Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 22 aprile 2021 - Ricorso n. 41382/19 - Causa R.B. e M contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE

 

CAUSA R.B. E M. c. ITALIA

(Ricorso n. 41382/19)

SENTENZA

Art 8 - Vita familiare - Impossibilità per un padre di esercitare il suo diritto di visita nelle condizioni stabilite dai tribunali, a causa dell'opposizione della madre del minore - Mancanza di sforzi adeguati e sufficienti da parte delle autorità nazionali per far rispettare il diritto di visita

STRASBURGO

22 aprile 2021

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa R.B. e M. c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:

Ksenija Turković, presidente,
Krzysztof Wojtyczek,
Alena Poláčková,
Péter Paczolay,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato,
Lorraine Schembri Orland, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere di sezione,

Visti:

il ricorso (n. 41382/19) proposto contro la Repubblica italiana da due cittadini di questo Stato, i sigg. R.B. e M. («i ricorrenti»), che il 31 luglio 2019 hanno adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),

la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano («il Governo»),
la decisione di non rivelare l'identità dei ricorrenti,
le osservazioni delle parti,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 23 marzo 2021,

Emette la seguente sentenza, adottata in questa data:

INTRODUZIONE

  1. Il ricorso riguarda la dedotta violazione del diritto al rispetto della vita familiare dei ricorrenti (il «primo ricorrente» agisce in suo nome e in nome di suo figlio (il «secondo ricorrente»)) in ragione dell'impossibilità per il primo ricorrente di esercitare il suo diritto di visita nelle condizioni stabilite dai tribunali, a causa dell'opposizione della madre del minore, nonché della dedotta incapacità delle autorità nazionali di adottare delle misure al fine di assicurare l'attuazione del suo diritto di visita.

IN FATTO

  1. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1974 e nel 2009 e risiedono a S. G. M. e ad A. Sono stati rappresentati dagli avvocati M.G. Ruo, del foro di Roma e C. Ceci, del foro di Torino.
  2. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia, avvocato dello Stato.
  3. Dal matrimonio del primo ricorrente con C.C. nacque un figlio, M., il 6 novembre 2009. Nel febbraio 2013 il primo ricorrente e C.C. si separarono. Secondo l'accordo di separazione omologato dal tribunale di Casale Monferrato, la residenza principale del bambino era fissata presso C.C. e il padre aveva un diritto di visita e di alloggio.
  4. Nel giugno 2013 C.C. segnalò a un centro specializzato che il bambino aveva pronunciato delle frasi inquietanti nei confronti del primo ricorrente. Il centro fu incaricato dal procuratore presso il tribunale per i minorenni di Torino di visitare il minore.
  5. Il 28 luglio 2013, una psicologa del centro inviò la sua relazione al tribunale sottolineando che il bambino non accettava la figura paterna ed era anche preoccupato. Raccomandava che i servizi sociali prendessero in carico il minore e i genitori per stabilire dei contatti tra il bambino e suo padre.
  6. Nel frattempo, fu avviata un'indagine penale contro il primo ricorrente per abuso sessuale sul minore. Gli incontri con il figlio furono sospesi in attesa della conclusione dell'istruttoria (dal 13 settembre 2013 al 12 gennaio 2014).
  7. Il 31 ottobre 2013 il procuratore chiese al giudice per le indagini preliminari («GIP») di archiviare il procedimento. Il GIP dispose l'archiviazione del procedimento il 31 gennaio 2014.
  8. Nel corso dell'indagine era emerso che il bambino era stato allevato dalla nonna materna e che suo padre era stato escluso dalla sua vita dopo la separazione della coppia. Non vi era stato più nessun incontro tra padre e figlio.
  9. Il procuratore segnalò la situazione al tribunale per i minorenni di Torino affinché fossero adottate delle misure di protezione del minore.
  10. Il 18 settembre 2013, prima dell'archiviazione del procedimento, C.C. adì il tribunale per i minorenni di Genova (di seguito «il tribunale») al fine di sospendere gli incontri tra il minore e il ricorrente, di ordinare una perizia sullo stato psicologico del minore, e di organizzare al meglio gli incontri con il primo ricorrente.
  11. Il 4 ottobre 2013 il tribunale dispose l'affidamento del minore al comune di A. Confermò la collocazione di M. presso C.C. e nominò un esperto.
  12. La perizia fu depositata in cancelleria il 21 aprile 2014. L'esperto indicava che il minore era condizionato da sua madre e dalla sua famiglia materna, che erano riusciti ad escludere il padre dalla vita del bambino. Aggiungeva che C.C. aveva già allontanato il primo ricorrente dalla propria famiglia all'inizio della loro relazione, e che aveva anche delegato a sua madre il suo ruolo genitoriale. Precisava che C.C. perseverava nel suo atteggiamento di opporsi agli incontri e alimentava nel bambino, nonostante l'archiviazione della denuncia, l'idea che suo padre avesse abusato di lui. Secondo l'esperto, la relazione tra C.C. e il bambino era disfunzionale, e il bambino non riusciva a motivare il suo rifiuto di vedere suo padre. L'esperto raccomandava di mettere in atto degli interventi che prevedevano di inserire un educatore che potesse recarsi a casa del bambino per diversi giorni alla settimana per un monitoraggio e per individuare il momento adatto per una ripresa dei contatti con il primo ricorrente. Inoltre, sempre secondo l'esperto, entrambi i genitori dovevano intraprendere un percorso psicoterapeutico.
  13. Con decreto del 13 ottobre 2014, il tribunale confermò l'affidamento del minore al comune di A. mantenendo la collocazione presso C.C., e ordinò una presa in carico psicoterapeutica del bambino per tre giorni alla settimana.
  14. Il 13 novembre 2014 C.C. impugnò questo provvedimento. Il primo ricorrente chiese alla corte d'appello il collocamento del bambino e di sua madre in una struttura terapeutica e la possibilità di organizzare delle visite conformemente alle decisioni prese inizialmente.
  15. La corte d'appello di Genova respinse il reclamo proposto da C.C., nonché le richieste del ricorrente.
  16. Il 22 aprile 2015 i servizi sociali segnalarono al tribunale che non era loro possibile proseguire il programma educativo, a causa delle difficoltà nello svolgimento degli incontri, poiché il bambino rifiutava la presenza dell'educatrice e C.C. si opponeva a qualsiasi intervento. Secondo loro, occorreva intervenire con urgenza.
  17. Il 10 giugno 2015 i servizi sociali chiesero al tribunale un incontro urgente e lo informarono della sospensione del programma educativo.
  18. Non vi fu alcun incontro con il tribunale.
  19. Il 3 novembre 2015 il primo ricorrente chiese al tribunale di ordinare una nuova perizia psicologica del bambino e di valutare le sue condizioni di salute al fine di trovare il modo di prevedere un riavvicinamento tra di loro.
  20. Il 17 novembre 2015 i servizi sociali informarono il tribunale che, secondo le maestre della scuola elementare, M. aveva dei sintomi assimilabili a una forma di autismo; inoltre, aveva avuto dei comportamenti violenti.
  21. Il 19 aprile 2016 il giudice procedette all'ascolto del minore che avrebbe dichiarato che suo padre lo trattava male, nonostante non lo vedesse da circa tre anni.
  22. Il 29 giugno 2016, tenuto conto delle difficoltà legate al rifiuto di C.C. di partecipare al sostegno e alla presa in carico psicoterapeutica, i servizi sociali e il primo ricorrente chiesero al tribunale il collocamento del bambino e di C.C. in una struttura terapeutica.
  23. Il 16 dicembre 2016 il tribunale ordinò una perizia sul bambino, su entrambi i genitori, e chiese all'esperto di indicare quale fosse la migliore modalità di affidamento per il minore.
  24. Nella sua relazione depositata il 15 luglio 2017, l'esperto sottolineò che l'atteggiamento di C.C. non era cambiato rispetto alle conclusioni della perizia precedente. Inoltre, C.C. non era mai stata disposta a sostenere e ad accompagnare suo figlio nel processo di riavvicinamento al padre. Il bambino, da parte sua, rappresentava nei suoi disegni esclusivamente sua madre, perché secondo l'esperto «egli sembrava esistere solo come parte di sua madre». L'esperto raccomandava, al fine di salvaguardare l'equilibrio psicologico del bambino, di collocarlo con la madre in una struttura terapeutica, suggerendo che, se entro sei mesi dal deposito della perizia non si fosse potuta realizzare la ripresa dei rapporti padre-figlio, sarebbe stato necessario affidare il bambino a una famiglia affidataria, che potesse aiutarlo temporaneamente ad avvicinarsi a suo padre.
  25. Il 3 ottobre 2017 il giudice prese atto del rifiuto di C.C. di recarsi in una struttura e ordinò lo svolgimento di incontri in ambiente protetto tra il bambino e il ricorrente senza la presenza della madre.
  26. Poiché gli incontri erano risultati disastrosi, il ricorrente presentò tre istanze, il 19 aprile 2018, il 5 luglio 2018 e l'8 ottobre 2018, con le quali sollecitò il tribunale ad adottare misure urgenti volte ad allontanare C.C. al fine di proteggere il bambino.
  27. Il 16 novembre 2018 il tribunale constatò che la situazione del minore era complessa. Sottolineò che, cinque anni dopo l'avvio del procedimento, dopo innumerevoli sforzi dei servizi sociali e dopo due perizie, la situazione non era cambiata. Difatti, C.C. insisteva nella sua volontà di eliminare la figura paterna dalla vita di suo figlio, con il quale intratteneva una relazione simbiotica che impediva lo sviluppo di una personalità autonoma. Di conseguenza, il tribunale ordinò ai servizi sociali di procedere al collocamento del bambino e della madre in una struttura, e di avviare un percorso psicoterapeutico per entrambi. In caso di rifiuto di C.C., il bambino sarebbe stato collocato da solo e gli incontri con il ricorrente sarebbero stati messi in atto entro due mesi dalla decisione.
  28. Con decisione del 21 dicembre 2018, la corte d'appello di Genova respinse la richiesta di sospensione della decisione del tribunale presentata da C.C. Secondo la corte d'appello, la decisione era stata adottata per proteggere il minore al fine di garantirgli una educazione equilibrata e serena che il contesto familiare non sembrava potergli offrire in quel momento.
  29. La decisione non fu eseguita.
  30. C.C e il ricorrente impugnarono la decisione.
  31. Con decreto del 17 aprile 2019, la corte d'appello modificò la decisione del tribunale, in particolare la parte in cui era previsto il collocamento del bambino e di sua madre in istituto, e decise che il bambino dovesse restare a vivere presso C.C., stabilì che il ricorrente poteva incontrare suo figlio in ambiente protetto a condizione che quest'ultimo esprimesse il desiderio di vederlo e ordinò che il minore proseguisse il percorso psicologico e chiese anche ai servizi sociali di aiutare i nonni materni, di ingiungere loro di mantenere una posizione neutrale e di astenersi dal pronunciare giudizi negativi sul primo ricorrente.
  32. Il 18 febbraio 2020, dopo la presentazione del ricorso dinanzi alla Corte, il ricorrente adì nuovamente la corte d'appello chiedendo di affidargli il figlio, di collocare il bambino in una struttura terapeutica dove avrebbe potuto seguire una terapia, e di ordinare la ripresa dei contatti tra lui e suo figlio.
  33. Con una decisione del 22 aprile 2020, la corte d'appello rammentò anzitutto che le decisioni del tribunale per i minorenni e della corte d'appello potevano essere oggetto di ricorso per cassazione se non vi erano fatti nuovi, come nel caso di specie. In secondo luogo, sottolineò che l'interesse del minore non poteva coincidere con l'interesse della madre o con quello del padre e, tenuto conto del conflitto esistente tra il padre e la madre, nominò un curatore per il bambino e chiese ai servizi sociali di presentare una relazione aggiornata per giugno 2020.

IL QUADRO GIURIDICO INTERNO PERTINENTE

  1. Il diritto interno pertinente al caso di specie è descritto nella sentenza V. e altri c. Italia (n. 37748/13, §§ 65-69, 18 luglio 2019).
  2. Ai sensi dell'articolo 337 ter, primo comma, del codice civile, il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all'articolo 337 bis del codice civile, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Il giudice può modificare le modalità di affido e prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori.

Il giudice di merito è competente per l'attuazione dei provvedimenti relativi alle modalità di affidamento e può intervenire anche d'ufficio in caso di affidamento familiare. A tal fine, una copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare.

  1. L’articolo 709 ter del codice di procedura civile è così formulato nella sua parte pertinente al caso di specie:

«Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso.

A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:

  1. ammonire il genitore inadempiente;
  2. disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
  3. disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
  4. condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro (...)»
  1. L’articolo 614 bis del codice di procedura civile dispone:

«Delle misure di coercizione indiretta:

Con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza.

Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.»

IN DIRITTO

  1. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
  1. Invocando gli articoli 6 e 8 della Convenzione, i ricorrenti lamentano una violazione del loro diritto alla vita familiare in ragione dell'impossibilità per il primo ricorrente di esercitare il suo diritto di visita nelle condizioni stabilite dai tribunali, a causa dell'opposizione della madre del minore, nonché della dedotta incapacità delle autorità nazionali di adottare delle misure rapide al fine di assicurare l'attuazione del suo diritto di visita. Il primo ricorrente sostiene di non avere più contatti da solo con suo figlio dal 2013.
  2. La Corte rammenta di non essere vincolata dalle argomentazioni giuridiche proposte da un ricorrente ai sensi della Convenzione e dei suoi Protocolli, e che può decidere la qualificazione giuridica da attribuire ai fatti lamentati esaminando questi ultimi in base ad articoli o a disposizioni della Convenzione diversi da quelli invocati dal ricorrente (Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 126, 20 marzo 2018).
  3. Inoltre, la Corte rileva che, anche se l'articolo 6 offre una garanzia procedurale, vale a dire il «diritto a un tribunale» per la determinazione dei «diritti e doveri di carattere civile», l'articolo 8 risponde all'obiettivo più ampio di garantire il rispetto della vita privata e familiare. A tale proposito, la Corte rammenta che, anche se l'articolo 8 non contiene alcuna condizione esplicita di procedura, il processo decisionale che porta all’adozione delle misure di ingerenza deve essere equo e in grado di rispettare gli interessi protetti da questa disposizione (Petrov e X c. Russia, n. 23608/16, § 101, 23 ottobre 2018).

Tenuto conto che i motivi di ricorso sono strettamente collegati, la Corte esaminerà il ricorso soltanto ai sensi dell'articolo 8, che è così formulato:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2.Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

  1. Sulla ricevibilità
  1. La Corte osserva anzitutto che il Governo non ha contestato che il primo ricorrente fosse legittimato a presentare un ricorso in nome di suo figlio minorenne. Poiché l'interessato detiene ancora la responsabilità genitoriale nei confronti di M., anche se non risiede con lui, la Corte constata che egli ha la qualità per agire in nome di suo figlio (Petrov, sopra citata, § 83).
     
    1. Tesi delle parti
       
  2. Nelle sue osservazioni iniziali sulla ricevibilità, il Governo sostiene che i ricorrenti non avrebbero chiesto alla corte d'appello di riesaminare la decisione controversa, rammentando anche che il giudice tutelare è competente a vigilare sull'esecuzione delle decisioni del tribunale. Il Governo eccepisce per la prima volta il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne nelle sue osservazioni complementari e sull'equa soddisfazione, affermando di essere stato indotto in errore dagli argomenti dei ricorrenti nel loro formulario di ricorso. Pertanto, fa osservare che, secondo una giurisprudenza già esistente al momento della presentazione del ricorso, e più recente di quella citata dai ricorrenti, era possibile per gli interessati proporre un ricorso per cassazione avverso la decisione della corte d'appello di Genova. Ora, gli interessati non si sono avvalsi di tale ricorso.
  3. I ricorrenti rammentano che, alla luce della giurisprudenza interna, non è possibile proporre un ricorso per cassazione contro le sentenze emesse dalla corte d'appello nell'ambito di procedimenti relativi alla responsabilità genitoriale. A tale proposito, essi osservano che, in casi simili (D'Alconzo c. Italia, n. 64297/12, § 64, 23 febbraio 2017), per quanto riguarda le decisioni del tribunale per i minorenni, la Corte ha stabilito che, se il ricorrente ha utilizzato tutti i mezzi per chiedere la loro revoca o modifica, quest'ultimo ha esaurito le vie di ricorso interne. Per il primo ricorrente non era possibile adire il giudice tutelare, dato che il procedimento era pendente da sette anni dinanzi al tribunale per i minorenni.
  4. Il primo ricorrente indica di essersi rivolto diverse volte al tribunale per i minorenni e alla corte d'appello tra il 2013 e il 2020. In particolare, si riferisce a tutte le decisioni intervenute successivamente al 2013.
  5. Nel presente caso, il primo ricorrente ha proposto sette ricorsi che non sono stati accolti o sono stati accolti parzialmente, ma che non sono stati eseguiti, il che ha comportato il rifiuto categorico per il secondo ricorrente di accettare la figura paterna.
     
    1. Valutazione della Corte
       
  6. La Corte rammenta che, ai sensi dell'articolo 55 del suo regolamento, se la Parte contraente convenuta intende sollevare un'eccezione di irricevibilità, deve farlo, nella misura in cui la natura dell'eccezione e le circostanze lo consentono, nelle osservazioni scritte o orali sulla ricevibilità del ricorso (C. c. Italia [GC], n. 24952/94, § 44, CEDU 2002-X). La Corte sottolinea che un’eccezione di irricevibilità deve essere sollevata dal Governo in maniera esplicita, e che non è compito della Corte dedurla dalle argomentazioni presentate da quest’ultimo (si vedano, mutatis mutandis, Navalnyy c. Russia [GC], nn. 29580/12 e altri 4, §§ 60-61, 15 novembre 2018, nella quale il governo convenuto aveva soltanto detto, in via incidentale, esaminando il merito di una doglianza, che il ricorrente non aveva contestato le misure controverse nell’ambito dei procedimenti interni, e Liblik e altri c. Estonia, nn. 173/15 e altri 5, § 114, 28 maggio 2019, nella quale il governo convenuto aveva indicato altre vie di ricorso che erano a disposizione dei ricorrenti ma non aveva sollevato un’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne). Se così non fosse, la Corte si troverebbe a violare il principio della parità delle armi (si veda, mutatis mutandis, Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 123, 20 marzo 2018).
  7. La Corte osserva, a questo titolo, che il Governo ha formalmente sollevato l’eccezione relativa al ricorso per cassazione nelle sue osservazioni complementari e non nelle sue osservazioni iniziali sulla ricevibilità e sul merito della causa, nella parte dedicata alle eccezioni di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. Essa rileva, inoltre, che il Governo si è giustificato affermando di essere stato indotto in errore dagli argomenti dei ricorrenti presentati nel formulario di ricorso. Poiché il Governo non ha fornito alcuna spiegazione per questo ritardo, la Corte non può considerare tale giustificazione come un'eccezione formale di mancato esaurimento delle vie di ricorso. Essa constata che non vi era nessuna circostanza eccezionale tale da esonerarlo dal suo obbligo di sollevare questa eccezione in tempo utile. Pertanto, la Corte conclude che, per quanto riguarda questo secondo punto, il Governo è decaduto dalla possibilità di eccepire il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne (Khlaifia e altri c. Italia [GC], n. 16483/12, §§ 52 e 53, 15 dicembre 2016) per la mancata introduzione da parte dei ricorrenti di un ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d'appello di Genova.
  8. Per quanto riguarda il secondo aspetto dell'eccezione, la Corte nota innanzitutto che la doglianza dei ricorrenti verte sulla questione dell'attuazione del diritto di visita secondo le modalità stabilite dal tribunale. La Corte rammenta di aver già affermato nelle sue precedenti sentenze contro l'Italia (Strumia c. Italia, n. 53377/13, § 90, 23 giugno 2016, Lombardo c. Italia, n. 25704/11, § 63, 29 gennaio 2013, e Nicolò Santilli c. Italia, n. 51930/10, § 46, 17 dicembre 2013) che i provvedimenti del tribunale per i minorenni riguardanti in particolare il diritto di visita non sono definitivi e possono, pertanto, essere modificati in qualsiasi momento in funzione degli eventi legati alla situazione in causa. Perciò, l’evoluzione del procedimento interno è la conseguenza del carattere non definitivo dei provvedimenti del tribunale per i minorenni relativi al diritto di visita. Peraltro, la Corte osserva, nel caso di specie, che il ricorrente afferma di non essere stato in grado di esercitare pienamente il suo diritto di visita dal 2013, e che l'interessato ha presentato il suo ricorso dinanzi alla Corte nel 2019, dopo essersi rivolto in diverse occasioni ai giudici interni. Inoltre, la Corte osserva che il ricorrente lamenta una situazione che perdura dal 2013 e che ad oggi non è ancora conclusa, e che il ricorrente aveva a sua disposizione questa via di ricorso interna per lamentare l'interruzione dei contatti con suo figlio (Strumia c. Italia, n. 53377/13, § 90, 23 giugno 2016, Lombardo c. Italia, n. 25704/11, § 63, 29 gennaio 2013, e Nicolò Santilli, sopra citata, § 46). Di conseguenza, essa ritiene che i ricorrenti abbiano esaurito le vie di ricorso interne.
  9. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.
  1. Sul merito
  1. I ricorrenti
  1. I ricorrenti affermano che le autorità italiane non hanno adottato le misure necessarie per salvaguardare la relazione tra il primo ricorrente e suo figlio, e che hanno lasciato che la madre del minore mettesse quest'ultimo contro il primo ricorrente. Essi ritengono che le autorità abbiano in tal modo violato gli obblighi positivi di mettere in atto delle misure concrete ed efficaci per giungere a un riavvicinamento con il padre. Essi affermano, inoltre, che le autorità hanno adottato delle misure stereotipate, come delle valutazioni (sempre positive per il padre), delle terapie, degli incontri in ambiente protetto o in spazi neutrali, e hanno lasciato che si consolidasse una situazione che ha portato a un deterioramento del rapporto tra il minore e il primo ricorrente. Le autorità non sarebbero state in grado di contrastare né l'influenza negativa della madre, né il suo comportamento ostile.
  2. I ricorrenti contestano anche il potere discrezionale lasciato ai servizi sociali, che hanno sospeso l'intervento dell'educatore, adducendo a pretesto un disagio del minore, ma senza alcuna autorizzazione del tribunale.
  3. I ricorrenti sottolineano il ritardo con cui sono state adottate le misure: la nuova relazione peritale è stato ordinata soltanto un anno dopo che era stata presentata la domanda al tribunale, e sei mesi dopo l'audizione del minore. Inoltre, si è dovuto attendere novembre 2018 perché il tribunale decidesse di collocare il minore e sua madre in un istituto e, in assenza del consenso di quest'ultima, di collocarlo da solo. Tale decisione non è stata eseguita e la corte d'appello, riformando la sentenza del tribunale, ha stabilito che gli incontri potessero aver luogo soltanto se il minore vi acconsentiva.
  4. Il primo ricorrente rammenta che le misure che sono state adottate si sono rivelate inefficaci e inadeguate. Nonostante i risultati delle perizie, che sottolineavano che il rifiuto del minore di incontrare suo padre era legato al fatto che l'interessato era condizionato da sua madre e dalla famiglia materna con la quale viveva, non è stata messa in atto alcuna misura più concreta per favorire il legame tra i due ricorrenti.
  5. Secondo gli interessati, a seguito del rifiuto della madre di eseguire la misura del tribunale che le ordinava di seguire una terapia con il minore all'interno di un istituto, non è stata adottata alcuna misura vincolante, nemmeno indiretta, nonostante l'esistenza nel diritto interno di strumenti giuridici disponibili (articoli 709 ter e 614 bis del codice di procedura civile). Si tratta di soluzioni legislative normalmente utilizzate in casi simili di opposizione di un genitore a qualsiasi rapporto tra l'altro genitore e il figlio, e quando il minore è condizionato dalle persone che lo circondano.
  6. I ricorrenti lamentano anche che il curatore ad litem è stato nominato soltanto nel 2020, quando invece avrebbe dovuto essere nominato prima di tale data, conformemente alla giurisprudenza interna e alla Convenzione. In tal modo, il secondo ricorrente non avrebbe potuto partecipare pienamente al procedimento che lo riguardava.
     
  1. Il Governo
  1. Il Governo rammenta che, in un primo tempo, i procedimenti penali condotti per verificare se il primo ricorrente avesse effettivamente abusato del secondo ricorrente hanno giustificato l'interruzione dei contatti.
  2. In un secondo tempo, la mancanza di cooperazione della madre ha reso difficili i rapporti tra padre e figlio; a tale riguardo, è stato messo in atto un monitoraggio psicoterapeutico e il minore è stato affidato ai servizi sociali.
  3. Per quanto riguarda le conclusioni degli esperti, anche se è vero che questi ultimi hanno sempre sottolineato che la madre non facilitava l'esercizio del diritto di visita del primo ricorrente, essi hanno comunque concluso che non sarebbe stato appropriato porre fine al rapporto tra il minore e la madre, soprattutto alla luce delle reazioni problematiche del minore, che si rifiutava di vedere il ricorrente. Questo è conforme, secondo il Governo, alla giurisprudenza della Corte (Pisică Repubblica di Moldavia, n. 23641/17, 29 ottobre 2019).
  4. Il Governo considera che l'allontanamento del minore dalla madre o il suo collocamento in un istituto non fossero misure che potevano essere inflitte unicamente allo scopo di garantire la messa in atto del diritto di visita del ricorrente. Di conseguenza, il Governo ritiene che la decisione della corte d'appello sia stata presa nell'interesse del minore.
  5. Per quanto riguarda il ruolo dei servizi sociali, il Governo espone che questi ultimi hanno collaborato con le giurisdizioni interne.
  6. Per quanto concerne la mancata esecuzione del decreto del tribunale per i minorenni di Genova, è opportuno sottolineare che tale provvedimento è stato oggetto di un ricorso in appello e che, in ogni caso, è stato riformato dal decreto della corte d'appello di Genova del 17 aprile 2019. Inoltre, secondo il Governo, poiché ricorrente non ha mai vinto la causa dinanzi al tribunale, le misure coercitive non hanno potuto essere applicate.
  7. Quanto alla mancata nomina del curatore per il minore, il Governo rammenta che il diritto del minore di partecipare al procedimento non è assoluto, ma viene valutato in funzione dell'età e del grado di maturità. Nel caso di specie, il tribunale ha potuto sentire il minore.
  8. Il Governo rammenta, inoltre, che la giurisprudenza non ritiene che tale nomina sia necessaria ogni volta che esiste una situazione di conflitto tra genitori, ma soltanto nei casi previsti dalla legge o quando delle circostanze particolari rendono necessaria la nomina.
  1. Valutazione della Corte
  1. Principi generali
  1. Come la Corte ha rammentato più volte, anche se l’articolo 8 ha essenzialmente per oggetto la tutela dell’individuo dalle ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, tale articolo non si limita a imporre allo Stato di astenersi da ingerenze di questo tipo: a tale obbligo negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un effettivo rispetto della vita privata o familiare. Questi obblighi possono implicare l’adozione di misure che mirano al rispetto della vita familiare finanche nelle relazioni tra gli individui, tra cui la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero di misure specifiche appropriate (si veda, mutatis mutandis, Zawadka c. Polonia, n. 48542/99, § 53, 23 giugno 2005). Tali strumenti giuridici devono permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori (si vedano, mutatis mutandis, Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 108, CEDU 2000‑I, Sylvester c. Austria, 36812/97 e 40104/98, § 68, 24 aprile 2003, Zavřel c. Repubblica ceca, n. 14044/05, § 47, 18 gennaio 2007, e Mihailova c. Bulgaria, n. 35978/02, § 80, 12 gennaio 2006). La Corte rammenta altresì che gli obblighi positivi non implicano solo che si vigili affinché il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, ma comprendono anche tutte le misure propedeutiche che consentono di pervenire a tale risultato (si vedano, mutatis mutandis, Kosmopoulou c. Grecia, n. 60457/00, § 45, 5 febbraio 2004, Amanalachioai c. Romania, n. 4023/04, § 95, 26 maggio 2009, Ignaccolo‑Zenide, sopra citata, §§ 105 e 112, e Sylvester, sopra citata, § 70).
  2. La Corte rammenta anche che il fatto che gli sforzi delle autorità siano stati vani non porta automaticamente a concludere che lo Stato si è sottratto agli obblighi positivi ad esso imposti dall’articolo 8 della Convenzione (Nicolò Santilli, sopra citata, § 67). In effetti, l’obbligo per le autorità nazionali di adottare delle misure per riunire il figlio e il genitore con cui non convive non è assoluto, e la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate costituiscono sempre un fattore importante. Anche se le autorità nazionali devono sforzarsi di agevolare una simile collaborazione, un obbligo per le stesse di ricorrere alla coercizione in materia non può che essere limitato: esse devono tenere conto degli interessi e dei diritti e delle libertà di queste stesse persone, in particolare degli interessi superiori del minore e dei diritti conferiti allo stesso dall’articolo 8 della Convenzione. (Voleský c. Repubblica ceca, n. 63267/00, § 118, 29 giugno 2004).
  3. Per quanto riguarda la vita familiare di un minore, la Corte rammenta che esiste attualmente un ampio consenso – anche nel diritto internazionale – intorno all’idea che in tutte le decisioni che riguardano dei minori il loro interesse superiore debba prevalere (si veda, tra altre, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 135, CEDU 2010). Essa sottolinea del resto che, nelle cause in cui sono in gioco questioni di affidamento di minori e di restrizioni del diritto di visita, l’interesse del minore deve prevalere su qualsiasi altra considerazione (Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, § 204, 10 settembre 2019). È necessaria la massima prudenza prima di ricorrere alla coercizione in una materia così delicata (Mitrova e Savik l’ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, n. 42534/09, § 77, 11 febbraio 2016, e Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, § 53, 22 novembre 2005). Il punto decisivo consiste dunque nell’appurare se, nel caso in esame, le autorità nazionali abbiano adottato, allo scopo di facilitare le visite tra genitore e figlio, ogni misura necessaria che si potesse ragionevolmente esigere da esse (Nuutinen c. Finlandia, n. 32842/96, § 128, CEDU 2000‑VIII).
  1. Applicazione di questi principi nella presente causa
  1. Passando a esaminare i fatti della presente causa, la Corte ritiene che, di fronte alle circostanze che le vengono sottoposte, il suo compito consista nell’esaminare se le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure che ci si poteva ragionevolmente attendere dalle stesse per mantenere i legami tra il primo ricorrente e suo figlio (Bondavalli c. Italia, n. 35532/12, § 75, 17 novembre 2015) e nell’esaminare il modo in cui esse siano intervenute per agevolare l’esercizio del diritto di visita del ricorrente come definito dai provvedimenti giudiziari (Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 58, serie A n. 299‑A, e Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 105, 15 gennaio 2015). Essa rammenta altresì che, in una causa di questo tipo, l’adeguatezza di una misura si valuta in base alla rapidità con cui la stessa viene attuata (Piazzi c. Italia, n. 36168/09, § 58, 2 novembre 2010) per evitare che il decorso del tempo possa avere, di per sé, delle conseguenze sulla relazione tra un genitore e suo figlio.
  2. La Corte osserva anzitutto che, al momento della separazione della coppia, secondo l'accordo concluso tra le parti e omologato dal tribunale, la custodia era affidata a entrambi i genitori, la residenza principale del figlio era fissata presso la madre, e il ricorrente beneficiava di un diritto di visita e di alloggio.
  3. La Corte constata che, nel 2013, C.C. aveva segnalato che il minore aveva dei comportamenti preoccupanti. Era stata avviata un'indagine penale contro il primo ricorrente e gli incontri tra quest'ultimo e suo figlio erano stati interrotti.
  4. La Corte osserva che, nel 2013, a seguito dell'archiviazione del procedimento, l’esperto nominato dal tribunale aveva osservato che il rapporto tra C.C. e il minore era disfunzionale, che quest'ultima perseverava nel suo atteggiamento di opposizione agli incontri con il primo ricorrente e alimentava nel bambino l'idea che suo padre avesse abusato di lui.
  5. A partire dall'archiviazione del procedimento nel 2014, il ricorrente non è più riuscito a incontrare suo figlio, in particolare a causa dell'opposizione della madre allo svolgimento degli incontri e, successivamente, dell'opposizione del minore, che secondo gli esperti era programmata dalla madre.
  6. La Corte osserva che, tra aprile e novembre 2015, nonostante le difficoltà evidenziate dai servizi sociali, che chiedevano di essere sentiti a causa della sospensione del programma terapeutico, il tribunale non ha ritenuto necessario rispondere alla loro richiesta e ha deciso di sentire il minore soltanto nell'aprile 2016.
  7. Successivamente, dopo il deposito di una nuova perizia nel luglio 2017, il tribunale ha ordinato che fossero tenuti degli incontri in ambiente protetto nell'ottobre 2017, incontri che sono stati organizzati soltanto sei mesi dopo.
  8. Di fronte al rifiuto del minore di incontrare suo padre, nel novembre 2018, il tribunale, basandosi sulla perizia del 2017, ha ordinato che il minore e la madre fossero collocati in una struttura terapeutica. La Corte osserva, a tale riguardo, che la decisione non è stata eseguita ed è stata successivamente modificata dalla corte d'appello nell'aprile 2019.
  9. La Corte rammenta che non ha il compito di sostituire la sua valutazione a quella delle autorità nazionali competenti in merito alle misure che avrebbero dovuto essere adottate, in quanto tali autorità si trovano in linea di principio in una posizione migliore per procedere ad una valutazione di questo tipo, in particolare perché sono in contatto diretto con il contesto della causa e con le parti coinvolte (Reigado Ramos, sopra citata, § 53). Tuttavia, nel caso di specie essa non può ignorare i fatti precedentemente esposti (paragrafi 69-75 supra). Essa osserva, infatti, che il primo ricorrente ha cercato di stabilire dei contatti con suo figlio dal 2013 e che, nonostante l'accordo di separazione che gli riconosceva un diritto di visita e di alloggio, all’inizio egli non ha potuto esercitare tale diritto a causa dell'opposizione della madre del minore e della denuncia penale per abuso sessuale da lei depositata.
  10. Certamente, la Corte ammette che le autorità, nel caso di specie, si trovavano di fronte a una situazione molto difficile, dovuta soprattutto alle tensioni esistenti tra i genitori del minore, e riconosce che la mancata realizzazione del diritto di visita del ricorrente era imputabile, all’inizio, all’evidente rifiuto della madre e, in seguito, a quello del minore. La Corte rammenta, tuttavia, che una mancanza di collaborazione fra i genitori separati non può dispensare le autorità competenti dal mettere in atto qualsiasi mezzo idoneo a permettere di mantenere il legame familiare (Nicolò Santilli, sopra citata, § 74, Lombardo, sopra citata, § 91, e Zavřel, sopra citata, § 52).
  11. In effetti, le autorità non hanno dimostrato la diligenza necessaria nel caso di specie, e sono rimaste al di sotto di quanto ci si poteva ragionevolmente attendere da esse. La Corte ritiene, in particolare, che i giudici nazionali non abbiano adottato le misure idonee a creare le condizioni necessarie per la piena realizzazione del diritto di visita del padre del minore. (Bondavalli, sopra citata § 81, Macready c. Repubblica ceca, nn. 4824/06 e 15512/08, § 66, 22 aprile 2010, e Piazzi, sopra citata, § 61, e Strumia, sopra citata). Essa constata, in particolare, che tra il 2013 e aprile 2018, non ha avuto luogo nessun incontro e non è stata adottata nessuna misura per ristabilire il legame tra il ricorrente e suo figlio. La Corte ritiene che una reazione rapida di fronte a questa situazione sarebbe stata necessaria considerata l'incidenza, in questo tipo di cause, del passare del tempo, che può ostacolare la possibilità per il genitore interessato di riallacciare una relazione con il figlio che non vive con lui.
  12. La Corte considera che i giudici interni non abbiano adottato, fin dall'inizio della separazione e dopo l'archiviazione del procedimento penale, quando il minore aveva soltanto quattro anni, delle misure concrete e utili volte all'instaurazione di contatti effettivi, e che abbiano poi tollerato per circa sette anni che la madre, con il suo comportamento, impedisse che si instaurasse una vera relazione tra padre e figlio. La Corte osserva che lo svolgimento del procedimento dinanzi al tribunale evidenzia piuttosto una serie di misure automatiche e stereotipate, quali delle ripetute richieste di informazioni e una delega della funzione di controllo ai servizi sociali (Lombardo, sopra citata § 92, e Piazzi, sopra citata, § 61). Ora, sebbene gli strumenti giuridici previsti dal diritto italiano sembrino sufficienti, secondo la Corte, per permettere allo Stato convenuto di assicurare il rispetto degli obblighi positivi ad esso imposti dall'articolo 8 della Convenzione, si deve constatare che, nel caso di specie, le autorità non hanno intrapreso alcuna azione nei confronti di C.C. sebbene le perizie avessero evidenziato il suo comportamento negativo verso il minore e verso il primo ricorrente. Per di più, la decisione del tribunale che prevedeva l'inserimento in una struttura terapeutica non è stata eseguita. Pertanto, la Corte ritiene che le autorità abbiano lasciato che si consolidasse una situazione di fatto generata dall’inosservanza delle decisioni giudiziarie (B. e altri c. Croazia, n. 36216/13, 14 marzo 2017).
  13. La Corte osserva che, nel caso di specie, di fronte all'opposizione della madre del minore, che perdurava dal 2013, e alla difficoltà per il primo ricorrente di esercitare il suo diritto di visita, le autorità nazionali non hanno adottato rapidamente tutte le misure necessarie che si potevano ragionevolmente esigere per far rispettare il diritto del primo ricorrente di avere dei contatti con suo figlio e di stabilire una relazione (Strumia, sopra citata, § 123).
  14. La Corte prende atto anche del ritardo con cui il tribunale per i minorenni ha deliberato, e rileva, a tale riguardo, che tra aprile 2015 e aprile 2016, nonostante le domande urgenti dei servizi sociali che chiedevano di essere sentiti a causa della sospensione del programma terapeutico, e sebbene il ricorrente avesse presentato ricorso, non è stata adottata alcuna misura. Il minore è stato sentito soltanto nell'aprile 2016 ( e M. c. Croazia, n. 10161/13, §§ 181-184, CEDU 2015 (estratti)) ed è stata disposta una nuova perizia nel dicembre 2016. La decisione che disponeva il collocamento è intervenuta due anni dopo. La Corte rammenta, a tale riguardo, che essa può tenere conto, dal punto di vista dell’articolo 8 della Convenzione, della durata del processo decisionale delle autorità nazionali e di qualsiasi altro procedimento giudiziario connesso. In effetti, un ritardo nel procedimento rischia sempre, in tal caso, di risolvere la controversia con un fatto compiuto. Ora, un rispetto effettivo della vita familiare impone che le relazioni future tra genitore e figlio si regolino unicamente sulla base di tutti gli elementi pertinenti, e non semplicemente con il passare del tempo (W. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, §§ 64‑65, serie A n. 121, Covezzi e Morselli c. Italia, n. 52763/99, § 136, 9 maggio 2003, Solarino c. Italie, n. 76171/13, § 39, 9 febbraio 2017, e D’Alconzo, sopra citata, § 64).
  15. Per la Corte, sono necessarie una diligenza e una rapidità supplementari nell’adozione di una decisione riguardante i diritti sanciti dall’articolo 8 della Convenzione. Essa rammenta che la posta in gioco per il ricorrente esige che la causa sia trattata con urgenza, in quanto il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il figlio e suo padre, che non vive con lui. In effetti, l’interruzione del contatto con un figlio molto giovane può comportare un peggioramento della sua relazione con il genitore.
  16. Per quanto riguarda la nomina del curatore ad litem, la Corte osserva che il sistema nazionale prevede le circostanze in cui il minore può continuare ad essere rappresentato dai suoi genitori anche in caso di situazione conflittuale tra gli stessi, e prevede inoltre, conformemente ai principi internazionali, che il minore partecipi al procedimento e che sia sentito sulle sue preferenze. In caso di conflitto tra il minore e i suoi genitori o nel caso in cui sia pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale di questi ultimi, il minore deve essere rappresentato da un curatore ad litem o da un tutore, e se necessario da un avvocato. Ciò premesso, nel caso di specie la Corte constata che, in un primo tempo, il secondo ricorrente ha potuto partecipare al procedimento, dal momento che C.C. e il primo ricorrente non erano stati né sospesi né decaduti dalla loro responsabilità genitoriale. Soltanto nel 2020 la corte d'appello di Genova, prendendo atto del conflitto di interessi tra i genitori, ha deciso di nominare un curatore ad litem per il minore. In questa situazione, la Corte non può concludere che il processo decisionale non abbia sufficientemente protetto gli interessi del secondo ricorrente.
  17. Tenuto conto delle considerazioni esposte nei paragrafi 68-82 supra, e nonostante il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in materia, la Corte considera che le autorità nazionali non abbiano compiuto sforzi adeguati e sufficienti per far rispettare il diritto di visita del primo ricorrente, e che abbiano violato il diritto dell'interessato al rispetto della sua vita familiare.
  1. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
  1. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

        «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso,    un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

  1. Danno morale
  1. Il primo ricorrente chiede la somma di 50.000 euro (EUR) per il danno morale che afferma di avere subìto a causa dell’impossibilità di allacciare una relazione con suo figlio dal 2003, e la somma di 100.000 euro per i danni psichici e morali subiti dal secondo ricorrente.
  2. Il Governo contesta le richieste dei ricorrenti, e afferma che i danni lamentati non esistono e, comunque, non possono essere imputati al comportamento delle autorità italiane. In ogni caso, il Governo considera che le somme richieste siano sproporzionate.
  3. Tenuto conto delle circostanze del caso di specie, la Corte considera che gli interessati abbiano subìto un danno morale che non può essere riparato con la semplice constatazione di violazione dell'articolo 8 della Convenzione. Essa ritiene che l'impossibilità per il primo ricorrente di mantenere dei contatti significativi con suo figlio gli abbia causato frustrazione e sofferenza e gli abbia impedito di sviluppare dei rapporti per vari anni. Di conseguenza, la Corte accorda la somma di 10.000 EUR al primo ricorrente e la somma di 10.000 EUR al secondo ricorrente. Per quanto riguarda il secondo ricorrente, la somma sarà custodita in via fiduciaria per conto di quest’ultimo dal primo ricorrente (si veda, mutatis mutandis, D. e altri c. Malta, n. 64791/10, § 94, 17 luglio 2012).
  1. Spese
  1. I ricorrenti chiedono la somma di 66.902,99 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi ai giudici nazionali, la somma di 4.955,40 EUR per le relazioni peritali, e la somma di 11.203 EUR per le spese per il procedimento dinanzi alla Corte.
  2. Secondo il Governo la richiesta di rimborso deve essere respinta. Inoltre, gli onorari legati alle spese per il procedimento dinanzi alla Corte sono eccessivi.
  3. Nella fattispecie, la Corte ha concluso che il processo decisionale era lacunoso per quanto riguarda la lunghezza delle procedure e la mancata realizzazione del diritto di visita del ricorrente. Tuttavia, la Corte non vede alcun nesso di causalità tra la suddetta violazione e i costi richiesti per assistere e prepararsi al procedimento interno, al quale i ricorrenti, in ogni caso, avrebbero partecipato. La Corte respinge pertanto la richiesta di rimborso delle spese sostenute nell'ambito del procedimento interno e accorda la somma di 11.000 EUR per il procedimento dinanzi ad essa, più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma.
  4. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dit,
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 000 EUR (diecimila euro) al primo ricorrente, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, per danno morale,
      2. 000 EUR (diecimila euro) al secondo ricorrente, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, per danno morale. Tale somma sarà custodita in via fiduciaria per il secondo ricorrente dal primo ricorrente,
      3. 000 EUR (undicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta su tale somma, per le spese;
         
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 22 aprile 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Renata Degener Ksenija Turković
Cancelliere Presidente