattivo permetterebbe (o imporrebbe) la conclusione, nonostante l’eccezione formulata dal Governo, che la ricorrente manteneva parzialmente la qualità di vittima (vale a dire, nella misura in cui è interessato l’articolo 2; nel paragrafo 155 della sentenza la maggioranza riconosce che la ricorrente aveva perso la qualità di vittima riguardo all’aspetto sostanziale della domanda).

9. L’essenza della posizione della maggioranza (elaborata nel summenzionato paragrafo 164) si fonda su due argomenti:

  1. gli interessi alla base della transazione (che la maggioranza riconduce soltanto all’azione civile) sono distinti da quelli che sono oggetto del ricorso alla Corte;
  2. le uniche altre parti del procedimento sono i datori di lavoro.

10. Entrambi gli argomenti sembrano molto problematici. La transazione ha una portata molto ampia, in quanto comprende la rinuncia da parte della ricorrente al diritto di agire in giudizio connesso, anche incidentalmente, a una lite civile o penale e a qualsiasi domanda connessa, e rinvia sia alla sentenza della Corte di Cassazione nel procedimento penale che alla sentenza del tribunale civile di primo grado. Ciò è piuttosto ovvio, poiché – dopo l’inusuale duplicato delle azioni civili dinanzi ai tribunali civili e penali, che aveva dovuto risolvere il decreto di archiviazione del 26 luglio 2012 – le domande civili sono diventate frammentarie, pur essendo “funzionalmente” connesse (questa è l’espressione utilizzata dalle parti nel considerando 7 della transazione). A mio avviso, non si può neanche trarre alcuna conclusione riguardo alla qualità di vittima dal fatto che le parti della transazione erano i datori di lavoro di E.T., N.C. e S.P. Invero, oltre al fatto che vi erano anche due società assicuratrici, è ben noto che una transazione può essere conclusa a favore di terzi non firmatari dell’accordo: ciò è molto comune nel caso di assicuratori e/o datori di lavoro che transigono anche per conto di persone assicurate o per dipendenti. D’altra parte, il fatto che anche E.T., N.C. e S.P. fossero beneficiari della transazione è specificato chiaramente nel § 1.2 e in altre clausole dell’accordo, fatto che la maggioranza sembra aver ignorato.

11. Ma quello che è a mio avviso più sconcertante è che il § 4 dell’accordo transattivo non significa letteralmente (e non può logicamente significare) ciò cui allude la maggioranza.

12. Invero, da un punto di vista letterale:(i) “riservarsi un diritto” è un’espressione che si riferisce generalmente al futuro, mentre nel caso di specie il ricorso era già stato presentato alla Corte;

  1. è molto difficile comprendere come la Corte europea dei diritti dell’uomo potrebbe essere inclusa tra i “giudici diversi da quelli appartenenti alla Magistratura italiana”, in quanto la Corte non è paragonabile alla magistratura nazionale (tornerò su questo argomento nei paragrafi 14-16 della presente opinione);
  2. è molto difficile anche immaginare come il testo della clausola in questione permetterebbe di fare una distinzione, specialmente in un contesto internazionale, tra la posizione dell’autorità comunale vale a dire, (un’entità del governo locale), che era parte dell’accordo, e quella del Governo nazionale, che è chiamato a comparire dinanzi alla Corte: la ricorrente si è riservata il diritto di agire nei confronti di “entità o istituzioni diverse dalle parti o dai beneficiari menzionati nel presente accordo”, mentre l’entità del governo locale che era firmataria dell’accordo può essere facilmente considerata parte dello Stato.

Quindi, tali considerazioni letterali già indicano che la clausola contrattuale non era finalizzata a escludere dall’ambito dell’accordo i ricorsi dinanzi a questa Corte.

13. Sussiste tuttavia anche un forte argomento logico 5 . Salvo che si scelga di immaginare che la ricorrente stesse negoziando una transazione non tenendo conto del fatto che era pendente un ricorso dinanzi alla Corte – circostanza che, in buona fede, ha certamente influito sulle condizioni della transazione, in quanto la violazione della Convenzione può dare luogo a un risarcimento al Governo nazionale da parte degli enti locali – l’autorità comunale non avrebbe molto probabilmente mai acconsentito a una transazione che non prevedesse un divieto generale di ogni futura controversia. 6

14. Mentre non spetta a me speculare sulla finalità della clausola di cui sopra, dagli atti risulta che la famiglia del padre del bambino viveva all’estero (si veda il paragrafo 10 della sentenza). Ciò rende plausibile che i “giudici diversi da quelli appartenenti alla Magistratura italiana” sarebbero stati principalmente quelli del Paese in cui la ricorrente avrebbe potuto recuperare beni del patrimonio del defunto omicida, sia se fossero stati trasferiti a eventuali eredi che se non lo fossero stati.

15. Le considerazioni di cui sopra spianano la strada a quello che mi sembra l’aspetto che meritava maggiormente di essere chiarito, date le circostanze del caso di specie. Supponiamo che la clausola di cui sopra o una clausola analoga avesse dichiarato nell’ambito di una composizione amichevole che si rinunciava a ogni azione nazionale nei confronti degli enti governativi (nazionali o locali), ma che un ricorso (pendente o futuro) alla Corte era escluso dal campo di applicazione della composizione. Avrebbe ciò permesso alla ricorrente di conservare la qualità di vittima, anche se non era più possibile alcun ricorso a livello nazionale?

16. È una questione interessante, che a mio avviso, può essere elaborata per dimostrare che la maggioranza ha commesso un errore. La questione di sapere se una persona possa affermare – in qualsiasi fase del procedimento dinanzi alla Corte – di essere vittima, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, di un’asserita violazione della Convenzione comporta essenzialmente un esame ex post facto della sua situazione da parte della Corte. Ai fini di tale valutazione ex post facto, è pertinente considerare che il sistema della Convenzione, basato come è sulla sussidiarietà e sul preliminare esaurimento delle vie di ricorso interne (articolo 35 § 1 della Convenzione), non stabilisce che la Corte sia una giurisdizione distinta, aggiuntiva e successiva (e certamente non un tribunale di quarto grado): la Corte, che opera a livello internazionale e le cui funzioni non devono essere equiparate a quelle dei tribunali nazionali, benché essa dialoghi pienamente con essi, è semplicemente sussidiaria ai sistemi nazionali che proteggono i diritti umani. Benché non sia necessario che il diritto ai sensi della Convenzione sia stato sollevato esplicitamente nei procedimenti nazionali, in quanto è sufficiente che la doglianza pertinente sia stata sollevata sostanzialmente, il sistema presuppone tuttavia che la doglianza presentata ai tribunali nazionali sia la medesima che – qualora la violazione non sia sanata in primo luogo a livello nazionale – potrà essere successivamente determinata dalla Corte. Una logica inferenza di un rapporto di sussidiarietà così chiaro è che se si perviene a una composizione a livello nazionale, impedendo quindi ulteriori liti a livello nazionale, tale composizione prende il posto della determinazione nazionale della causa. Se il ricorrente ha rinunciato al suo diritto a una differente determinazione riparatrice nazionale, di norma 7 non sarà più accettata la qualità di vittima ai sensi dell’articolo 34 nel procedimenti dinanzi alla Corte, a prescindere dalle clausole che le parti di un accordo transattivo possano ideare. Sostenere il contrario turberebbe il rapporto sussidiario. A tale riguardo l’autonomia delle parti non può violare gli articoli 34 e 35 della Convenzione, o la summenzionata nozione di sussidiarietà.

III. CONSIDERAZIONI SULL’ESAURIMENTO DELLE VIE DI RICORSO INTERNE

17. Non ho potuto concordare neanche con le conclusioni della maggioranza relative all’eccezione formulata dal Governo sul mancato esaurimento delle vie di ricorso interne ai sensi dell’articolo 35 § 1, che costituisce un altro baluardo della sussidiarietà.

18. La maggioranza ha ritenuto (si veda il paragrafo 144 della sentenza) che le prime osservazioni del Governo del 3 aprile 2018 contenessero una valida eccezione al mancato esaurimento soltanto con riferimento all’aspetto sostanziale dell’articolo 2 (ma ha poi rigettato l’eccezione, avendo ritenuto che i rilievi a suo sostegno non dimostrassero quali vie di ricorso civili o penali avrebbe dovuto esperire la ricorrente, e che il Governo non avesse indicato alcun esempio di giurisprudenza nazionale – si vedano i paragrafi 147-48 della sentenza). Secondo la maggioranza, un’eccezione concernente sia l’aspetto sostanziale che quello procedurale era contenuta soltanto nelle osservazioni aggiuntive depositate in data 10 luglio 2018 (si vedano i paragrafi 139 e 143), cosicché era precluso al Governo di sollevare tale eccezione (paragrafo 149).

19. Nel leggere le osservazioni del Governo del 3 aprile 2018, innanzitutto non percepisco che l’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne fosse stata sollevata soltanto con riferimento alla parte della domanda relativa all’aspetto sostanziale.

20. Francamente, ritengo che la maggioranza abbia commesso un altro evidente errore, e che esso possa essere spiegato facilmente.

21. Per rispondere alla prima e alla seconda domanda posta dalla Corte, il Governo, nelle sue osservazioni del 3 aprile 2018, ha riprodotto innanzitutto il testo della domande (p. 15, righe 1-9); ha poi iniziato una sezione delle osservazioni intitolata “Il contesto della causa e i principi stabiliti dalla Corte” (riga 10), e ha continuato dichiarando che “le prime due domande, che trattano l’aspetto sostanziale dell’articolo 2 della Convenzione, [erano] strettamente connesse ed esigevano una risposta congiunta” (righe 11-12, grassetto nell’originale). Infine, dopo un’interruzione di riga, la frase “È necessario un preambolo” (riga 13, grassetto aggiunto), seguita da un’altra interruzione di riga, serviva come introduzione a un insieme dettagliato di argomenti relativi alla questione del mancato esaurimento (un totale di trentadue righe, le ultime sette delle quali figurano nel paragrafo 137 della sentenza; si vedano le pp. 15-16 delle osservazioni).
Si può inoltre rilevare che quando successivamente, a pagina 25, il Governo ha trattato la terza domanda posta dalla Corte, esso ha iniziato nuovamente sottolineando graficamente, per attirare l’attenzione del lettore, il fatto che la domanda “concerne[va] l’aspetto procedurale dell’articolo 2” (grassetto nell’originale).

22. Essendo questi approssimativamente la struttura e lo stile delle osservazioni, la maggioranza non ha indicato quale elemento l’ha convinta del fatto che l’eccezione contenuta nel “preambolo” concernesse soltanto l’aspetto sostanziale. Non ha la maggioranza percepito che, dovendo affrontare un argomento (l’eccezione relativa al mancato esaurimento) che era comune alla discussione sia dell’aspetto sostanziale che di quello procedurale, il Governo, comprensibilmente, ha inserito la sua eccezione proprio all’inizio della sezione relativa all’aspetto sostanziale, quale “preambolo”? O vi era qualcosa di diverso dalla collocazione dell’argomento (sedes materiae) per giustificare l’opinione della maggioranza secondo la quale la scelta del Governo significava che l’eccezione concerneva soltanto l’aspetto sostanziale? Era forse determinante il fatto che la parola “preambolo” non fosse in grassetto, benché contenuta tra interruzioni di riga?

23. Ritengo che, benché le eccezioni debbano essere espresse con termini chiari e formali, la loro portata debba essere compresa principalmente sulla base del loro contenuto. Nel caso di specie, se si esamina il contenuto dell’eccezione, è evidente che, mentre si possono trovare nel testo rinvii (a p. 15 delle osservazioni) alla domanda concernente l’aspetto sostanziale (in particolare, con parole che trattano l’asserita negligenza nella protezione della vita) e ovviamente gli argomenti derivanti sostengono l’idea del mancato esaurimento in questo campo (“in nessuna [loro domanda] (…) la ricorrente e la sua difesa hanno mai sostenuto, neanche in via ipotetica, che la Polizia o i giudici del Tribunale per i minorenni avessero facilitato, per omissione, l’omicidio del minore”), nelle frasi che seguono (pp. 15 e 16) inizia la discussione dell’aspetto procedurale, che comprende una discussione dettagliata dei procedimenti penali nei confronti di E.T., N.C. e S.P. (si veda, per esempio, l’argomento secondo il quale l’avvocato difensore della ricorrente aveva escluso a livello nazionale la responsabilità del Tribunale per i minorenni, dichiarando che si trattava di un “logico errore” – p. 16). È interessante rilevare anche che la frase citata nel paragrafo 137 della sentenza viene immediatamente dopo i summenzionati rinvii e comprende, tra altri rinvii, uno alla “gestione dei procedimenti penali”, vale a dire, ancora una volta l’aspetto procedurale. L’argomentazione è conclusa (a p. 18 delle osservazioni) dal Governo che dichiara formalmente e chiaramente che “le azioni dei magistrati e della Polizia non sono state censurate dalla ricorrente nei procedimenti nazionali”.

24. Concludo pertanto che l’affermazione effettuata dalla maggioranza secondo la quale le osservazioni del Governo del 3 aprile 2018 contenevano un’eccezione soltanto in ordine all’aspetto sostanziale dell’articolo 2 è il risultato di una erronea lettura di tali osservazioni.

25. Inoltre, a mio avviso, contrariamente alla conclusione della maggioranza, gli argomenti del Governo a sostegno dell’eccezione, relativa a entrambi gli aspetti dell’articolo 2, contenuta sia nelle osservazioni del 3 aprile 2018 che in quelle del 10 luglio 2018, conteneva anche sufficienti indicazioni dei ricorsi disponibili ed effettivi. Gli argomenti si concentravano sul fatto che la ricorrente aveva instaurato sia procedimenti civili che penali nei confronti di E.T., N.C. e S.P. e dei loro datori di lavoro, e che in entrambi le pretese di carattere civile (nel caso del procedimento penale nella forma della domanda di costituzione quale parte civile) erano state rigettate (si vedano p. 4, righe 14-17, e p. 8, righe 3-8, delle osservazioni aggiuntive del Governo). Il Governo ha sottolineato il fatto che la ricorrente, agendo nei confronti di E.T., N.C. e S.P. e dei loro datori di lavoro, non aveva “mai sollevato” doglianze simili “né nei confronti dei magistrati né della Polizia” (p. 4, line 17); analogamente, non aveva “esercitato alcuna azione per chiedere il risarcimento allo Stato [in quanto] responsabile degli atti e delle omissioni di pubblici ufficiali” (righe 20-21), quindi “negando ai tribunali italiani la possibilità di porre rimedio come garantisce in linea di principio l’articolo 35 alle Parti contraenti” (riga 23). L’eccezione relativa al “mancato esaurimento delle vie di ricorso interne” (riga 27) è menzionata esplicitamente, e nella nota a piè di pagina è citata la pertinente base giuridica della responsabilità dei pubblici ufficiali (articolo 328 del Codice penale che punisce le omissioni nell’esercizio dei compiti ufficiali) (ed è fornita una traduzione in lingua francese).

26. Benché sia vero che non è stato fornito alcun esempio particolareggiato della giurisprudenza nazionale, dopo un’indicazione così chiara (compresa una traduzione della base giuridica) che avrebbero dovuto essere utilizzati nei confronti dei magistrati e della Polizia esattamente i medesimi ricorsi utilizzati nei confronti di E.T., N.C. e S.P. e dei loro datori di lavoro, non vi era motivo di rigettare l’eccezione (paragrafi 147-48), e la Corte avrebbe dovuto concludere che la documentazione agli atti relativa ai procedimenti nei confronti di E.T., N.C. e S.P. e dei loro datori di lavoro forniva un sufficiente esempio della giurisprudenza nazionale.

27. Pertanto, oltre al chiarissimo motivo di irricevibilità ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione per l’inosservanza della regola dei sei mesi (si veda l’opinione separata del Giudice Koskelo, cui mi sono associato), il ricorso – nella misura in cui era finalizzato a lamentare gli atti/le omissioni dei giudici e dei pubblici ministeri, e in generale di altre persone fisiche o giuridiche diverse da quelle contemplate esplicitamente nell’accordo transattivo – era irricevibile anche per il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne ai sensi della medesima disposizione della Convenzione.

IV. CONCLUSIONE

28. Ho tentato di sottolinreare alcune questioni relative all’applicazione della Convenzione che solleva l’approccio della msggioranza, oltre a quelle spiegate chiaramente nell’opinione separata del Giudice Koskelo, cui mi sono associato. Mi rammarico del fatto che, creando confusione sulla giurisprudenza consolidata della Corte (si veda l’opinione separata del Giudice Koskelo, cui mi sono associato) e – allo stesso tempo – non chiarendo il rapporto tra gli accordi interni e il mantenimento della qualità di vittima dinanzi alla Corte (si veda la Parte II della presente opinione), la sentenza pronunciata dalla maggioranza ha perso l’opportunità di fornire un chiaro quadro degli obblighi dello Stato nel campo della violenza domestica in situazioni in cui tristemente il rischio di aggressione non è stato evitato.

29. La sentenza della maggioranza, producendo incertezza nella delicata materia del risarcimento del danno alle vittime di violazioni dell’articolo 2, e dando l’impressione che un accordo a livello nazionale possa sempre permettere di accedere a un ricorso alla Corte, comporta il rischio di scoraggiare gli accordi di composizione amichevole anche in circostanze in cui la giurisprudenza della Corte (e l’articolo 39 della Convenzione) li permette e li incoraggia.

30. In ogni caso, il ricorso – in ordine alla parte che la maggioranza ha ritenuto ricevibile – era in realtà, a mio avviso, irricevibile sia per l’inosservanza della regola del termine semestrale ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione (si veda l’opinione separata del Giudice Koskelo, cui mi sono associato) che per il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne ai sensi della medesima disposizione della Convenzione (si veda la Parte III della presente opinione).

OPINIONE SEPARATA DEL GIUDICE FELICI

1. Con tutto il rispetto per i miei colleghi della maggioranza, non posso accettare le loro conclusioni sull'irricevibilità della parte del ricorso relativa al profilo materiale dell'articolo 2 della Convenzione e la conseguente mancata constatazione di una violazione materiale dello stesso articolo.
Indicherò brevemente le ragioni essenziali del mio dissenso esaminando innanzitutto la ricevibilità del ricorso, e in particolare la questione della qualità di vittima del ricorrente.

1. Sulla qualità di vittima della ricorrente per quanto riguarda la doglianza relativa al profilo materiale dell’articolo 2 della Convenzione

2. Dopo aver rammentato che la ricorrente lamenta una violazione dell'articolo 2 della Convenzione nei suoi due profili, materiale e procedurale, la maggioranza ha considerato che, avendo accettato la somma di 100.000 EUR per definire in via amichevole il procedimento civile avviato contro la cooperativa presso la quale lavorava S.P. e contro il Comune di San Donato Milanese, e avendo rinunciato a qualsiasi tipo di azione nei confronti delle controparti alla transazione, la ricorrente non poteva più sostenere di essere vittima della doglianza che solleva dal punto di vista del profilo materiale dell'articolo 2.
Basandosi sulla causa Bailey c. Regno Unito ((dec.), n. 39953/07, 19 gennaio 2010), la maggioranza ha quindi ritenuto che la parte del ricorso riguardante il profilo materiale dell'articolo 2 fosse incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione e dovesse essere dichiarata irricevibile ai sensi dell'articolo 35 §§ 3 e 4.

3. Ritengo, invece, che il fatto di aver accettato una transazione nell'ambito di un procedimento civile di risarcimento non abbia comportato la perdita della qualità di vittima per la ricorrente, e questo per due ragioni.

4. La prima riguarda l'oggetto della doglianza in questione nel caso di specie che, a mio avviso, differisce da quello della transazione. In effetti, la ricorrente lamenta dinanzi alla nostra Corte il fatto che le autorità nazionali hanno omesso di adottare tutte le misure necessarie alla protezione della vita di suo figlio e, in senso lato, contesta l'inosservanza da parte dello Stato dei suoi obblighi positivi di cui all'articolo 2 della Convenzione (si veda il paragrafo 134 della sentenza). Al contrario, la transazione che aveva concluso in ambito civile riguardava unicamente la responsabilità di enti specifici, ossia la cooperativa presso la quale lavorava S.P. e il Comune di San Donato Milanese.
Dubito quindi che il semplice versamento di una somma da parte di questi enti sia in grado di coprire una doglianza, ben più ampia, relativa alle presunte inadempienze dello Stato nell'attuazione di misure concrete volte alla protezione di F. (si veda anche, mutatis mutandis, Branko Tomašić e altri c. Croazia, n. 46598/06, §§ 38-44, 15 gennaio 2009, causa in cui i fatti e le doglianze sono molto simili a quelli del caso in esame).
Occorre peraltro sottolineare che nell'articolo 4 dell'atto di transazione, sottoscritto nel 2017, la ricorrente si era riservata «ogni diritto di azione in merito alle eventuali responsabilità che dovessero sorgere, anche davanti a un giudice diverso dal giudice italiano, imputabili a singoli, enti o istituzioni diversi da quelli che sono parte o nominati nel presente accordo» salvaguardando in tal modo chiaramente la possibilità che un’altra giurisdizione, come la nostra Corte, adita due anni prima, esaminasse le responsabilità del governo italiano derivanti dalla morte di suo figlio.

5. La seconda considerazione che mi fa propendere per la ricevibilità di questa parte del ricorso è la constatazione che la transazione controversa ha esplicitamente avuto luogo «pro bono pacis», in altre parole «ex gratia», senza che se ne possa dedurre alcuna ammissione di responsabilità per i fatti oggetto di causa. In queste circostanze, a mio avviso, la camera non avrebbe dovuto discostarsi dalla giurisprudenza costante in materia di qualità di vittima, che consiste nel dichiarare che una decisione o una misura favorevole al ricorrente è, in linea di principio, sufficiente a privarlo della qualità di «vittima» ai fini dell'articolo 34 della Convenzione solo se le autorità nazionali hanno prima riconosciuto, esplicitamente o in sostanza la violazione della Convenzione, e poi vi hanno posto rimedio (si veda, ad esempio, Dalban c. Romania [GC], n. 28114/95, § 44, CEDU 1999 VI).

6. La causa Bailey, del 2010, non può pertanto essere sufficiente, di per sé, per concludere che la sig.ra Penati non aveva la qualità di vittima per quanto riguarda la sua doglianza relativa al mancato rispetto degli obblighi positivi che incombevano allo Stato relativamente al diritto alla vita di suo figlio. Peraltro, la ricorrente si basa su una giurisprudenza in materia di responsabilità degli agenti dello Stato in ragione dell'uso della forza letale (Caraher c. Regno Unito (dec.), n. 24520/94, CEDU 2000 I, e Hay c. Regno Unito (dec.), n. 41894/98, CEDU 2000 XI), che sembra essere stata superata da alcune decisioni più recenti che affermano il principio, contrario, secondo il quale l'ottenimento di una somma nell'ambito di procedimenti civili o amministrativi non può essere sufficiente a privare i ricorrenti della qualità di vittime (si vedano Saçılık e altri c. Turchia, 43044/05 e 45001/05, § 69, 5 luglio 2011 e, mutatis mutandis, Jeronovičs c. Lettonia [GC], n. 44898/10, §§ 76-77, 5 luglio 2016).

7. Così, alla luce di queste considerazioni, ritengo che la Corte avrebbe dovuto respingere, come le altre eccezioni, quella sollevata dal Governo sulla mancanza di qualità di vittima della ricorrente e, di conseguenza, dichiarare ricevibile la doglianza relativa al profilo materiale dell'articolo 2 della Convenzione.

2. Sul merito del ricorso

8. Sul merito, ritengo che nella fattispecie vi sia stata violazione del profilo materiale dell'articolo 2 della Convenzione.

9. Vorrei innanzitutto rammentare che la prima frase dell'articolo 2 § 1 della Convenzione obbliga lo Stato non solo ad astenersi dal provocare la morte in modo volontario e irregolare, ma anche ad adottare le misure necessarie per la protezione della vita delle persone sottoposte alla sua giurisdizione (L.C.B. c. Regno Unito, 9 giugno 1998, § 36, Recueil des arrêts et décisions 1998-III). L'obbligo dello Stato a questo riguardo comporta il dovere fondamentale di garantire il diritto alla vita mettendo in atto una legislazione penale concreta che dissuada dal commettere reati contro la persona, e che si basi su un meccanismo di applicazione concepito per prevenirne, reprimerne e sanzionarne le violazioni. Ciò può anche significare, in alcune circostanze, porre a carico delle autorità l'obbligo positivo di adottare preventivamente delle misure di ordine pratico per proteggere l'individuo la cui vita è minacciata dalle azioni criminali di altri (Osman c. Regno Unito, 28 ottobre 1998, § 115, Recueil 1998-VIII, citata nella sentenza Kontrová c. Slovacchia, n. 7510/04, § 49, 31 maggio 2007).

10. In applicazione dei principi di cui sopra, la maggioranza, a mio avviso, avrebbe dovuto quindi osservare che, nel caso di specie, le autorità nazionali competenti erano a conoscenza di un rischio reale e immediato per la vita del figlio della ricorrente, e dichiarare poi che le suddette autorità non avevano adempiuto al loro obbligo di adottare le misure necessarie per neutralizzare il rischio che Y.B. commettesse atti violenti sulla persona del minore (Osman c. Regno Unito, sopra citata, § 116).

11. In effetti, è essenziale ricordare il contesto di questa causa. A partire dal mese di aprile 2005, la ricorrente aveva presentato diciassette denunce alle autorità nazionali (i carabinieri, il tribunale per i minorenni e i servizi sociali), dichiarando che Y.B. aveva avuto più volte, nei suoi confronti, dei comportamenti violenti, fisicamente e verbalmente, e che l'aveva minacciata di morte, di «farle del male» e di «commettere un atto folle», fatti che la ricorrente aveva segnalato ogni volta in modo sistematico e circostanziato alle autorità interne. La ricorrente aveva espresso in più occasioni dei timori che riguardavano non solo la sua sicurezza, ma anche quella di suo figlio (si vedano i paragrafi 33, 34 e 92, che riportano anche le parole pronunciate da Y.B.: «se il bambino non poteva stare con lui, non sarebbe stato nemmeno con lei»). Il 12 febbraio 2009, cioè tredici giorni prima dell'infanticidio, aveva indicato di essere seriamente «in cerca di protezione e tutela per F., e di essere preoccupata che i servizi sociali potessero liberalizzare gli incontri del bambino con suo padre». Va inoltre rilevato che essa aveva denunciato vari incidenti nei quali Y.B. aveva cercato di vedere il bambino al di fuori degli incontri in ambiente protetto, ricorrendo a metodi minacciosi e aggressivi (paragrafo 46), anche sulla persona del bambino (paragrafo 49).

12. Va inoltre osservato che, a partire da dicembre 2008, ossia dopo la decisione con la quale il tribunale per i minorenni aveva affidato F. all'assistenza pubblica del Comune di San Donato Milanese e poco prima del tragico evento, la ricorrente aveva presentato ai carabinieri quattro denunce in cui segnalava continue minacce, insulti e molestie, abusi sui suoi beni e sulla sua persona, e una situazione divenuta, a suo avviso, insostenibile. La ricorrente aveva anche indicato che Y.B. esigeva, da parte sua, di vedere il bambino da solo, nonostante il divieto imposto dalle decisioni giudiziarie.
In tali occasioni, la ricorrente aveva sollecitato le autorità ad adottare tutte le misure necessarie per porre fine a tale situazione, in particolare per garantire la protezione di F.
Inoltre, soltanto pochi giorni prima dell'infanticidio, la ricorrente aveva nuovamente espresso dinanzi agli psicologi del Comune di San Donato Milanese tutta la sua apprensione in merito alla sicurezza di F., chiedendo esplicitamente maggiori misure di protezione e di tutela per il minore.

13. Tenuto conto di questi elementi, ritengo che, con ogni evidenza, le autorità disponessero di informazioni sufficienti che indicavano l'esistenza di una situazione di rischio per la sicurezza di F. Ora, le numerose denunce presentate dalla ricorrente non hanno portato all'adozione di alcuna misura concreta di protezione del minore, né del resto dell'interessata stessa.
Malgrado ciò, e nonostante una situazione di crescente tensione, i servizi sociali, responsabili dello svolgimento degli incontri, non hanno raccomandato la limitazione o la sospensione di questi ultimi né l'adozione di misure particolari di sicurezza che, alla luce delle informazioni di cui disponevano, erano a mio avviso erano necessarie.
Vorrei ricordare che, nonostante questo contesto e gli innumerevoli avvertimenti lanciati dalla ricorrente circa la pericolosità di Y. e il rischio per la sicurezza di F., il giorno dell'infanticidio, Y. ha potuto entrare in un locale pubblico dopo aver consumato una quantità di cannabis dieci volte superiore all'indice di consumo cronico, armato di una pistola e di un coltello di una lunghezza di venti centimetri.
Tenuto conto di quanto precede, a mio parere, è giocoforza constatare che, nel caso di specie, di fronte alle richieste esplicite della ricorrente volte all'adozione di misure concrete di protezione in grado di garantire la sicurezza di suo figlio, le autorità nazionali sono rimaste inerti (Civek c. Turchia, n. 55354/11, §§ 57-66, 23 febbraio 2016).

14. La responsabilità dello Stato entra in gioco a fortiori quando si considera che, al momento dei fatti, F. era stato affidato a un ente statale, in questo caso al comune di San Donato Milanese. L'incontro in questione si è svolto nei locali pubblici dell'ASL, per effetto di una decisione appartenente soltanto all'autorità pubblica, ed è stato organizzato esclusivamente da quest'ultima. Peraltro, la ricorrente non aveva alcun diritto di sottrarre suo figlio dall’incontro. Questa causa riguarda quindi una situazione di pericolo per la vita di persone vulnerabili affidate alle cure dello Stato, indipendentemente dal fatto che il titolare della custodia legale fosse uno dei genitori o un'istituzione pubblica; in quel preciso momento, il bambino era una persona vulnerabile affidata allo Stato (si veda, mutatis mutandis, Nencheva e altri c. Bulgaria, n. 48609/06, § 123, 18 giugno 2013).

15. Inoltre, occorre rilevare che i fatti si sono svolti nel contesto dell'esercizio del diritto di visita riconosciuto al padre del bambino. A tale proposito è opportuno ricordare che, nei casi di violenza domestica, i diritti dell'aggressore non possono prevalere sui diritti alla vita e all'integrità fisica e psichica delle vittime (si veda, mutatis mutandis, Opuz c. Turchia, n. 33401/02, CEDU 2009 § 147). Occorre anche sottolineare l'importanza che la Convenzione di Istanbul attribuisce al fatto che gli incidenti di violenza domestica siano debitamente presi in considerazione dalle autorità nazionali nella regolamentazione dei diritti di custodia e di visita dei minori.

16. Ciò detto, in queste circostanze, dal punto di vista dell'articolo 2 della Convenzione, la protezione dell'integrità fisica di un bambino sottoposto all'autorità e al controllo dello Stato rientra chiaramente nella responsabilità di quest'ultimo. La sicurezza della persona non può che essere un presupposto indispensabile per la sua protezione sul piano psicologico e indissociabile da quest'ultima. In tal senso, benché spetti in primo luogo alle autorità nazionali, in particolare ai tribunali, interpretare e applicare il diritto interno, nel caso di specie non si può condividere la conclusione dei giudici nazionali secondo la quale la responsabilità delle autorità pubbliche era limitata in questo caso alla protezione del bambino di fronte al danno che poteva derivare per lui dalla situazione conflittuale esistente tra i suoi genitori. Ad abundantiam, occorre sottolineare che è totalmente indifferente di per sé, ai fini del rispetto dell'obbligo positivo derivante dall'articolo 2, che i giudici nazionali abbiano o meno prescritto che gli incontri avessero anche avuto ad oggetto la protezione della sicurezza fisica del minore. Inoltre, la decisione con la quale il tribunale per i minorenni ha ordinato che gli incontri tra il minore e il padre si svolgessero in ambiente protetto, in tutta la sua brevità e ambiguità, non sembrava escludere l'obiettivo di proteggere la sicurezza fisica di F. (si veda paragrafo 70).
Anche se non si può stabilire con certezza che gli eventi si sarebbero svolti diversamente e che l'omicidio non sarebbe avvenuto se le autorità avessero adottato un comportamento diverso, la mancata attuazione di misure ragionevoli che avrebbero avuto una reale possibilità di cambiare il corso degli eventi o di attenuare il danno causato è sufficiente perché lo Stato sia ritenuto responsabile (Talpis c. Italia, n. 41237/14, § 121, 2 marzo 2017).

17. Tenuto conto di quanto precede, si doveva concludere non solo che il profilo materiale del ricorso relativo all'articolo 2 della Convenzione era ricevibile, ma anche che le autorità competenti non avevano adottato, nell'ambito dei loro poteri, le misure che, da un punto di vista ragionevole, avrebbero senza dubbio attenuato il rischio per la vita del giovane F., o addirittura impedito la materializzazione di questo rischio. Nel caso di specie è stato violato il profilo materiale dell’articolo 2 della Convenzione.

18. Tenuto conto delle mie conclusioni riguardanti il profilo materiale dell'articolo 2 della Convenzione, non si sarebbe dovuta esaminare separatamente la doglianza della ricorrente relativa al profilo procedurale di questa disposizione.

3. Conclusione

19. «In caso di dubbio, scegliete ciò che è giusto», ha detto Karl Kraus (Sprüche und Widersprüche, 1909), interpretando, forse in maniera più filosofica che giuridica, il principio del diritto penale in dubio, pro reo (pilastro di ogni civiltà giuridica). Ciò che è stato scritto sopra dispensa dal seguire l'intuizione del famoso aforista austriaco. A mio modesto parere, esistono ragioni giuridiche sufficienti, che non richiedono l'introduzione di alcuna innovazione giurisprudenziale, per giungere alla conclusione esposta nel paragrafo precedente. Questa conclusione sembra anche conforme all'esame dei fatti della causa, che deve prima precisare la questione alla quale i principi devono essere applicati e non, al contrario, costituire un'occasione per elaborare questi principi. Non è un caso che la Corte abbia sempre insistito sul metodo detto «case-law approach», proprio per sottolineare che ogni situazione merita una sua valutazione specifica, con l'accento posto sullo svolgimento dei fatti. Qui ci si trova di fronte ad una persona – la ricorrente – che chiede che la Convenzione sia applicata al suo caso. Si tratta di una madre che aveva affidato suo figlio allo Stato, e che quest'ultimo gli ha restituito, morto. L'omicidio del figlio è la realizzazione di un rischio che questa madre aveva segnalato più volte allo Stato stesso, chiedendogli di adottare tutte le misure necessarie per evitarlo. Ora, l'evento non è comunque frutto del caso né di un caso di forza maggiore: esso si è verificato senza che la ricorrente si sia potuta opporre in qualche modo, poiché era obbligata a portare il bambino agli incontri con il padre. Qui, questo scarno riassunto dei fatti ci dimostra che non esistono dubbi. Tornando all'aforisma di Klaus Kraus, se c’è un dubbio, allora ciò che è giusto è stigmatizzare uno Stato che non protegge un bambino che aveva in affidamento per una sua propria decisione.

NOTE

1 L'educatore M.S. fu sostituito dall'educatore S.P. nel mese di maggio 2008.

2 Secondo le informazioni risultanti dall’autopsia sul corpo del bambino.

3 3« 1.2 [La ricorrente] accetta tale offerta di 50 000 EUR e la rinuncia alla ripetizione della provvisionale di 50.000 EUR e dichiara di non avere più niente a pretendere a qualsiasi titolo, ragione o causa, anche ancora non invocata, nei confronti del Comune, della cooperativa e dei rispettivi associati, amministratori, dipendenti o collaboratori, ivi compresi N.C., E.T. e S.P., nonché delle [due società assicuratrici], essendo stata soddisfatta e [chiusa] ogni pretesa da parte sua. In particolare, la parte attrice rinuncia a qualsiasi tipo di azione, domanda, pretesa e/o diritto, che possa essere connessa anche occasionalmente all’oggetto del contenzioso e a qualsiasi altro tipo di domanda collegata o connessa. »

41 I successivi rinvii alle disposizioni dell’accordo transattivo concernono l’accordo citato nel summenzionato paragrafo della sentenza. Le traduzioni in lingua inglese di parti dell’accordo transattivo e di qualsiasi altro estratto.

5Un aspetto aggiuntivo dell’argomento logico discusso nel testo può essere individuato esaminando la compatibilità delle accuse formulate dinanzi alla Corte con gli obblighi previsti dalla transazione. Per esempio, si potrebbe ritenere che nel suo ricorso la ricorrente abbia esplicitamente biasimato il Governo per “aver ignorato le ripetute domande di intervento e di protezione presentate dalla ricorrente ai (…) servizi sociali” (si veda p. 7 del modulo di ricorso e p. 5 dell’appendice); la ricorrente dichiara anche che gli indizi di una possibile violenza erano “ben noti (…) ai servizi sociali” (p. 7 del modulo). Nell’appendice le accuse nei confronti dei “servizi sociali” in generale, e E.T., N.C. e S.P. in particolare, sono esposte nelle pagine da 10 a 11, mentre la pagina 12 allude alla responsabilità da parte dell’autorità comunale. A pagina 10, in una citazione dell’appello della ricorrente avverso la sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di primo grado, è affermato che E.T., N.C. e S.P.  “hanno continuato a vedere nel rapporto tra [la Sig.ra Penati e Y.B.] quello che avevano scelto di vedere in esso a causa della loro  incapacità professionale e dei loro pregiudizi: una donna leggermente isterica e mitomane, che tentava ostinatamente di impedire al figlio di stabilire un rapporto con il padre”. Tali espressioni sono state utilizzate in un momento in cui non era ancora stato concluso l’accordo transattivo con l’autorità comunale e con altri. Nell’accordo, come menzionato, la ricorrente si è impegnata a rappresentare la verità dei fatti rispecchiati nella sentenza della Corte di Cassazione relativa al procedimento penale, e nella sentenza di primo grado relativa al procedimento civile, e ad astenersi  dal compiere atti suscettibili di danneggiare  l’immagine delle persone coinvolte, la transazione si applicava anche a favore di E.T., N.C. e S.P. (§ 3.4. dell’accordo transattivo). È pertanto logico dedurre che, poiché le accuse di cui sopra – formulate legittimamente al momento della presentazione del ricorso, ma che sarebbero state proibite se formulate in una fase successiva – non potevano più essere ribadite, l’unica possibile conseguenza del tentativo di definire la controversia a livello nazionale sarebbe stata la perdita della qualità di vittima.

6 Tale argomento logico non mi permette di entrare nei dettagli della legislazione nazionale.  Sarebbe sufficiente menzionare che la legislazione nazionale permette a terzi di dichiarare l’intenzione di approfittare di accordi tra altre persone concernenti fatti o atti  riguardanti la loro responsabilità in solido (articolo 1304 del Codice civile).

7 Per una discussione delle eccezioni alla regola, nel contesto del caso di specie, si può rinviare ai paragrafi 24 e succ. dell’opinione separata del Giudice Koskelo allegata alla sentenza, cui mi sono associato.