Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 27 maggio 2021 - Ricorso n. 54978/17 - Causa Jessica Marchi contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA JESSICA MARCHI c. ITALIA

(Ricorso n. 54978/17)

SENTENZA

Art 8 - Vita privata - Revoca dell'affidamento a «rischio giuridico» di adozione presso la ricorrente e trasferimento del minore in un'altra famiglia, motivati dal suo interesse superiore - Assenza di vita familiare tenuto conto della mancanza di qualsiasi legame biologico, della breve durata della relazione (un anno) e dell'accettazione di un «rischio giuridico» da parte della ricorrente quando le era stato affidato il minore - Vita privata tenuto conto del diritto al rispetto della decisione di diventare genitore e dello sviluppo personale attraverso questo ruolo - Motivi pertinenti e sufficienti - Esame attento e approfondito - Giusto equilibrio tra gli interessi in causa - Partecipazione della ricorrente al procedimento

STRASBURGO

27 maggio 2021

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Jessica Marchi c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:

Ksenija Turković, presidente,
Krzysztof Wojtyczek,
Alena Poláčková,
Péter Paczolay,
Gilberto Felici,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere di sezione,

Visti:

il ricorso (n. 54978/17) proposto contro la Repubblica italiana da una cittadina di questo Stato, la sig.ra Jessica Marchi («la ricorrente»), che il 31 luglio 2017 ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
la decisione di portare a conoscenza del governo italiano («il Governo») i motivi di ricorso relativi agli articoli 6, 8 e 13 della Convenzione,
le osservazioni delle parti,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 20 aprile 2021,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. Nel suo ricorso, la ricorrente sosteneva di essersi trovata nell'impossibilità di proporre opposizione avverso la decisione del tribunale per i minorenni che revocava l'affidamento «a rischio giuridico» di adozione del minore da lei provvisoriamente accolto per un anno.

IN FATTO

  1. La ricorrente è nata nel 1984 e risiede a Trento. È stata rappresentata dall'avvocato A. Schuster.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex agente alla Corte europea dei diritti dell'uomo, Spatafora, e dal suo ex co-agente, M. G. Civinini.
  1. IL PROCEDIMENTO DI ADOTTABILITÀ RIGUARDANTE L.
  1. Nel 2015 fu avviato un procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni di Milano (di seguito «il tribunale di Milano») ai fini della dichiarazione dello stato di abbandono del minore L.
  2. Il 18 aprile 2016 il tribunale di Milano dichiarò lo stato di abbandono e di adottabilità del bambino. La madre biologica dell'interessato impugnò questa sentenza.
  3. Con sentenza del 29 luglio 2017, la corte d'appello confermò la sentenza del tribunale di Milano che dichiarava lo stato di adottabilità del minore.
  4. Il 10 novembre 2017 la sentenza relativa allo stato di adottabilità del minore divenne definitiva, in quanto la madre biologica non aveva proposto ricorso per cassazione.
  1. L'AFFIDAMENTO DI L. ALLA RICORRENTE
  1. Nel 2014 la ricorrente e suo marito presentarono dinanzi al tribunale di Milano una domanda di adozione nazionale,
  2. Essendo stato avviato il procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità di L. (paragrafo 4 supra), il 20 luglio 2016, il tribunale di Milano, ai sensi dell'articolo 10 della legge n. 184 del 1983, dispose l'affidamento del minore, che all'epoca aveva diciotto mesi, alla ricorrente e a suo marito, in un contesto preadottivo con rischio giuridico. La decisione fu comunicata ai servizi sociali di Trento.
  3. Il 14 aprile 2017 il marito della ricorrente fu arrestato, sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, poi convertita in arresti domiciliari presso i suoi genitori per pedopornografia e abusi sessuali su minori.
  4. I servizi sociali, informati dalla ricorrente della situazione della famiglia, fecero rapporto al tribunale di Milano.
  5. Il 10 maggio 2017 il tribunale di Milano sentì il tutore e il curatore del minore.
  6. Il 17 maggio 2017 il suddetto tribunale sentì la ricorrente in merito alle condizioni di affidamento del minore e al rapporto che lei e suo marito avevano con quest'ultimo. La ricorrente dichiarò che intendeva separarsi da suo marito e continuare a occuparsi del bambino.
  7. All'udienza del 24 maggio 2017, i servizi sociali informarono il tribunale di Milano che la ricorrente era disposta ad accompagnare il minore nell'ambito del suo affidamento a una nuova famiglia. Il tribunale di Milano ordinò la ricerca di una nuova famiglia affidataria.
  8. Con un ricorso presentato il 29 maggio 2017, la ricorrente chiese al tribunale di Milano di continuare a mantenere il minore presso di sé.
  9. Il 7 giugno 2017 il tribunale di Milano constatò che non sussistevano più le condizioni necessarie per mantenere il minore presso il domicilio della ricorrente e del marito di quest'ultima, e ordinò di avviare un progetto di integrazione del minore in una nuova famiglia, progetto nell'ambito del quale la ricorrente accettò di accompagnare il bambino per evitargli situazioni traumatiche.
  10. Il tribunale di Milano ordinò al Centro adozioni di Trento di mettere in atto per la ricorrente e il bambino delle misure di sostegno volte a creare le migliori condizioni possibili in vista dell'integrazione dell'interessato in una nuova famiglia.
  11. Il 13 giugno 2017 la ricorrente presentò al tribunale di Trento una richiesta di separazione.
  12. Il 28 giugno 2017 la ricorrente presentò al tribunale di Milano una domanda di adozione del minore ai sensi dell'articolo 25, comma 5, della legge n. 184 del 1983 (paragrafo 35 infra).
  13. Il 19 luglio 2017 il procuratore presso il tribunale di Trento chiese al tribunale di Milano di trasmettergli il fascicolo del minore.
  14. Il 21 luglio 2017 il tribunale di Milano emise due decisioni. Nella prima, ritenendo che non fossero soddisfatte le condizioni necessarie, respinse la domanda di adozione (paragrafo 19 supra) che la ricorrente aveva presentato ai sensi dell'articolo 25, comma 5, della legge n. 184 del 1983. Il tribunale osservò, in particolare, che il procedimento per dichiarare lo stato di adottabilità del minore era ancora pendente e che l’affidamento del bambino alla ricorrente e a suo marito non era quindi considerato come un affidamento preadottivo.
    Nella seconda decisione respinse la domanda con cui la ricorrente chiedeva di mantenere il bambino presso di sé, in quanto una misura di questo tipo non era nell'interesse del minore tenuto conto della perdita della sua figura paterna e del clima che regnava nella famiglia dopo l'apertura dell'indagine penale a carico del marito della ricorrente. Revocò la decisione di collocamento provvisorio del minore presso la ricorrente e suo marito e ordinò al tutore del minore e ai servizi sociali di collocare l'interessato in un centro per l'infanzia situato nel comune di Trento. Questa decisione fu comunicata al tutore del minore.
  15. Il tribunale ordinò anche un avvicinamento con la nuova famiglia e, se del caso, il collocamento del minore presso quest'ultima e l'adozione di misure volte a sostenere la ricorrente nella fase di separazione dal bambino.
  16. Il 25 luglio 2017 la ricorrente indicò al tribunale di essere disposta a collaborare a seguito della revoca della decisione di affidamento.
  17. Il 26 luglio 2017 il minore fu collocato presso una nuova famiglia. Le versioni del Governo e della ricorrente divergono per quanto riguarda le circostanze nelle quali la ricorrente venne informata di questa decisione. Il Governo sostiene che il responsabile del comune ha letto la decisione di collocamento temporaneo del minore alla ricorrente e alla madre di quest'ultimo. La ricorrente, da parte sua, sostiene che è stata data solo una lettura parziale del provvedimento e che lei e la madre dal bambino hanno dovuto insistere per conoscere i motivi della decisione.
  18. Il 31 luglio 2017 la ricorrente impugnò il provvedimento di revoca dell'affidamento del minore. Sollecitò la sospensione della sua esecuzione e chiese l’affidamento preadottivo del bambino ai sensi dell'articolo 25, comma 5, della legge n. 184 del 1983.
  19. La ricorrente presentò al tribunale di Trento una domanda di adozione semplice del minore ai sensi dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983 (paragrafo 35 infra).
  20. Constatando che il procedimento di adottabilità del minore non era ancora concluso e che la madre biologica aveva interposto appello, il 1° agosto 2017 il tribunale di Trento ordinò la sospensione del procedimento, conformemente all'articolo 295 del codice di procedura civile.
  21. In una decisione datata 1° marzo 2018, la corte d'appello di Milano ritenne che la decisione di affidare il minore alla ricorrente e a suo marito non fosse un affidamento preadottivo, rilevando che un affidamento di questo tipo richiedeva in effetti una decisione di adottabilità definitiva e che nessuna decisione di tale natura era stata emessa nel luglio 2016, nemmeno nel momento in cui era stata emessa la decisione di revoca dell’affidamento alla ricorrente. La corte d'appello concluse che la ricorrente non poteva quindi chiedere l'adozione del minore ai sensi dell'articolo 25, comma 5, della legge n. 184 del 1983.
  22. La corte d'appello rammentò che, ai sensi dell'articolo 26 della legge n. 184 del 1983, solo le famiglie che avevano accolto un bambino nel contesto di un affidamento preadottivo e alle quali era rifiutata l'adozione avevano il diritto di impugnare le misure disposte dal tribunale nei confronti del minore interessato, e che una famiglia affidataria poteva interporre appello contro una decisione di revoca dell'affidamento in questione soltanto se la durata dell'affidamento preadottivo era stata superiore a un anno. A tale riguardo spiegò che, in effetti, l'articolo 24 della legge n. 184 del 1983 riservava il potere di impugnare la decisione di revoca dell'affidamento preadottivo soltanto al procuratore e al tutore, in quanto la decisione in questione non riguardava dei diritti soggettivi, ma mirava esclusivamente alla protezione dell'interesse del minore. La corte d'appello rilevò, poi, che queste disposizioni si applicavano alla ricorrente e a suo marito, che non avevano accolto il minore nell'ambito di un affidamento preadottivo, ma potevano essere considerati come la famiglia affidataria temporanea di un minore che non era stato ancora dichiarato definitivamente adottabile.
  23. La ricorrente chiese alla corte d'appello di sollevare una questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale, ma la sua richiesta fu respinta. La corte d'appello sottolineò che il tribunale di Trento aveva ritenuto che, tenuto conto del contesto familiare, che a suo avviso era caratterizzato da un clima deleterio provocato dal comportamento del coniuge della ricorrente e pregiudizievole per il minore, non fosse nell'interesse del bambino rimanere nella famiglia della ricorrente. Essa osservò, inoltre, che le norme che disciplinano l'adozione di un minore in stato di abbandono non erano contrarie al diritto del minore al mantenimento dei legami affettivi e familiari stabiliti nel corso della procedura di adozione e che il legislatore aveva espressamente previsto l'obbligo, in tutte le fasi della procedura di adozione, di sentire, a pena di nullità, il genitore o la famiglia affidataria (a seconda dei casi) conferendogli il diritto di essere sentito dall'autorità giudiziaria incaricata del procedimento e di comunicare in tale ambito degli elementi pertinenti ai fini della valutazione dell'interesse del minore.
    Sulla domanda di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea per presunta violazione delle norme di accesso al procedimento di adozione da parte della ricorrente, la corte d'appello sottolineò, da un lato, che la ricorrente non aveva interesse al procedimento e, dall'altro, che gli atti del fascicolo procedurale ai quali la ricorrente aveva chiesto accesso, senza successo, dinanzi al tribunale di Milano, erano stati inseriti nel fascicolo del procedimento d'appello, e che la ricorrente aveva quindi potuto consultarli tutti. La corte d'appello aggiunse che, tramite il comune di Trento, la ricorrente era già venuta a conoscenza dei dati personali che la riguardavano, che l'amministrazione comunale aveva raccolto e trattato durante il periodo in cui L. era stato collocato presso il suo domicilio. Essa ritenne anche che la ricorrente avesse ampiamente avuto la possibilità di prendere conoscenza dei documenti riguardanti la situazione attuale del minore nonché dei documenti relativi all'integrazione di quest'ultimo nella sua nuova famiglia.
  24. Il 25 luglio 2018 la ricorrente chiese l'accesso agli atti dei due procedimenti dinanzi al tribunale di Trento. Poiché i fascicoli erano stati trasmessi al tribunale di Milano, la ricorrente reiterò la sua domanda il 27 luglio.
  25. Con decisione del 1° agosto 2018, il presidente del tribunale di Milano negò alla ricorrente l'accesso agli atti in questione in quanto quest'ultima non era parte nel procedimento, e indicò all'interessata che l'atto con cui si era dichiarata disponibile per un'adozione nazionale era l'unico al quale poteva avere accesso.
  26. Il 25 settembre 2018 il giudice dell'udienza preliminare di Trento condannò il marito della ricorrente a due anni di reclusione con sospensione condizionale della pena.

IL QUADRO E LA PRASSI GIURIDICI PERTINENTI

  1. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
  1. Il diritto interno pertinente nel caso di specie è descritto in parte nelle sentenze Zhou c. Italia (n. 33773/11, §§ 24-26, 21 gennaio 2014), e Paradiso e Campanelli c. Italia [GC] (n. 25358/12, §§ 57-69, 24 gennaio 2017).
  2. Le disposizioni relative al procedimento di adozione sono contenute nella legge n. 184 del 1983, intitolata «Diritto del minore ad una famiglia», come modificata dalla legge n. 149 del 2001 e dalla legge n. 173 del 2015.

«Titolo I bis– Dell'affidamento del minore»
(...)

Articolo 5

«1. L'affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile, o del tutore, ed osservando le prescrizioni stabilite dall'autorità affidante. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 316 del codice civile. L'affidatario o l'eventuale famiglia collocataria devono essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato ed hanno facoltà di presentare memorie scritte nell'interesse del minore.
(...)»

Articolo 5-bis

«Qualora, durante un prolungato periodo di affidamento, il minore sia dichiarato adottabile ai sensi delle disposizioni del capo II del titolo II e qualora, sussistendo i requisiti previsti dall'art. 6, la famiglia affidataria chieda di poterlo adottare, il tribunale per i minorenni, nel decidere sull'adozione, tiene conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria.»

Articolo 5-ter

«Qualora, a seguito di un periodo di affidamento, il minore faccia ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad altra famiglia o sia adottato da altra famiglia, è comunque tutelata, se rispondente all'interesse del minore, la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l'affidamento.»

«Titolo II – Dell’adozione
«Capo II – Della dichiarazione di adottabilità»

Articolo 8

«Sono dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni (…), i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio.
(...)»

Articolo 10

«(...)

  1. Il tribunale può disporre in ogni momento e fino all'affidamento preadottivo ogni opportuno provvedimento provvisorio nell'interesse del minore, ivi compresi il collocamento temporaneo presso una famiglia o una comunità di tipo familiare, la sospensione della responsabilità genitoriale sul minore, la sospensione dell'esercizio delle funzioni del tutore e la nomina di un tutore provvisorio.
  2. In caso di urgente necessità, i provvedimenti di cui al comma 3 possono essere adottati dal presidente del tribunale per i minorenni o da un giudice da lui delegato.
  3. Il tribunale, entro trenta giorni, deve confermare, modificare o revocare i provvedimenti urgenti assunti ai sensi del comma 4. Il tribunale provvede in camera di consiglio con l'intervento del pubblico ministero, sentite tutte le parti interessate ed assunta ogni necessaria informazione. Deve inoltre essere sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. I provvedimenti adottati debbono essere comunicati al pubblico ministero ed ai genitori. Si applicano le norme di cui agli articoli 330 e seguenti del codice civile.»

Articolo 18

«La sentenza definitiva che dichiara lo stato di adottabilità è trascritta, a cura del cancelliere del tribunale per i minorenni, su apposito registro conservato presso la cancelleria del tribunale stesso. La trascrizione deve essere effettuata entro il decimo giorno successivo a quello della comunicazione che la sentenza di adottabilità è divenuta definitiva. A questo effetto, il cancelliere del giudice dell'impugnazione deve inviare immediatamente apposita comunicazione al cancelliere del tribunale per i minorenni.»

Articolo 19

«Durante lo stato di adottabilità è sospeso l'esercizio della responsabilità genitoriale. Il tribunale per i minorenni nomina un tutore, ove già non esista, e adotta gli ulteriori provvedimenti nell'interesse del minore.»

«Capo III - Dell'affidamento preadottivo»
Articolo 22

«(...)

  1. Il tribunale per i minorenni, in base alle indagini effettuate, sceglie tra le coppie che hanno presentato domanda quella maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore.
  2. Il tribunale per i minorenni, in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero, gli ascendenti dei richiedenti ove esistano, il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, omessa ogni altra formalità di procedura, dispone, senza indugio, l'affidamento preadottivo, determinandone le modalità con ordinanza (…).
  3. Il tribunale per i minorenni deve in ogni caso informare i richiedenti sui fatti rilevanti, relativi al minore, emersi dalle indagini. Non può essere disposto l'affidamento di uno solo di più fratelli, tutti in stato di adottabilità, salvo che non sussistano gravi ragioni. L'ordinanza è comunicata al pubblico ministero, ai richiedenti ed al tutore. Il provvedimento di affidamento preadottivo è immediatamente, e comunque non oltre dieci giorni, annotato a cura del cancelliere a margine della trascrizione di cui all'articolo 18.
  4. Il tribunale per i minorenni vigila sul buon andamento dell'affidamento preadottivo avvalendosi anche del giudice tutelare e dei servizi locali sociali e consultoriali. In caso di accertate difficoltà, convoca, anche separatamente, gli affidatari e il minore, alla presenza, se del caso, di uno psicologo, al fine di valutare le cause all'origine delle difficoltà. Ove necessario, dispone interventi di sostegno psicologico e sociale.»

Articolo 24

«Il pubblico ministero e il tutore possono impugnare il decreto del tribunale relativo all'affidamento preadottivo o alla sua revoca, entro dieci giorni dalla comunicazione, con reclamo alla sezione per i minorenni della corte d'appello. La corte d'appello, sentiti il ricorrente, il pubblico ministero e, ove occorra, le persone indicate nell'articolo 23 ed effettuati ogni altro accertamento ed indagine opportuni, decide in camera di consiglio con decreto motivato.»

«Capo IV- Della dichiarazione di adozione»

Articolo 25

« 1. Il tribunale per i minorenni che ha dichiarato lo stato di adottabilità, decorso un anno dall'affidamento, sentiti i coniugi adottanti, il minore che abbia compiuto gli anni dodici e il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, il pubblico ministero, il tutore e coloro che abbiano svolto attività di vigilanza o di sostegno, verifica che ricorrano tutte le condizioni previste dal presente capo e, senza altra formalità di procedura, provvede sull'adozione con sentenza in camera di consiglio, decidendo di fare luogo o di non fare luogo all'adozione. Il minore che abbia compiuto gli anni quattordici deve manifestare espresso consenso all'adozione nei confronti della coppia prescelta.

1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche nell'ipotesi di prolungato periodo di affidamento ai sensi dell'articolo 4, comma 5-bis.

  1. Se nel corso dell'affidamento preadottivo interviene separazione tra i coniugi affidatari, l'adozione può essere disposta nei confronti di uno solo o di entrambi, nell'esclusivo interesse del minore, qualora il coniuge o i coniugi ne facciano richiesta.

(...)»

«Titolo IV - Dell'adozione in casi particolari
Capo I – Dell’adozione in casi particolari e dei suoi effetti»

Articolo 44

«1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7:
(...)

  1. d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
    (...)»

Articolo 55

«Si applicano al presente capo le disposizioni degli articoli 293, 294, 295, 299, 300 e 304 del codice civile.»

  1. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNAZIONALE

Il Consiglio d'Europa

  1. La Raccomandazione Rec(2005)5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri relativa ai diritti dei minori che vivono in istituto (adottata il 16 marzo 2005) enuncia i principi guida generali che si applicano quando un minore è collocato al di fuori della sua famiglia, in particolare in un istituto. In virtù di tale raccomandazione, il collocamento del minore è giustificato soltanto se il suo mantenimento nell'ambiente familiare lo espone a un pericolo. Questo strumento stabilisce norme di qualità che si applicano agli istituti, come il fatto di «scegliere un luogo di accoglienza, qualora la situazione lo consenta, situato in prossimità dell'ambiente del minore, organizzato in modo da permettere l'esercizio delle responsabilità genitoriali e il mantenimento di contatti regolari tra i genitori e il minore» e di «disporre di piccole unità di vita di tipo familiare».
  2. La Dichiarazione sulla protezione dei minori collocati al di fuori dell'ambiente familiare contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, adottata dal Comitato di Lanzarote nel corso della sua 25a riunione (15‑18 ottobre 2019), è così formulata nelle sue parti pertinenti:

«(...)

b. Rammentando che la «presa in carico al di fuori dell'ambiente familiare» indica tutti i casi nei quali dei minori possono essere collocati al di fuori del loro nucleo familiare e che il «soggiorno in una struttura di accoglienza» è una forma di presa in carico alternativa in una struttura diversa da una famiglia, in cui dei professionisti retribuiti, che lavorano in equipe, si occupano di gruppi più o meno numerosi di bambini e precisando che il termine «istituto» si riferisce piuttosto alle strutture che accolgono un gran numero di minori;

c. Sottolineando che le ricerche internazionali mostrano che il collocamento in struttura di accoglienza o in istituto mette i minori in una situazione di vulnerabilità, nella quale questi ultimi corrono un rischio maggiore di essere vittime di abusi sessuali commessi da professionisti o volontari che si occupano di loro, o da altri minori residenti in queste strutture;
(...)

e. Riaffermando la necessità di promuovere delle strutture di presa in carico al di fuori dell'ambiente familiare sicure e adeguate per i minori;
(...)

Il Comitato di Lanzarote invita gli Stati parte alla Convenzione di Lanzarote a:

  1. adottare tutte le misure necessarie per sviluppare dei servizi di prossimità idonei e adeguati a rafforzare le capacità delle famiglie come alternativa alle strutture di collocamento al di fuori dell'ambiente familiare;
    (...)
  2. rispettare il seguente ordine di priorità, se del caso:
    1. rafforzamento e sostegno della famiglia;
    2. collocamento in famiglie affidatarie;
    3. alloggio indipendente sotto sorveglianza per i minori di età superiore o altre forme di presa in carico fuori istituto;
    4. collocamento in istituti in unità di piccole dimensioni, e;
    5. revisione dei formati tradizionali degli istituti in vista della deistituzionalizzazione e verso un collocamento al di fuori dell'ambiente familiare del tipo sopra menzionato, al fine di ridurre al minimo il rischio di essere vittime di abusi sessuali»

 

  1. La strategia del Consiglio d'Europa per i diritti dell'infanzia (2016‑2021) è così formulata nelle sue parti pertinenti:
    «(...)

31. In linea con la Raccomandazione del Comitato dei Ministri sui diritti di minori che vivono in istituti residenziali e con le Linee guida delle Nazioni Unite sui diritti dei minori destinatari di assistenza alternativa del Consiglio d'Europa, specifica attenzione sarà rivolta alla situazione dei minori in tutte le situazioni di sostegno alternativo e saranno forniti agli operatori nel settore documenti guida per adottare un approccio basato sui diritti di minori e di natura partecipativa nell’esercizio della loro professione. Qualora permangano soluzioni di residenza alternativa, il Consiglio d'Europa promuoverà la de-istituzionalizzazione dell'assistenza all'infanzia, in particolare per i minori al di sotto dei tre anni.
(...)»

IN DIRITTO

  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
  1. La ricorrente lamenta l’allontanamento del minore che aveva provvisoriamente accolto per un anno nel contesto di un affidamento a rischio giuridico di adozione. Inoltre, la ricorrente sostiene di essersi trovata nell’impossibilità di contestare la decisione del tribunale e di non aver potuto avere accesso agli atti del fascicolo riguardante il minore né agli atti relativi ai dati personali che la riguardavano. Invoca gli articoli 6 e 8 della Convenzione.
  2. La Corte rammenta di non essere vincolata dalle argomentazioni giuridiche proposte da un ricorrente ai sensi della Convenzione e dei suoi Protocolli, e che può decidere la qualificazione giuridica da attribuire ai fatti lamentati esaminando questi ultimi in base ad articoli o a disposizioni della Convenzione diversi da quelli invocati dal ricorrente (Radomilja e altri c. Croazia [GC], 37685/10 e 22768/12, § 126, 20 marzo 2018).
  3. Inoltre, la Corte rileva che, anche se l'articolo 6 offre una garanzia procedurale, vale a dire il «diritto a un tribunale», per la determinazione dei «diritti e doveri di carattere civile», l'articolo 8 risponde all'obiettivo più ampio di garantire il rispetto della vita privata e familiare. A tale proposito, la Corte rammenta che, anche se l'articolo 8 non contiene alcuna condizione esplicita di procedura, il processo decisionale che porta all’adozione di misure di ingerenza deve essere equo e in grado di rispettare gli interessi protetti da questa disposizione (Petrov e X c. Russia, n. 23608/16, § 101, 23 ottobre 2018), in particolare quando si tratta della presa in carico di minori ( c. Regno Unito, 8 luglio 1987 §§ 62 e 64, serie A 121, T.P. e K.M. c. Regno Unito [GC], n. 28945/95, §§ 72-73, CEDU 2001 V (estratti)) o della revoca della responsabilità genitoriale con autorizzazione ad adottare il minore (Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, §§ 212-213, 220, 10 settembre 2019).
    Tenuto conto che le doglianze sono strettamente connesse, la Corte esaminerà il ricorso soltanto dal punto di vista dell’articolo 8, che è così formulato:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2.Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

  1. Obiezioni preliminari
  1. Il Governo chiede alla Corte di rifiutare di versare al fascicolo le osservazioni della ricorrente in quanto l'avvocato le ha firmate elettronicamente. Sostiene che la firma digitale o elettronica non può essere accettata. A sostegno di tale affermazione cita le istruzioni pratiche relative all'invio elettronico di documenti da parte del ricorrente, che, a suo parere, prevedono che «i documenti firmati che devono essere trasmessi per via elettronica sono generati mediante scansione della copia cartacea originale». Il Governo si basa anche sulle istruzioni del Consiglio degli Ordini forensi europei che intendono adire la Corte.
  2. La Corte rammenta che le istruzioni del Consiglio degli Ordini forensi europei si riferiscono alle norme per la presentazione di un ricorso ai sensi dell'articolo 47, mentre l'obiezione del Governo riguarda una questione relativa al sistema di corrispondenza elettronica con le parti istituito dalla Corte che rientra, senza dubbio, nella sua competenza esclusiva in materia di gestione dei procedimenti. Essa rileva, inoltre, che le osservazioni controverse sono state firmate elettronicamente dall'avvocato della ricorrente e sono state versate al fascicolo conformemente all'articolo 38 § 1 del regolamento della Corte.
  3. Pertanto, non si deve tener conto delle argomentazioni del Governo su questo punto.
  1. Sulla ricevibilità
  1. Argomenti delle parti
  1. Il Governo contesta l'esistenza di una vita familiare e di una vita privata. Sostiene che l’affidamento a «rischio giuridico» fa nascere dei legami affettivi, ma non crea situazioni soggettive che meritino una tutela giuridica. Sulla questione della vita privata, esso ritiene che la relazione tra un adulto e un minore che è soggetta al potere di un terzo non rientri nell'ambito della vita privata.
  2. Il Governo ritiene che il legame tra la ricorrente e il bambino non abbia raggiunto il livello di durata e di intensità necessario per far nascere un legame familiare e reputa si tratti di un rapporto sociale e affettivo più debole di un rapporto familiare.
  3. La ricorrente rammenta di aver vissuto con il bambino per un anno. Ammette che era al corrente sin dall'inizio dell'esistenza di un rischio giuridico, ma sostiene che la decisione di affidamento presentava questo collocamento come un affidamento preadottivo e, quindi, ha costruito la sua relazione con il bambino come una relazione madre-figlio nell’ambito della quale erano presenti anche i nonni.
  4. La ricorrente sostiene che durante l'anno trascorso con il bambino, quest'ultimo ha conosciuto uno sviluppo sociale ed emotivo e ha manifestato un attaccamento nei suoi confronti.
  1. Valutazione della Corte
  1. Vita familiare
  1. Principi pertinenti
  1. La Corte rammenta che la nozione di «vita familiare» di cui all’articolo 8 della Convenzione riguarda le relazioni fondate sul matrimonio, e anche altri legami «familiari» de facto, in cui le parti convivono al di fuori del matrimonio o in cui altri fattori dimostrano che la relazione è sufficientemente stabile (Paradiso e Campanelli c. Italia [GC], n. 25358/12, § 140, 24 gennaio 2017). La questione dell’esistenza o dell’assenza di una vita familiare è anzitutto una questione di fatto, che dipende dall’esistenza di legami personali stretti (Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, § 31, serie A n. 31, e e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 140, CEDU 2001‑VII).
  2. Le disposizioni dell’articolo 8 non garantiscono né il diritto di costituire una famiglia né il diritto di adottare (B. c. Francia [GC], n. 43546/02, § 41, 22 gennaio 2008). Il diritto al rispetto di una «vita familiare» non tutela il semplice desiderio di costituire una famiglia; esso presuppone l’esistenza di una famiglia (Marckx, sopra citata, § 31), o almeno di una relazione potenziale, che si sia potuta costituire, ad esempio, tra un padre naturale e un figlio nato fuori dal matrimonio (Nylund c. Finlandia (dec.), n. 27110/95, CEDU 1999-VI), di una relazione nata da un matrimonio non fittizio, anche se non era ancora pienamente stabilita una vita familiare (Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, 28 maggio 1985, § 62, serie A n. 94), di una relazione tra un padre e il figlio legittimo, anche quando sia risultato, anni dopo, che non era fondata su un legame biologico (Nazarenko c. Russia, n. 39438/13, § 58, CEDU 2015 (estratti)), o ancora di una relazione nata da un’adozione legale e non fittizia (Pini e altri c. Romania, nn. 78028/01 e 78030/01, § 148, CEDU 2004-V (estratti)).
  3. La Corte ha constatato in cause precedenti che la relazione tra una famiglia affidataria e un minore dato in affidamento che avevano vissuto insieme per molti mesi equivaleva a una vita familiare ai sensi dell’articolo 8 § 1, sebbene non vi fosse un legame biologico tra loro. Essa ha tenuto conto del fatto che tra la famiglia affidataria e il minore si era sviluppato un legame interpersonale stretto, simile a quello esistente tra genitori e figli, e che la famiglia affidataria si era comportata in tutti i sensi come i genitori del minore, cosicché tra essi esistevano «de facto» dei «legami familiari» (Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, §§ 49-50, 27 aprile 2010, Kopf e Liberda c. Austria, n. 1598/06, § 37, 17 gennaio 2012, Antkowiak c. Polonia (dec.), n. 27025/17, 22 maggio 2018, e D. e altri c. Russia, n. 72931/10, §§ 90-93, 9 aprile 2019).
  1. Applicazione nel caso di specie
  1. Non viene contestato che non esiste alcun legame biologico tra la ricorrente e il minore.
  2. La Corte deve accertare se, nelle circostanze della presente causa, la relazione tra i ricorrenti e il minore rientri nella sfera della vita familiare ai sensi dell’articolo 8. La Corte ammette, in determinate situazioni, l’esistenza di una vita familiare di fatto tra un adulto o degli adulti e un minore in assenza di legami biologici o di un legame riconosciuto giuridicamente, a condizione che vi siano legami personali effettivi.
  3. Nonostante l’assenza di legami biologici e di un legame di filiazione giuridicamente riconosciuto dallo Stato convenuto, la Corte ha ritenuto che esistesse un vita familiare tra i genitori affidatari che si erano presi cura di un minore temporaneamente e il minore in questione, sulla base degli stretti legami personali tra loro, del ruolo degli adulti nei confronti del minore e del tempo trascorso insieme (Moretti e Benedetti Italia, sopra citata, § 48, e Kopf e Liberda c. Austria, sopra citata, § 37, 17 gennaio 2012). Nella causa Moretti e Benedetti, la Corte ha attribuito importanza al fatto che la minore era arrivata nella famiglia all’età di un mese e che, per diciannove mesi, i ricorrenti avevano condiviso con lei le prime importanti tappe della sua giovane vita. La Corte ha anche rilevato che le perizie condotte sulla famiglia avevano evidenziato che la minore si era ben integrata nella stessa ed era profondamente attaccata ai ricorrenti e ai loro figli. Inoltre, i ricorrenti si erano anche occupati dello sviluppo sociale della minore. Tali elementi sono stati sufficienti perché la Corte concludesse che esisteva tra i ricorrenti e la minore un legame interpersonale stretto, e che i ricorrenti si comportavano sotto tutti i punti di vista come i suoi genitori, cosicché esistevano tra loro dei «legami familiari» de facto (Moretti e Benedetti, sopra citata, §§ 49-50). La causa Kopf e Liberda riguardava una famiglia affidataria che si era occupata, per un periodo di circa quarantasei mesi, di un minore che era arrivato nella loro casa all’età di due anni. Anche in questo caso, la Corte è giunta alla conclusione che esisteva una vita familiare, visto che i ricorrenti avevano sinceramente a cuore il benessere del minore, e tenuto conto del legame affettivo esistente tra gli interessati (Kopf e Liberda, sopra citata, § 37).
  4. Pertanto, nel caso di specie, si devono esaminare la qualità dei legami, il ruolo assunto dalla ricorrente nei confronti del minore e la durata della convivenza tra lei e quest’ultimo. La Corte ritiene che la ricorrente, che ha ricevuto il minore in affidamento preadottivo, nell’ambito di un affidamento «a rischio giuridico», abbia concepito un progetto genitoriale e assunto il ruolo di genitore nei confronti del minore. La Corte considera, inoltre, che l’interessata avesse intessuto dei legami affettivi forti con il minore nelle prime fasi della sua vita, come risulta, del resto, dalla relazione dei servizi sociali.
  5. Per quanto riguarda la convivenza tra la ricorrente e il minore nel caso di specie, la Corte osserva che è durata circa un anno.
  6. Sarebbe sicuramente inappropriato definire una durata minima di vita comune che possa caratterizzare l’esistenza di una vita familiare di fatto, dato che la valutazione di ogni situazione deve tenere conto della «qualità» del legame e delle circostanze di ciascun singolo caso. Tuttavia, la durata della relazione con il minore è un fattore determinante affinché la Corte riconosca l’esistenza di una vita familiare. Nella causa Wagner e J.M.W.L. Lussemburgo (n. 76240/01, 28 giugno 2007), la convivenza era durata per oltre dieci anni. Nella causa Nazarenko (sentenza sopra citata, § 58), nella quale un uomo sposato aveva assunto il ruolo genitoriale prima di scoprire di non essere il padre biologico del minore, la convivenza era durata più di cinque anni. Nella causa Antkowiak (sentenza sopra citata), la famiglia affidataria si era occupata del minore per circa sei anni, mentre nella causa V.D. e altri (sentenza sopra citata), i ricorrenti avevano convissuto con il minore per nove anni, assumendo nei confronti di quest’ultimo il ruolo di genitori.
  7. Tenuto conto degli elementi sopra esposti, vale a dire l’assenza di legami biologici tra il minore e la ricorrente, la breve durata della relazione con L. e l’esistenza di un rischio giuridico che la ricorrente aveva accettato quando le era stato affidato il minore, la Corte ritiene che, sebbene esistesse un progetto genitoriale e nonostante la qualità dei legami affettivi allacciati tra la ricorrente e il minore, le condizioni per poter concludere che esiste una vita famigliare de facto non siano soddisfatte.
  8. Pertanto, la Corte conclude per l’assenza di vita familiare nel caso di specie.
  1. Vita privata
  1. Principi pertinenti
  1. La Corte rammenta che la nozione di «vita privata» ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione è una nozione ampia, che non si presta a una definizione esaustiva. Essa comprende l’integrità fisica e psicologica di una persona (X e Y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, § 22, serie A n. 91) e, entro certi limiti, il diritto, per l’individuo, di instaurare e sviluppare rapporti con altri esseri umani (Niemietz c. Germania, 16 dicembre 1992, § 29, serie A n. 251-B). Può a volte comprendere alcuni aspetti dell’identità fisica e sociale di una persona (Mikulić Croazia, n. 53176/99, § 53, CEDU 2002-I). La nozione di vita privata include anche il diritto alla realizzazione personale o il diritto all’autodeterminazione (Pretty c. Regno Unito, n. 2346/02, § 61, CEDU 2002‑III), e il diritto al rispetto delle decisioni di diventare o meno genitore (Evans c. Regno Unito [GC], n. 6339/05, § 71, CEDU 2007-I, e A, B e C c. Irlanda [GC], n. 25579/05, § 212, CEDU 2010).
  2. Nella causa Lazoriva c. Ucraina, ( 6878/14, § 66, 17 aprile 2018), la Corte ha ritenuto che il desiderio della ricorrente di mantenere e sviluppare la sua relazione con suo nipote di cinque anni diventando la sua tutrice legale, desiderio che non era peraltro privo di base fattuale o legale, rientrasse nella «vita privata».
  1. Application au cas d’espèce
  1. La Corte ritiene che non vi sia alcun motivo valido per ritenere che il concetto di «vita privata» escluda i legami affettivi che si instaurano e si sviluppano tra un adulto e un minore in situazioni diverse dalla classica situazione di parentela. Anche questo tipo di legame appartiene alla vita e all’identità sociale delle persone. In alcuni casi, aventi ad oggetto una relazione tra adulti e un minore tra i quali non vi sono legami biologici o giuridici, i fatti possono comunque rientrare nella sfera della «vita privata» ( c. Svizzera, n. 8257/78, decisione della Commissione del 10 luglio 1978).
  2. La Corte desidera sottolineare, come ha appena fatto quando ha esaminato la questione dell’esistenza di una vita familiare (paragrafi 49-51 supra), che nel caso di convivenze di breve durata il legame costituito tra l’adulto e il minore non rientra automaticamente nella vita privata, e che si devono considerare la qualità dei legami affettivi esistenti, la durata della relazione e le circostanze proprie di ciascun caso di specie.
  3. La Corte è del parere che, nell’ambito dell’«affidamento» preadottivo dei minori, gli Stati debbano adottare delle disposizioni per rispondere ai criteri previsti dall’articolo 8. Essa considera, di conseguenza, che se, nel caso di una procedura troppo lenta, si è creato un legame tra il minore dato in affidamento e i genitori affidatari a causa del tempo trascorso, la Convenzione deve riconoscere e proteggere tale legame.
  4. La Corte rammenta che ha riconosciuto, in una causa recente contro l’Italia (Paradiso e Campanelli, sopra citata § 163), che i legami tra il minore e i ricorrenti, che, al di fuori di una qualsiasi procedura di adozione regolare, avevano introdotto nel territorio italiano un minore, che non presentava alcun legame biologico con uno di loro, proveniente dall’estero, e concepito per mezzo di tecniche di procreazione assistita illegali rispetto al diritto nazionale, rientravano nella vita privata. Tuttavia, la Corte desidera rammentare che, a differenza della causa Paradiso e Campanelli, sopra citata, in cui la fine della relazione tra i ricorrenti e il minore era una conseguenza della precarietà giuridica che essi stessi avevano dato ai legami in questione adottando una condotta contraria al diritto italiano, nel caso di specie la «precarietà giuridica» dei legami tra la ricorrente e il minore era una conseguenza dell’affidamento a «rischio giuridico» che la stessa aveva accettato nel momento in cui lei e suo marito avevano accolto il minore.
  5. Nella fattispecie, la Corte osserva che la ricorrente aveva concepito un vero progetto genitoriale, ai fini del quale ha chiesto e ottenuto di essere dichiarata idonea all’adozione, e poi aveva accolto il minore nell’ambito di un affidamento «a rischio giuridico». Pertanto, l’argomento in questione è il diritto al rispetto della decisione della ricorrente di divenire genitore, nonché lo sviluppo personale dell’interessata attraverso il ruolo di genitore che desiderava assumere nei confronti del minore (Paradiso e Campanelli, sopra citata, § 163, H. e altri c. Russia, nn. 6033/13 e altri 15, § 383, 17 gennaio 2017).
  6. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la Corte conclude che i fatti di causa rientrano nella sfera della vita privata della ricorrente.
  7. Constatando che il ricorso non è né manifestamente infondato, né irricevibile per uno degli altri motivi di cui all’articolo 35 della Convenzione, la Corte lo dichiara ricevibile.
  1. Sul merito
  1. Sulla decisione di revocare l’affidamento del minore e sulla partecipazione al procedimento
  1. La ricorrente
  1. La ricorrente sostiene che è stata allontanata dal minore e che è stato interrotto qualsiasi contatto con quest’ultimo. L’interessata ritiene che questo costituisca una violazione del suo diritto al rispetto della vita privata e familiare, ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione, e afferma inoltre che lo «scopo legittimo» dichiarato dal tribunale era quello di dare al minore una nuova famiglia composta da una coppia sposata.
  2. Ora, a suo parere, l'interesse del minore deve essere valutato in concreto e non secondo idee o teorie astratte. Le relazioni dei servizi sociali e della psicologa dell'infanzia di Trento, che sarebbero stati gli unici in grado di valutare il contesto familiare nel quale il minore cresceva, avrebbero confermato, nel maggio e giugno 2017, che il benessere del minore era assicurato, e che la ricorrente era complessivamente in grado di far fronte alla situazione.
  3. La ricorrente contesta ciò che essa considera come «l'idealizzazione della coppia coniugata», afferma che un allontanamento non era necessario ed era contrario all'interesse del minore, e ritiene che questa decisione sia stata traumatica per lui.
  4. Argomentando che il margine di apprezzamento degli Stati è piuttosto ridotto in questo ambito, la ricorrente contesta la motivazione delle decisioni emesse dai giudici interni, che accusa di non aver tenuto conto delle perizie. A suo parere, i giudici interni hanno basato la loro decisione di allontanamento su un «modello desueto», senza nemmeno considerare gli studi sull'importanza dell'attaccamento tra il minore e l'adulto in questa fase del suo sviluppo. I giudici avrebbero ritenuto che fosse più importante che il minore potesse «approfittare in futuro della presenza affettiva ed educativa di una figura paterna».
  5. Lo scopo della misura di allontanamento non sarebbe stato quello di proteggere l’interesse del minore in concreto, ma piuttosto quello di applicare una visione astratta, giuridica, di un «diritto [del minore] di vivere in una famiglia con una madre e un padre, e due gruppi familiari allargati».
  6. La ricorrente afferma che non ha avuto accesso alla decisione di revoca dell'affidamento del minore. La stessa sostiene che ha potuto beneficiare solo di una lettura parziale e rapida della decisione, e che non ha potuto ottenere una copia o una comunicazione formale di quest’ultima, e aggiunge che la corte d'appello non le ha permesso di avere accesso ad alcuni documenti del fascicolo.
  7. La ricorrente argomenta che, nel diritto italiano, la famiglia affidataria non è considerata parte nel procedimento di adozione, e può tutt'al più essere sentita.
  1. Il Governo
  1. Il Governo considera che l'ingerenza in questione è espressamente prevista dalla legge n. 184 del 1983, e che mira alla protezione del minore: a suo parere, si trattava di assicurare che il minore potesse vivere in una famiglia, con una madre e un padre, e due gruppi familiari allargati. L'affidamento del minore a una nuova famiglia sarebbe stato motivato dall'interesse superiore di quest'ultimo a non vivere in un contesto familiare che era lacerato a causa delle indagini per pedopornografia che riguardavano il marito della ricorrente.
  2. Questa ingerenza sarebbe stata conforme al criterio della «necessità in una società democratica». A questo proposito, il tribunale sarebbe stato guidato dall'interesse del minore per tutto il procedimento di adottabilità e nelle due decisioni supplementari adottate il 21 giugno 2017.
  3. L'interesse del minore avrebbe guidato le autorità nelle loro decisioni: queste ultime avrebbero accertato che il suo interesse era di essere adottato da una famiglia che potesse garantirgli le migliori condizioni per crescere e svilupparsi in un ambiente sano.
  4. Argomentando che l'articolo 6 non è applicabile nel caso di specie, il Governo afferma che la relazione tra un minore e i suoi genitori affidatari si ritiene giuridicamente consolidata dal legislatore soltanto dopo un anno di affidamento «con rischio giuridico», e che prima di quel momento esistono, tra i genitori affidatari e il minore affidato, soltanto dei legami affettivi che conferiscono ai genitori affidatari non un diritto al mantenimento dell'affidamento del minore presso di loro, ma soltanto un diritto di visita. Il Governo aggiunge che le misure relative all'affidamento proteggono soltanto l'interesse del minore, e che, pertanto, è il tutore che può opporvisi, se del caso, ai sensi degli articoli 336 del codice civile e 739 del codice di procedura civile.
  5. Secondo il Governo, le due decisioni adottate il 21 luglio 2017 dal tribunale di Milano sono state comunicate alla ricorrente. La prima decisione le sarebbe stata comunicata per mezzo del suo avvocato, e la seconda le sarebbe stata letta (in presenza di sua madre) affinché fosse informata delle misure che dovevano essere messe in atto.
  6. Il Governo sostiene, inoltre, che la ricorrente ha interposto appello avverso la decisione con cui è stata respinta la sua domanda di affidamento, e ha chiesto il mantenimento dell'affidamento presso di lei. Il Governo ritiene pertanto che l'interessata abbia avuto la possibilità di chiedere che il minore rimanesse nel suo domicilio nell'ambito di un procedimento condotto dinanzi a un giudice specializzato, che si è svolto entro un termine ragionevole e con due gradi di giudizio.
  1. Valutazione della Corte
  1. Principi pertinenti
  1. Anche se l’articolo 8 ha essenzialmente lo scopo di proteggere l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso può anche imporre allo Stato degli obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo dei diritti sanciti dall’articolo 8 (si vedano, tra altre, X e Y, sopra citata, § 23, e Söderman c. Svezia [GC], n. 5786/08, § 78, CEDU 2013).
  2. I principi applicabili alla valutazione degli obblighi positivi che incombono a uno Stato ai sensi dell’articolo 8 sono equiparabili a quelli che regolano la valutazione dei suoi obblighi negativi. In entrambi i casi, si deve tenere presente il giusto equilibrio da garantire tra l’interesse generale e gli interessi del singolo, e gli obiettivi indicati nel paragrafo 2 dell’articolo 8 svolgono un certo ruolo (Gaskin c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 42, serie A n. 160, e Roche Regno Unito [GC], n. 32555/96, § 157, CEDU 2005‑X).
  3. Nell’attuazione degli obblighi positivi che incombono agli stessi ai sensi dell’articolo 8, gli Stati godono di un certo margine di apprezzamento (A, B e C, sopra citata, § 247, e Hämäläinen c. Finlandia [GC], n. 37359/09, §§ 62‑63 e 65-67, CEDU 2014)).
  4. La Corte rammenta che, per determinare se una misura contestata fosse «necessaria in una società democratica», essa dovrà esaminare, alla luce dell’intero procedimento, se le ragioni addotte per giustificarla siano pertinenti e sufficienti ai fini del paragrafo 2 dell’articolo 8 (si vedano, tra molte altre, Parrillo c. Italia [GC], n. 46470/11, § 168, CEDU 2015, H. e altri c. Austria, sopra citata, § 91, e K. e T. c. Finlandia, sopra citata, § 154).
  5. Anche se le autorità godono di un ampio margine di manovra in materia di adozione (Wagner e J.M.W.L., sopra citata, § 128) o nel valutare la necessità di prendere in carico un minore (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 67, CEDU 2002‑I), in particolare in caso di urgenza, la Corte deve comunque aver acquisito la convinzione che, nella causa in questione, esistano circostanze tali da giustificare il fatto di allontanare il minore (Zhou c. Italia, sopra citata, § 55).
  6. Sebbene l'articolo 8 della Convenzione non contenga alcuna condizione procedurale esplicita, il processo decisionale deve essere equo e idoneo a rispettare adeguatamente gli interessi protetti da tale disposizione. I genitori devono essere sufficientemente associati al processo decisionale, considerato complessivamente, affinché si possa ritenere che abbiano beneficiato della protezione richiesta dei loro interessi e siano pienamente in grado di presentare la loro causa. I giudici nazionali devono procedere ad un esame approfondito dell'intera situazione familiare e di tutta una serie di elementi, di ordine fattuale, affettivo, psicologico, materiale e soprattutto medico, e procedere ad una valutazione equilibrata e ragionevole degli interessi rispettivi di ciascuno, cercando costantemente di determinare quale sia la migliore soluzione per il minore, considerazione che assume un'importanza fondamentale in tutte le cause. Il margine di apprezzamento lasciato alle autorità nazionali competenti varia a seconda della natura delle questioni controverse e dell'importanza degli interessi in gioco (Petrov e X, sopra citata, §§ 98-102).
  1. Applicazione di questi principi nel caso di specie
  1. La Corte rammenta che l'affidamento «a rischio giuridico» è provvisorio e rientra nel quadro della deistituzionalizzazione dei sistemi di custodia dei minori e nel passaggio da servizi istituzionali a servizi di prossimità (paragrafi 36-38 supra).
  2. Essa osserva che la ricorrente aveva accolto il minore L. a titolo provvisorio, quando non era ancora stato dichiarato adottabile con sentenza definitiva. A seguito dell'avvio di un'indagine penale contro il coniuge della ricorrente, i giudici hanno ritenuto che non fosse più nell'interesse del minore L. di essere affidato alla ricorrente, e hanno revocato l'affidamento.
  3. Nella fattispecie, la ricorrente è stata colpita dalla decisione giudiziaria che ha condotto alla revoca dell'affidamento del minore presso di lei. La Corte ritiene, pertanto, che le misure adottate nei confronti del minore – allontanamento e affidamento preadottivo a un'altra famiglia – equivalgano a un’ingerenza nella vita privata della ricorrente.
  4. Una tale ingerenza viola l'articolo 8 a meno che non si possa giustificare dal punto di vista del paragrafo 2 di tale disposizione, ossia se era «prevista dalla legge», perseguiva uno o più degli scopi legittimi elencati in tale disposizione ed era «necessaria in una società democratica» per raggiungere questo o questi scopi.
  5. La Corte osserva che la misura di revoca dell'affidamento era prevista dalla legge e perseguiva lo scopo legittimo di proteggere l’interesse del minore (paragrafi 21 e 29 supra).
  6. Per quanto riguarda la proporzionalità dell'ingerenza, la Corte osserva che i giudici interni (paragrafi 21 e 29 supra) hanno stabilito che non era nell'interesse del minore continuare a vivere nella famiglia della ricorrente. Essa ritiene che tale decisione fosse basata su motivi pertinenti e sufficienti, ossia un degrado dell'ambiente familiare che era dovuto all'indagine penale condotta contro il coniuge della ricorrente, e che era pregiudizievole per il minore. La necessità di mettere il minore al riparo collocandolo in un'altra famiglia, in cui per di più avrebbe potuto avere due genitori, era evidente.
  7. La Corte osserva, inoltre, che dalla motivazione di queste varie decisioni risulta che i giudici che si sono pronunciati di volta in volta lo hanno fatto dopo aver proceduto a un esame attento e approfondito della situazione della famiglia della ricorrente e del minore. Essa rammenta che non ha il compito di sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali competenti per quanto riguarda le misure che avrebbero dovuto essere adottate, in quanto queste ultime si trovano in una posizione migliore per procedere a tale valutazione, soprattutto perché sono in contatto diretto con il contesto della causa e con le parti implicate (Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, § 53, 22 novembre 2005). Ciò premesso, nel caso di specie, essa ritiene anzitutto che fosse oggettivamente evidente che la situazione della ricorrente era cambiata rispetto al momento in cui le era stato affidato il minore.
  8. Perciò, la Corte osserva che le autorità si sono trovate di fronte, nelle condizioni sopra esposte, al difficile e delicato compito di garantire un giusto equilibrio tra gli interessi contrapposti in gioco in una causa così complessa. Esse sono state guidate dall'interesse superiore del minore L., e soprattutto dal suo bisogno particolare di sicurezza all'interno della sua famiglia affidataria.
  9. La Corte osserva inoltre che la ricorrente ha potuto prendere parte al procedimento: infatti, la stessa ha potuto chiedere al tribunale che il minore rimanesse presso di lei (paragrafo 21 supra) e ha potuto esprimere al tribunale la sua volontà di collaborare per agevolare l'integrazione del minore nella sua nuova famiglia.
  10. La ricorrente ha anche interposto appello avverso la decisione del tribunale, e ha chiesto che il minore fosse nuovamente collocato presso di lei nell'ambito di un affidamento preadottivo, ai sensi dell'articolo 25, comma 5, della legge n. 184 del 1983 (paragrafo 25 supra). Pertanto, non è stata privata di una partecipazione adeguata al processo decisionale riguardante la revoca dell'affidamento del minore che aveva accolto e, pertanto, della protezione dei suoi interessi da lei richiesta.
  11. Di conseguenza, la Corte conclude che la violazione della vita privata della ricorrente era conforme alle esigenze dell'articolo 8 della Convenzione, e, pertanto, non vi è stata violazione di tale disposizione.
  1. Sul negato accesso ai documenti relativi alla ricorrente contenuti nel fascicolo di adozione
  1. La ricorrente
  1. La ricorrente afferma che i tribunali conservano e trattano dati personali molto intimi, e che l'ordinamento giuridico non offre agli interessati la possibilità di consultarli e di esercitare i diritti enunciati nel regolamento (UE) 2016/679 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (regolamento generale sulla protezione dei dati). In particolare, essa fa riferimento ai rapporti dei servizi sociali e degli esperti e/o degli psicologi.
  2. La ricorrente afferma che il tribunale non aveva l’autorità necessaria per comunicarle una copia dei rapporti redatti dai servizi sociali di Trento, e che, pertanto, lei non ha ricevuto alcun documento che la riguardasse.
  3. A suo parere, tale rifiuto di comunicarle informazioni personali le ha impedito di avere conoscenza delle valutazioni che erano state condotte a proposito della sua vita familiare con il minore, e di difendersi dinanzi ai giudici nazionali. Questo rifiuto avrebbe riguardato anche delle informazioni relative alla sua identità personale, e in particolare dei dati sensibili inerenti, tra l'altro, al suo stato di salute, alla sua percezione della realtà, alla sua storia e alle sue relazioni. Il fatto di privare un individuo del diritto di conoscere l'esistenza di tali dati e di riceverne una copia o qualsiasi altra informazione sul loro trattamento equivarrebbe a una violazione del suo diritto al rispetto della vita privata e, nella misura in cui i dati in questione avrebbero anche riguardato la sua relazione con terzi, a una violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare.
  4. Secondo la ricorrente, nessuno scopo legittimo giustifica che il diritto italiano possa privare una persona sottoposta alla giustizia del diritto di sapere se i fascicoli dei tribunali per i minorenni contengono informazioni relative alla sua vita privata e familiare, o vi fanno riferimento, o del diritto di venire a conoscenza degli elementi in questione.
  1. Il Governo
  1. Il Governo conferma l'assenza di un diritto di accesso ai documenti in questione, e argomenta che questi ultimi sono contenuti in fascicoli che riguardano dei minori dati in affidamento preadottivo. Ora, afferma il Governo, la ricorrente non ha mai chiesto un «accesso diretto alle perizie che riguardano la capacità genitoriale dei genitori biologici».
  2. Secondo il Governo, la ricorrente non ha il diritto di accedere agli atti del procedimento relativo all'adottabilità del minore. Il Governo argomenta, a tale proposito che il procedimento riguarda la relazione tra la madre biologica e il minore, lo stato di abbandono del minore e la possibilità per quest'ultimo di continuare a vivere all'interno della sua famiglia di origine, e che gli atti in questione contengono dati sensibili che non possono essere comunicati a terzi. Il Governo afferma che i genitori adottivi hanno il diritto di ricevere qualsiasi informazione utile riguardante il minore, ma che non hanno direttamente accesso alle perizie relative alla capacità genitoriale dei genitori biologici. Il Governo ritiene che, in tal modo, la legge garantisca un giusto equilibrio tra gli interessi dei genitori biologici, degli aspiranti genitori adottivi e del minore.
  3. Sulla questione dell'accesso al fascicolo relativo alla dichiarazione di disponibilità all'adozione nazionale, il Governo afferma che la ricorrente ha avuto pienamente accesso al fascicolo in questione, in quanto quest'ultimo è stato, a suo parere, integralmente comunicato alla ricorrente nel corso del procedimento d'appello avverso la decisione del 21 luglio 2017.
  4. Inoltre, la ricorrente avrebbe precedentemente ricevuto direttamente dai servizi sociali di Trento i documenti relativi alla loro azione. Infine, la ricorrente non sarebbe stata oggetto di alcuna perizia.
  1. Valutazione della Corte
  1. La Corte osserva che ha concluso che la ricorrente aveva potuto partecipare al procedimento relativo alla revoca dell’affidamento del minore presso di lei (paragrafo 98 supra). Essa conviene con il Governo che la ricorrente non è stata oggetto di alcuna perizia e non ha chiesto di avere accesso alle perizie riguardanti i genitori biologici del minore.
  2. Per quanto riguarda l’accesso ai dati personali detenuti dalle autorità pubbliche, la Corte rammenta che ha già sottolineato (Odièvre c. Francia [GC], n. 42326/98, § 43, CEDU 2003‑III) che la questione dell’accesso alle proprie origini e della conoscenza dell’identità dei propri genitori biologici non è della stessa natura di quella dell’accesso al fascicolo personale relativo a un bambino preso in carico o di quella della ricerca delle prove di una presunta paternità.
  3. La Corte osserva che, nella presente causa, come hanno ammesso le giurisdizioni interne (paragrafo 30 supra), la ricorrente aveva già potuto consultare tutti i documenti che erano stati comunicati nel corso del procedimento di appello, nonché i documenti che erano stati trattati dall’amministrazione municipale nell’ambito delle sue funzioni di controllo dell’affidamento del minore, i documenti relativi alla situazione del minore e i documenti riguardanti la sua integrazione nella sua nuova famiglia da agosto 2018. La Corte ha dunque ritenuto che la ricorrente abbia avuto accesso a tutti i documenti che la riguardano.
  4. Di conseguenza, tenuto conto di tutti gli elementi di cui dispone, e nella misura in cui è competente per conoscere delle doglianze formulate, la Corte non rileva alcuna parvenza di violazione dei diritti e delle libertà sanciti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli. Pertanto, questa doglianza è manifestamente infondata e deve essere respinta, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE IN COMBINATO DISPOSTO CON L’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
  1. La ricorrente afferma che non ha disposto di alcun ricorso effettivo per poter far valere le sue doglianze fondate sull’articolo 8. Essa invoca l’articolo 13, che è così formulato:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

  1. Tenuto conto della conclusione alla quale è giunta per quanto riguarda l’articolo 8 della Convenzione (paragrafi 96-97 supra), la Corte ritiene non doversi esaminare separatamente la doglianza relativa all’articolo 13.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda le doglianze relative alla dedotta violazione del diritto al rispetto della vita privata a causa della revoca della decisione di affidamento del minore e all’impossibilità di partecipare al procedimento, e irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara non doversi esaminare la doglianza formulata dal punto di vista dell’articolo 13 della Convenzione;

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 27 maggio 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Renata Degener Ksenija Turković
Cancelliere Presidente