Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 27 aprile 2010 - Ricorso n. 16318/07 - Moretti e Benedetti c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Martina Scantamburlo

Abstract
ADOZIONE - DI MINORE ABBANDONATO SUBITO DOPO LA NASCITA – AFFIDO TEMPORANEO AD UNA FAMIGLIA – DOMANDA DI ADOZIONE SPECIALE – RITARDATO ESAME DELL’ISTANZA – DICHIARAZIONE DI ADOTTABILITÀ DEL MINORE – EMESSA PRIMA DELLA PRONUNZIA DI RIGETTO DELLA DOMANDA DI ADOZIONE SPECIALE – DIFETTO DI MOTIVAZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI RIGETTO - ILLEGITTIMA INGERENZA NELLA VITA FAMILIARE – VIOLAZIONE DELL’ART. 8 CEDU – SUSSISTE.

La mancanza di motivazione della decisione del Tribunale dei minori di respingere la domanda di adozione presentata dai ricorrenti nonché il ritardo nell’esame della stessa, avvenuto solo successivamente alla dichiarazione di adottabilità del minore ed alla scelta della famiglia adottiva, viola il diritto al rispetto della vita familiare, garantito dall’art. 8 CEDU.

Fatto. I ricorrenti, i coniugi Luigi Moretti e Maria Brunella Benedetti, vivevano con la loro figlia legittima e con il bambino adottivo della sig.ra Benedetti. Avevano alle spalle anche esperienze di affido temporaneo di bambini, adottati poi da altre famiglie.

Con decreto urgente del 20 maggio 2004, A. - una neonata abbandonata dalla madre tossicodipendente subito dopo la nascita - fu temporaneamente affidata a loro per decisione del tribunale per i minorenni di Venezia per un periodo di cinque mesi, che di fatto si prolungò fino a dicembre 2005.

Il 26 ottobre 2004, i ricorrenti presentarono una domanda di adozione speciale. A questa domanda, le autorità non diedero riscontro alcuno. Nel frattempo la bambina era stata iscritta all’asilo nido a carico dei ricorrenti: costoro l’avevano allevata ed educata, portandola con sé finanche in un viaggio in Brasile nel gennaio 2005.

Non avendo ricevuto riscontri, il 15 marzo 2005, i ricorrenti reiterarono la domanda di adozione speciale.

Scoprirono così che in data 7 marzo 2005, il tribunale aveva dichiarato lo stato di adottabilità della bambina, cui la madre biologica si era opposta (vedendosi peraltro successivamente respinta l’opposizione). In una data non precisata tra il luglio e il novembre 2005, il tribunale dei minori svolse ricerche per individuare una famiglia adottiva diversa da quella dei ricorrenti affidatari. Il 30 novembre 2005, due magistrati si recarono presso i ricorrenti con lo scopo di chiedere a questi ultimi di aiutare la bambina ad inserirsi nella famiglia adottiva scelta dal tribunale. Il 19 dicembre 2005, con decisione non notificata ai ricorrenti, il tribunale dette la bambina in affidamento pre-adottivo temporaneo ad una nuova famiglia e, lo stesso giorno, la bambina venne allontanata dalla casa dei ricorrenti con l’aiuto della forza pubblica. Il 21 dicembre 2005, il tribunale per i minorenni di Venezia respinse la prima domanda di adozione dei sig.ri Moretti e Benedetti; il 3 gennaio 2006 respinse anche la seconda domanda, motivando che la scelta della nuova famiglia era nell’interesse superiore della minore.

I ricorrenti fecero appello. La corte d'appello accolse il gravame, annullando le pronunzie di rigetto delle domande di adozione sulla base del rilievo che lo stato di adottabilità non avrebbe dovuto essere dichiarato prima della pronunzia sulla domanda di adozione speciale dei ricorrenti (tuttavia la corte d’appello non annullò il provvedimento di affidamento temporaneo alla nuova famiglia). Successivamente, la corte d’appello nominò un perito che stabilisse se nella nuova famiglia A. si fosse già inserita.

Avendo avuto la perizia l’esito per cui A. – pur legata affettivamente a entrambe le famiglie - si era già pienamente integrata nel nuovo contesto familiare, la corte d’appello il 27 ottobre 2006 non annullò il decreto di affidamento alla nuova famiglia e in definitiva consentì a questa l’adozione nel superiore interesse della minore.

I sig.ri Moretti e Benedetti adirono la Corte EDU, deducendo la violazione dell’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare) per l’illegittima ingerenza nella loro vita privata e familiare dovuta ad un’erronea applicazione della legge e delle norme procedurali e degli artt. 6 (diritto a un equo processo) e 13 CEDU (diritto ad un ricorso effettivo) per l’iniquità del procedimento controverso e per non aver beneficiato di un ricorso effettivo davanti ad un giudice nazionale. Diritto. La Corte ha ritenuto, dopo aver qualificato i fatti di causa, esaminare i motivi del ricorso unicamente sotto il profilo dell’art. 8 CEDU.
Per quanto riguarda la legittimazione ad agire dei ricorrenti in nome e per conto della minore, la Corte ha rilevato che il signor Moretti e la signora Benedetti non esercitavano – al momento del ricorso - alcuna potestà sulla bambina. Quindi i ricorrenti non avevano i requisiti necessari per rappresentarne gli interessi legali. Sicché il ricorso è stato esaminato solo sulla posizione dei ricorrenti e non su quella della minore. Circa poi la pretesa violazione del diritto alla vita privata e familiare, la Corte ha rammentato che l’art. 8 della Convenzione EDU non assegna un diritto a creare una famiglia né riconosce un diritto all’adozione dei minori abbandonati. Esso tutela una vita famigliare esistente. L’esistenza di una "vita familiare" ai sensi dell'articolo 8 CEDU non si limita però ai rapporti fondati sul matrimonio e sulla filiazione legittima ma può comprendere altre relazioni familiari de facto, purché - oltre all’affetto generico - sussistano altri indici di stabilità, attuale o potenziale, quale potrebbe essere quello di filiazione naturale o di un affidamento pre-adottivo. Da questo punto di vista, la determinazione del carattere familiare delle relazioni di fatto deve tener conto di un certo numero di elementi, quali il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni, così come il ruolo assunto dall’adulto nei confronti del bambino. Qui la Corte ha osservato che i ricorrenti avevano vissuto con la minore le prime tappe importanti della vita di lei per un tempo più che apprezzabile (diciannove mesi), l’avevano inserita nella scolarità infantile e l’avevano menata con sé in un viaggio. Considerando tale forte legame stabilitosi tra i ricorrenti e la bambina, la Corte ha statuito, nonostante l’assenza di un rapporto giuridico di parentela, che esso potesse rientrare nella nozione di vita familiare ai sensi dell'articolo 8 CEDU. Nel caso specifico, la Corte ha constatato il grave incidente procedurale consistito nell’essere stata dichiarata l’adottabilità della bambina prima che l’autorità si fosse pronunziata sulla tempestiva domanda di adozione da parte dei ricorrenti. Essa ha altresì preso atto della pronunzia della corte d’appello che aveva giudicato priva di motivazione la reiezione delle domande adottive dei ricorrenti.
Di conseguenza, la Corte, a maggioranza, ha concluso per la violazione dell'articolo 8 CEDU, determinando – ai sensi dell'articolo 41 CEDU (vista l’irreversibilità della situazione) – l’equa riparazione nella somma di 10.000 euro per i danni morali e di 5.000 euro per spese legali. Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrà subire alcune lievi modifiche formali.
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:


Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 23 marzo 2010,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

IL PROCEDIMENTO

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 16318/07) presentato contro la Repubblica italiana e con cui due cittadini di tale Stato, i sigg. Luigi Moretti e Maria Brunella Benedetti («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 13 aprile 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti sono rappresentati dall’avv. L. Mollica Busacca del foro di Milano. Il Governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e al suo co-agente, N. Lettieri.
3. Il 29 gennaio 2009 il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, la camera ha deciso sarebbero stati esaminati nel contempo la ricevibilità e il merito della causa.


IN FATTO

I.LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. Il primo ricorrente, il sig. Luigi Moretti, e la seconda ricorrente, la sig.ra Maria Brunella Benedetti, sono una coppia coniugata di nazionalità italiana. Sono nati nel 1966 e nel 1959 e sono residenti a Lugo di Ravenna. Dinanzi alla Corte, sostengono di agire anche a nome di A. (di seguito «la terza ricorrente»), una bambina di nazionalità italiana nata il 18 aprile 2004 e attualmente residente in Italia. I primi due ricorrenti hanno firmato delle procure in favore dell’avv. L. Mollica Busacca del foro di Milano affinché rappresenti i loro interessi dinanzi alla Corte. Non è stata firmata alcuna procura né dalla terza ricorrente, né dai suoi genitori adottivi.
5. Dopo la sua nascita, A. rimase per qualche tempo in ospedale in quanto presentava crisi di astinenza dovute alla tossicodipendenza della madre biologica. Quest’ultima cessò di occuparsi di lei alcuni giorni dopo averla messa al mondo.
6. Con un decreto di urgenza in data 20 maggio 2004 il tribunale per i minorenni di Venezia avviò una procedura volta a dichiarare lo stato di adottabilità della minore e dispose il suo collocamento presso l’assistenza pubblica. A fu affidata al nucleo famigliare dei ricorrenti. Previsto per un periodo di 5 mesi (3 giugno 2004 - 3 novembre 2004), l’affidamento fu prorogato fino al dicembre 2005.
7. I ricorrenti vivevano con la loro figlia e un bambino adottato dalla ricorrente alcuni anni prima. Avevano già accolto dei minori a titolo provvisorio, che erano stati poi adottati da altre famiglie.
8. Il 26 ottobre 2004 i ricorrenti presentarono una domanda di adozione speciale al tribunale per i minorenni di Venezia.
9. Il 16 dicembre 2004 la madre biologica, i parenti e i ricorrenti furono sentiti dal tribunale.
10. All’età di sette mesi A. fu iscritta all’asilo nido.
11. Nel gennaio 2005 la famiglia dei ricorrenti si recò in Brasile in vacanza.
12. Il 7 marzo 2005 il tribunale dichiarò lo stato di adottabilità della minore. Il 15 marzo 2005, non avendo ricevuto risposta alla loro domanda di adozione speciale presentata il 26 ottobre 2004, i ricorrenti presentarono una nuova domanda di adozione speciale al tribunale per i minorenni di Venezia.
13. Il 9 giugno 2005 la madre biologica propose opposizione contro la dichiarazione di adottabilità della minore. Con decisione in data 4 luglio 2005 il tribunale rigettò l’opposizione della madre biologica.
14. Il 30 novembre 2005 due giudici si recarono presso i ricorrenti per sentirli. Lo scopo di tale incontro era quello di chiedere ai ricorrenti di aiutare A. a inserirsi nella nuova famiglia adottiva scelta dal tribunale.
15. Il 7 dicembre 2005 il tribunale per i minorenni autorizzò i contatti con la nuova famiglia scelta per l’adozione. Vietò ogni contatto tra la famiglia scelta e i ricorrenti. Il 19 dicembre 2005 affidò la custodia di A. a una nuova famiglia ai fini dell’adozione. Tale decisione non fu notificata ai ricorrenti.
16. Lo stesso giorno A. fu allontanata dal nucleo famigliare dei ricorrenti, con l’aiuto della forza pubblica.
17. Il 21 dicembre 2005 i ricorrenti adirono il tribunale per i minorenni di Venezia. Essi lamentavano di non aver mai ricevuto risposta alla loro domanda di adozione del marzo 2005, e di non essere stati messi al corrente della procedura di adozione di A. Chiedevano di poter riallacciare i contatti con A.
18. Lo stesso giorno il tribunale archiviò la domanda di adozione dei ricorrenti in quanto, nel frattempo, era stata scelta un’altra famiglia per la minore.
19. Con decreto in data 3 gennaio 2006 il tribunale rigettò la seconda domanda dei ricorrenti in quanto la scelta della nuova famiglia era nell’interesse superiore della minore.
20. Il 6 aprile 2006 i ricorrenti interposero appello avverso il decreto dinanzi alla corte d’appello di Venezia.
21. Con sentenza resa il 19 maggio 2006 la corte d’appello annullò il decreto del tribunale, riscontrando in particolare un difetto di motivazione. Per di più, la corte sottolineò che la domanda di adozione dei ricorrenti avrebbe dovuto essere esaminata prima di dichiarare lo stato di adottabilità della minore e di scegliere una nuova famiglia. Di conseguenza, la corte incaricò un perito di verificare la relazione tra la minore e i ricorrenti e la sua integrazione nella nuova famiglia.
22. Il 27 ottobre 2006, dopo aver osservato che la minore manifestava un attaccamento alle due coppie in questione, la corte d’appello rigettò il ricorso dei ricorrenti in quanto, secondo il rapporto del perito, la minore sembrava ben integrata nella nuova famiglia e quindi, per proteggere i suoi interessi, non era opportuno procedere a una nuova separazione che avrebbe potuto provocarle un trauma.
23. L’adozione di A. diventò definitiva in data non precisata.

II.IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE


24. La legge n. 184 del 4 maggio 1983 aveva già ampiamente modificato la materia dell’adozione. Da allora è stata nuovamente emendata (legge n. 149 del 2001).
L'articolo 1 di tale legge prevede che «il minore ha il diritto di essere educato nell’ambito della propria famiglia».
Ai sensi dell’articolo 2 «il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia, possibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione. Ove non sia possibile un conveniente affidamento familiare, è consentito il ricovero del minore in un istituto di assistenza pubblico o privato, da realizzarsi di preferenza nell'ambito della regione di residenza del minore stesso».
L'articolo 5 prevede che la famiglia o la persona alla quale è affidato il minore devono provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione (...) tenendo conto delle indicazioni del tutore, ed osservando le prescrizioni eventualmente stabilite dall'autorità affidante. In ogni caso, la famiglia affidataria esercita la potestà dei genitori per quanto riguarda i rapporti con la scuola e il servizio sanitario nazionale. La famiglia affidataria deve essere sentita nella procedura di affidamento e in quella relativa alla dichiarazione dello stato di adottabilità.
Peraltro, l’articolo 7 prevede che l’adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità.
L'articolo 8 prevede che «sono dichiarati anche d'ufficio in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni, (...)i minori in situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio». «La situazione di abbandono sussiste», prosegue l’articolo 8 «(...) anche quando i minori siano ricoverati presso istituti di assistenza o si trovino in affidamento familiare». Infine, tale disposizione prevede che la causa di forza maggiore cessa se i genitori o altri famigliari del minore tenuti ad occuparsene rifiutano le misure di sostegno offerte dai servizi locali e se tale rifiuto viene ritenuto ingiustificato dal giudice. La situazione di abbandono può essere segnalata all’autorità pubblica da chiunque e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. D’altra parte, i pubblici ufficiali, così come la famiglia del minore, che vengano a conoscenza dello stato di abbandono di quest’ultimo, sono tenuti a farne la denuncia. Peraltro, gli istituti di assistenza devono informare regolarmente l’autorità giudiziaria della situazione dei minori che essi accolgono (articolo 9).
L'articolo 10 prevede poi che il tribunale può disporre, fino al provvedimento di affidamento preadottivo del minore nella famiglia di accoglienza, ogni opportuno provvedimento temporaneo nell'interesse del minore, ivi compresa, se del caso, la sospensione della potestà dei genitori sul figlio.
Gli articoli 11 - 14 prevedono una procedura istruttoria volta a chiarire la situazione del minore e a stabilire se quest’ultimo si trovi in stato di abbandono. In particolare, l’articolo 11 dispone che, quando dalle indagini risulta che il minore non ha rapporti con nessun parente entro il quarto grado, può essere dichiarato lo stato di adottabilità salvo che esistano istanze di adozione ai sensi dell'art. 44.
A conclusione della procedura prevista da questi ultimi articoli, se persiste lo stato di abbandono ai sensi dell’articolo 8, lo stato di adottabilità del minore è dichiarato dal tribunale per i minorenni quando: a) i genitori o i parenti non si sono presentati nel corso della procedura; b) l'audizione dei medesimi ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi; c) le prescrizioni impartite ai sensi dell'art. 12 sono rimaste inadempiute per responsabilità dei genitori (articolo 15). L'articolo 15 prevede anche che la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore è disposta dal tribunale per i minorenni in camera di consiglio con decreto motivato, sentito il pubblico ministero, nonché il rappresentante dell'istituto presso cui il minore è ricoverato o la famiglia alla quale egli è eventualmente affidato, il tutore e il minore che abbia compiuto i dodici anni o, il minore di età inferiore, se la sua audizione è necessaria.
L'articolo 17 prevede che l’opposizione avverso il provvedimento sullo stato di adottabilità di un minore deve essere depositata entro trenta giorni dalla data della comunicazione dello stesso alla parte ricorrente.
L'articolo 19 prevede che durante lo stato di adottabilità è sospeso l'esercizio della potestà dei genitori.
L'articolo 20 prevede infine che lo stato di adottabilità cessa per adozione o per il raggiungimento della maggiore età da parte dell'adottando. Peraltro, lo stato di adottabilità può essere revocato, d’ufficio o su richiesta dei genitori o del pubblico ministero, se nel frattempo sono venute meno le condizioni previste dall’articolo 8. Tuttavia, se è stato disposto l’affidamento preadottivo del minore ai sensi degli articoli 22-24, lo stato di adottabilità non può essere revocato.
L'articolo 44 prevede alcuni casi di adozione speciale: l'adozione è possibile a beneficio dei minori che non siano ancora stati dichiarati adottabili In particolare l’articolo 44 d) prevede che il minore può essere adottato anche quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

IN DIRITTO


I.SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE


25. Sotto il profilo dell’articolo 8, i ricorrenti ritengono che l’applicazione erronea della legge e delle norme procedurali ha comportato una ingerenza illegittima nella loro vita privata e famigliare.
26. I ricorrenti lamentano, inoltre, la violazione degli articoli 6 e 13, in quanto il procedimento non sarebbe stato equo ed essi non avrebbero beneficiato di un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice nazionale.
27. Essendo padrona di decidere della qualificazione giuridica dei fatti di causa, la Corte ritiene appropriato esaminare i motivi di ricorso sollevati dai ricorrenti unicamente sotto il profilo dell’articolo 8, il quale esige che il processo decisionale che porta a misure di ingerenza sia equo e rispetti come si deve gli interessi tutelati da tale disposizione (Havelka e altri c. Repubblica ceca, n. 23499/06, §§ 34-35, 21 giugno 2007; Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 56, CEDU 2002-I; Wallová e Walla c. Repubblica ceca, n. 23848/04, § 47, 26 ottobre 2006).
L'articolo 8 della Convenzione nelle sue parti pertinenti dispone:
«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita (…) familiare.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (...) alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»


A.Sulla ricevibilità


1.Sulla questione di stabilire se i primi due ricorrenti possano rappresentare gli interessi di A. dinanzi alla Corte


a)Argomenti delle parti
28. Secondo il Governo, i ricorrenti non possono rappresentare la bambina dinanzi alla Corte. Esso ricorda che A. è già rappresentata a livello nazionale da un tutore che è intervenuto nel procedimento dinanzi alla corte d’appello. Ai sensi dell’articolo 357 del codice civile, il tutore rappresenta il minore e gestisce i suoi beni.
29. In conclusione, il ricorso presentato a nome di A. dai primi due ricorrenti, che difendono il loro interesse e non quello della bambina, sarebbe, per questa parte, incompatibile ratione personae.
30. I primi due ricorrenti contestano la tesi del Governo.
31. Essi sostengono che, se è vero che non sono i genitori biologici di A. e non esercitano alcuna potestà dei genitori su quest’ultima, il loro locus standi in virtù della Convenzione deriva da un legame de facto con la minore che ha un carattere profondo e duraturo.
Peraltro, gli organi della Convenzione avrebbero riconosciuto la possibilità, per un minore, di agire direttamente dinanzi ad essi, per il tramite di un avvocato nominato dal minore stesso o da una persona che agisca nel suo interesse.
b)Valutazione della Corte
32. La Corte ricorda che conviene evitare un approccio restrittivo o puramente tecnico per quanto riguarda la rappresentanza dei minori dinanzi agli organi della Convenzione; in particolare, si deve tenere conto dei legami tra il minore interessato e i suoi «rappresentanti», dell’oggetto e dello scopo del ricorso nonché dell’esistenza eventuale di un conflitto di interessi (S.D., D.P., e T. c. Regno Unito, n. 23715/94, decisione della Commissione del 20 maggio 1996, non pubblicata).
33. Nella presente causa, la Corte osserva anzitutto che i primi due ricorrenti non esercitano alcuna potestà di genitori su A., non ne sono i tutori e non hanno alcun legame biologico con lei. La procedura volta a ottenere l’adozione di A. non ha avuto esito positivo. A. è stata adottata da un’altra famiglia. Non è stata firmata alcuna procura in favore dei primi due ricorrenti affinché gli interessi di A. siano da essi rappresentati dinanzi alla Corte. Ciò implica che i primi due ricorrenti non possiedono, da un punto di vista giuridico, i requisiti necessari per rappresentare gli interessi della minore nell’ambito di un procedimento giudiziario.
34. Inoltre, la Corte osserva che nel procedimento interno la minore era rappresentata da un tutore.
35. In queste circostanze la Corte ritiene che i primi due ricorrenti non abbiano la qualità per agire dinanzi alla Corte per conto di A. Questa parte del ricorso deve pertanto essere rigettata in quanto incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione, ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 di quest’ultima.


2.Sull’eccezione preliminare relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne


a)Argomenti delle parti
36. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto i ricorrenti non hanno presentato ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Venezia in virtù dell’articolo 56 della legge n. 184 del 1983.
37. Secondo i ricorrenti, un ricorso per cassazione non avrebbe prodotto alcun risultato. Il ricorso dinanzi alla corte d’appello era l’unica via per porre rimedio alla violazione, tenuto conto del fatto che la Corte di cassazione non avrebbe potuto pronunciarsi su una procedura di adozione che ormai era conclusa.
Del resto, i ricorrenti ricordano che la giurisprudenza della Corte di cassazione era molto divisa sulla questione di stabilire se fosse possibile proporre ricorso per cassazione contro un decreto di rigetto di una domanda di adozione.
b)Valutazione della Corte
38. La Corte non è convinta dagli argomenti del Governo. Essa ricorda che spetta al Governo che eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne dimostrare che un ricorso effettivo era disponibile sia in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, ossia che tale ricorso era accessibile, che poteva offrire ai ricorrenti la riparazione per le loro doglianze e che presentava delle prospettive ragionevoli di successo (V. c. Regno Unito [GC], n. 24888/94, § 57, CEDU 1999 IX). Essa osserva anzitutto che la corte d’appello aveva annullato il decreto del tribunale rilevando in particolare un difetto di motivazione. Di conseguenza, essa aveva incaricato un perito di verificare la relazione tra la minore e i ricorrenti e la sua integrazione nella nuova famiglia. Dopo aver studiato le conclusioni del perito, allo scopo di proteggere gli interessi della bambina, la corte d’appello aveva ritenuto che non fosse opportuno procedere a una nuova separazione che avrebbe potuto provocare un trauma alla bambina.
38. Alla luce di quanto precede e senza considerare il fatto che la giurisprudenza della Corte di cassazione era molto divisa sulla questione di stabilire se fosse possibile proporre ricorso per cassazione contro il decreto di rigetto di una domanda di adozione, la Corte considera che, nel caso di specie, un eventuale ricorso per cassazione non avrebbe prodotto l’effetto di porre rimedio a quanto lamentato dai ricorrenti. In effetti, tenuto conto del fatto che i mezzi di ricorso proposti dai ricorrenti avrebbero riguardato essenzialmente il merito della causa, la Corte di cassazione avrebbe dichiarato il ricorso inammissibile.
39. Di conseguenza l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne del Governo non può essere accolta.


3.Sull’esistenza di un legame tra i ricorrenti e A. costitutivo di una «vita famigliare» ai sensi dell’articolo 8 § 1 della Convenzione


a)Argomenti delle parti
40. Il Governo considera in via principale che l’articolo 8 della Convenzione non si applica alla situazione dei ricorrenti che non possono valersi dell’esistenza di una «vita famigliare», che possa essere tutelata dalla disposizione sopra citata. A sostegno della sua tesi, esso sottolinea che il diritto di adottare non è compreso, in quanto tale, tra i diritti sanciti dalla Convenzione, e che l’articolo 8 non obbliga gli Stati ad accordare a una determinata persona lo status di adottante o di adottato. Peraltro, esso ricorda che il diritto al rispetto della vita famigliare presuppone l’esistenza di una famiglia e non protegge il semplice desiderio di formarne una.
41. Il Governo ricorda che, nel caso di specie, i ricorrenti avevano accolto la bambina a titolo provvisorio ed erano perfettamente coscienti del compito affidato loro dalle autorità. Il fatto di accogliere la bambina a titolo provvisorio non dava loro un diritto all’adozione.
42. Secondo il Governo, dall’esistenza di un legame puramente de facto non deriverebbe la protezione dell’articolo 8.
43. I ricorrenti si oppongono alla tesi del Governo. Fanno valere che dalle perizie risulta che il legame stabilito tra essi ed A. era molto stretto e che la minore era ben integrata nella loro famiglia. Tale adozione aveva dunque come unica finalità quella di legalizzare questa famiglia «di fatto».
b)Valutazione della Corte
44. Conformemente alla sua giurisprudenza, la Corte osserva che la questione dell’esistenza o dell’assenza di una «vita famigliare» è anzitutto una questione di fatto, che dipende dall’esistenza di legami personali stretti (Marckx c. Belgio, sentenza del 13 giugno 1979, serie A n. 31, pp. 14 e segg., § 31, e K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 150, CEDU 2001 VII).
45. La Corte ricorda che la nozione di «famiglia» prevista dall’articolo 8 non si limita alle sole relazioni fondate sul matrimonio, ma può comprendere altri legami «famigliari» de facto, quando le parti convivono al di fuori di qualsiasi legame coniugale (v., tra le altre, Johnston e altri c. Irlanda, sentenza del 18 dicembre 1986, serie A n. 112, p. 25, § 55; Keegan c. Irlanda, sentenza del 26 maggio 1994, serie A n. 290, p. 17, § 44; Kroon e altri c. Paesi Bassi, sentenza del 27 ottobre 1994, serie A n. 297 C, pp. 55 e segg., § 30, e X, Y e Z c. Regno Unito, sentenza del 22 aprile 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997 II, p. 629, § 36).
46. La Corte ribadisce anche che il principio secondo cui i rapporti tra genitori e figli adulti non beneficiano della protezione dell’articolo 8 senza che sia dimostrata «l’esistenza di elementi supplementari di dipendenza, diversi dai legami affettivi normali» (v., mutatis mutandis, Kwakye-Nti e Dufie c. Paesi Bassi (dec.), n. 31519/96, 7 novembre 2000).
47. Peraltro, la Corte ricorda che le disposizioni dell’articolo 8 non garantiscono né il diritto di formare una famiglia né il diritto di adottare (E.B. c. Francia [GC], n. 43546/02). Il diritto al rispetto di una «vita famigliare» non tutela il semplice desiderio di formare una famiglia; esso presuppone l’esistenza di una famiglia (Marckx c. Belgio, già cit., § 31), o quanto meno di una potenziale relazione che avrebbe potuto svilupparsi, ad esempio, tra un padre naturale e un figlio nato fuori dal matrimonio (Nylund c. Finlandia (dec.), n. 27110/95, CEDU 1999-VI), di una relazione nata da un matrimonio non fittizio, anche se una vita famigliare non era stata ancora pienamente stabilita (Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, sentenza del 28 maggio 1985, serie A n 94, p. 32, § 62), o ancora di una relazione nata da un’adozione legale e non fittizia (Pini e altri c. Romania, nn. 78028/01 e 78030/01, § 148, CEDU 2004-V).
48. La Corte esaminerà dunque i legami famigliari de facto, come la vita comune dei due ricorrenti e A. in assenza di qualsiasi rapporto giuridico di parentela tra essi (X c. Svizzera, n. 8257/78, decisione della Commissione del 10 luglio 1978; Johnston e altri c. Irlanda, già cit. § 56; Giusto e altri c. Italia (dec.), n. 38972/06, CEDU 2007 V (estratti)). Essa valuterà la natura effettiva della relazione tra i ricorrenti ed A. In effetti, la Corte ritiene che, nelle relazioni de facto, la determinazione del carattere famigliare delle relazioni deve tenere conto di un certo numero di elementi, come il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni nonché il ruolo assunto dall’adulto nei confronti del bambino.
49. La Corte osserva che, nel caso di specie, i ricorrenti hanno accolto A., dell’età di un mese, nella loro famiglia. Per diciannove mesi i ricorrenti hanno vissuto con la bambina le prime tappe importanti della sua giovane vita.
50. La Corte constata anche che, durante questo tempo, A. è vissuta con una sorella e un fratello, quest’ultimo adottato in precedenza dalla prima ricorrente. Essa constata, inoltre, che le perizie condotte sulla famiglia dimostrano che la minore vi era ben inserita e che la stessa era profondamente attaccata ai ricorrenti e ai figli di questi ultimi. I ricorrenti hanno anche garantito lo sviluppo sociale della bambina. Al riguardo, la Corte osserva che all’età di sette mesi essa si è abituata all’asilo nido e che nel gennaio 2005 aveva seguito i ricorrenti e i loro figli in un viaggio in Brasile. Questi elementi bastano alla Corte per dire che sussisteva tra i ricorrenti e la bambina un legame interpersonale stretto e che i ricorrenti si comportavano in tutti i sensi come i suoi genitori, cosicché dei «legami famigliari» esistevano «de facto» tra essi (v., mutatis mutandis, Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo, n. 76240/01, § 117, CEDU 2007 VII (estratti), X, Y e Z c. Regno Unito, sentenza del 22 aprile 1997, Recueil 1997-II, fasc. 35, § 37).
51. Del resto, la Corte constata che i ricorrenti avevano già accolto temporaneamente dei bambini che, in seguito, sono stati adottati da altre famiglie. Tuttavia, nel caso di specie, i ricorrenti, tenuto conto dello stretto legame esistente con A., avevano deciso di depositare una domanda di adozione. Tale domanda costituisce per la Corte un elemento supplementare – anche se non determinante – che testimonia la forza del legame instaurato tra i ricorrenti e la bambina. La Corte non può pertanto escludere che, nonostante l’assenza di un rapporto giuridico di parentela, il legame tra i ricorrenti ed A. rientra nell’ambito della vita famigliare.
52. Alla luce di quanto precede, la Corte considera che la relazione tra i ricorrenti ed A. rientra nell’ambito della vita famigliare, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Di conseguenza, l'eccezione del Governo deve essere respinta.


4.Conclusione


53. La Corte constata che il motivo di ricorso relativo all’articolo 8 non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione, e osserva inoltre che esso non si scontra con nessun altro motivo di irricevibilità È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

B.Sul merito

a)Argomenti delle parti
54. I ricorrenti ritengono che l’applicazione erronea della legge e delle norme di procedura abbia comportato una ingerenza illegittima nella loro vita privata e famigliare. Sostengono che avevano presentato al domanda di adozione, conformemente alle disposizioni di legge, tenuto conto del legame stretto che si era creato con A. Tuttavia, la procedura irregolare seguita dal tribunale ha impedito che la loro domanda di adozione fosse esaminata dalle autorità competenti. Benché la corte d’appello abbia annullato il decreto del tribunale, essa non ha potuto porre fine alla violazione in quanto ha deciso, al fine di salvaguardare gli interessi della bambina, che non era opportuno procedere ad una nuova separazione che avrebbe potuto provocare un trauma per la stessa.
55. Per di più, i ricorrenti sostengono che il perito nominato dalla corte d’appello non ha ritenuto necessario organizzare incontri con A.
56. Il Governo contesta la tesi dei ricorrenti. Sostiene che il tribunale ha esaminato le domande di adozione di A. con una diligenza particolare. A questo riguardo ricorda che, il 30 novembre 2005, due giudici si sono recati dai ricorrenti allo scopo di sentirli.
Esso sostiene che l’ingerenza nel diritto dei ricorrenti era prevista dalla legge n. 184 del 1983 e perseguiva uno scopo legittimo, ossia la protezione della minore. L’intervento del tribunale si basava su motivi pertinenti e sufficienti, in particolare sull’esame delle varie domande di adozione.
57. Secondo il Governo, la procedura seguita dal tribunale per i minorenni era giustificata nell’interesse della minore.
58. Il Governo ricorda che la Corte riconosce alle autorità un ampio margine discrezionale nel valutare la necessità di prendere in carico un minore (Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, CEDU 2000 IX) e che in materia di adozione di minori, essa ha affermato che le autorità nazionali si trovano in una posizione migliore per stabilire un giusto equilibrio tra gli interessi contraddittori (Söderbäck c. Svezia del 28 ottobre 1998, Recueil 1998-VII, pp. 3095-3096, § 33).
59. Il Governo ritiene inoltre che alla «carenza» dimostrata dal tribunale nel rigettare la domanda di adozione dei ricorrenti ha posto rimedio la corte d’appello, che si è poi pronunciata con una sentenza motivata.
b)Valutazione della Corte
60. La Corte ricorda che l’articolo 8 della Convenzione tende in sostanza a premunire l’individuo contro eventuali ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici; esso genera inoltre degli obblighi positivi inerenti a un «rispetto» effettivo della vita famigliare. In entrambi i casi si deve avere riguardo al giusto equilibrio da garantire tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme. Parimenti, in entrambe le ipotesi, lo Stato gode di un certo margine discrezionale (Keegan, già cit., p. 19, § 49, e Pini e altri c. Romania, n. 78028/01 e 78030/01, § 149, CEDU 2004-V).
61. La corte ricorda anche che la Convenzione e i suoi Protocolli devono essere interpretati alla luce delle condizioni del momento presente (Marckx, già cit., § 41; Tyrer c. Regno Unito, 25 aprile 1978, § 31 serie A n. 26; Airey c. Irlanda, 9 ottobre 1979, § 26, serie A n. 32; Vo c. Francia [GC], n. 53924/00, § 82, CEDU 2004 VIII e Mamatkoulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, § 121, CEDU 2005 I). In questo contesto, la Corte ha già ricordato che il diritto all’adozione non rientra in quanto tale tra i diritti sanciti dalla Convenzione (v. paragrafo 46). Ciò non esclude tuttavia che gli Stati parte alla Convenzione possano comunque trovarsi, in determinate circostanze, nell’obbligo positivo di permettere la formazione e lo sviluppo di legami famigliari (v., in tal senso, Keegan, già cit., § 50, Pini e altri, già cit., §§ 150 e segg.).
62. La Corte osserva che la questione principale è di stabilire se l’applicazione fatta nel caso di specie delle disposizioni di legge abbia garantito un giusto equilibrio tra l’interesse pubblico e vari interessi privati concorrenti in gioco, tutti fondati sul diritto al rispetto della vita privata e famigliare. Essa ritiene pertanto appropriato esaminare i motivi di ricorso sollevati sotto il profilo degli obblighi positivi (Evans c. Regno Unito [GC], n. 6339/05, § 76).
63. Il margine discrezionale di cui dispongono gli Stati contraenti è generalmente ampio quando le autorità pubbliche devono garantire un equilibrio tra gli interessi privati e pubblici concorrenti o diversi diritti protetti dalla Convenzione. Ciò è maggiormente vero quando non vi è consenso in seno agli Stati membri del Consiglio d’Europa sull’importanza relativa dell’interesse in gioco o su quali siano i mezzi migliori per proteggerlo (Evans già cit., §§ 77-81).
64. La Corte ricorda peraltro che non ha il compito di sostituirsi alle autorità interne, ma di esaminare sotto il profilo della Convenzione le decisioni rese da tali autorità nell’esercizio del loro potere discrezionale. La Corte valuterà dunque se le autorità italiane hanno agito ignorando i loro obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione (Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 55, serie A n. 299 A, Mikuliÿ c. Croazia, n. 53176/99, § 59, CEDU 2002-I; P., C. e S. c. Regno Unito, n. 56547/00, § 122, CEDU 2002-VI).
65. La Corte constata che nel caso di specie si pone il problema della procedura di accesso all’adozione. In effetti, A. è stata affidata ai ricorrenti a titolo provvisorio il 20 maggio 2004. La convivenza è durata fino al dicembre 2005, quando la bambina è stata affidata ad un’altra famiglia scelta per l’adozione.
66. La Corte osserva anche che, nel frattempo, i ricorrenti avevano depositato una domanda di adozione speciale, che fu esaminata e rigettata senza motivazione nel gennaio 2006. In seguito, la corte d’appello annullò il decreto del tribunale, eccependo in particolare un difetto di motivazione. Essa sottolineò anche che la domanda di adozione dei ricorrenti avrebbe dovuto essere esaminata prima di dichiarare lo stato di adottabilità della minore e di scegliere una nuova famiglia. Tuttavia, dopo aver disposto una perizia sulla situazione della bambina, la corte ritenne che la minore sembrava ben inserita nella nuova famiglia e che, di conseguenza, per salvaguardare i suoi interessi, non era opportuno procedere a una nuova separazione che avrebbe potuto provocarle un trauma.
67. La Corte osserva che ci si trova, in questo tipo di causa, in presenza di interessi difficilmente conciliabili, ossia quelli della bambina e delle due famiglie in causa. Nella ricerca dell’equilibrio tra questi diversi interessi, l’interesse superiore della bambina deve essere una considerazione fondamentale.
68. La Corte ricorda che l’articolo 8 esige che il processo decisionale che si conclude con misure di ingerenza sia equo e rispetti, come si deve, gli interessi protetti da tale disposizione. La questione che si pone nella fattispecie è quella di stabilire se la procedura che si è conclusa con tale misura abbia garantito ai ricorrenti la protezione dei loro interessi. Nel caso di specie, era di fondamentale importanza che la domanda di adozione speciale presentata dai ricorrenti fosse esaminata attentamente entro breve termine.
69. A tale riguardo, la Corte osserva che, nella sua decisione di rigetto della domanda di adozione presentata dai ricorrenti, il tribunale non ha in alcun modo spiegato le proprie ragioni e non ha invocato alcun motivo per giustificare la sua decisione. Inoltre, il tribunale non ha esaminato la domanda di adozione dei ricorrenti prima di dichiarare la minore adottabile e di scegliere la nuova famiglia.
70. La Corte non condivide gli argomenti del Governo secondo cui la corte d’appello avrebbe posto rimedio alla «carenza dimostrata dal tribunale». Essa ricorda che, nelle cause che riguardano la vita famigliare, il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il bambino e il genitore che non vive con lui. In effetti, la rottura del contatto con un bambino molto piccolo può portare ad una sempre maggiore alterazione della sua relazione con il genitore (Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 102, CEDU 2000 I; v. anche, mutatis mutandis, Maire c. Portogallo, n. 48206/99, § 74, CEDU 2003-VI, Pini e altri c. Romania, già cit.). Lo stesso vale nella presente causa. La Corte osserva che la perizia chiesta dalla corte d’appello ha dimostrato che la bambina era ormai inserita nella nuova famiglia. Una nuova separazione avrebbe causato un nuovo trauma per la bambina. Di conseguenza il passare del tempo ha prodotto l’effetto di rendere definitivo il decreto del tribunale. La Corte considera riprovevole il fatto che il tribunale non ha esaminato la domanda di adozione presentata dai ricorrenti prima di dichiarare la bambina adottabile, e di non averlo fatto con una sentenza motivata.
71. Così, pur ribadendo che non ha il compito di sostituire la sua valutazione a quella delle autorità nazionali competenti per quanto riguarda le misure che avrebbero dovuto essere adottate, poiché tali autorità in linea di principio si trovano in una posizione migliore per procedere a una tale valutazione, e pur ammettendo che, nella fattispecie, le autorità si sono impegnate in buona fede a mantenere il benessere di A., la Corte considera che l’inosservanza da parte del tribunale della legge e delle norme di procedura ha avuto un impatto diretto sul diritto alla vita famigliare degli interessati. A causa delle lacune constatate nello svolgimento di tale procedura, la Corte ritiene che vi sia stata una inosservanza dell’obbligo positivo di assicurare il rispetto effettivo del diritto dei ricorrenti alla vita famigliare, diritto sancito dall’articolo 8 della Convenzione. Pertanto, vi è stata violazione di tale disposizione.


II.SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE


72. I ricorrenti affermano di aver subito dei trattamenti inumani e degradanti a causa, da una parte, delle modalità di allontanamento della minore, che avrebbero avuto conseguenze traumatizzanti sia per quest’ultima che per loro stessi e, dall’altra, della decisione del tribunale, che avrebbe preferito la nuova famiglia alla loro. Essi invocano l’articolo 3 della Convenzione, che recita:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»
73. La Corte ricorda che le allegazioni di maltrattamenti contrari all’articolo 3 devono essere suffragate da elementi di prova adeguati (Güzel c. Turchia, n.71908/01, § 68, 5 dicembre 2006, Hüsniye Tekin c. Turchia, n. 50971/99, § 43, 25 ottobre 2005, e Martinez Sala e altri c. Spagna, n. 58438/00, § 121, 2 novembre 2004).
74. Al riguardo, la Corte osserva che i ricorrenti non hanno dimostrato che le modalità di esecuzione dell’allontanamento della bambina sono state «inumane e degradanti».
75. Di conseguenza questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.


III.SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE


76. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A.Danno


77. La prima ricorrente chiede la somma di 100.000 euro (EUR) per il danno morale che sostiene di aver subito. Essa ha prodotto una perizia psichiatrica che dimostra la necessità di sottoporsi a cure psichiatriche a causa del trauma subito. Il secondo ricorrente chiede la somma di 30.000 EUR per se stesso e la somma di 30.000 EUR a nome della bambina.
78. Quanto al danno materiale, i ricorrenti chiedono la somma di 12.732 EUR per le spese che hanno dovuto sostenere per i procedimenti interni. Tale importo include le somme spese per recarsi presso alcune autorità giudiziarie, le spese telefoniche e le visite mediche.
79. Il Governo ritiene che gli importi chiesti dai ricorrenti per le loro spese non giustificano, di per sé, un rimborso, poiché non è stato stabilito alcun nesso di causalità tra le perdite supposte e le violazioni addotte. Per quanto riguarda il danno morale, il Governo contesta la perizia prodotta dai ricorrenti e considera esagerata la somma indicata. In ogni caso, il Governo ritiene che lo stato di salute della ricorrente e il suo nesso di causalità con la separazione da A. dovrebbero essere stabiliti da un perito nominato dalla Corte.
80. Per quanto riguarda le richieste dei ricorrenti per il danno materiale, è stato stabilito nella giurisprudenza della Corte che deve sussistere un nesso di causalità manifesto tra il danno che il ricorrente sostiene di aver subito e la violazione della Convenzione (v., tra le altre, le sentenze Barberà, Messegué e Jabardo c. Spagna (articolo 50), 13 giugno 1994, serie A n. 285-C, pp. 57-58, §§ 16-20; Çakıcı c. Turchia [GC], n. 23657/94, § 127, CEDU 1999 IV). Nel caso di specie, la Corte ritiene che non vi sia alcun nesso di causalità tra la constatazione di violazione e le spese di viaggio sostenute dai ricorrenti per prendere parte al procedimento interno, al quale avrebbero comunque preso parte, e per le telefonate. Per quanto riguarda le altre spese, la Corte non percepisce alcun legame tra la violazione della Convenzione constatata e le visite mediche della ricorrente. Essa ritiene che, in queste condizioni, non sia opportuno accordare la somma richiesta dai ricorrenti per il danno materiale.
81. Per quanto attiene alle richieste per il danno morale, la Corte ritiene che non si possa speculare sulla questione di stabilire se, in assenza delle lacune procedurali constatate, A. sarebbe stata o meno adottata da un’altra famiglia. I ricorrenti hanno comunque subito per questo fatto una perdita di occasioni. Peraltro, il dolore provato dai ricorrenti ha cagionato loro un danno morale certo, che la constatazione di violazione della Convenzione non basta a compensare (v., ad esempio, Elsholz c. Germania [GC], n. 25735/94, §§ 70-71, CEDU 2000-VIII, e P. C. e S. c. Regno Unito, già cit., § 150).
82. Deliberando equamente, la Corte accorda ai ricorrenti congiuntamente la somma di 10.000 EUR.

B.Spese

83. I ricorrenti chiedono il rimborso delle spese sostenute nell’ambito dei procedimenti dinanzi ai giudici italiani, ossia 9.862 EUR. Chiedono inoltre 10.000 EUR per le spese relative al procedimento dinanzi alla Corte. Forniscono dei documenti giustificativi a sostegno delle loro pretese.
84. Quanto alle spese sostenute dinanzi ai giudici interni, la Corte osserva che, benché almeno una parte di tali spese sia stata sostenuta per far correggere la violazione dell'articolo 8 della Convenzione, le parcelle prodotte non indicano in maniera dettagliata la natura delle prestazioni dell’avvocato dei ricorrenti.
85. Per quanto riguarda le spese sostenute dinanzi ad essa, la Corte ritiene eccessiva la somma chiesta dai ricorrenti.
86. In queste condizioni, la Corte, deliberando equamente e tenuto conto della prassi degli organi della Convenzione in materia, considera ragionevole accordare ai ricorrenti la somma di 5.000 EUR.


C.Interessi moratori


87. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

 

  1. Dichiara, all’unanimità, che i primi due ricorrenti non hanno qualità per agire dinanzi alla Corte per conto di A.;
  2. Dichiara, a maggioranza, il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo all’articolo 8;
  3. Dichiara, all’unanimità, il ricorso irricevibile per il resto;
  4. Dichiara, con sei voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  5. Dichiara, all’unanimità,
    a) che lo Stato convenuto deve versare ai primi due ricorrenti congiuntamente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
    i. 10.000 EUR (diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
    ii. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per le spese;
    b) che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  6. Rigetta, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatto in francese, e poi comunicato per iscritto il 27 aprile 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.


Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto

Françoise Tulkens
Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l'esposizione delle seguenti opinioni separate:
–opinione concorde del giudice Cabral Barreto;
–opinione dissenziente del giudice Işıl KARAKAŞ.

F.T.
F.E.P.

OPINIONE CONCORDE DEL GIUDICE CABRAL BARRETO
Sono d’accordo con la maggioranza ma desidero discostarmi dal ragionamento seguito al paragrafo 51, in cui la maggioranza afferma:
«Tuttavia, nel caso di specie, i ricorrenti, tenuto conto dello stretto legame esistente con A., avevano deciso di depositare una domanda di adozione. Tale domanda costituisce per la Corte un elemento supplementare – anche se non determinante – che testimonia la forza del legame instaurato tra i ricorrenti e la bambina. La Corte non può pertanto escludere che, nonostante l’assenza di un rapporto giuridico di parentela, il legame tra i ricorrenti ed A. rientri nell’ambito della vita famigliare» (sottolineatura mia).

Se capisco bene la maggioranza, esisterebbero dei «legami famigliari» tra una famiglia di accoglienza e il bambino. Se è davvero questo che vuole dire la maggioranza, mi sembra che vada troppo lontano.
Per me, i legami interpersonali stretti tra i ricorrenti e la bambina non bastano per trasformare qualitativamente questo rapporto. I bambini vengono affidati a una famiglia d’accoglienza in attesa che si trovi loro una famiglia. Né questo scopo né l’interesse superiore del bambino impongono di vedere il rapporto tra il bambino e la famiglia d’accoglienza come dei legami famigliari.

Tuttavia, nel caso di specie, in un determinato momento i ricorrenti hanno presentato una domanda di adozione della bambina.
Per la maggioranza, questo elemento non è determinante; per me, è determinante e decisivo.

Se i ricorrenti non avessero chiesto di adottare la bambina, non vi sarebbe stata alcuna distinzione rispetto alle altre famiglie d’accoglienza che ricevono dei bambini non per intrattenere rapporti famigliari ma semplicemente per occuparsi di loro, se possibile con molta tenerezza e altrettanto amore, ma senza intenzione di formare con essi una famiglia.
In sintesi, in assenza della domanda di adozione, che rivela che i ricorrenti hanno voluto accogliere la bambina come membro della loro famiglia, sarebbe difficile per me ammettere che la relazione tra i ricorrenti ed A. rientra nell’ambito della vita famigliare.

OPINIONE DISSENZIENTE DEL GIUDICE KARAKAŞ
Contrariamente alla maggioranza ritengo che, nel caso di specie, l’articolo 8 della Convenzione non sia applicabile e, di conseguenza, che non vi sia stata violazione di questo articolo. Considerati i rapporti tra i ricorrenti e la bambina A., penso che non si possa parlare nella fattispecie di una vita famigliare nel senso dell’articolo 8 della Convenzione.
Secondo la giurisprudenza della Corte, il diritto al rispetto della vita famigliare presuppone l’esistenza di una famiglia naturale o legittima, ma nello stesso tempo di una vita famigliare effettiva (Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, § 31, serie A n. 31).


In materia di adozione bisogna ricordare che la Convenzione non sancisce alcun diritto di adottare e l’articolo 8 non obbliga gli Stati ad accordare a una persona lo status di adottante o di adottato (Di Lazzaro c. Italia, n. 31924/96, decisione della Commissione del 10 luglio 1997, Décisions et rapports (DR) 90-B, p. 134). Il solo desiderio di formare una famiglia, in particolare attraverso l’adozione, non è protetto dall’articolo 8 della Convenzione a titolo di vita famigliare (Marckx, già cit., § 31, Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, 28 maggio 1985, § 62, serie A n. 94).

Nella presente causa, la maggioranza ritiene (al paragrafo 50 della sentenza) che esisteva tra i ricorrenti e la piccola A. un legame interpersonale stretto, sulla base di alcuni elementi (la minore era ben inserita nella famiglia, i ricorrenti avevano garantito lo sviluppo sociale della bambina perché l’avevano mandata all’asilo nido e avevano fatto un viaggio con lei). Alla fine, i ricorrenti hanno deciso di depositare una domanda di adozione che costituisce per la maggioranza un indizio – anche se non determinante – della forza del legame instaurato tra i ricorrenti e la bambina (paragrafo 51).

Questi elementi non bastano secondo me perché si possa concludere per l’esistenza di una relazione talmente forte da tradursi in una vita famigliare, tanto più che, a mio parere, così facendo i ricorrenti hanno svolto il ruolo e adempiuto alle responsabilità attribuiti loro in quanto famiglia di accoglienza (v., in particolare, la parte «diritto interno», al paragrafo 24 della sentenza).
Anzitutto, essi non hanno ottenuto l’adozione di A., pertanto non si può parlare di una relazione tra adottante e adottato che, in linea di principio, è della stessa natura delle relazioni famigliari tutelate dall’articolo 8 (Pini e altri c. Romania, nn. 78028/01 e 78030/01, § 140, CEDU 2004 V; v. anche gli altri riferimenti ivi citati). Nel caso di specie, i ricorrenti rappresentavano una famiglia di accoglienza che aveva in custodia la bambina a titolo transitorio. Non avevano nemmeno l’affidamento preadottivo della bambina, ma hanno semplicemente accolto A. provvisoriamente a seguito dell’offerta dei servizi sociali nel corso di una procedura che doveva permettere di dichiarare la bambina adottabile. Sono i giudici interni che decidono su ogni misura opportuna nell’interesse superiore del bambino.

Poiché i ricorrenti garantivano l’accoglienza di A. a titolo provvisorio, questa situazione non poteva dar loro alcun diritto o vantaggio ai fini dell’adozione; affermare il contrario significherebbe ammettere che le persone che accolgono dei minori a titolo provvisorio hanno la priorità in caso di adozione. I giudici interni devono invece valutare le domande di adozione presentate da altre famiglie dando la precedenza all’interesse superiore del bambino.
La protezione della bambina è ben più importante del desiderio dei ricorrenti di adottarla, tanto più che, a quanto risulta dal fascicolo, A. è molto ben integrata nella sua nuova famiglia, e non sarebbe saggio procedere a una nuova separazione, che potrebbe causarle un trauma (paragrafo 22 della sentenza).
Secondo me, il semplice legame di fatto stabilito tra i ricorrenti e la bambina e il desiderio che avevano i ricorrenti di adottarla non erano sufficienti perché si potesse concludere per l’esistenza di una vita famigliare che merita di essere protetta ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.

Del resto, le relazioni di tipo famigliare sono state considerate, secondo l’approccio tradizionale degli organi della Convenzione, come rientranti nel campo di applicazione della vita privata (v., ad esempio, D.J. e A.- K.R. c. Romania (dec), n. 34175/05, 20 ottobre 2009, §§ 82, 83 e 88; X. c. Svizzera, n. 8257/78, decisione della Commissione del 10 luglio 1978, DR 13, p. 248). Alla luce di questo principio e tenuto conto delle cure apportate ad A. dai ricorrenti, nonché dell’attaccamento dagli stessi addotto, non sarebbe stato più opportuno esaminare le conseguenze della loro separazione piuttosto sotto il profilo della vita privata dei ricorrenti?

Per quanto riguarda la violazione dell’articolo 8, nella sua giurisprudenza la Corte riconosce alle autorità interne un ampio margine discrezionale per valutare la necessità di prendere in carico un minore (Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, CEDU 2000 IX) e, in materia di adozione di minori, essa ritiene che le autorità interne si trovino in una posizione migliore rispetto al giudice internazionale per stabilire un giusto equilibrio tra gli interessi contraddittori (Söderbäck c. Svezia, 28 ottobre 1998, § 33, Recueil des arrêts et décisions 1998 VII).

La Corte non dovrebbe sostituire la propria visione delle cose a quella dei giudici nazionali, a meno che le misure in questione non si rivelino manifestamente prive di base ragionevole o arbitrarie. Nel caso di specie, è vero che la domanda di adozione dei ricorrenti è stata respinta senza motivazione dal tribunale. Ma condivido perfettamente l’argomento del Governo secondo cui a questa lacuna ha posto rimedio la corte d’appello che, previo esame supplementare, in particolare una perizia psichiatrica, ha confermato il rigetto della domanda dei ricorrenti con decisione motivata, nell’interesse superiore della bambina.
Pertanto, secondo me, lo Stato convenuto non è venuto meno ai propri obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione.