Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 giugno 2021 - Ricorso n. 40910/19 - Causa A.T. contro Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA A.T. c. ITALIA

(Ricorso n. 40910/19)

SENTENZA

Art 8 -Vita familiare - Assenza di sforzi adeguati, sufficienti e rapidi da parte delle autorità nazionali per far rispettare il diritto di visita del ricorrente pronunciato per via giudiziaria - Opposizione della madre del bambino

STRASBURGO

24 giugno 2021

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa A.T. c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:

  • Ksenija Turković, presidente,
  • Krzysztof Wojtyczek,
  • Alena Poláčková,
  • Péter Paczolay,
  • Raffaele Sabato,
  • Lorraine Schembri Orland,
  • Ioannis Ktistakis, giudici,
  • e da Renata Degener, cancelliere di sezione,

Visti:

il ricorso (n. 40910/19) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. A.T. («il ricorrente»), che il 23 luglio 2019 ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),

la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano («il Governo»),

la decisione di non divulgare l’identità del ricorrente,

le osservazioni delle parti,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 18 maggio 2021,

Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. Il ricorso riguarda la dedotta impossibilità per il ricorrente di esercitare il suo diritto di visita nei confronti di suo figlio e di vederlo nelle condizioni stabilite dai tribunali. L'interessato lamenta una violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare.

IN FATTO

  1. Il ricorrente è nato nel 1969 e risiede a Z.B., in Italia. È stato rappresentato degli avvocati M. Picco e E. Nardoni, del foro di Udine.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia, dell’Avvocatura dello Stato.
  3. Dall’unione tra il ricorrente e L.R. nacque un figlio, M.T., il 12 febbraio 2014. Il 19 aprile 2014, L.R. lasciò la casa familiare con suo figlio, senza il consenso del ricorrente.
  4. Il 17 ottobre 2014 il ricorrente sporse denuncia contro L.R. per sottrazione di minore.
  5. Il 29 gennaio 2015 il ricorrente adì il tribunale di Treviso in base agli articoli 315 e 317bis del codice civile lamentando delle difficoltà nell’esercizio del suo diritto di visita.
  6. Il 1° maggio 2015 il ricorrente sporse un’altra denuncia in quanto L.R. gli impediva di vedere il figlio.
  7. Il 29 marzo 2016 fu depositata in cancelleria la relazione redatta a seguito di una perizia che era stata effettuata sul minore e sui genitori. Secondo l'esperto, il bambino subiva le conseguenze deleterie di una privazione di contatto con suo padre durante i primi tre anni della sua vita, periodo considerato importante per la formazione di legami di attaccamento tra un genitore e suo figlio. L.R. non era favorevole ad un riavvicinamento tra il ricorrente e suo figlio. La perizia dava una valutazione positiva delle capacità genitoriali del ricorrente.
  8. Il 25 luglio 2016 il tribunale, basandosi sulla perizia effettuata sul bambino e su entrambi i genitori, affidò M.T. alle cure dei servizi sociali del comune di Mogliano Veneto e stabilì la residenza principale del bambino presso L.R. Definì il diritto di visita del ricorrente e ordinò un percorso di sostegno psicologico per L.R.
  9. L.R. presentò reclamo avverso tale decisione.
  10. Il 27 dicembre 2016, senza aver preventivamente ottenuto il consenso del ricorrente né l’autorizzazione del tribunale, L.R. si trasferì e si stabilì a Roma, a circa seicento chilometri dal domicilio del ricorrente.
  11. A partire da questo momento, il ricorrente non fu più in grado di vedere suo figlio a causa dell'opposizione di L.R.
  12. Il 30 gennaio 2017 la corte d'appello di Venezia rigettò il reclamo presentato da L.R. e stabilì che la residenza del bambino si trovava a Z. B. La suddetta corte confermò che la custodia del bambino era affidata ai servizi sociali di Mogliano Veneto e smentì che il trasferimento e l'insediamento a Roma fossero stati autorizzati, in quanto l’allontanamento in questione era di natura tale da impedire l'esercizio della bigenitorialità da parte del ricorrente.
  13. Nonostante la decisione del tribunale, L.R. si rifiutò di ritornare a vivere a Z. B.
  14. Il 10 aprile 2017 i servizi sociali di Mogliano Veneto chiesero a L.R. di conformarsi alla decisione della corte d'appello.
  15. Il 3 maggio 2017 il ricorrente presentò una denuncia penale per il reato di mancato rispetto di un provvedimento del giudice (articolo 388 del codice penale).
  16. In data non precisata, L.R. propose un ricorso presso il tribunale di Roma per ottenere la custodia esclusiva del minore, nonostante le precedenti decisioni del tribunale e della corte d'appello di Treviso.
  17. Il 10 luglio 2017 il ricorrente adì il tribunale per i minorenni di Venezia (di seguito «il tribunale»), sostenendo che L.R. si era trasferita senza il suo consenso e che, per questo motivo, gli era impossibile vedere suo figlio. Il ricorrente invitò il tribunale a pronunciarsi con urgenza e chiese che L.R. fosse dichiarata decaduta dalla sua responsabilità genitoriale.
  18. L'11 luglio 2017 la procura della Repubblica chiese al tribunale di adottare le misure di cui agli articoli 330 e 333 del codice civile. La procura si basò sulle relazioni redatte dai servizi sociali che indicavano che L.R. non collaborava e denigrava il ricorrente. Inoltre, il bambino, che presentava un ritardo di linguaggio, non era seguito da un logopedista, nonostante le istruzioni che erano state impartite a L.R.
  19. Il 22 agosto 2017, sapendo che il bambino era stato ricoverato, il ricorrente si recò a Roma ma gli fu impedito di vederlo nonostante l'intervento della polizia.
  20. Il 6 gennaio 2018 il ricorrente si recò a Roma per vedere il bambino, come previsto, ma al suo arrivo non trovò nessuno. Fece constatare questa situazione dai carabinieri e sporse denuncia.
  21. Durante il 2018, il ricorrente fu in grado di vedere suo figlio qualche volta durante i ricoveri del bambino a Roma, ma in presenza di L.R. e dei genitori di quest’ultima.
  22. Nonostante i numerosi solleciti del ricorrente, il tribunale di Venezia si pronunciò solo due anni dopo. Con decreto del 25 febbraio 2019, il tribunale, chiamato a valutare se il comportamento di L.R., che si era trasferita a Roma senza il consenso del ricorrente e del giudice, fosse stato pregiudizievole per il minore, si espresse come segue:

«Il tribunale non contesta la decisione di L.R. [di trasferirsi] perché è evidente che un genitore separato conserva il diritto si spostarsi liberamente sul territorio e di seguire le proprie aspirazioni e i propri interessi. Ciò che si contesta è il fatto che il trasferimento definitivo in una città lontana dalla residenza del padre venga motivato dalla madre come una necessità per assicurare cure mediche al bambino che potrebbero essere prestate anche [nella sua regione di origine] strumentalizzando così la patologia del figlio. È del pari evidente che la distanza geografica tra genitori separati rende più difficile al genitore non convivente mantenere significative relazioni con il figlio, soprattutto nei primi anni di vita del bambino.»

  1. Il tribunale constatò che L.R. si era opposta al mantenimento del rapporto tra il ricorrente e suo figlio, che non aveva mai permesso al ricorrente di essere presente nella vita del bambino, e che, con il suo comportamento, arrecava pregiudizio a quest’ultimo. Constatò anche che L.R. denigrava il ricorrente, che non faceva seguire il bambino da specialisti, contrariamente a quanto le avevano raccomandato i servizi sociali, e che si rifiutava anche di far vaccinare il bambino, il quale non poteva quindi essere iscritto alla scuola materna. Concluse che tale comportamento era pregiudizievole per il bambino, ma rilevò che era la conseguenza del conflitto tra L.R. e il ricorrente. Il tribunale ritenne che non fosse nell'interesse del minore trasferire la sua residenza principale presso il ricorrente o essere allontanato da L.R.
  2. Di conseguenza, il tribunale decise di limitare la responsabilità genitoriale di L.R., e affidò il bambino alle cure dei servizi sociali del comune di Roma ordinando loro di prevedere un percorso di accompagnamento psicologico per il bambino e L.R, di predisporre un calendario di incontri tra il ricorrente e il bambino, di cercare una mediazione tra il ricorrente e L.R., e di segnalare al procuratore qualsiasi inosservanza delle prescrizioni del tribunale da parte di L.R.
  3. Furono previsti degli incontri di un’ora ogni quindici giorni.
  4. Il 10 marzo 2019 il ricorrente inviò una e-mail ai servizi sociali per conoscere il nome della persona che doveva seguire suo figlio. Non ricevette alcuna risposta.
  5. Lo stesso giorno, inviò una e-mail all’operatore del comune di Roma incaricato del caso per comunicargli che, nonostante le istruzioni impartite dal tribunale, L.R. non rispondeva alle sue telefonate e non lo informava dello stato di salute di suo figlio e che, inoltre, non era stato previsto alcun incontro.
  6. Il 28 marzo 2019 il ricorrente inviò un messaggio alla responsabile dei servizi sociali. Fu informato che non c'era personale disponibile per supervisionare gli incontri.
  7. Le sue e-mail inviate ai servizi sociali il 22 e il 27 aprile 2019 rimasero senza risposta.
  8. L'11 giugno 2019 il ricorrente poté incontrare la responsabile dei servizi sociali. Il 19 agosto 2019, egli comunicò ai servizi sociali che L.R. aveva cambiato la residenza del bambino senza informarlo.
  9. Nel settembre 2019, mentre L.R. si opponeva ancora agli incontri, fu trovato un accordo su un regime di due visite al mese.
  10. Il primo incontro tra il ricorrente e suo figlio ebbe luogo il 24 ottobre 2019, sette mesi dopo il decreto del tribunale di Venezia.
  11. L'incontro di novembre non ebbe luogo perché L.R. si rifiutò di condurvi il bambino.
  12. Il 28 novembre 2019 fu aperto il processo penale contro L.R. e i suoi genitori. L.R. fu condannata a un anno e otto mesi di reclusione per sottrazione di minori.
  13. Il 1º febbraio 2020, il ricorrente sporse denuncia contro L.R. per mancato rispetto del decreto del tribunale di Venezia.
  14. Nel 2020, il ricorrente poté incontrare suo figlio il 16 e il 30 gennaio, e il 20 febbraio.
  15. A partire dal 28 febbraio 2020, e fino a luglio 2020, il ricorrente non poté più vedere suo figlio a causa dell'indisponibilità del centro in cui si dovevano svolgere le visite, nonostante i decreti del presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) dell'8 e 9 marzo (si vedano i paragrafi 45-46 supra), che autorizzavano gli spostamenti motivati dall'esercizio di un diritto di visita e di alloggio.
  16. Il 7 luglio 2020, i servizi sociali di Roma fecero sapere al ricorrente che gli incontri non potevano riprendere perché L.R. vi si opponeva.
  17. Il 18 agosto 2020, il ricorrente chiese ai servizi sociali di trasmettergli informazioni sullo stato di salute di suo figlio, che non era stato ancora vaccinato, nonché sul sostegno psicologico fornito a L.R.

IL QUADRO GIURIDICO INTERNO PERTINENTE

  1. Il diritto interno pertinente nel caso di specie è descritto nella sentenza V. e altri c. Italia (n. 37748/13, §§ 65-69, 18 luglio 2019).
  2. In virtù dell’articolo 337ter, primo comma, del codice civile, il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all'articolo 337 bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Il giudice può modificare le modalità della custodia e prende atto degli accordi intervenuti tra le parti.

All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito che, in caso di affidamento familiare, può intervenire anche d'ufficio. A tal fine, copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare.

  1. L’articolo 709 ter del codice di procedura civile, nella sua parte pertinente al caso di specie, è così formulato:

«Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso.

A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:

  1. ammonire il genitore inadempiente;
  2. disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
  3. disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
  4. condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro (...)»
  1. L’articolo 614 bis del codice di procedura civile dispone quanto segue:

«Misure di coercizione indiretta:

Con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza.

Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.»

  1. A causa della pandemia di COVID-19 e nell'ambito delle misure di confinamento adottate dal Governo, l'8 e il 9 marzo 2020, tramite due DPCM (decreto del presidente del Consiglio dei Ministri) furono vietati tutti gli spostamenti, ad eccezione di quelli motivati da comprovate esigenze professionali, da situazioni di necessità o da motivi di salute.
  2. Il 9 aprile 2020, sul sito del Ministero dell’Interno fu pubblicata una FAQ che riportava quanto segue:

«Gli spostamenti che permettono di raggiungere i figli minorenni al domicilio dell'altro genitore o del genitore affidatario, o di condurre i figli al proprio domicilio, sono autorizzati anche da un comune all'altro. Tali spostamenti devono in ogni caso essere effettuati secondo il percorso più breve e nel rispetto di tutte le norme sanitarie (persone in quarantena, positive, immunodepresse, ecc.) e nel modo prescritto dal giudice nelle sentenze di separazione o di divorzio o, in mancanza, secondo l'accordo tra i genitori.»

IN DIRITTO

  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
  1. Invocando gli articoli 6 e 8, il ricorrente denuncia un atteggiamento di opposizione da parte della madre di suo figlio e rimprovera alle autorità interne di non aver preso provvedimenti rapidi tali da assicurare l'attuazione del suo diritto di visita. Afferma di essere così privato della possibilità di esercitare il suo diritto di visita nelle condizioni stabilite dal tribunale e ravvisa in ciò una violazione del rispetto del suo diritto alla vita familiare. Sostiene che non ha più avuto contatti da solo con suo figlio a partire dal 2014.
  2. La Corte rammenta di non essere vincolata dalle argomentazioni giuridiche proposte da un ricorrente ai sensi della Convenzione e dei suoi Protocolli, e che può decidere la qualificazione giuridica da attribuire ai fatti lamentati esaminando questi ultimi in base ad articoli o a disposizioni della Convenzione diversi da quelli invocati dal ricorrente (Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 126, 20 marzo 2018).
  3. Inoltre, la Corte rileva che, anche se l'articolo 6 offre una garanzia procedurale, vale a dire il «diritto a un tribunale», per la determinazione dei «diritti e doveri di carattere civile», l'articolo 8 risponde all'obiettivo più ampio di garantire il rispetto della vita privata e familiare. A tale proposito, la Corte rammenta che, anche se l'articolo 8 non contiene alcuna esplicita condizione procedurale, il processo decisionale che porta all’adozione di misure di ingerenza deve essere equo e in grado di rispettare gli interessi protetti da questa disposizione (Petrov e X c. Russia, n. 23608/16, § 101, 23 ottobre 2018).

Tenuto conto che le doglianze sono strettamente connesse, la Corte esaminerà il ricorso soltanto dal punto di vista dell’articolo 8, che è così formulato:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

  1. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
  1. Sulla ricevibilità
  1. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto il ricorrente non avrebbe presentato alcun ricorso dinanzi alla corte d'appello. Non avrebbe neanche chiesto il risarcimento del danno subito dal minore per la mancata comunicazione del cambiamento di residenza né avrebbe presentato ricorso dinanzi al giudice tutelare, incaricato di vigilare sull'esecuzione delle misure. Inoltre, il ricorrente non avrebbe presentato ricorso ai sensi della legge Pinto per lamentare l’eccessiva durata del procedimento.
  2. Il ricorrente afferma di aver vinto la causa dinanzi al tribunale per i minorenni di Venezia, il quale ha sospeso la responsabilità genitoriale di L.R. ordinando a quest’ultima di seguire un percorso psicologico, e afferma quindi che non era tenuto ad adire la corte d'appello. Il ricorrente rammenta che il caso di specie riguarda una mancata esecuzione delle varie decisioni delle giurisdizioni interne (tribunale di Treviso, corte d'appello di Venezia, tribunale per i minorenni di Venezia).
  3. Quanto al ricorso Pinto, il ricorrente sottolinea che si tratta di un ricorso di natura risarcitoria e non di un ricorso volto ad accelerare il procedimento, e che la Corte ha già respinto eccezioni analoghe in alcune cause concernenti l'articolo 8 della Convenzione.
  4. La Corte osserva che la doglianza del ricorrente riguarda la questione dell’attuazione del diritto di visita secondo le modalità stabilite dal tribunale. Essa rammenta di aver già affermato in alcune precedenti sentenze contro l’Italia (Terna c. Italia, n. 21052/18, § 90, 14 gennaio 2021; Strumia c. Italia, n. 53377/13, § 90, 23 giugno 2016, Lombardo c. Italia, n. 25704/11, § 63, 29 gennaio 2013, e Nicolò Santilli c. Italia, n. 51930/10, 46, 17 dicembre 2013) che i provvedimenti del tribunale per i minorenni riguardanti in particolare il diritto di visita non sono definitivi e possono, pertanto, essere modificati in qualsiasi momento in funzione degli eventi legati alla situazione in causa. Perciò, l’evoluzione del procedimento interno è la conseguenza del carattere non definitivo dei provvedimenti del tribunale per i minorenni relativi al diritto di visita. Peraltro, la Corte osserva nel caso di specie che il ricorrente non è stato in grado di esercitare pienamente il suo diritto di visita dal 2014 e che ha presentato il ricorso dinanzi ad essa nel 2019, dopo aver adito più volte le giurisdizioni interne. Inoltre, la Corte osserva che il ricorrente lamenta una situazione che perdura dal 2014 e che ad oggi non si è ancora risolta, e che l’interessato aveva a sua disposizione questa via di ricorso interna per lamentare l’interruzione dei contatti con suo figlio (Terna, sopra citata § 90; Strumia, sopra citata § 90, Lombardo c. Italia, n. 25704/11, § 63, 29 gennaio 2013, e Nicolò Santilli, sopra citata, § 46).
  5. Quanto al fatto che il ricorrente non avrebbe esperito il ricorso Pinto per lamentare l’eccessiva durata del procedimento, la Corte rammenta che nei procedimenti la cui durata produce un impatto evidente sulla vita familiare del ricorrente (e che rientrano quindi nell'ambito dell'articolo 8 della Convenzione), essa ha ritenuto che si imponga un approccio più rigido, che obblighi gli Stati a istituire un ricorso che sia al tempo stesso preventivo e compensativo (Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 143 15 gennaio 2015, e Macready c. Repubblica ceca, nn. 4824/06 e 15512/08, § 48, 22 aprile 2010). La Corte ha osservato a questo riguardo che l'obbligo positivo che incombe allo Stato di adottare delle misure adeguate per assicurare il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita familiare rischiava di diventare illusorio se l'interessato avesse avuto a sua disposizione soltanto un ricorso compensativo che poteva portare soltanto al riconoscimento a posteriori di una compensazione pecuniaria (Macready, Ibidem).
  6. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per uno degli altri motivi indicati nell'articolo 35 della Convenzione, la Corte lo dichiara ricevibile.
  1. Sul merito
    1. Tesi delle parti
      1. Il ricorrente
  1. Il ricorrente rammenta di aver potuto esercitare il suo ruolo di padre esclusivamente dal 12 aprile 2014, giorno della nascita di suo figlio, al 19 luglio 2014, giorno in cui suo figlio è stato sottratto da L.R. Egli indica che, dal 2014, ha potuto passare soltanto 126 ore in tutto con suo figlio.
  2. Egli afferma che, a tutt’oggi, non ha la possibilità di vedere suo figlio nonostante tutte le decisioni che gli hanno riconosciuto un diritto di visita, e afferma che le autorità hanno tollerato per sette anni che la madre si opponesse a qualsiasi relazione tra lui e il bambino. Il ricorrente aggiunge che, malgrado la decisione di affidare il bambino ai servizi sociali, L.R. continua a comportarsi allo stesso modo, che le autorità rimangono inerti e che non è stata messa in atto alcuna misura adeguata tale da favorire in maniera efficace la ripresa degli incontri.
  3. Il ricorrente assicura che, durante tale periodo, i tribunali hanno lasciato alla madre del bambino la libertà di scegliere unilateralmente le modalità dei contatti tra il ricorrente e suo figlio. Egli rammenta che questo comportamento è già stato criticato dalla Corte nella sentenza Improta c. Italia (n. 66396/14, 4 maggio 2017).
  4. Il ricorrente argomenta che lo Stato deve, per il tramite dei suoi organi (compresi i servizi sociali), compiere degli sforzi adeguati e sufficienti per eseguire le decisioni giudiziarie nel rispetto dell’interesse superiore del minore, e che l’utilizzo di sanzioni contro il genitore che vive con il minore, il quale abbia, con il suo comportamento illegittimo, ostacolato la relazione con l’altro genitore, non può essere escluso (A.M. c. Serbia, n. 39177/05, 13 marzo 2007).
  5. Il ricorrente osserva che, in questa causa, i giudici nazionali non hanno nemmeno pensato di ricorrere alla coercizione per far eseguire le decisioni giudiziarie che riconoscono l’illegittimità del trasferimento della residenza del minore da parte di L.R. Egli afferma che, invece, di fronte all’ostruzionismo e alla totale mancanza di cooperazione da parte della madre del bambino (che, peraltro, è stata oggetto di una condanna penale), le autorità non hanno adottato alcuna misura e le sentenze pronunciate in favore del ricorrente sono rimaste inefficaci.
  1. Il Governo
  1. Il Governo considera che non si può rimproverare alle autorità italiane di non avere adottato le misure necessarie. Afferma, infatti, che i servizi sociali sono intervenuti varie volte per agevolare i contatti tra il ricorrente e suo figlio. In particolare, la procura e i servizi sociali hanno chiesto al tribunale di adottare le misure necessarie, e le autorità hanno anche vietato il trasferimento di L.R. a Roma.
  2. Il Governo argomenta, inoltre, che le decisioni interne sono state prese nell'interesse del minore, e ritiene che la cessazione improvvisa della relazione tra il bambino e la madre con la quale vive avrebbe costituito, per un bambino di meno di cinque anni, un trauma che non può essere inflitto al solo scopo di assicurare l'effettività degli incontri con suo padre.
  3. Il Governo sostiene che il ricorrente non ha dimostrato che non ha più visto suo figlio dal 2016.
  4. Il Governo afferma che, per proteggere l'interesse superiore del minore, il 4 maggio 2015 il tribunale di Venezia ha deciso di stabilire la residenza principale del bambino presso L.R., incaricando tuttavia i servizi sociali di assicurare un sostegno psicologico al minore e a L.R. Questa decisione sarebbe stata presa nell'interesse del minore.
  5. Per quanto riguarda l’eccessiva durata del procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni di Venezia, il Governo afferma che era dovuta alla complessità della causa.
  1. Valutazione della Corte
  1. Principi generali
  1. Come la Corte ha rammentato più volte, anche se l’articolo 8 della Convenzione ha essenzialmente per oggetto la tutela dell’individuo dalle ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, tale articolo non si limita a imporre allo Stato di astenersi da ingerenze di questo tipo: a tale obbligo negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un effettivo rispetto della vita privata o familiare. Questi obblighi possono implicare l’adozione di misure che mirano al rispetto della vita familiare finanche nelle relazioni tra gli individui, tra cui la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero di misure specifiche appropriate (si veda, mutatis mutandis, Zawadka c. Polonia, n. 48542/99, § 53, 23 giugno 2005). Tali strumenti giuridici devono permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori (si vedano, mutatis mutandis, Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 108, CEDU 2000‑I, Sylvester c. Austria, 36812/97 e 40104/98, § 68, 24 aprile 2003, Zavřel c. Repubblica ceca, n. 14044/05, § 47, 18 gennaio 2007, e Mihailova c. Bulgaria, n. 35978/02, § 80, 12 gennaio 2006). La Corte rammenta altresì che gli obblighi positivi non implicano solo che si vigili affinché il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, ma comprendono anche tutte le misure propedeutiche che consentono di pervenire a tale risultato (si vedano, mutatis mutandis, Kosmopoulou c. Grecia, n. 60457/00, § 45, 5 febbraio 2004, Amanalachioai c. Romania, n. 4023/04, § 95, 26 maggio 2009, Ignaccolo‑Zenide, §§ 105 e 112, e Sylvester, § 70, entrambe sopra citate).
  2. La Corte rammenta anche che il fatto che gli sforzi delle autorità siano stati vani non porta automaticamente a concludere che lo Stato si è sottratto agli obblighi positivi ad esso imposti dall’articolo 8 della Convenzione (Nicolò Santilli, sopra citata, § 67). In effetti, l’obbligo per le autorità nazionali di adottare delle misure per riunire il figlio e il genitore con cui non convive non è assoluto, e la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate costituiscono sempre un fattore importante. Anche se le autorità nazionali devono sforzarsi di agevolare una simile collaborazione, un obbligo per le stesse di ricorrere alla coercizione in materia non può che essere limitato: esse devono tenere conto degli interessi e dei diritti e delle libertà di queste stesse persone, in particolare degli interessi superiori del minore e dei diritti conferiti a quest’ultimo dall’articolo 8 della Convenzione (Voleský c. Repubblica ceca, n. 63267/00, § 118, 29 giugno 2004).
  3. Per quanto riguarda la vita familiare di un minore, la Corte rammenta che esiste attualmente un ampio consenso – anche nel diritto internazionale – intorno all’idea che in tutte le decisioni che riguardano dei minori il loro interesse superiore debba prevalere (si veda, tra altre, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 135, CEDU 2010). Essa sottolinea del resto che, nelle cause in cui sono in gioco questioni di affidamento di minori e di restrizioni del diritto di visita, l’interesse del minore deve prevalere su qualsiasi altra considerazione (Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, § 204, 10 settembre 2019). È necessaria la massima prudenza prima di ricorrere alla coercizione in una materia così delicata (Mitrova e Savik l’ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, n. 42534/09, § 77, 11 febbraio 2016, e Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, § 53, 22 novembre 2005). Il punto decisivo consiste dunque nell’appurare se, nel caso in esame, le autorità nazionali abbiano adottato, allo scopo di facilitare le visite tra genitore e figlio, tutte le misure necessarie che si potevano ragionevolmente esigere da esse (Nuutinen c. Finlandia, n. 32842/96, § 128, CEDU 2000‑VIII).
  1. Applicazione di questi principi nel caso di specie
  1. Passando a esaminare i fatti della presente causa, la Corte ritiene che, di fronte alle circostanze che le vengono sottoposte, il suo compito consista nell’appurare se le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure che si potevano ragionevolmente esigere da esse per mantenere i legami tra il primo ricorrente e suo figlio (Bondavalli c. Italia, n. 35532/12, § 75, 17 novembre 2015) e nell’esaminare il modo in cui esse siano intervenute per agevolare l’esercizio del diritto di visita del ricorrente come definito dai provvedimenti giudiziari (Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 58, serie A n. 299‑A, e Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 105, 15 gennaio 2015). Essa rammenta altresì che, in una causa di questo tipo, l’adeguatezza di una misura si valuta in base alla rapidità con cui la stessa viene attuata (Piazzi c. Italia, n. 36168/09, § 58, 2 novembre 2010), in quanto il decorso del tempo può avere, di per sé, delle conseguenze sulla relazione tra un genitore e suo figlio.
  2. La Corte osserva che, a partire dal 2015, quando il bambino aveva soltanto undici mesi, il ricorrente ha chiesto incessantemente al tribunale che fossero organizzati degli incontri, ma non ha potuto esercitare il suo diritto di visita a causa dell'opposizione di L.R., che aveva lasciato la casa familiare e gli impediva di avere il minimo contatto con il bambino.
  3. Nel 2016, il tribunale di Treviso osservò che il ricorrente non poteva vedere suo figlio, e che L.R. persisteva nell’opporsi agli incontri tra il ricorrente e il minore.
  4. A partire da dicembre 2016, dopo il trasferimento della madre del bambino in un'altra città, a circa seicento chilometri di distanza, senza il consenso dei tribunali e del ricorrente, quest'ultimo non ha più potuto vedere suo figlio, in particolare a causa del rifiuto della madre di organizzare degli incontri.
  5. La Corte osserva che, nonostante la decisione della corte d'appello di Venezia del 30 gennaio 2017 che stabiliva che la residenza del minore era a Z.B., e che negava che il trasferimento a Roma fosse stato autorizzato, L.R. ha fissato la sua residenza a Roma.
  6. Di conseguenza, il 10 luglio 2017 il ricorrente adì nuovamente il tribunale per i minorenni di Venezia facendo valere che L.R. si era trasferita senza autorizzazione, e che per questo motivo gli era impossibile vedere suo figlio, in quanto quest'ultima si opponeva agli incontri.
  7. Nel 2017, nonostante i ricorsi presentati dalla procura e dal ricorrente al tribunale di Venezia e la segnalazione effettuata dai servizi sociali, il tribunale non ha adottato alcuna misura. La Corte osserva che, per poter vedere suo figlio, il ricorrente è stato costretto a chiedere l'intervento della forza pubblica.
  8. La Corte osserva che il tribunale di Venezia ha atteso due anni prima di pronunciarsi. Pur riconoscendo che il comportamento di L.R. era pregiudizievole per il minore, il tribunale ritenne che non fosse nell'interesse di quest'ultimo essere allontanato da L.R. e stabilì, di conseguenza, la residenza principale del minore presso la madre, accordando un diritto di visita al ricorrente.
  9. La Corte osserva che, a tutt’oggi, il ricorrente si trova nell'impossibilità di esercitare tale diritto di visita, in quanto L.R. vi si oppone e gli incontri non vengono organizzati.
  10. La Corte rammenta che non ha il compito di sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali competenti per quanto riguarda le misure che avrebbero dovuto essere adottate, poiché tali autorità, in linea di principio, si trovano in una posizione migliore per procedere a questa valutazione, soprattutto perché sono in contatto diretto con il contesto della causa e le parti implicate (Reigado Ramos, sopra citata, § 53). Tuttavia, essa non può ignorare, nel caso di specie, i fatti sopra esposti (paragrafi 70-77 supra). In particolare, la Corte osserva che il ricorrente ha continuato a cercare di stabilire dei contatti con suo figlio dal 2014 e che, nonostante le varie decisioni del tribunale per i minorenni e della corte d'appello, le autorità non hanno trovato soluzione per permettergli di esercitare regolarmente il suo diritto di visita. L'ammonimento del tribunale di Venezia non ha avuto alcun effetto su L.R., che ha continuato a impedire al ricorrente di esercitare il suo diritto di visita, e che, inoltre, si è trasferita a seicento chilometri di distanza senza il consenso di quest'ultimo e dei tribunali. Questo comportamento persiste tuttora, nonostante una nuova decisione del tribunale per i minorenni e la condanna penale pronunciata contro la ricorrente per sottrazione di minore.
  11. Certamente, la Corte ammette che le autorità, nel caso di specie, si trovavano di fronte a una situazione molto difficile, dovuta soprattutto alle tensioni esistenti tra i genitori del minore, e ammette che l’impossibilità per il ricorrente di esercitare il suo diritto di visita era imputabile, all’inizio, all’evidente rifiuto della madre e, in seguito, a quello del minore e alla distanza tra il luogo di residenza di quest’ultimo e quello del ricorrente. La Corte rammenta, tuttavia, che una mancanza di collaborazione fra i genitori separati non può dispensare le autorità competenti dal mettere in atto qualsiasi mezzo idoneo a permettere di mantenere il legame familiare (Nicolò Santilli, 74, Lombardo, § 91, e Zavřel, § 52, tutte sopra citate).
  12. La Corte considera che le autorità non abbiamo dimostrato la diligenza necessaria nel caso di specie, e siano rimaste al di sotto di quanto ci si poteva ragionevolmente attendere da esse. La Corte ritiene, in particolare, che i giudici nazionali non abbiano adottato le misure idonee a creare le condizioni necessarie per la piena realizzazione del diritto di visita del padre del minore (Bondavalli, § 81, Macready, § 66, Piazzi, § 61, e Strumia, § 122 tutte sopra citate). Essa constata, in particolare, che i servizi sociali di Roma, nonostante le decisioni giudiziarie che ordinavano l'organizzazione di incontri, sono intervenuti molto tardivamente (paragrafi 27-33 supra), hanno organizzato una sola visita e non hanno tenuto il ricorrente informato della situazione di suo figlio.
  13. La Corte considera che, fin dalla separazione dei genitori, quando il minore aveva soltanto un anno, le giurisdizioni interne hanno omesso di adottare delle misure concrete e utili volte all'instaurazione di contatti effettivi, e constata che le stesse hanno poi tollerato per circa sette anni che la madre, con il suo comportamento, impedisse l’instaurarsi di una vera relazione tra il ricorrente e suo figlio. La Corte osserva che lo svolgimento del procedimento dinanzi al tribunale evidenzia piuttosto una serie di misure automatiche e stereotipate, quali delle ripetute richieste di informazioni o una delega della funzione di controllo ai servizi sociali, con l’obbligo per questi ultimi di organizzare e far rispettare il diritto di visita del ricorrente (Lombardo, sopra citata § 92, e Piazzi, sopra citata, § 61). I servizi sociali, da parte loro, hanno agito con ritardo e non hanno eseguito correttamente le decisioni giudiziarie.
  14. La Corte osserva che i servizi sociali non hanno organizzato gli incontri durante il primo periodo di confinamento e nemmeno successivamente (paragrafo 38 supra) sebbene gli spostamenti motivati dall'esercizio di un diritto di visita e di alloggio fossero autorizzati (paragrafi 45-46 supra). Ora, sebbene gli strumenti giuridici previsti dal diritto italiano sembrino sufficienti, secondo la Corte, per permettere allo Stato convenuto di assicurare in astratto il rispetto degli obblighi positivi che derivano per quest'ultimo dall'articolo 8 della Convenzione, si deve constatare che, nel caso di specie, le autorità non hanno utilizzato gli strumenti giuridici esistenti e non hanno intentato alcuna azione nei confronti di L.R., lasciandole per di più la possibilità di trasferirsi con suo figlio per andare a vivere a seicento chilometri dal domicilio del ricorrente senza il consenso di quest'ultimo e contro la decisione della corte d'appello; in particolare, L.R. ha agito in tal modo senza aver concordato previamente con il ricorrente un progetto di co-genitorialità o senza avere sottoposto tale progetto ai giudici per l'approvazione. Successivamente, le autorità non hanno eseguito le precedenti decisioni del tribunale di Treviso e della corte d'appello di Venezia che accordavano un diritto di visita al ricorrente. Inoltre, la Corte osserva che L.R. è stata condannata a un anno e otto mesi di reclusione per sottrazione di minore, ma questo non ha cambiato la situazione del ricorrente, che continuava a non avere accesso al figlio. Pertanto, la Corte ritiene che le autorità abbiano lasciato che si consolidasse una situazione di fatto generata dall’inosservanza delle decisioni giudiziarie (B. e altri c. Croazia, n. 36216/13, 14 marzo 2017). Dopo il periodo di confinamento, i servizi sociali, avendo constatato che L.R. si rifiutava di portare il bambino a incontrare suo padre, hanno sospeso gli incontri senza avviare la procedura di mediazione ordinata dal tribunale. Le giurisdizioni non hanno effettuato alcun controllo sulle attività e sulle omissioni dei servizi sociali.
  15. La Corte osserva che, nel caso di specie, di fronte all'opposizione della madre del minore, che perdurava dal 2014, e alle difficoltà per il primo ricorrente di esercitare il suo diritto di visita, le autorità nazionali non hanno adottato rapidamente tutte le misure necessarie che si potevano ragionevolmente esigere per far rispettare il diritto dell’interessato di avere dei contatti e stabilire una relazione con suo figlio (Terna, sopra citata § 73, Strumia, sopra citata, § 123).
  16. A tale riguardo, la Corte rammenta di avere già constatato, nella sentenza Terna, (sopra citata, § 97), l'esistenza di un problema sistemico in Italia relativo ai ritardi nell’attuazione del diritto di visita pronunciato per via giudiziaria.
  17. La Corte osserva anche il ritardo con cui il tribunale di Venezia ha emesso la sua decisione. Essa rammenta, a tale riguardo, che può tenere conto, dal punto di vista dell’articolo 8 della Convenzione, della durata del processo decisionale delle autorità nazionali e di qualsiasi altro procedimento giudiziario connesso. In effetti, un ritardo nel procedimento rischia sempre, in tal caso, di risolvere la controversia con un fatto compiuto. Ora, un rispetto effettivo della vita familiare impone che le relazioni future tra genitore e figlio si regolino unicamente sulla base di tutti gli elementi pertinenti, e non semplicemente con il passare del tempo ( c. Regno Unito, 8 luglio 1987, §§ 64‑65, serie A n. 121, Covezzi e Morselli c. Italia, n. 52763/99, § 136, 9 maggio 2003, Solarino, sopra citata, § 39, 9 febbraio 2017, e D’Alconzo c. Italia, n. 64297/12, § 64, 23 febbraio 2017).
  18. Per la Corte, erano necessarie una diligenza e una rapidità supplementari nell’adozione di una decisione riguardante i diritti sanciti dall’articolo 8 della Convenzione. La posta in gioco per il ricorrente esigeva che la causa fosse trattata con urgenza, in quanto il passare del tempo poteva avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il figlio e suo padre, che non viveva con lui. La Corte rammenta infatti che l’interruzione del contatto con un figlio molto giovane può comportare un peggioramento della sua relazione con il genitore. A questo riguardo, essa osserva che, malgrado le domande depositate dal ricorrente, dai servizi sociali e dalla procura, che segnalavano una situazione pericolosa per il bambino, al tribunale di Venezia sono stati necessari due anni per prendere una decisione che, a tutt'oggi, non viene ancora eseguita, senza che questa mancata esecuzione comporti delle conseguenze per L.R., nonostante gli ammonimenti del tribunale e sebbene L.R. sia stata condannata per sottrazione di minore.
  19. Tenuto conto delle considerazioni sopra esposte, e nonostante il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in materia, la Corte considera che le autorità nazionali non abbiano compiuto sforzi adeguati e sufficienti per far rispettare il diritto di visita del ricorrente, e che abbiano violato il diritto dell'interessato al rispetto della sua vita familiare.
  20. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
  1. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
  1. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione:

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

  1. Danno
  1. Il ricorrente chiede la somma di 100.000 euro (EUR) per il danno morale che ritiene di avere subìto a causa di una impossibilità per lui di allacciare una relazione con suo figlio dal
  2. Il Governo contesta le richieste del ricorrente.
  3. La Corte considera che l’interessato abbia subìto un danno morale che non può essere riparato con la semplice constatazione di violazione dell'articolo 8 della Convenzione. Essa ritiene che l'impossibilità per il ricorrente di mantenere dei contatti significativi con suo figlio gli abbia causato frustrazione e sofferenza e gli abbia impedito di sviluppare dei rapporti con suo figlio per vari anni. Di conseguenza, tenuto conto di tutti gli elementi in suo possesso e deliberando in via equitativa, conformemente all’articolo 41 della Convenzione, essa accorda all’interessato la somma di 13.000 EUR a questo titolo.
  1. Spese
  1. Presentando i relativi documenti giustificativi, il ricorrente chiede la somma di 39.692,01 EUR per le spese che afferma di avere sostenuto nell’ambito del procedimento condotto dinanzi alle giurisdizioni interne e la somma di 4.085,54 EUR per quelle che avrebbe sostenuto per il procedimento dinanzi alla Corte.
  2. Il Governo ritiene che la domanda di rimborso debba essere respinta.
  3. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene ragionevole accordare al ricorrente la somma di 15.000 EUR per tutte le spese, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta.
  1. Interessi moratori
  1. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara,
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 000 EUR (tredicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale;
      2. 000 EUR (quindicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 24 giugno 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Renata Degener
Cancelliere

Ksenija Turković
Presidente