Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 18 marzo 2021 - Ricorso n. 24340/07 - Causa Petrella contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA PETRELLA c. ITALIA

(Ricorso n. 24340/07)

SENTENZA

Art 6 § 1 (civile) • Accesso a un tribunale • Eccessiva durata delle indagini preliminari che ha impedito al ricorrente di costituirsi parte civile in un procedimento penale e di chiedere il risarcimento del danno • Azione archiviata per intervenuta prescrizione del reato prima dell'udienza preliminare a partire dalla quale la parte lesa può costituirsi parte civile • Comportamento negligente delle autorità • Art. 6 applicabile, in quanto il ricorrente ha esercitato almeno uno dei diritti e facoltà espressamente riconosciuti dalla legge interna • Denuncia volta a far valere il diritto di carattere civile alla protezione della propria reputazione • Non si può esigere che sia proposta analoga azione di responsabilità civile dinanzi al giudice civile
Art 6 § 1 (civile) • Termine ragionevole• Durata eccessiva del procedimento civile
Art 13 (+ Art 6) • Assenza di ricorso interno effettivo per quanto riguarda la durata del procedimento

STRASBURGO

18 marzo 2021

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Petrella c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Ksenija Turković, presidente,
Krzysztof Wojtyczek,
Linos-Alexandre Sicilianos,
Pere Pastor Vilanova,
Péter Paczolay,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere di sezione,
Visti:
Il ricorso sopra indicato (n. 24340/07) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. Vincenzo Petrella («il ricorrente»), che il 1° giugno 2007 ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano («il Governo»),
le osservazioni delle parti,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 2 febbraio 2021,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. La presente causa riguarda l’eccessiva durata delle indagini preliminari svolte nell'ambito del procedimento avviato dal ricorrente, l'assenza di un ricorso effettivo che consenta a quest'ultimo, in quanto parte lesa, di presentare delle doglianze a tale riguardo, e l'archiviazione della denuncia dell'interessato per intervenuta prescrizione del reato. Il ricorrente denuncia una violazione degli articoli 6 § 1, 8, 13 e 14 della Convenzione.

IN FATTO

2. Il ricorrente è nato nel 1951 e risiede a Caserta. È stato rappresentato dall’avvocato A. Imparato.

3. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora.

4. Il ricorrente è avvocato. All'epoca dei fatti, era anche presidente di una squadra di calcio, la «Casertana».

5. Il 22 luglio 2001 il giornale «Corriere di Caserta» pubblicò in prima pagina un articolo intitolato «Buco di mille miliardi "firmato" Petrella & Co.». L’articolo, accompagnato da una fotografia del ricorrente, conteneva il seguente passaggio: «L'amministrazione sanitaria locale e la regione si sono dissanguate in sei anni. Cifre a nove zeri per gli onorari del presidente della Casertana, Petrella, mentre il vice pretore onorario era [X], numero due della società, che ha fatto eseguire 6.066 pignoramenti, arricchendo così i suoi amici avvocati. (...). Sei anni di salassi nel bilancio della sanità pubblica ad opera di giudici e avvocati (guarda caso Petrella e [X], oggi presidente e vicepresidente della Casertana), [che] avranno ripercussioni per decenni». Il 23, 24 e 25 luglio 2001 il «Corriere di Caserta» pubblicò altri articoli con contenuto simile a quello del 22 luglio.

6. Ritenendo che gli articoli apparsi sul «Corriere di Caserta» avessero offeso il suo onore e la sua reputazione, il 28 luglio 2001 il ricorrente sporse denuncia per diffamazione a mezzo stampa contro il loro autore e il direttore di questo giornale, nonché contro il presidente e l'amministratore delegato della società editrice. Nella sua denuncia, presentata al procuratore di Santa Maria Capua Vetere, il ricorrente precisava che intendeva costituirsi parte civile nel procedimento e chiedere un risarcimento di 10 miliardi di lire italiane (ITL), ossia 5 milioni di euro (EUR). Inoltre, il ricorrente indicava di voler essere informato circa l’eventuale archiviazione della sua denuncia.

7. Il 10 settembre 2001 la causa fu deferita alla procura della Repubblica presso il tribunale di Salerno, competente ratione loci.

8. Con una decisione del 9 novembre 2006, comunicata al ricorrente il 2 dicembre 2006, il procuratore richiese l'archiviazione della denuncia dell'interessato per intervenuta prescrizione del reato denunciato.

9. Con decreto del 17 gennaio 2007, il giudice per le indagini preliminari di Salerno archiviò il procedimento, accogliendo la richiesta del procuratore.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

10. Il diritto e la prassi interni pertinenti riguardanti la legge n. 89 del 2001 («la legge Pinto») sono descritti nelle sentenze Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23‑31, CEDU 2006-V) e Arnoldi c. Italia (n. 35637/04, §§ 15-19, 7 dicembre 2017).

11. Ai sensi dell'articolo 79 del codice di procedura penale (CPP), la parte lesa può costituirsi parte civile solo a partire dall'udienza preliminare, che costituisce il momento del procedimento in cui il giudice è chiamato a decidere se l'indagato debba essere rinviato a giudizio (si veda, per maggiori dettagli sullo status della parte lesa nel diritto italiano, Arnoldi, sopra citata, §§ 15-18).

12. L'articolo 55, comma 1, lettera a) del decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012 (successivamente convertito in legge, senza modifiche sul punto qui di seguito esposto, dalla legge n. 134 del 7 agosto 2012) ha introdotto nell'articolo 2 della legge Pinto un comma 2 bis che prevede, in particolare, che la durata del processo penale deve essere calcolata a partire dal momento in cui la persona lesa è ammessa al processo in qualità di parte civile. La Corte costituzionale, ritenendo tale comma compatibile con l'articolo 6 § 1 della Convenzione, con la sua sentenza n. 249 depositata il 25 novembre 2020, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sottoposta alla sua attenzione.

13. Ai sensi dell'articolo 127 delle disposizioni di attuazione del CPP, la segreteria del pubblico ministero deve trasmettere ogni settimana al procuratore generale presso la corte d'appello l'elenco delle notizie di reato per le quali la procura non ha esercitato l’azione penale o non ha richiesto l'archiviazione.

14. Gli articoli 405 e 406 del CPP prevedono dei termini per l'espletamento degli atti di indagine da parte della procura. Una volta scaduti i termini previsti per l'esercizio dell’azione penale o la presentazione di una richiesta di archiviazione delle accuse, ai sensi dell'articolo 413 del CPP, è consentito alla persona offesa chiedere al procuratore generale presso la corte d'appello di avocare l'indagine ai sensi dell'articolo 412 del CPP.

15. L’articolo 412 del CPP, in vigore all’epoca dei fatti, disponeva quanto segue nelle sue parti pertinenti nel caso di specie:

Articolo 412 – Avocazione delle indagini preliminari per mancato esercizio dell’azione penale

«1. Il procuratore generale presso la corte di appello dispone con decreto motivato l'avocazione delle indagini preliminari se il pubblico ministero non esercita l'azione penale o non richiede l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice. (...)

2. (...)»

16. L’articolo 413 del CPP è formulato come segue:

Articolo 413 – Richiesta della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa dal reato

«1. La persona sottoposta alle indagini o la persona offesa dal reato può chiedere al procuratore generale di disporre l'avocazione a norma dell'articolo 412 comma 1 [del CPP].

2. Disposta l'avocazione, il procuratore generale svolge le indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste [richiesta di archiviazione o di esercizio dell’azione penale] entro trenta giorni dalla richiesta proposta a norma del comma 1.»

17. Il 27 marzo 2007 il Consiglio superiore della magistratura (CSM) è stato investito di una domanda riguardante la validità e l'interpretazione della sua precedente delibera del 16 luglio 1997 concernente la disciplina della avocazione delle indagini preliminari i cui termini siano scaduti. Con delibera del 12 settembre 2007 («Potere di avocazione del Procuratore generale presso la Corte d'appello»), il CSM ha innanzitutto rammentato di aver svolto un'indagine sugli approcci e sulle diverse pratiche adottate dalle procure generali e di aver concluso che il diritto interno non prevedeva alcun potere discrezionale del procuratore generale in materia di avocazione. Alla luce di questi elementi, pur precisando di essere «nella consapevolezza di come fosse impossibile per le Procure generali riuscire ad avocare tutte le indagini preliminari i cui termini fossero scaduti, per poi concludere le stesse nel breve termine di trenta giorni dalla disposta avocazione», il CSM ha osservato che la sua delibera del 1997 aveva indicato una soluzione pratica alla questione relativa ai criteri da adottare per selezionare i casi da avocare e che mirava a «fornire una soluzione ragionevole a una situazione che, altrimenti, [sarebbe potuta] diventare insostenibile, dato che le procure generali non [avevano] nessuna possibilità materiale di avocare tutte le indagini preliminari i cui termini [fossero] scaduti». Infatti, nel 1997, il CSM aveva limitato l'avocazione obbligatoria ai soli casi in cui, una volta scaduti i termini, il procuratore non poteva chiedere l'archiviazione o esercitare l’azione penale poiché era necessario compiere altri atti d'indagine.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

18. Il ricorrente lamenta che la durata del procedimento penale è stata eccessiva e che, disponendo l’archiviazione della sua denuncia penale per intervenuta prescrizione del reato, le autorità interne gli hanno impedito di avere accesso a un tribunale. Egli invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) ed entro un termine ragionevole, da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

19. Il Governo ammette che la causa riguarda principalmente «l’inerzia della procura che avrebbe comportato la prescrizione e impedito l’accesso a un tribunale», ma contesta la tesi sostenuta dal ricorrente.

A. Sulla ricevibilità

1. Sull’applicabilità dell’articolo 6 della Convenzione

20. Il Governo afferma che le doglianze del ricorrente sono incompatibili ratione materiae e, pertanto, devono essere respinte. Il Governo sostiene, in particolare, quanto segue: il procedimento penale si è concluso con l’archiviazione, senza che l’imputato sia stato rinviato a giudizio; di conseguenza, il ricorrente non ha mai avuto la qualità di parte nel procedimento e non ha mai potuto chiedere alcun risarcimento; tenuto conto del fatto che nel diritto italiano il principio della preminenza del penale sul civile non è riconosciuto e che il ricorrente aveva la possibilità di intentare un’azione civile per ottenere un risarcimento, il procedimento penale non era «direttamente» determinante per il diritto di natura civile dell’interessato; perciò, contrariamente a quanto emerso nella causa Perez c. Francia ([GC], n. 47287/99, CEDU 2004 I), l’aspetto civile non era strettamente legato allo svolgimento del procedimento penale.

21. Il ricorrente argomenta che l’articolo 6 della Convenzione è applicabile nel caso di specie.

22. La Corte rammenta che, secondo la sua giurisprudenza, la Convenzione non riconosce, di per sé, il diritto di far perseguire o condannare penalmente terze persone. Per rientrare nel campo di applicazione della Convenzione, tale diritto deve necessariamente andare di pari passo con l’esercizio da parte della vittima del suo diritto di intentare l’azione, per definizione civile, offerta dal diritto interno, anche soltanto al fine di ottenere una riparazione simbolica o la protezione di un diritto di carattere civile, sulla scia, ad esempio, del diritto di godere di una «buona reputazione». Pertanto, l’articolo 6 § 1 della Convenzione si applica ai procedimenti relativi alle denunce con costituzione di parte civile a partire dal momento in cui interviene l’atto di costituzione, a meno che la vittima non abbia rinunciato in maniera inequivocabile all’esercizio del suo diritto a ottenere riparazione (Perez, sopra citata, §§ 66-71, e Gorou c. Grecia (n. 2) [GC], n. 12686/03, §§ 24 25, 20 marzo 2009). Inoltre, la Corte ha considerato questa disposizione come applicabile alla parte lesa che non si era costituita parte civile, in quanto nel diritto italiano, anche prima dell’udienza preliminare, in cui può essere presentata tale costituzione, la vittima del reato può esercitare i diritti e le facoltà espressamente riconosciuti dalla legge (Sottani c. Italia (dec.), n. 26775/02, CEDU 2005-III (estratti), Patrono, Cascini e Stefanelli c. Italia, n. 10180/04, §§ 31-32, 20 aprile 2006, e Arnoldi, sopra citata, §§ 25 44).

23. Nella fattispecie, la Corte constata che la denuncia del ricorrente mirava a far valere un diritto di carattere civile – ossia il diritto alla protezione della sua reputazione –, di cui l’interessato poteva affermare in maniera difendibile di essere titolare. Inoltre, nella sua denuncia, il ricorrente aveva affermato che intendeva costituirsi parte civile nel procedimento penale e chiedere la somma di cinque milioni di EUR a titolo di risarcimento danni. Egli aveva anche espressamente richiesto di essere avvisato di un’eventuale archiviazione della causa (paragrafo 6 supra). Di conseguenza, il ricorrente ha esercitato almeno uno dei diritti e delle facoltà riconosciuti dal diritto interno alla parte lesa (Arnoldi, sopra citata, § 41). La Corte, tenuto conto delle argomentazioni presentate dal Governo e delle conclusioni da essa adottate nelle cause sopra menzionate, respinge l’eccezione sollevata dal Governo. L’articolo 6 § 1 della Convenzione è perciò applicabile alla presente causa.

2. Sull’esaurimento delle vie di ricorso interne

a) La domanda di avocazione

24. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. A suo parere, considerato il fatto che gli articoli 405 e 406 del CPP prevedono dei termini per l’esecuzione degli atti di indagine, il ricorrente avrebbe potuto approfittare dell’inerzia della procura, inizialmente sollecitando la procura stessa e poi chiedendo, sulla base degli articoli 412 e 413 del CPP, al procuratore generale presso la corte d’appello di procedere all’avocazione delle indagini. A tale riguardo, la Corte constata che, nelle sue prime osservazioni, il Governo ha menzionato soltanto una sentenza della Corte di cassazione (n. 19833 del 2009) e che, successivamente, nelle sue osservazioni complementari, ha fatto riferimento a: a) una decisione del 6 dicembre 2011 del procuratore generale presso la corte d’appello di Brescia, con la quale il suddetto procuratore aveva respinto una domanda di avocazione in quanto, nel frattempo, il procuratore incaricato della causa aveva chiuso le indagini preliminari; e b) la delibera del CSM del 12 settembre 2007 riguardante il potere di avocazione del procuratore generale presso la corte d’appello.

25. Il ricorrente ritiene che le vie di ricorso indicate dal Governo non siano effettive, per i seguenti motivi: anzitutto, le autorità non avevano bisogno di essere sollecitate per essere messe al corrente dei ritardi della procura in quanto, secondo l’articolo 127 delle disposizioni di attuazione del CPP, la segreteria della procura doveva trasmettere ogni settimana al procuratore generale presso la corte d’appello l'elenco delle notizie di reato per le quali la procura non aveva esercitato l’azione penale o non aveva richiesto l'archiviazione; inoltre, la parte lesa non aveva alcuna possibilità di costringere la procura a proseguire le indagini; infine, egli non godeva di alcun «diritto» effettivo, fondato su una base legale chiara e accessibile, di formulare una domanda di avocazione, né di alcun diritto di contestare l’eventuale rigetto di una tale domanda.

26. La Corte rammenta che, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, essa può essere adita solo dopo che siano state esaurite le vie di ricorso interne. Ogni ricorrente deve aver dato ai giudici interni l’occasione di riparare le violazioni dedotte contro le Alte Parti contraenti. Questa regola si basa sull’ipotesi, oggetto dell’articolo 13 della Convenzione – con il quale presenta strette affinità –, che l’ordinamento interno deve offrire un ricorso effettivo per quanto riguarda la violazione dedotta. Tuttavia, le disposizioni dell’articolo 35 § 1 prescrivono l’esaurimento dei soli ricorsi che siano al tempo stesso relativi alle violazioni denunciate, disponibili e adeguati. Questi ricorsi devono esistere con un sufficiente grado di certezza, non solo in teoria ma anche nella pratica, altrimenti mancano dell’effettività e dell'accessibilità richieste.

27. Per quanto riguarda l'onere della prova, la Corte rammenta che spetta al Governo, che eccepisce il mancato esaurimento, convincerla che il ricorso era effettivo e disponibile sia in teoria che in pratica all'epoca dei fatti (si vedano, tra molte altre, McFarlane c. Irlanda [GC], n. 31333/06, § 107, 10 settembre 2010, Vučković e altri c. Serbia (eccezione preliminare) [GC], nn. 17153/11 e altri 29, § 77, 25 marzo 2014, e Magyar Kétfarkú Kutya Párt c. Ungheria [GC], n. 201/17, § 52, 20 gennaio 2020). Pertanto, la base della via di ricorso deve essere chiara nel diritto interno (Scavuzzo-Hager e altri c. Svizzera (dec.), n. 41773/98, 30 novembre 2004, e Ceylan c. Turchia (dec.), n. 26065/06, 17 marzo 2015). La disponibilità del ricorso invocato, compresi la sua portata e il suo campo di applicazione, deve essere esposta con chiarezza e confermata o completata dalla prassi o dalla giurisprudenza (Gherghina c. Romania (dec.) [GC] n. 42219/07, § 88, 9 luglio 2015, McFarlane, sopra citata, §§ 117 e 120, e Mikolajová c. Slovacchia, n. 4479/03, § 34, 18 gennaio 2011). Quest’ultima, in linea di principio, deve essere ben consolidata e anteriore alla data di presentazione del ricorso (Gherghina, decisione sopra citata, § 88), salvo eccezioni giustificate dalle circostanze di una determinata causa.

28. Per quanto riguarda il rimedio, indicato dal Governo, previsto dall’articolo 413 del CPP (paragrafo 16 supra), la Corte rammenta che ha più volte considerato che un ricorso gerarchico non costituisce un ricorso effettivo in quanto, in generale, non conferisce al suo autore un diritto personale di ottenere che lo Stato eserciti i suoi poteri di sorveglianza (Sürmeli c. Germania [GC], n. 75529/01, § 109, CEDU 2006 VII). Essa è giunta a questa stessa conclusione nel caso in cui il procedimento intentato non prevede la partecipazione del ricorrente, ma soltanto il diritto di quest’ultimo di essere informato dell’esito del procedimento stesso (Jevremović c. Serbia, n. 3150/05, § 72, 17 luglio 2007). Infine, essa ha affermato che, in assenza di diritto di appello, un ricorso gerarchico non può avere un effetto significativo ai fini dell’accelerazione del procedimento nel suo complesso (Lukenda c. Slovenia, n. 23032/02, § 63, CEDU 2005 X).

29. Nella fattispecie, la Corte osserva che il Governo non ha dimostrato, alla luce dei criteri richiamati nel paragrafo 28 supra, che il ricorso gerarchico potesse, sia in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, comportare un’accelerazione delle indagini preliminari. In particolare, il Governo non è riuscito a dimostrare che tale rimedio riconosce alla parte lesa un vero e proprio diritto personale di ottenere che lo Stato eserciti i suoi poteri di sorveglianza, di partecipare al procedimento, di essere informato dell’esito di quest’ultimo e di esercitare un diritto di appello avverso la decisione di rifiuto di avocare le indagini. In effetti, la sentenza della Corte di cassazione n. 19833 del 2009 rammenta soltanto che il procuratore generale ha il potere di avocare le indagini ai sensi dell’articolo 412 del CPP e afferma che il mancato rispetto dei termini previsti dall’articolo 405 del CPP (paragrafo 14 supra) non determina la decadenza del pubblico ministero dal potere di esercitare l'azione penale. Inoltre, il Governo non fornisce prove conclusive che dimostrino l’effettività di questo rimedio nella pratica. La decisione del CSM citata dal Governo tenderebbe invece a dimostrare il contrario, in quanto riconosce apertamente «che [è] impossibile per le procure generali riuscire ad avocare tutte le indagini preliminari per le quali i termini [sono] già scaduti» e che «le procure generali non [hanno] la possibilità materiale di avocare tutte le indagini preliminari per le quali i termini [sono] scaduti». Questa constatazione non può essere rimessa in causa soltanto perché, in una sola occasione, il procuratore generale presso la corte d’appello di Brescia ha respinto una domanda di avocazione in quanto, nel frattempo, le indagini erano state chiuse dal procuratore di primo grado.

30. Di conseguenza, la Corte respinge questa eccezione.

b) La via di ricorso dinanzi al giudice civile

31. Nelle sue osservazioni complementari e sull’equa soddisfazione, il Governo sostiene anche che il ricorrente avrebbe potuto adire le giurisdizioni civili ai fini della protezione dei suoi diritti.

32. La Corte rammenta che, ai sensi dell’articolo 55 del suo regolamento, la Parte contraente convenuta che intenda sollevare un’eccezione d’irricevibilità, deve farlo, nella misura in cui la natura dell’eccezione e le circostanze lo consentono, nelle sue osservazioni scritte o orali sulla ricevibilità del ricorso (N.C. c. Italia [GC], n. 24952/94, § 44, CEDU 2002-X). La Corte sottolinea che un’eccezione di irricevibilità deve essere sollevata dal Governo in maniera esplicita, e che non è compito della Corte dedurla dalle argomentazioni presentate da quest’ultimo (si vedano, mutatis mutandis, Navalnyy c. Russia [GC], nn. 29580/12 e altri 4, §§ 60-61, 15 novembre 2018, nella quale il governo convenuto aveva soltanto detto, in via incidentale, esaminando il merito di una doglianza, che il ricorrente non aveva contestato le misure controverse nell’ambito dei procedimenti interni, e Liblik e altri c. Estonia, nn. 173/15 e altri 5, § 114, 28 maggio 2019, nella quale il governo convenuto aveva indicato altre vie di ricorso che erano a disposizione dei ricorrenti ma non aveva sollevato un’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne). Se così non fosse, la Corte si troverebbe a violare il principio della parità delle armi (si veda, mutatis mutandis, Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 123, 20 marzo 2018).

33. La Corte osserva, a questo titolo, che il Governo ha formalmente sollevato l’eccezione in questione, per la prima volta, nelle sue osservazioni complementari, e non nelle sue osservazioni iniziali sulla ricevibilità e sul merito della causa, nella parte dedicata alle eccezioni di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. Essa rileva, inoltre, che il Governo non ha fornito alcun chiarimento per tale ritardo, e constata che non esisteva alcuna circostanza eccezionale tale da dispensarlo dall’obbligo di sollevare l’eccezione in tempo utile. La Corte non può nemmeno considerare come un’eccezione formale di mancato esaurimento delle vie di ricorso il semplice riferimento fatto dal Governo, nelle sue prime osservazioni, alla possibilità per il ricorrente di avvalersi del ricorso in sede civile. In effetti, questo elemento è stato sollevato esclusivamente nell’ambito dell’eccezione relativa alla competenza ratione materiae (paragrafo 20 supra); ora, il Governo non ha sollevato alcuna eccezione di irricevibilità per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne nella parte corrispondente di tale documento. Pertanto, la Corte conclude che, per quanto riguarda questo secondo punto, il Governo è decaduto dalla possibilità di eccepire il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne (Khlaifia e altri c. Italia [GC], n. 16483/12, §§ 52 e 53, 15 dicembre 2016).

34. La Corte rammenta, infine, che nella causa Arnoldi (sopra citata, § 42, e si veda il paragrafo 53 infra), essa ha stabilito che la questione relativa all’esistenza di altre vie volte a proteggere il diritto di natura civile deve essere esaminata dal punto di vista della proporzionalità delle restrizioni del diritto di accesso a un tribunale, e non dal punto di vista della ricevibilità.

35. Pertanto, essa respinge anche questa eccezione.

36. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per uno degli altri motivi di cui all’articolo 35 della Convenzione, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Sulla dedotta violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa dell’eccessiva durata del procedimento

37. Il ricorrente afferma che la durata del procedimento è stata eccessiva.

38. Il Governo non ha ritenuto utile presentare delle osservazioni sul merito in quanto, a suo parere, l’articolo 6 § 1 non è comunque applicabile alla presente causa.

39. La Corte sottolinea che il periodo da considerare nell’ambito di un procedimento penale dal punto di vista del «termine ragionevole» dell’articolo 6 § 1 inizia, per la persona che sostiene di essere stata lesa da un reato, nel momento in cui la stessa esercita uno dei diritti e delle facoltà che le sono espressamente riconosciuti dalla legge (Arnoldi, sopra citata, § 48).

40. Inoltre, la Corte rammenta che la durata ragionevole di un procedimento deve essere valutata sulla base delle circostanze della causa e tenendo conto dei criteri seguenti: la complessità della causa, il comportamento del ricorrente e quello delle autorità competenti, nonché la posta in gioco della controversia per l’interessato (Frydlender c. Francia [GC], n. 30979/96, § 43, CEDU 2000-VII).

41. Nella fattispecie, la Corte constata che il periodo da prendere in considerazione è iniziato il 28 luglio 2001, data in cui il ricorrente ha sporto denuncia, e si è concluso il 17 gennaio 2007, data della decisione di archiviazione adottata dal giudice per le indagini preliminari di Salerno. Pertanto, il periodo in questione è durato circa cinque anni e sei mesi per la sola fase delle indagini preliminari.

42. Inoltre, la Corte constata che, secondo i documenti forniti dalle parti, durante la fase suddetta non è stata svolta alcuna attività di indagine, e che la causa non era particolarmente complessa. Infine, essa constata che il Governo non ha fornito argomentazioni che possano giustificare delle indagini preliminari di tale durata.

43. La Corte ritiene che questi elementi siano sufficienti per concludere che, nel caso di specie, la durata del procedimento controverso è stata eccessiva e non ha rispettato l’esigenza del «termine ragionevole». Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

2. Sulla dedotta violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa di un mancato accesso a un tribunale

44. Il ricorrente lamenta una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione anche a causa del mancato accesso a un tribunale. In effetti, la decisione di archiviare la causa per intervenuta prescrizione dell’azione penale era dovuta, a suo parere, all’inerzia della procura, il che gli avrebbe impedito di costituirsi parte civile e di ottenere la protezione dei suoi diritti di carattere civile e l’esame della sua domanda di risarcimento. Infine, il fatto di obbligarlo a intentare successivamente un’azione dinanzi alle giurisdizioni civili avrebbe potuto rivelarsi inutilmente sterile e dispendioso, soprattutto in caso di successiva insolvenza della parte avversa.

45. Il Governo non ha ritenuto utile, ancora una volta, presentare delle osservazioni sul merito in quanto, a suo parere, l’articolo 6 § 1 non è comunque applicabile alla presente causa.

46. La Corte ritiene che la doglianza relativa al mancato accesso a un tribunale ponga una questione distinta rispetto a quella della durata del procedimento e, di conseguenza, conformemente all’approccio seguito nelle sentenze Atanasova c. Bulgaria (n. 72001/01, §§ 47 e 57, 2 ottobre 2008) e Tonchev c. Bulgaria (n. 18527/02, §§ 49 e 53, 19 novembre 2009), la esaminerà separatamente.

47. La Corte rammenta che ogni persona ha diritto a che un tribunale esamini le controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile. In tal modo l’articolo 6 § 1 sancisce il «diritto a un tribunale», del quale il diritto di accesso, vale a dire il diritto di adire un tribunale in materia civile, costituisce soltanto un aspetto (Principe Hans Adam II di Liechtenstein c. Germania [GC], n. 42527/98, § 43, CEDU 2001-VIII, e Cudak c. Lituania [GC], n. 15869/02, § 54, 23 marzo 2010).

48. La Corte precisa, tuttavia, che questo diritto non è assoluto: esso si presta a limitazioni implicitamente ammesse, in quanto richiede, per la sua stessa natura, una regolamentazione da parte dello Stato. Gli Stati contraenti godono in materia di un certo margine di apprezzamento. Alla Corte spetta invece deliberare in ultimo grado sul rispetto delle esigenze della Convenzione; essa ha il compito di verificare che le limitazioni attuate non restringano l’accesso offerto all’individuo in un modo o a un punto tale da compromettere il diritto in questione nella sua stessa sostanza. Inoltre, una simile limitazione del diritto di accesso a un tribunale è compatibile con l’articolo 6 § 1 solo se tende a uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (Waite e Kennedy c. Germania [GC], n. 26083/94, § 59, CEDU 1999-I). In effetti, il diritto di accesso a un tribunale è violato quando la sua regolamentazione smette di perseguire gli scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla persona sottoposta alla giustizia di ottenere che la sua causa sia esaminata nel merito dalla giurisdizione competente (Tsalkitzis c. Grecia, n. 11801/04, § 44, 16 novembre 2006). Nella causa Zubac c. Croazia ([GC], n. 40160/12, §§ 90 e 95, 5 aprile 2018), la Corte ha rammentato che quando un errore procedurale impedisce al ricorrente di avere accesso a un tribunale, essa tende solitamente a farlo gravare su chi ha commesso tale errore. La Corte ha aggiunto, in questa stessa causa, che una restrizione dell’accesso a un tribunale è sproporzionata quando l’irricevibilità di un ricorso risulta dall’imputazione al ricorrente di un errore di cui quest’ultimo non è oggettivamente responsabile.

49. La Corte rammenta che, in cause in cui veniva eccepita l’assenza di un esame sul merito di costituzioni di parte civile a causa dell’irricevibilità delle denunce penali alle quali tali costituzioni erano allegate, essa ha attribuito importanza all’accessibilità e all’effettività delle altre vie giudiziarie aperte agli interessati per far valere le loro pretese, soprattutto delle azioni disponibili dinanzi alle giurisdizioni civili (Forum Maritime S.A. c. Romania, nn. 63610/00 e 38692/5, § 91, 4 ottobre 2007). Nei casi in cui ha considerato che i ricorrenti disponessero effettivamente di tali ricorsi, la Corte ha concluso che non vi era stata violazione del diritto di accesso a un tribunale (Assenov e altri c. Bulgaria, n. 24760/94, § 112, Recueil des arrêts et décisions 1998–VIII, Ernst e altri c. Belgio, n. 33400/96, §§ 53-55, 15 luglio 2003, Moldovan e altri c. Romania (n. 2), n. 41138/98 e 64320/01, §§ 119-122, 12 luglio 2005, Lacerda Gouveia e altri c. Portogallo, n. 11868/07, § 80, 1° marzo 2011, e Nicolae Virgiliu Tănase c. Romania [GC], n. 41720/13, § 198, 25 giugno 2019).

50. In particolare, la Corte non ha concluso che vi era stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione nel caso in cui il procedimento penale non era stato condotto o era stato chiuso in quanto: non era stato accertato alcun reato (Georgi Georgiev c. Bulgaria (dec.), n. 34137/03, 11 gennaio 2011, Assenov e altri, sopra citata, §§ 22-23, Moldovan e altri, sopra citata, §§ 36-37, Forum Maritime S.A., sopra citata, § 30, e Manolea e altri c. Romania (dec.), n. 58162/14, § 23, 15 settembre 2020), o il procedimento penale si era concluso in applicazione di un patteggiamento (Nikolov c. Bulgaria (V) (dec.), n. 39672/03, 28 settembre 2010) o di un privilegio di giurisdizione (Ernst e altri, sopra citata, § 49) o per il decesso dell’imputato (Manolea e altri, sopra citata, § 23). Lo stesso è avvenuto per le cause nelle quali il ricorrente aveva già adito, parallelamente, il giudice civile e ottenuto un esame sul merito prima della chiusura dell’azione penale (S.O.S. racisme – Touche pas à mon pote c. Belgio (dec.) n. 26341/11, §§ 30-34, 12 gennaio 2016, e, mutatis mutandis, Borobar e altri c. Romania, n. 5663/04, §§ 59-60, 29 gennaio 2013).

51. Invece, in altre cause, la Corte ha concluso che vi è stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione quando la chiusura del procedimento penale e il mancato esame dell’azione civile erano dovuti a circostanze attribuibili principalmente alle autorità giudiziarie, soprattutto a ritardi procedurali eccessivi che hanno comportato la prescrizione del reato (Anagnostopoulos c. Grecia, n. 54589/00, §§ 31-32, 3 aprile 2003, Tonchev, sopra citata, §§ 50-53, Gousis c. Grecia, n. 8863/03, §§ 34-35, 29 marzo 2007, Atanasova, sopra citata, §§ 35-47, Dinchev c. Bulgaria, n. 23057/03, §§ 40-52, 22 gennaio 2009, Boris Stojanovski c. l’ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, n. 41916/04, §§ 56-57, 6 maggio 2010, Rokas c. Grecia, n. 55081/09, §§ 22-24, 22 settembre 2015, e Korkolis c. Grecia, n. 63300/09, §§ 21-25, 15 gennaio 2015; si vedano, a contrario, Lacerda Gouveia e altri, sopra citata, § 77, Dimitras c. Grecia, n. 11946/11, § 47, 19 aprile 2018 e Nicolae Virgiliu Tănase, sopra citata, §§ 196-202 e 207-214, nella quale la Corte ha constatato l’assenza di responsabilità delle autorità nello svolgimento del procedimento penale, concludendo perciò che non vi era stata violazione dell’articolo 6 sotto il profilo del diritto di accesso a un tribunale e della durata del procedimento).

52. Nel caso di specie, la Corte constata che il ricorrente si era avvalso dei diritti e delle facoltà che erano disponibili nel diritto interno nell’ambito del procedimento penale e che gli avrebbero permesso, al momento dell’udienza preliminare, di chiedere riparazione del pregiudizio civile di cui sosteneva di essere vittima. Nella fattispecie, è soltanto a causa del ritardo con il quale le autorità procedenti hanno trattato il fascicolo e della prescrizione del reato denunciata che il ricorrente non ha potuto presentare la propria domanda di risarcimento danni (paragrafo 11 supra) e che, di conseguenza, egli non ha potuto ottenere una decisione sulla sua domanda nell’ambito del procedimento penale (Atanasova, sopra citata, § 45, e Dragomir c. Croazia [comitato], n. 43045/08, § 48, 14 giugno 2016).

53. La Corte ne deduce, sulla scia di quanto ha concluso nelle cause citate nel paragrafo 51 supra, che questo comportamento negligente delle autorità ha prodotto la conseguenza di privare il ricorrente dell’esame delle sue richieste di carattere civile nell’ambito del procedimento che aveva scelto di esperire e che era a sua disposizione nell’ordinamento giuridico interno. In effetti, non si può esigere che una persona sottoposta alla giustizia intenti un’analoga azione di responsabilità civile dinanzi al giudice civile dopo la constatazione di prescrizione dell’azione penale dovuta a errore del giudice penale (si veda, mutatis mutandis, Anagnostopoulos, sopra citata, § 32). A tale riguardo, la Corte osserva, in particolare, che intentare una tale azione implicherebbe probabilmente la necessità di raccogliere nuovamente delle prove, che il ricorrente avrebbe a questo punto l’onere di produrre, e che l’accertamento dell’eventuale responsabilità civile potrebbe risultare estremamente difficile dopo così tanto tempo (Atanasova, sopra citata, § 46).

54. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE A CAUSA DI UN’ASSENZA DI RICORSO EFFETTIVO CHE PERMETTA DI LAMENTARE LA DURATA DEL PROCEDIMENTO

55. Il ricorrente lamenta una mancanza di effettività del ricorso fondato sulla «legge Pinto», affermando che il motivo principale è che, a causa della giurisprudenza ben consolidata della Corte di cassazione, la parte lesa che non si è costituita parte civile non può presentare tale ricorso. Egli invoca l’articolo 13 della Convenzione, così formulato:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

A. Tesi delle parti

56. Il Governo considera che la doglianza relativa all’articolo 13 debba essere dichiarata incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione in quanto, a suo parere, l’articolo 6 § 1 non è applicabile alla presente causa, e non si pronuncia sul merito della doglianza.

57. Il ricorrente ritiene che, a causa della giurisprudenza ben consolidata della Corte di cassazione, egli non poteva presentare il ricorso «Pinto» in quanto non aveva potuto costituirsi parte civile.

B. Valutazione della Corte

1. Sulla ricevibilità

58. La Corte rammenta che l’articolo 13 garantisce l'esistenza nel diritto interno di un ricorso che permetta di far valere i diritti e le libertà della Convenzione così come in essa sanciti. Questa disposizione ha dunque come conseguenza di esigere un ricorso interno che permetta di esaminare il contenuto di una «doglianza difendibile» basata sulla Convenzione e di offrirne la riparazione adeguata (De Souza Ribeiro c. Francia [GC], n. 22689/07, § 78, 13 dicembre 2012).

59. Nella fattispecie, la Corte ha appena concluso che l’articolo 6 § 1 era applicabile (paragrafi 22-23 supra) e ha constatato la violazione di tale disposizione soprattutto a causa della durata eccessiva del procedimento (paragrafi 39-43 supra). Di conseguenza, il ricorrente disponeva di una doglianza difendibile sotto il profilo dell’articolo 6 § 1, e l’articolo 13 della Convenzione è applicabile alla presente causa.

60. Constatando che questa doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte la dichiara ricevibile.

2. Sul merito

61. La Corte osserva che i principi che derivano dall’articolo 2, comma 2 bis della legge n. 89 del 2001 e dalla giurisprudenza interna consolidata in materia confermano l’inapplicabilità del ricorso «Pinto» alla parte lesa che non ha potuto costituirsi parte civile in un procedimento penale (paragrafi 10 e 12 supra).

62. Perciò, la Corte ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione a causa dell’assenza nel diritto interno di un ricorso che permettesse al ricorrente di ottenere il riconoscimento del suo diritto a che la sua causa fosse esaminata entro un termine ragionevole, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Xenos c. Grecia, n. 45225/09, § 44, 13 luglio 2017, e Cipolletta c. Italia, n. 38259/09, § 49, 11 gennaio 2018).

III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI DEDOTTE DELLA CONVENZIONE

63. Infine, il ricorrente, a sostegno delle sue doglianze, cita anche l’articolo 8 della Convenzione e l’articolo 6 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 14 della Convenzione.

64. La Corte considera che queste doglianze siano assorbite da quelle relative agli articoli 6 e 13 della Convenzione e ritiene che non sia necessario esaminarle separatamente.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

65. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione:

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

66. Il ricorrente chiede la somma di 500.000 euro (EUR) per il danno morale che afferma di avere subìto.

67. Il Governo contesta questa richiesta e ritiene che la somma reclamata sia eccessiva.

68. La Corte ritiene doversi accordare al ricorrente la somma di 5.200 EUR per danno morale, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta.

B. Spese

69. Il ricorrente chiede la somma di 27.727,20 EUR per le spese che ha sostenuto ai fini del procedimento dinanzi alla Corte.

70. Il Governo contesta questa richiesta e ritiene che la somma reclamata sia eccessiva.

71. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e dei criteri sopra menzionati, la Corte ritiene ragionevole accordare al ricorrente la somma di 2.000 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi ad essa, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma dall’interessato a titolo di imposta.

C. Interessi moratori

72. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

  1. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa della durata eccessiva del procedimento;
  3. Dichiara, con cinque voti contro due, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa di una violazione del diritto di accesso del ricorrente a un tribunale;
  4. Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
  5. Dichiara, all’unanimità, non doversi esaminare separatamente le doglianze formulate sotto il profilo dell’articolo 8 della Convenzione e dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 14 della Convenzione;
  6. Dichiara, all’unanimità,
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 5.200 EUR (cinquemiladuecento euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale,
      2. 2.000 EUR (duemila euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese,
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  7. Respinge, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 18 marzo 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Ksenija Turković
Presidente

Renata Degener
Cancelliere

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione delle opinioni separate seguenti:

  1. opinione parzialmente dissenziente del giudice Wojtyczek;
  2. opinione parzialmente dissenziente del giudice Sabato.

 

K.T.U.

R.D.

OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE DEL GIUDICE WOJTYCZEK

1. Non condivido il parere della maggioranza secondo il quale vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa del mancato rispetto del diritto di accesso a un tribunale del ricorrente. Su questo punto, concordo con le argomentazioni principali brillantemente esposte dal giudice Sabato.

2. Nella presente opinione desidero aggiungere molto brevemente i punti seguenti. Se ho votato in favore di una constatazione di violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa della durata eccessiva del procedimento, l’ho fatto con molte esitazioni. Nella maggior parte delle cause nelle quali la Corte ha dichiarato che l’articolo 6 è applicabile alle richieste in sede civile che erano state presentate in un procedimento penale, l’accesso al giudice civile era chiuso de iure o de facto per tutta la durata del procedimento penale. In tal caso, i rallentamenti nel procedimento penale fanno ritardare la pronuncia della sentenza sul merito della questione civile. Ora, come spiega il giudice Sabato, nel diritto italiano l’accesso al giudice civile è aperto durante il procedimento penale.

3. La maggioranza presenta la sua principale argomentazione in favore della tesi secondo la quale vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 a causa del mancato rispetto del diritto di accesso a un tribunale nel modo seguente (paragrafo 53 della sentenza):
In effetti, non si può esigere che una persona sottoposta alla giustizia intenti un’analoga azione di responsabilità civile dinanzi al giudice civile dopo la constatazione di prescrizione dell’azione penale dovuta a errore del giudice penale (si veda, mutatis mutandis, Anagnostopoulos, sopra citata, § 32). A tale riguardo, la Corte osserva, in particolare, che intentare una tale azione implicherebbe probabilmente la necessità di raccogliere nuovamente delle prove, che il ricorrente avrebbe a questo punto l’onere di produrre, e che l’accertamento dell’eventuale responsabilità civile potrebbe risultare estremamente difficile dopo così tanto tempo (Atanasova, sopra citata, § 46).

Non vedo perché non si possa esigere che una persona sottoposta alla giustizia intenti un’azione di responsabilità civile dinanzi al giudice civile dopo la constatazione di prescrizione dell’azione penale. Osservo, inoltre, che la presente causa riguarda la protezione della reputazione. In generale, le controversie civili in materia di reputazione non sono particolarmente complicate dal punto di vista fattuale. Inoltre, in molti sistemi giuridici l’onere di provare la veridicità delle affermazioni lesive dei diritti della personalità incombe al convenuto. Nella presente causa, raccogliere le prove e stabilire la responsabilità civile non sembra un compito particolarmente gravoso per il richiedente. L’approccio della maggioranza, che consiste nel porre l’accento sulle normali difficoltà nel sostenere una causa civile, sembra rimettere in discussione l’idea stessa di processo civile fondato sul principio actori incumbit onus probandi e sulla parità delle armi tra le parti.
4. Osservo peraltro che la presente causa riguarda non soltanto la protezione della reputazione ma anche la libertà di espressione della parte avversa. La maggioranza promuove implicitamente l’accesso alla giustizia penale come via privilegiata, in quanto più facile, per assicurare la protezione del diritto civile alla reputazione. Un tale approccio creerà sicuramente dei problemi.
 

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, la traduzione della presente opinione è stata eseguita dalle dott.sse Silvia Canullo e Maria Caterina Tecca, funzionari linguistici. Revisione a cura della dott.ssa Maria Caterina Tecca.
 

OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE DEL GIUDICE SABATO

I. INTRODUZIONE

1. Con qualche esitazione (che spiegherò nella parte V della presente opinione) ho votato con la maggioranza a favore della violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”) a causa dell’eccessiva durata del procedimento nel caso di specie (Petrella 1 ). Ho inoltre concordato con la constatazione di violazione dell’articolo 13, non ho potuto, al contrario, concordare con la conclusione della maggioranza secondo la quale vi era stata violazione della medesima disposizione dell’articolo 6 § 1 a causa di un’asserita violazione del diritto del ricorrente di accesso a un tribunale.

2. Ritengo che quest’ultima conclusione della maggioranza introduca uno sviluppo che si discosta dalla precedente prevalente giurisprudenza della Corte, confermata dalla Grande Camera. Inoltre ritengo, rispettosamente, che tale sviluppo sia non soltanto errato bensì anche pericoloso, poiché provoca una confusione di concetti ed errori nella percezione delle garanzie della Convenzione che sono, come è ben noto, controproducenti e persino fatali per un’effettiva tutela dei diritti e delle libertà previsti dalla Convenzione (si veda la parte VI infra).

3. La presente opinione intende pertanto sottolineare le gravi questioni relative all’applicazione della Convenzione sollevate dall’approccio della maggioranza (si vedano le conclusioni nella parte VII infra).

II. IL RAPPORTO TRA LA TUTELA DEL DIRITTO DI ACCESSO A UN TRIBUNALE E LA TUTELA DEL DIRITTO A UNA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCEDIMENTO

A. I concetti di cui alla sentenza Golder

4. Come è ampiamente noto, l’articolo 6 della Convenzione non garantisce esplicitamente il diritto di accesso a un tribunale. L’enunciazione di tale diritto di promuovere un procedimento dinanzi ai tribunali in materia civile (e soltanto in materia civile) deriva dall’interpretazione dell’articolo 6 da parte della Corte: nella sentenza di principio Golder c. Regno Unito (21 febbraio 1975, § 28, Serie A n. 18), la Corte ha ritenuto:

“(...) l’articolo 6 paragrafo 1 non dichiara un diritto di accesso ai tribunali in termini espliciti [bensì piuttosto] diritti che sono distinti, pur derivando dalla medesima idea di base, e che, considerati congiuntamente, formano un unico diritto non definito specificamente nel senso più stretto del termine. È compito della Corte accertare, per mezzo dell’interpretazione, se l’accesso ai tribunali costituisca un fattore o un aspetto di tale [unico] diritto”.

5. Il ragionamento della sentenza Golder è complesso, comprende l’esame dei basilari principi di interpretazione dei trattati, e si estende dal paragrafo 29 al paragrafo 36 della sentenza.

6. Per quanto riguarda la presente causa, può essere sufficiente ricordare che nella sentenza Golder (§ 36) la Corte ha concluso:

“(...) L’articolo 6 paragrafo 1 garantisce a ogni persona il diritto di far esaminare da un tribunale qualsiasi controversia relativa ai suoi diritti e doveri di carattere civile. In tale modo l’articolo sancisce il “diritto a un tribunale”, di cui il diritto di accesso, ovvero il diritto di promuovere un procedimento dinanzi ai tribunali in materia civile, costituisce soltanto un aspetto. A ciò si aggiungono le garanzie previste dall’articolo 6, paragrafo 1, sia in ordine all’organizzazione e alla composizione del tribunale, che in ordine alla conduzione del procedimento. In sintesi, tutto l’insieme costituisce il diritto a un equo processo.”

Può essere importante sottolineare che la Corte ha lasciato indeterminata la questione di sapere

“se e in quale misura l’articolo 6, paragrafo 1, richied[esse] una decisione nel merito stesso della controversia.”

7. Il rapporto tra le diverse componenti dell’onnicomprensivo “diritto a un equo processo” (cui la Corte rinvia anche come a un generico “diritto a un tribunale”) è chiaramente illustrato nel paragrafo 35 della sentenza Golder: la Convenzione “tutela in primo luogo ciò che da solo rende effettivamente possibile beneficiare delle (…) garanzie, ovvero, l’accesso a un tribunale” 2 ; poi “accorda alle parti di un procedimento pendente” alcune “garanzie procedurali” che l’articolo “descrive dettagliatamente”. Ciò che è più importante è che “le caratteristiche di equità, pubblicità e rapidità del procedimento giudiziario”, vale a dire le dettagliate garanzie procedurali per tutte le parti di un procedimento pendente, enunciate esplicitamente nell’articolo 6, “non hanno alcun valore in assenza di un procedimento giudiziario” ovvero, se al ricorrente non è concesso il diritto di accesso.

8. Ritengo che la Corte dovrebbe tenere sempre presente tale brillante interpretazione che, a mio avviso, non si presta a equivoci, né, che io sappia, è mai stata riconsiderata dalla Corte. Inoltre, il diritto di accesso a un tribunale è divenuto ampiamente noto ed è oggetto di riflessione da parte dell’attività accademica, delle magistrature nazionali e delle agenzie per i diritti umani. Un fortunato manuale sull’accesso alla giustizia in Europa (la cui parte concernente l’accesso a un tribunale è molto importante) è stato elaborato in collaborazione dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali FRA) e dal Consiglio d’Europa unitamente alla Cancelleria della Corte 3 ; il programma HELP del Consiglio d’Europa offre con successo ai professionisti europei del diritto diversi corsi in materia di accesso alla giustizia, incentrati anch’essi sul diritto di accesso a un tribunale 4 . In sintesi, il diritto di accesso a un tribunale è un importante lascito della sentenza Golder.

9. Temo che nella causa Petrella la maggioranza abbia dimenticato i concetti elaborati nella sentenza Golder: sulla base di tale sentenza, nell’ambito del più ampio diritto a un equo processo (o “a un tribunale”), la Corte ha stabilito una chiara gerarchia di tutele. In primo luogo, la Corte deve verificare se l’elemento del “diritto di accesso a un tribunale” sia stato rispettato; “in assenza di un procedimento giudiziario” (il diritto di accesso è considerato sinonimo del diritto di far “esaminare” una pretesa “da un tribunale” o del diritto di “promuovere un procedimento dinanzi ai tribunali in materia civile”), non è necessario valutare il rispetto dell’elemento relativo alle “garanzie procedurali” che l’articolo “descrive dettagliatamente” (e che comprendono, tra gli altri aspetti, “le caratteristiche di (…) rapidità del procedimento giudiziario”). Qualora, al contrario, sia stato garantito l’accesso, la Corte deve successivamente verificare i dettagli procedurali, poiché le garanzie sono “concesse alle parti di un procedimento pendente” mentre “non hanno alcun valore in assenza di un procedimento giudiziario”.

10. Il diritto di accesso a un tribunale è applicabile soltanto alla determinazione di diritti e doveri di carattere civile della persona offesa (difatti, il diritto di far perseguire e condannare terzi per un reato non può essere esercitato autonomamente: esso deve essere indissociabile dall’esercizio, da parte della vittima, del diritto di instaurare un procedimento civile nella legislazione interna (si veda Perez c. Francia [GC], n. 47287/99, § 70, 12 febbraio 2004)); inoltre, i diritti che costituiscono le garanzie procedurali sono diversi nell’ambito del diritto civile e in quello del diritto penale; il diritto a un termine ragionevole si applica, tuttavia, sia ai procedimenti civili che a quelli penali.

B. Il conflitto tra la Commissione e la Corte nella causa Matos e Silva e la “base comune” delle loro posizioni

11. Successivamente al consolidamento della giurisprudenza di cui alla sentenza Golder (avvenuto, significativamente, mediante la causa Ashingdane c. Regno Unito, 28 maggio 1985, §§ 57 et seq., Serie A n. 93, nella quale non è stata riscontrata alcuna violazione del diritto di accesso), è trascorso un decennio prima che la Corte fosse chiamata a pronunciarsi sullo specifico argomento in esame nella presente causa: può la Corte riscontrare contemporaneamente il diniego di accesso a un tribunale e l’eccessiva durata di un procedimento? La questione è trattata mediante approcci differenti, i quali tuttavia, come tenterò di dimostrare, hanno una base comune: esattamente come le lingue europee offrono una notevole serie di proverbi che sottolineano l’impossibilità che le azioni umani conseguano simultaneamente risultati incompatibili 5 , la risposta della Corte, pressoché senza eccezioni (la sentenza Petrella, qualora diventi definitiva, potrebbe essere una delle tre), è che le violazioni dovute al diniego di accesso a un tribunale non possono coesistere con le violazioni dovute all’eccessiva durata del procedimento.

12. Nella causa Matos e Silva, Lda., e altri c. Portogallo (16 settembre 1996, Reports 1996 IV) la Commissione ha esaminato doglianze motivate simultaneamente dall’ “assenza di un effettivo accesso a un tribunale” e dalla “durata del procedimento” (§ 68 del Parere della Commissione, Rapporto del 21 febbraio 1995); ed era stata formulata anche una doglianza ai sensi dell’articolo 13. Il procedimento era rimasto sospeso per anni dinanzi al Tribunale amministrativo supremo portoghese, poiché era stato chiesto al Governo il fascicolo amministrativo, ma esso non era stato trasmesso.

13. La Commissione ha concluso che “un intralcio fattuale [poteva] violare la Convenzione esattamente quanto un impedimento sul piano del diritto”, e l’ostacolo in questione costituiva un “grave intralcio all’effettivo esercizio (…) del diritto delle ricorrenti di accesso a un tribunale” (§§ 80-83 del Parere). Avendo riscontrato la violazione del diritto di accesso (“alla luce della (…) conclusione esposta nel paragrafo 83 supra (…)”), la Commissione ha ritenuto che non [fosse] necessario esaminare anche la doglianza delle ricorrenti relativa alla durata del procedimento in questione” e ha concluso che “non [sorgeva] alcuna questione distinta (…) in relazione alla durata del procedimento” (§§ 88-89 del Parere).

14. Quando la causa è pervenuta alla Camera, la Corte ha adottato una posizione differente, tornando in qualche modo ai concetti di cui alla sentenza Golder (si veda supra nella presente opinione, § II.A): non era stato violato il diritto di accesso a un tribunale, bensì il diritto alla ragionevole durata del procedimento:

“64. A giudizio della Corte non sorge alcuna questione di ostacolo all’accesso a un tribunale, qualora un ricorrente, rappresentato da un avvocato, instauri liberamente un procedimento in tribunale, presenti a esso le sue osservazioni e, se lo ritiene opportuno, ne impugni le decisioni. Come ha giustamente sottolineato il Governo, Matos e Silva hanno esperito le vie di ricorso disponibili ai sensi del diritto portoghese. Il fatto che il procedimento si protragga da lungo tempo non concerne l’accesso a un tribunale. Le difficoltà incontrate riguardano pertanto la conduzione del procedimento, non l’accesso.

In breve, non vi è stata violazione dell’articolo 13 o, sotto tale profilo, dell’articolo 6 paragrafo 1, e i requisiti del primo sono inoltre meno rigorosi di quelli del secondo e sono qui assorbiti da essi.”

15. Come ho già detto, ciò che è a mio avviso più importante è la base comune sia degli approcci della Commissione che di quelli della Corte: non sono possibili simultanee violazioni dovute a entrambi i motivi, l’accesso e la durata. Per ripetere la formulazione della Corte nella sentenza Matos e Silva: “Il fatto che il procedimento si protragga da lungo tempo non concerne l’accesso a un tribunale. Le difficoltà incontrate (…) riguardano pertanto la conduzione del procedimento, non l’accesso.” Naturalmente, la Commissione aveva adottato la posizione opposta, ma quello che è cruciale è il fatto che per entrambi gli organi non era possibile la coesistenza delle violazioni.

16. Ai fini della presente opinione (ovvero per illustrare il fatto che nella causa Petrella la maggioranza sia stata inaspettatamente infedele alla consolidata giurisprudenza della Corte, e abbia seguito precedenti anomali), non occorre che io esprima una posizione netta sull’opposizione della Corte alla Commissione nella causa Matos e Silva, sebbene ritenga che la posizione della Corte sia, in astratto, preferibile. Posso tuttavia ammettere che, in particolari circostanze, possa avvenire che i procedimenti siano ostacolati in modo talmente grave che il loro svolgimento risulti soltanto teorico e illusorio. Potrei pertanto ammettere che, in rari casi, l’approccio della Commissione possa essere appropriato. Pur adottando tale punto di vista elastico, a mio avviso, si dovrebbe rispettare l’incompatibilità concettuale – menzionata nella sentenza Golder – che non consente di riscontrare simultanee violazioni dovute a entrambi i motivi, l’accesso e la durata. L’inosservanza di tale incompatibilità rischia, come tenterò di dimostrare, di generare confusione e compromettere la tutela dei diritti umani.

C. La sentenza Anagnostopoulos segue la Commissione, ma non contraddice la base comune delle sentenze Golder/Matos e Silva

17. La base comune che stabilisce la summenzionata incompatibilità concettuale è stata effettivamente rispettata nell’elaborazione della giurisprudenza della Corte, anche quando, alcuni anni dopo, l’approccio della Commissione è stato riproposto in una sentenza concernente la Grecia su cui si basa fortemente – a mio avviso erroneamente – il parere della maggioranza: nella causa Anagnostopoulos c. Grecia (n. 54589/00, 3 aprile 2003), una domanda di risarcimento dei danni nell’ambito di un procedimento penale non era giunta alla fase della determinazione, poiché la tardiva citazione dell’imputato a comparire da parte del giudice istruttore aveva comportato la prescrizione del reato. In tale contesto, la Corte aveva ritenuto che il ritardo avesse privato il ricorrente del diritto di accesso a un tribunale. È importante rilevare che la Corte ha tenuto debitamente conto di una specifica caratteristica del Paese (cui rinvierò più volte, si vedano, per esempio, i paragrafi 46, 52, 61, e 109 della presente opinione), ovvero del fatto che i tribunali penali ellenici erano obbligati a pronunciarsi in ordine al risarcimento, entro il limitato importo previsto dalla legge, come richiesto dal ricorrente, e non potevano, in caso di condanna, rimettere l’azione civile ai tribunali civili (si vedano i paragrafi 19, 27 e 31-32 della sentenza Anagnostopoulos).

18. Nella causa Petrella la maggioranza invoca la sentenza Anagnostopoulos in una delle sue argomentazioni (si veda il paragrafo 51 della sentenza Petrella, che si trova nella parte B.2 concernente l’accesso a un tribunale, successiva alla parte B.1 nella quale è riscontrata una violazione a causa della durata del procedimento). Mi sembra che tale argomentazione sia sviluppata come se la sentenza Anagnostopoulos costituisse un precedente in cui erano riscontrate simultanee violazioni dovute a entrambi i motivi – l’accesso e la durata. Ma le cose non stanno così, in quanto la sentenza Anagnostopoulos si limita a ribadire l’approccio della Commissione nella causa Matos e Silva, riscontrando la violazione del diritto di accesso a un tribunale derivante da un grave ostacolo fattuale, considerato nel contesto dello specifico obbligo nel Paese per i tribunali penali di pronunciarsi in ordine a simboliche domande civili in caso di condanna. Nella sentenza Anagnostopoulos non vi sono tracce di eventuali simultanee violazioni in ordine all’accesso e alla durata. In tal senso, la sentenza Anagnostopoulos, pur presentando un approccio differente, non contraddice la sentenza Golder, spiegata sopra, o la posizione comune nella causa Matos e Silva: qualora non vi sia violazione del diritto di accesso, può esservi violazione del diritto a una ragionevole durata, mentre non è possibile che, qualora vi sia violazione del diritto di accesso, possa esservi anche violazione del diritto a una ragionevole durata: plus includit minus.

19. Dovrebbe essere ricordato anche che i giudici Lorenzen e Vajić hanno allegato alla sentenza Anagnostopoulos un’opinione dissenziente. Hanno dichiarato la loro preferenza per l’approccio della Corte (e non per quello della Commissione) nella sentenza Matos e Silva e – fatto di grande rilevanza per il mio esame della causa Petrella – hanno invocato per la prima volta un eventuale intervento della Grande Camera, in caso di sconfessione della causa Matos e Silva (invocazione che, mutatis mutandis, si applica anche nella causa Petrella, si veda la mia conclusione nella parte VII infra):

“Il fatto che la prescrizione del procedimento penale sia derivata da una protratta istruttoria giudiziaria comprendente un periodo di inerzia di oltre quattro anni non può condurre a nessuna altra conclusione. (…) La Corte ha costantemente ribadito nella sua giurisprudenza che anche notevoli periodi di inerzia nei procedimenti giudiziari non possono essere equiparati all’assenza di un effettivo accesso a un tribunale. Nella sentenza Matos e Silva, Lda., e altri c. Portogallo, 16 settembre 1996, la Corte – esprimendosi contro il parere della Commissione - ha dichiarato categoricamente: ‘(…) Il fatto che il procedimento si protragga da lungo tempo non concerne l’accesso a un tribunale. Le difficoltà incontrate (…) riguardano pertanto la conduzione del procedimento, non l’accesso’ (§ 64). Sulla base di tale conclusione, altre cause simili al caso di specie sono state esaminate in relazione a un problema di durata dei procedimenti e non a una questione di accesso a un tribunale (si veda la recentissima sentenza relativa alla causa Textile Traders Limited c. Portogallo, 27 febbraio 2003). Tale giurisprudenza può naturalmente essere modificata ma, a nostro avviso, tale modifica sarebbe di competenza della Grande Camera 6”.

20. Inoltre, i giudici dissenzienti hanno accettato – e nuovamente, ciò è utile al fine della presente opinione – una base comune con la maggioranza sul fatto che le violazioni delle tutele previste dalla Convenzione del diritto di accesso a un tribunale e a una ragionevole durata del procedimento sono conclusioni alternative.

D. Due precedenti anomali che si oppongono sia alla sentenza Matos e Silva che alla sentenza Anagnostopoulos (e un ulteriore precedente connesso a essi)

21. I concetti elaborati nella causa Matos e Silva sono stati costantemente ribaditi dalla Corte fino a questo momento; ma occasionalmente, specialmente in alcune cause riguardanti la Grecia, è stato adottato l’approccio di cui alla sentenza Anagnostopoulos.

22. Si possono trovare esempi di simultanee constatazioni di violazioni del diritto di accesso e della ragionevole durata del procedimento soltanto in due cause concernenti la Bulgaria, strettamente connesse tra di loro sia per il periodo in cui sono state pronunciate che per la similitudine della motivazione. Nella mia analisi che segue, a tali precedenti non è stato attribuito alcun valore di precedente per quanto riguarda l’aspetto in esame; sono fondamentalmente rimasti e devono rimanere sub salice e sub silentio, specialmente da quando la Grande Camera – come menzionerò – ha trattato la questione.

23. Sebbene vi fossero chiare indicazioni, che dimostrerò, del fatto che tali precedenti avrebbero dovuto essere considerati per incuriam, sfortunatamente nella causa Petrella (paragrafo 46) la maggioranza li ha riscoperti. Mi sento pertanto obbligato a commentarli velocemente entrambi, unitamente a una terza causa connessa a essi indirettamente, al fine di sottolineare la loro anomalia.

1. La sentenza Atanasova

24. Nella sentenza Atanasova c. Bulgaria (n. 72001/01, §§ 35-47, 2 ottobre 2008), la Corte traccia una distinzione rispetto alla causa Matos e Silva e a un’altra causa sulla sua scia. Nel constatare la violazione del diritto di accesso, la sentenza Atanasova segue la sentenza Anagnostopoulos, citandola e citando anche la sentenza Gousis c. Grecia (n. 8863/03, §§ 34-35, 29 marzo 2007), quest’ultima, nella misura in cui è pertinente in questo caso, è una riproduzione della prima (entrambe cause elleniche, che ovviamente non riguardano simultanee violazioni).

25. Tuttavia, proseguendo l’esame delle doglianze, e senza citare eventuali precedenti, anche la sentenza Atanasova perviene a riscontrare la violazione del diritto alla ragionevole durata del procedimento (§ 57).

26. Quindi la sentenza Atanasova, che mal si concilia con il precedente, ha dato inizio a una linea giurisprudenziale viziata, sebbene formata da un numero molto limitato di cause (due cause: la stessa Atanasova e la causa Tonchev, citata infra), che, a mio parere, dovrebbe essere relegata tra quelle prive di un reale valore di precedente. La sentenza Petrella ripropone invece tale linea.

2. La sentenza Dinchev

27. La sentenza Dinchev c. Bulgaria (n. 23057/03, 16 dicembre 2008) è stata decisa quando la sentenza Atanasova non era ancora definitiva; comprensibilmente, la sentenza Dinchev non menziona la sentenza Atanasova. Tuttavia, parte del ragionamento della sentenza Dinchev (§§ 37-52) dipende fortemente dal testo della sentenza Atanasova, di cui è spesso la traduzione letterale. Ciò che manca, rispetto alla sentenza Atanasova, è la simultanea constatazione di violazione per l’eccessiva durata del procedimento.

28. Pertanto la sentenza Dinchev è pienamente coerente con la sentenza Anagnostopoulos e, come quest’ultima, non può essere ascritta - nonostante la sfortunata conclusione del contrario della maggioranza nella sentenza Petrella (paragrafo 51, in cui è citata la sentenza Dinchev) - alla linea giurisprudenziale inaugurata dalla sentenza Atanasova, (tuttavia la sentenza Dinchev non è citata nella sentenza Petrella, § 46).

29. Menziono la sentenza Dinchev in relazione alla sentenza Atanasova perché è, a mio avviso, necessario sottolineare la sua natura ambivalente: essa riproduce in parte la sentenza Atanasova, senza tuttavia seguirla realmente.

3. La sentenza Tonchev

30. Pochi mesi dopo, essendo diventata nel frattempo definitiva la sentenza Atanasova, nella causa Tonchev c. Bulgaria (n. 18527/02, §§ 49 e 53, 19 novembre 2009) la Corte ha riscontrato per la seconda volta due simultanee violazioni.

31. La sentenza Tonchev (§ 51) cita le sentenze Anagnostopoulos, Atanasova e Dinchev in modo indifferenziato per corroborare la constatazione di violazione del diritto di accesso a un tribunale (tuttavia, soltanto la sentenza Atanasova, costituisce, a mio avviso, un precedente appropriato, qualora sia già stata constatata una violazione per l’irragionevole durata del procedimento (§ 49)).

32. A tale riguardo, è importante osservare il singolare ordine di esame delle doglianze nella causa Tonchev: in primo luogo quella relativa alla durata del procedimento e in secondo luogo quella relativa all’accesso a un tribunale. Sembra che tale ordine abbia ispirato la maggioranza nella causa Petrella. Un ordine ispirato dalla logica (e dalla sentenza Golder: in primo luogo l’accesso a un tribunale, poi, e soltanto qualora non sia stata riscontrata una violazione del diritto di accesso, la durata del procedimento), sarebbe stato, a mio avviso, preferibile.

33. Pertanto la sentenza Tonchev è il secondo (e l’ultimo, prima della sentenza Petrella) esempio anomalo nella giurisprudenza della Corte in cui sono state riscontrate le due violazioni.

E. La maggioranza ha scelto l’anomalia: una scelta che non può essere condivisa

34. Nella sentenza Petrella sembra che la maggioranza ritenga sicuro basarsi soltanto sulle sentenze Atanasova e Tonchev (si veda il paragrafo 46 della sentenza Petrella) per affermare – come se si trattasse di una giurisprudenza consolidata – che l’accesso a un tribunale è una questione distinta dalla durata del procedimento; pertanto, a suo avviso, sono possibili simultanee constatazioni di violazione.

35. Come ho tentato di dimostrare, l’interpretazione della maggioranza nella sentenza Petrella in ordine alla possibilità di una duplice violazione basata sul mero fondamento delle sentenze Atanasova e Tonchev è, in realtà, costruita sulle sabbie mobili. Si tratta di un approccio basato su un’anomalia che non posso condividere.

36. Potrei aggiungere altre osservazioni, basate sulla sentenza della Grande Camera relativa alla causa Nicolae Virgiliu Tănase c. Romania (n. 41720/13 [GC], 25 giugno 2019): tale sentenza, a mio avviso, sconfessa le sentenze Atanasova e Tonchev. Poiché commenterò tale aspetto quando tratterò l’altro passo del ragionamento della sentenza Petrella con il quale non posso concordare (in ordine al modo in cui la maggioranza riformula il criterio delle “due vie”, che sarà trattato infra nella parte III della presente opinione), mi permetto a questo punto di soffermarmi soltanto su ciò che segue.

III. IL CRITERIO DELLE “DUE VIE”

A. Il criterio delle “due vie” nella sua formulazione tradizionale, specificamente per l’accesso a un tribunale (ex ante)

37. Quello che descriverò in questo punto come il criterio delle “due vie” costituisce un importante strumento per trattare il concetto di accesso a un tribunale elaborato dalla giurisprudenza della Corte. Tale concetto è comune ad altri ambiti della giurisprudenza della Corte concernenti l’equità del procedimento, su cui non occorre soffermarsi (ma si veda, per esempio, la parte III.G. infra).

38. A mio avviso tale criterio, nella sua formulazione di base, esige che, qualora sussistano due vie procedurali entrambe esperibili ed effettive, la Corte, nel determinare se sussista una questione ai sensi dell’articolo 6, deve tenere conto di tutti procedimenti esperibili dal ricorrente. In ordine al diritto di accesso, il criterio presenta un’evidente specificità ed è pertanto necessario un approccio diverso rispetto allo stesso criterio applicato a questioni di equità: la Corte non deve valutare se i provvedimenti adottati nel corso del procedimento scelto abbiano complessivamente indebolito la posizione del ricorrente, anche in ordine al distinto procedimento che non è stato prescelto (ciò è necessario per questioni concernenti l’equità – valutazione ex post); deve soltanto valutare se, quando è stata prescelta una certa linea di azione, l’altra fosse accessibile ed effettiva (valutazione ex ante).

39. Nel paragrafo 49 della sentenza, la maggioranza della Camera nella causa Petrella rinvia alla tradizionale formula del criterio, quando affronta la questione dell’accesso a un tribunale in presenza di una via di ricorso civile, in aggiunta al deposito di una domanda di costituzione di parte civile in un procedimento penale.

Essa infatti sottolinea:
“(... ) in cause in cui veniva eccepita l’assenza di un esame sul merito di costituzioni di parte civile (…) [la Corte] ha attribuito importanza all’accessibilità e all’effettività delle altre vie giudiziarie aperte agli interessati per far valere le loro pretese, soprattutto delle azioni disponibili dinanzi alle giurisdizioni civili (…); [e] nei casi in cui ha considerato che i ricorrenti disponessero effettivamente di tali ricorsi, la Corte ha concluso che non vi era stata violazione del diritto di accesso a un tribunale (…)”.

B. Le eccezioni ex post al criterio delle “due vie” introdotte dalla maggioranza

40. Tuttavia, nei seguenti paragrafi 50 e 51 della sentenza la maggioranza ha inaspettatamente elaborato il criterio delle “due vie”. Non posso concordare con tale elaborazione poiché, come tenterò di dimostrare, essa introduce, a mio avviso, concetti estranei alla formulazione del criterio delle “due vie” quale emerge nell’ambito del diritto di accesso a un tribunale, dalla consolidata giurisprudenza della Corte, che è stata confermata dalla Grande Camera. Inoltre, in maniera analoga a quello che sono stato obbligato a rilevare in ordine alla questione delle simultanee violazioni, l’approccio della maggioranza è basato su un’analisi della giurisprudenza sulla quale mi rammarico di dover sollevare dubbi.

41. Passando ora ai dettagli dell’approccio della maggioranza, essa ha interpretato la giurisprudenza esistente come se essa significhi che il “criterio delle due vie” si possa applicare soltanto (paragrafo 50):

“nel caso in cui il procedimento penale non era stato condotto o era stato chiuso in quanto: non era stato accertato alcun reato (...), o il procedimento penale si era concluso in applicazione di un patteggiamento (…) o di un privilegio di giurisdizione (…) o per il decesso dell’imputato (…). Lo stesso è avvenuto per le cause nelle quali il ricorrente aveva già adito, parallelamente, il giudice civile e ottenuto un esame sul merito prima della chiusura dell’azione penale (...)”.

42. Secondo la maggioranza, il “criterio delle due vie” non si applica (paragrafo 51)

“quando la chiusura del procedimento penale e il mancato esame dell’azione civile erano dovuti a circostanze attribuibili principalmente alle autorità giudiziarie, soprattutto a ritardi procedurali eccessivi che hanno comportato la prescrizione del reato (Anagnostopoulos c. Grecia, n. 54589/00, §§ 31-32, 3 aprile 2003; Tonchev, sopra citata, §§ 50-53; Gousis c. Grecia, n. 8863/03, §§ 34-35, 29 marzo 2007; Atanasova, sopra citata, §§ 35-47; Dinchev c. Bulgaria, n. 23057/03, §§ 40-52, 22 gennaio 2009; Boris Stojanovski c.“Ex Repubblica jugoslava di Macedonia”, n. 41916/04, §§ 56-57, 6 maggio 2010; Rokas c. Grecia, n. 55081/09, §§ 22-24, 22 settembre 2015; e Korkolis c. Grecia, n. 63300/09, §§ 21-25, 15 gennaio 2015; si vedano, a contrario 7 , Lacerda Gouveia e altri, sopra citata, § 77; Dimitras c. Grecia, n. 11946/11, § 47, 19 aprile 2018; e Nicolae Virgiliu Tănase, sopra citata, §§ 196-202 e 207-214, nella quale la Corte ha constatato l’assenza di responsabilità delle autorità nello svolgimento del procedimento penale, concludendo perciò che non vi era stata violazione dell’articolo 6 sotto il profilo del diritto di accesso a un tribunale e della durata del procedimento).”

43. In sintesi, sembra che la maggioranza dimostri l’intenzione di “esportare” nel criterio delle “due vie”, elaborato dalla Corte al fine di valutare la disponibilità ex ante di una alternativa via di accesso a un tribunale, alcuni criteri di valutazione ex post che possono essere adatti all’ambito dell’equità procedurale (in cui è necessario un approccio globale) ma che, a mio avviso, non sono applicabili all’accesso. Come appare evidente dal linguaggio di cui sopra, sembra anche che la maggioranza ricavi la sua elaborazione, che è in effetti originale e ha qualche base nella medesima giurisprudenza anomala che ho già menzionato nella parte II, da un’abbondante giurisprudenza.

C. Esiste realmente una giurisprudenza che corrobora l’approccio della maggioranza (diversa dalla sentenza Atanasova e dagli altri tre precedenti che ne “discendono”)?

44. Poiché, con mio grande rammarico, non posso concordare con la lettura della giurisprudenza della Corte su tale aspetto, fornita dalla maggioranza, che ritengo con tutto il rispetto errata, dovrò dedicarmi a un’analisi delle citazioni del paragrafo 51 della sentenza Petrella (che è stato riprodotto nel paragrafo 42 della presente opinione, in una traduzione in lingua inglese). Sebbene il testo del paragrafo 51 della sentenza Petrella (esattamente come il precedente paragrafo 50) non sia realmente chiaro (per esempio esso rinvia, in generale, alla constatazione di violazioni dell’articolo 6 nelle cause citate, senza fornire alcuna indicazione in ordine al tipo di violazione), la posizione dei paragrafi 50 e 51 collocati dopo il paragrafo 49 (si vedano in merito i paragrafi 71-87 della presente opinione), nonché le conseguenze tratte nel paragrafo 52 e seguenti, dimostrano il fatto che la maggioranza ritiene che la giurisprudenza citata nel paragrafo 51 confermi il parere che il criterio delle “due vie”, nella sua tradizionale formulazione ex ante, non sia applicabile “quando la chiusura del procedimento penale e il mancato esame dell’azione civile erano dovuti a circostanze attribuibili principalmente alle autorità giudiziarie, soprattutto a ritardi procedurali eccessivi che hanno comportato la prescrizione del reato” (valutazione ex post).

45. Secondo la mia lettura, al contrario, gli asseriti precedenti elencati nel paragrafo 51 della sentenza Petrella non corroborano in generale tale approccio della maggioranza. Alcune delle cause elencate sono analoghe alla causa Anagnostopoulos nella quale, come ho indicato sopra, la Corte ha ritenuto, in contrasto in qualche modo con la linea giurisprudenziale basata sulla causa Matos e Silva, che a causa della durata del procedimento fosse stata compromessa l’essenza stessa del diritto di accesso a un tribunale (senza mai, con la sola eccezione delle cause Atanasova e Tonchev, riscontrare al contempo la simultanea violazione del diritto a una ragionevole durata del procedimento). Nelle cause citate nel paragrafo 51, non è mai discusso il criterio delle “due vie”, né è esclusa la sua applicabilità a causa di presunte “circostanze attribuibili principalmente alle autorità giudiziarie, soprattutto (…) ritardi procedurali eccessivi che hanno comportato la prescrizione del reato (paragrafo 51 del ragionamento della maggioranza). Detto ciò in generale, è necessario un esame più attento di ciascuna citazione.

1. La sentenza Anagnostopoulos

46. Tale precedente (che ho già commentato nella parte II.C supra) contiene (nel § 30) un rinvio indiretto all’esistenza di una parallela via di risarcimento dinanzi al tribunale civile. Tuttavia, il motivo per il quale la Corte si concentra soltanto sulla costituzione di parte civile nel procedimento penale nella sentenza Anagnostopoulos è spiegato bene nei paragrafi 31-32 della stessa, ovvero dipende dal fatto che il diritto ellenico consentiva una via di ricorso diretta dinanzi al tribunale penale per le pretese civili di modesta entità o simboliche (per un importo massimo pari a GRD 15.000, equivalente a EUR 44), i tribunali penali, in caso di condanna, sono obbligati a determinarle e non è loro consentito, come invece sarebbe stato in un diverso caso, di rimetterle ai tribunali civili (si vedano i paragrafi 17, 52, 61, e 109 della presente opinione).

47. In tale specifica causa, pertanto, si poteva trascurare la necessità di verificare l’esistenza di una via parallela dinanzi ai tribunali civili, poiché una parte civile nutriva la legittima aspettativa che la sua pretesa sarebbe stata determinata, favorevolmente o meno, e risulta del tutto ovvio che conseguentemente nella sentenza non sia fornita alcuna discussione del criterio delle “due vie”. La via prescelta doveva essere interpretata come una via civile, benché esperita dinanzi a un tribunale penale, mentre il criterio delle “due vie” si applica soltanto quando sono presentate ai tribunali penali domande di costituzione di parte civile, che tali tribunali non sono obbligati a determinare, potendole rimetterle ai tribunali civili (Anagnostopoulos, § 32):

“(...) il ricorrente ha presentato una richiesta di risarcimento pari a GRD 15.000, che costituisce un importo che i tribunali penali esaminano in tutti i casi, senza essere obbligati a rimettere la questione ai tribunali civili. Il ricorrente nutriva pertanto la legittima aspettativa che i tribunali si sarebbero pronunciati, favorevolmente o meno, su tale richiesta”.

2. Le sentenze Gousis, Rokas e Korkolis

48. La sentenza Gousis, come indicato precedentemente, si basa sulla sentenza Anagnostopoulos, che essa cita nel paragrafo 34, sebbene non vi sia alcuna espressa menzione del fatto che anche in questa causa i tribunali penali fossero obbligati a pronunciarsi su una pretesa civile di modesta entità. Lo stesso può dirsi per le sentenze Rokas (§ 23) e Korkolis (§ 22).

49. Comunque sia, il ragionamento di queste tre cause elleniche non fornisce alcun sostegno alla eccezionale formulazione del criterio delle “due vie” suggerita nella sentenza Petrella.

3. La sentenza Atanasova

50. Per contro, l’approccio della maggioranza appare molto vicino ai paragrafi 44-46 della sentenza Atanasova, che può pertanto essere considerata, a mio avviso, un precedente rilevante (benché, come ho già detto e come argomenterò meglio nel prosieguo, molto debole).

51. Nella sentenza Atanasova (sulla quale ho già in parte fornito qualche commento nella parte II.D) la Corte ha ritenuto che, benché fosse esperibile una via civile, nondimeno il fatto di esigere che la ricorrente iniziasse una nuova causa civile dieci anni dopo i fatti, e otto anni dopo l’inizio del procedimento penale, avrebbe costituito un onere eccessivo:

“44. Tuttavia, la Corte, in diverse cause, ha riscontrato la violazione dell’articolo 6 quando la chiusura del procedimento penale e il mancato esame dell’azione civile erano dovuti a circostanze attribuibili alle autorità giudiziarie, soprattutto a ritardi procedurali eccessivi che hanno comportato la prescrizione dell’azione penale (si vedano Anagnostopoulos c. Grecia, n 54589/00, §§ 31-32, 3 aprile 2003, e Gousis c. Grecia, n 8863/03, § § 34-35, marzo 29, 2007).

45. Secondo la Corte, il caso di specie deve essere distinto dalle cause Matos e Silva, Lda., e altri e Buonfardieci (entrambe sopra citate) nelle quali le azioni delle ricorrenti erano ancora pendenti dinanzi al tribunale interno e il principio del loro esame da parte dei tribunali non era in questione. Al contrario nel caso di specie non è stato possibile esaminare l’azione civile della ricorrente a causa dell’archiviazione del procedimento penale dovuta all’intervenuta prescrizione dell’azione penale. Tuttavia, la ricorrente ha utilizzato la possibilità offerta dal diritto interno di costituirsi parte civile nel procedimento penale e di chiedere un risarcimento del danno causato dall’incidente di cui era stata vittima. La ricorrente nutriva pertanto la legittima aspettativa che i tribunali si sarebbero pronunciati, favorevolmente o meno, su tale richiesta di risarcimento. È stato soltanto il ritardo con cui le autorità competenti per l’azione penale hanno trattato la causa che ha condotto in definitiva alla prescrizione dell’azione penale, con la conseguente impossibilità per la ricorrente di ottenere una pronuncia sulla sua richiesta di risarcimento nel procedimento penale.

46. La Corte ritiene pertanto che il caso di specie sollevi una questione distinta in ordine al diritto di accesso a un tribunale. In linea con la sua conclusione nella sentenza Anagnostopoulos, la Corte ritiene che quando l’ordinamento giudiziario interno offre ai ricorrenti un rimedio, quale la presentazione di una denuncia unitamente alla domanda di costituzione di parte civile, lo Stato abbia l’obbligo di garantire che essi godano delle fondamentali garanzie previste dall’articolo 6. Non si può esigere che la ricorrente, in circostanze quali quelle del caso di specie, attenda che la responsabilità penale dell’autore del reato di cui è stata vittima si prescriva per colpa delle autorità giudiziarie, prima di proporre - otto anni dopo essersi costituita parte civile e oltre dieci anni dopo i fatti - una nuova azione dinanzi ai tribunali civili per chiedere il risarcimento del danno subito (si veda Anagnostopoulos, sopra citata, § 32). La Corte osserva in particolare che proporre una simile azione comporterebbe la necessità di raccogliere nuovamente le prove, onere che da quel momento in poi ricadrebbe sulla ricorrente, e che accertare l’eventuale responsabilità del conducente dopo così tanto tempo potrebbe risultare estremamente difficile.”

52. Vedremo che anche questa parte finale del paragrafo 46 della sentenza Atanasova ha ispirato (a mio avviso impropriamente) la sentenza Petrella. Avendo quindi riconosciuto che la sentenza Atanasova offre una base all’approccio della maggioranza nella causa Petrella, anche se – senza fornire una motivazione specifica –la stessa sentenza Atanasova esporta la causa Anagnostopoulos al di fuori dei suoi confini (caratterizzati, come ho tentato di mostrare, dal peculiare sistema ellenico che obbliga i tribunali penali a esaminare le pretese civili di modesta entità, che non possono essere rimesse ai tribunali civili – si vedano i paragrafi 17, 46, 52, 61 e 109 della presente opinione), è necessario esaminare se la sentenza Atanasova abbia avuto successo nella successiva giurisprudenza. Tale analisi sarà utile anche al fine di esplorare il successo della sentenza Atanasova in ordine alla constatazione di simultanee violazioni (si veda il paragrafo 36 della presente opinione).

4. Le sentenze Tonchev, Dinchev e Boris Stojanovski

53. La sentenza Tonchev, che cita anche la sentenza Dinchev (lo stretto rapporto di entrambe con la sentenza Atanasova è già stato un argomento delle mie osservazioni, si veda la parte II.D), dimostra che esse costituiscono il secondo e il terzo precedente, che riproducono l’approccio della sentenza Atanasova per derogare al criterio tradizionale delle “due vie”. Quindi, per esempio, nella sentenza Tonchev abbiamo il seguente testo:

“51. A tale proposito la Corte osserva che nelle recenti cause Atanasova e Dinchev essa ha dovuto trattare situazioni sostanzialmente identiche a quelle del caso di specie. In tali due cause le domande di costituzione di parte civile dei ricorrenti presentate nel contesto di procedimenti penali non erano state esaminate a causa dell’archiviazione di tali procedimenti penali a seguito dello spirare dei pertinenti termini di prescrizione. In entrambe le cause la Corte ha concluso, rinviando alla causa Anagnostopoulos c. Grecia (n. 54589/00, 3 aprile 2003), che i ricorrenti non avevano goduto di un effettivo accesso a un tribunale e che ciò non poteva essere sanato dalla possibilità di proporre nuove azioni dinanzi ai tribunali civili (si veda Atanasova c. Bulgaria, n. 72001/01, 2 ottobre 2008, e Dinchev, sopra citata).”

54. La sentenza Atanasova è pertanto citata e invocata da tali due sentenze e anche, successivamente, dalla sentenza Boris Stojanovski (§ 56).

D. Tănase c. Atanasova: toni simili, significati opposti, esattamente come “discendente” e “dissenziente”

55. Pertanto, secondo l’analisi che ho svolto fino a questo punto dei precedenti sui quali il ragionamento della maggioranza al paragrafo 51 costruisce la sua concezione innovativa del criterio delle “due vie”, soltanto la sentenza Atanasova e i tre precedenti che ne “discendono” sono rilevanti, ciò non avviene, come ho detto, per le cause elleniche, che hanno la propria differente logica, che non contrasta con il criterio delle “due vie” nella sua forma tradizionale.

56. Tuttavia il paragrafo 51, in fine, della sentenza Petrella contiene altro: acer in fundo. Esso presenta altri tre rinvii alla giurisprudenza, singolarmente preceduti dalla locuzione a contrario. I rinvii a contrario sono stati ampiamente analizzati dagli studiosi: specialmente quando riguardano la giurisprudenza, richiedono una particolare cautela, poiché i giudici devono inquadrare il ragionamento di altri giudici in ordine alle loro intenzioni inespresse, assumendo che l’esplicita affermazione di una norma o di un principio in determinate circostanze (tenuto conto del testo, del contesto, dell’oggetto e del fine della precedente sentenza) escluda l’applicazione di tale norma o di tale principio in altre circostanze.

57. I rinvii a contrario contenuti nel paragrafo 51 della sentenza Petrella concernono tre precedenti, uno di essi molto recente e deciso dalla Grande Camera, Nicolae Virgiliu Tănase c. Romania [GC], n. 41720/13, 25 giugno 2019. Poiché siamo nell’ambito dell’articolo 43 § 2 della Convenzione, tale citazione a contrario non è priva di peculiarità. A questo punto della mia opinione dovrò discutere il testo, il contesto, e alcuni altri aspetti di tale sentenza della Grande Camera nella misura in cui essa riguarda il criterio delle “due vie”: premetto che ritengo che tale precedente della Grande Camera non sia suscettibile di interpretazione a contrario come affermato nella sentenza Petrella, poiché esso sconfessa chiaramente, benché implicitamente, la sentenza Atanasova e gli altri tre summenzionati precedenti che ne “discendono”. Inoltre menzionerò brevemente gli altri due rinvii a contrario. Ciò mi condurrà a una conclusione molto simile a quella che ho espresso in ordine alla questione delle simultanee violazioni: anche in ordine al criterio delle “due vie” non si può ritenere che la sentenza Atanasova (e la giurisprudenza che ne “discende”) abbia oggi un valore di precedente. La sentenza Tănase “dissente” e non “discende” dalla sentenza Atanasova.

58. Nella sentenza Tănase la Grande Camera, a mio avviso, tenta chiaramente di offrire una riformulazione della sua giurisprudenza in ordine al criterio delle “due vie”, tra diverse altre questioni che devono essere trattate in questa importante sentenza (l’aspetto principale riguarda l’applicabilità dell’aspetto procedurale dell’articolo 3 ai maltrattamenti non inflitti dallo Stato, qualora non siano inflitti intenzionalmente). Anche sulla base di approfondite ricerche, come rivela il materiale pertinente, la Grande Camera è stata chiamata a esaminare non soltanto le implicazioni del criterio delle “due vie” nella sua forma pura nel campo dell’accesso a un tribunale, bensì anche la rilevanza di altri eventuali criteri riguardanti le domande di costituzione di parte civile che non sono state esaminate nel merito.

59. In particolare, la Corte disponeva, molto chiaramente, del criterio di cui alla sentenza Atanasova. Poiché ai sensi del criterio di cui alla sentenza Atanasova, qualora le domande di costituzione di parte civile presentate dai ricorrenti nell’ambito del procedimento penale non fossero state esaminate a causa dell’archiviazione di tale procedimento penale a seguito dello spirare dei relativi termini di prescrizione attribuibile alla condotta delle autorità, la Corte poteva concludere che i ricorrenti non avevano beneficiato di un effettivo accesso a un tribunale, anche se la possibilità di adire i tribunali civili sussisteva all’epoca della costituzione di parte civile nel procedimento penale, ed essa sussisteva anche al momento dell’archiviazione, la Grande Camera doveva determinare se, qualora sia applicabile il tradizionale criterio delle “due vie”, dovesse essere utilizzata in primo luogo la valutazione della diligenza di cui alla sentenza Atanasova. Il dilemma è chiaro. Secondo la sentenza Atanasova, il criterio dovrebbe concernere:

  1. la diligenza delle autorità nella trattazione del procedimento penale e le loro omissioni/negligenza; successivamente, soltanto in assenza di tali omissioni/negligenza,
  2. la disponibilità di altre vie mediante le quali la vittima poteva chiedere un risarcimento.

Secondo il tradizionale “criterio delle due vie”, sarebbe rilevante soltanto la valutazione (ii).

60. Detto ciò quanto al contesto, il testo della sentenza rivela che la questione delle due vie fosse stata chiaramente sollevata dalle parti: nella sua posizione il ricorrente rinvia alla sentenza Atanasova, sostenendo che “il fatto che le autorità fossero responsabili del mancato esame della sua domanda civile, aveva costituito violazione del suo diritto di accesso alla giustizia”; il Governo effettua invece un chiaro rinvio al puro criterio delle “due vie” (si vedano le osservazioni formulate dalle parti nella causa Tănase §§ 190-91).

61. Se la domanda era se la “responsabilità” del mancato esame della domanda fosse riconducibile alle autorità, non posso che ritenere che si rinvii implicitamente, ma chiaramente, alla sentenza Atanasova. Quale è la risposta della Grande Camera?

62. La Grande Camera, da parte sua (§ 196), ha dinanzi a sé il fatto che:

“le (... ) autorità hanno archiviato il procedimento penale sia nei confronti di J.C.P. che di D.I. in quanto, rispettivamente, non erano soddisfatti tutti gli elementi del reato ed era intervenuta la prescrizione della responsabilità penale. Conseguentemente, la domanda civile formulata nell’ambito del procedimento penale non era stata esaminata da alcun tribunale penale.”

Ma, non a caso, a mio avviso, la Grande Camera – quale premessa all’adozione del criterio delle “due vie” nella sua struttura tradizionale – non esamina affatto se vi siano state “responsabilità” da parte delle autorità (specialmente in ordine alla durata del procedimento che ha condotto alla prescrizione, che ha causato l’archiviazione del procedimento penale nei confronti di D.I.); piuttosto, si limita a riesaminare la legittimità e la non arbitrarietà dell’archiviazione ai sensi della legislazione nazionale, specialmente in ordine a un eventuale “obbligo” di esaminare la domanda civile anche successivamente all’archiviazione (e quindi si può rilevare un chiaro rinvio, mutatis mutandis, allo schema di cui alla sentenza Anagnostopoulos):

“197. Nessuna delle parti ha sostenuto o presentato prove che indichino che quando si è concluso il procedimento nei confronti di J.C.P. e di D.I., i giudici penali avevano l’obbligo di esaminare la domanda civile del ricorrente nonostante la loro decisione di archiviare il procedimento. Inoltre, date le prove disponibili, la Corte ritiene che la decisione delle autorità nazionali di archiviare il procedimento penale avviato nei confronti di J.C.P. e D.I. non fosse arbitraria o manifestamente irragionevole, per i motivi menzionati sopra (si veda il paragrafo 196).”

A questo punto del ragionamento, la Grande Camera riformula e approva il classico criterio delle “due vie”. Si tratta per me di un elemento della massima importanza nella valutazione del rapporto (di incompatibilità) tra la sentenza Tănase e la sentenza Atanasova. Sono cruciali anche le citazioni contenute in questo passo (e le citazioni omesse sub silentio):

“198. In tale contesto, si può rilevare che nelle cause in cui la domanda di costituzione di parte civile formulata nel contesto del procedimento penale non sia stata esaminata a causa dell’archiviazione di tale procedimento, la Corte ha tenuto conto della disponibilità di altri canali mediante i quali i ricorrenti avrebbero potuto far valere i loro diritti di carattere civile. In cause in cui i ricorrenti disponevano di vie di ricorso accessibili ed effettive per le loro domande di carattere civile, essa ha ritenuto che il loro diritto di accesso a un tribunale non fosse stato violato (si vedano Assenov e altri, sopra citata, § 112; Ernst e altri c. Belgio, n. 33400/96, §§ 54 55, 15 luglio 2003; Moldovan e altri c. Romania (n. 2), nn. 41138/98 e 64320/01, §§ 119-22, CEDU 2005 VII (estratti); Forum Maritime S.A. c. Romania, nn. 63610/00 e 38692/05, § 91, 4 ottobre 2007; Borobar e altri c. Romania, n. 5663/04, § 56, 29 gennaio 2013; e Association of the Victims of S.C. Rompetrol S.A. e S.C. Geomin S.A. [System] e altri c. Romania, n. 24133/03, § 65, 25 giugno2013).”

63. Un’immediata osservazione può riguardare il fatto che – se la Grande Camera avesse voluto approvare le nozioni di cui alla sentenza Atanasova – a questo punto del ragionamento sarebbe stato sviluppato il passo (i) del pertinente criterio di cui al paragrafo 59 supra (vale a dire la valutazione della diligenza delle autorità nel trattare il procedimento penale e le loro omissioni/negligenza). Ma – non a caso, a mio avviso – la Grande Camera elabora una differente analisi, ispirata chiaramente al classico “criterio delle due vie”, andando direttamente al passo (ii).

64. Nella causa Petrella la maggioranza (paragrafo 51), probabilmente al fine di trattare tale aspetto, e anche per giustificare il suo rinvio alla sentenza Tănase in quanto coerente con la sentenza Atanasova (benché la sentenza Tănase non citi la sentenza Atanasova! – in ordine a ciò, si veda infra) in un rapporto a contrario tra le due, giustappone la citazione dei paragrafi 196-202 della sentenza Tănase a quella dei suoi paragrafi 207-14 e sostiene che la Grande Camera

“ha ritenuto che le autorità non fossero responsabili della conduzione del procedimento penale, e ha pertanto concluso che l’articolo 6 non fosse stato violato in ordine al diritto di accesso a un tribunale e alla durata del procedimento”.

In altre parole, se comprendo correttamente, il rilievo formulato dalla maggioranza nella sentenza Petrella di leggere la sentenza Tănase come una conferma a contrario della sentenza Atanasova è il seguente: poiché non si poteva constatare alcuna responsabilità da parte delle autorità (presumo, nel campo del requisito del termine ragionevole, cui rinvia la citazione dei paragrafi §§ 207-14), non vi era alcuna necessità che la Grande Camera trattasse esplicitamente il passo (i) citato sopra nel paragrafo 59 della presente opinione.

65. Si tratta, a mio avviso, con tutto il dovuto rispetto per la maggioranza, di un uso scorretto dell’argomento a contrario: ho menzionato precedentemente la necessità di cautela nell’esercizio a contrario dell’esame del testo, del contesto, e di tutte le altre circostanze al fine di trarre da una affermazione che è accettata un’affermazione contraria; gli errori sono sempre in agguato in tali casi. A mio avviso, la questione è la seguente: è ragionevole affermare che, benché non siano state riscontrate violazioni nella conduzione del procedimento in uno specifico caso, la Grande Camera avrebbe applicato il passo (i) del criterio, se fossero state riscontrate violazioni (in ordine alla durata del procedimento)? Questa è la domanda da porsi, a mio avviso, poiché l’argomento a contrario deve essere basato essenzialmente sul buonsenso; altrimenti, sostenendo l’idea che la sentenza Tănase “discenda” dalla sentenza Atanasova, si corre il rischio cui si sono esposti gli etimologi a contrario a favore del lucus a non lucendo. A mio avviso, il buonsenso sostiene piuttosto la considerazione secondo la quale la sentenza Tănase “dissente” dalla sentenza Atanasova. Toni simili, significati opposti. Ciò può essere affermato anche dei titoli di tali cause in ordine al loro contenuto.

66. Un aspetto a mio avviso molto pertinente è l’ordine nel quale sono state esaminate le domande nella sentenza Tănase. Mentre – come ho accennato – la causa Tonchev (che migliora il ragionamento di cui alla sentenza Atanasova, che segue l’ordine opposto) ha logicamente esaminato la durata del procedimento (in ordine al quale sono riscontrate le omissioni/negligenza delle autorità) prima di arrivare a pronunciarsi sull’aspetto dell’accesso a un tribunale, nella sentenza Tănase la Grande Camera tratta la questione dell’accesso prima di affrontare un’eventuale violazione concernente la durata del procedimento. Si tratta di un forte indizio del fatto che, diversamente da quanto indica la maggioranza nella sentenza Petrella, la logica seguita era quella del classico criterio delle “due vie”. Naturalmente, ammetto che l’ordine dell’esame delle questioni non è determinante: le parole possono essere invertite, senza che la logica sia sovvertita. Tuttavia in tal caso un elementare principio di chiarezza avrebbe richiesto che la Grande Camera, secondo una prassi consolidata, includesse almeno delle parole – nel trattare la questione delle “due vie” – nel senso che la pertinente conclusione era connessa alla successiva conclusione di assenza di responsabilità da parte delle autorità (e dipendeva da essa). Posso anche riconoscere che tali parole potessero essere sostituite da qualche implicito modo di rinviare al rilievo che costituisce la base: ma allora, non dovremmo trovare almeno un rinvio? Non sono riuscito a trovare alcun elemento testuale a sostegno della lettura della sentenza Petrella da parte della Grande Camera. Date le circostanze, i requisiti minimi dell’analisi testuale per costruire un argomento a contrario non sembrano soddisfatti: nella sentenza Tănase la valutazione della durata è effettuata successivamente, e pertanto anche indipendentemente, rispetto alla valutazione concernente la violazione del diritto di accesso a un tribunale.

67. Un altro aspetto dell’analisi testuale concerne le citazioni. L’attività della Corte si basa sui precedenti; notevoli risorse sono investite per rendere la giurisprudenza della Corte accessibile e chiara; l’analisi giurisprudenziale è fornita al pubblico dalla Corte stessa.

68. In tale contesto, benché gli argomenti basati sulla sentenza Atanasova fossero certamente presenti nel materiale presentato alla Grande Camera e – come ho dimostrato (si veda il paragrafo 60 della presente opinione) – essi compaiono nelle osservazioni formulate dalle parti cui rinvia la sentenza Tănase, quale può essere ragionevolmente il significato del fatto che la sentenza Atanasova non sia mai stata citata dalla Grande Camera? È ragionevole credere che una citazione sia stata omessa senza che ciò implichi una certa disapprovazione? Un mero effetto di disattenzione? Da parte di una Grande Camera? Ritengo piuttosto che un lettore ragionevole trarrebbe la conclusione che la sentenza Tănase abbia sconfessato la sentenza Atanasova, relegando tale linea giurisprudenziale sub silentio.

69. Per inciso, può essere opportuno menzionare che la sentenza Tonchev è stata citata nella sentenza Tănase (§ 128) ma (...) per un aspetto che non ha nulla a che fare con l’argomento che sto discutendo adesso. Sempre per inciso, la sentenza Anagnostopoulosnon è mai stata citata esplicitamente nella sentenza Tănase, benché io abbia dimostrato che se ne sia tenuto conto (si veda il paragrafo 62 della presente opinione).

A. La sentenza Tănase è basata saldamente sui propri precedenti: un confronto delle citazioni

70. La deliberata omissione delle citazioni – finalizzata a superare la precedente giurisprudenza considerata per incuriam – specialmente in una sentenza della Grande Camera è – come ho tentato di spiegare finora – un eloquente elemento (silens loquitur) per l’interpretazione della giurisprudenza. Sono tuttavia ancora più eloquenti le citazioni incluse positivamente nella sentenza, in quanto appartengono sia al testo che al contesto. La posizione asseritamente a contrario della sentenza Tănase in ordine alla sentenza Atanasova dovrebbe essere esaminata alla luce dei risultati di tale analisi supplementare; ho pertanto la necessità di dedicare alcune riflessioni ai precedenti sui quali è basata la sentenza Tănase, in quanto la discussione mi permetterà anche di sottolineare, con rammarico, che nella sentenza Petrella la maggioranza ha trascurato un simile esercizio (o, almeno, non è visibile alcuna traccia, benché le citazioni siano comuni) e ha quindi perso l’opportunità di inquadrare correttamente Tănase a sostegno del tradizionale criterio delle “due vie”.

71. Limiterò il mio compito a un’analisi dei precedenti citati sia nella sentenza Tănase (nel § 198, che deve essere stato esaminato attentamente dalla maggioranza, in quanto tale paragrafo appartiene a quelli citati nel paragrafo 51 della sentenza Petrella) che allo stesso tempo nella sentenza Petrella (benché alquanto tendente a fini differenti). Naturalmente, dovrebbe risultare chiaro che la sentenza Petrella contenga alcune citazioni aggiuntive sulle quali, data la loro minore importanza riguardo alla sentenza Tănase, non mi soffermerò.

72. Un’osservazione è ovvia e ripetitiva, sulla base di quanto è già stato rilevato: la sentenza Tănase basa il classico criterio delle “due vie” su precedenti che – con un’eccezione irrilevante – non comprendono cause simili alla causa Atanasova, né cause simili alla causa Anagnostopoulos. La domanda è perché tali due tipi di precedenti sono, al contrario, elencati nella sentenza Petrella (paragrafo 51), senza che sia fornita alcuna spiegazione della loro omissione dalla sentenza Tănase, diversa da quella della riformulazione del criterio di cui alla sentenza Atanasova e sia menzionata la sentenza Tănase quale precedente a contrario, piuttosto che un precedente che contraddice l’opinione della maggioranza.

1. Assenza di responsabilità da parte delle autorità

73. L’analisi di cui sopra può iniziare con un gruppo di cause, citate nella sentenza Tănase, che la maggioranza tenta di presentare nella sentenza Petrella come cause in cui non era attribuibile alcuna responsabilità alle autorità (la citazione compare nel paragrafo 50 della sentenza Petrella, in cui non è menzionata la sentenza Tănase). Dovrebbe essere effettuato un esame più attento.

(a) Assenov e altri, Moldovan e altri (n. 2) e Forum Maritime S.A.

74. Un sottogruppo all’interno dei precedenti di cui sopra (Assenov e altri, Moldovan e altri (n. 2), e Forum Maritime S.A.), secondo la maggioranza nella causa Petrella (paragrafo 50 della sentenza), comprende presumibilmente casi in cui l’assenza di responsabilità da parte delle autorità era dovuta all’insussistenza del reato.

75. Tale osservazione della maggioranza solleva gravi dubbi sulla sua pertinenza. Quale rapporto esiste tra la categoria dell’assenza di responsabilità da parte delle autorità e la constatazione da parte delle medesime autorità che non sussisteva alcun reato? Quale rilevanza avrebbe ciò se è in gioco una questione concernente il termine ragionevole o, ancora meno, se la Corte riscontra che non è stata svolta un’indagine effettiva riguardo al reato? Mentre tali domande rimangono senza una risposta, una mera lettura di tali precedenti dimostra piuttosto che sussistevano responsabilità (e sono state riscontrate violazioni) e che tuttavia il classico criterio delle “due vie” è ritenuto applicabile. Pertanto, tali precedenti mi sembrano giustamente citati nella sentenza Tănase per corroborare, come ho tentato di dimostrare, una posizione che è opposta a quella di cui alla sentenza Petrella.

76. In particolare, nella sentenza Assenov sono state riscontrate diverse violazioni, che hanno quindi dimostrato negligenza/omissioni da parte delle autorità (tra le altre, violazioni dell’articolo 3 a causa del mancato svolgimento di un’effettiva indagine ufficiale in ordine ad accuse di maltrattamento, e dell’articolo 5 § 3 della Convenzione in quanto il ricorrente non era stato processato entro un termine ragionevole o messo in libertà durante la procedura). La Corte ritiene anche (Assenov, § 112) che “poiché [il ricorrente] non ha tentato di esperire un’azione civile (...) non si possa affermare che gli sia stato negato l’accesso a un tribunale (...)”. Mentre è comprensibile che la sentenza Tănase invochi tale precedente, non riesco francamente a comprendere come possa essere utilizzato per corroborare l’approccio della maggioranza nella sentenza Petrella (inoltre, i passi della sentenza Assenov citati nella sentenza Petrella non sono i passi cruciali che ho richiamato sopra, bensì rinviano – come ho menzionato – a conclusioni interne sull’insussistenza del reato).

77. Allo stesso modo, nella causa Moldovan (n. 2) sono riscontrate violazioni degli articoli 8, 3, e 14, nonché dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa della durata dei procedimenti, mentre non è riscontrata alcuna violazione dell’articolo 6 § 1 a causa del diniego di accesso a un tribunale. Ancora una volta, la negligenza o le omissioni potrebbero essere attribuite alle autorità e la Corte conclude (Moldovan (n. 2), § 121) che, poiché i ricorrenti avevano esperito con successo azioni civili nei confronti di alcune persone, essi “non potevano rivendicare un ulteriore diritto a un’azione civile separata” nei confronti di altri. Mentre ciò rappresenta un’applicazione piuttosto specifica del “criterio delle due vie”, in generale la formulazione del criterio corrobora pienamente la sentenza Tănase e certamente non l’approccio della maggioranza nella causa Petrella (che rinvia nuovamente all’assenza di reato e cita passi che mi sembrano irrilevanti).

78. Nella causa Forum Maritime S.A. (§§ 91-94), ancora una volta, la pretesa concernente l’assenza di accesso a un tribunale è rigettata in quanto manifestamente infondata sulla base del tradizionale criterio delle due vie, mentre sono riscontrate violazioni dell’articolo 6 § 1 sia a causa della violazione del diritto a un tribunale indipendente e imparziale nel procedimento penale in cui era stata presentata un’istanza di costituzione di parte civile, che in ragione delle restrizioni del diritto di accesso al fascicolo del pubblico ministero. Inoltre, vi è la constatazione di violazione dell’articolo 6 § 1 in ragione della durata del procedimento di carattere commerciale. Ancora una volta, la maggioranza della causa Petrella invoca una citazione irrilevante di questa sentenza, che corrobora pienamente la sentenza Tănase.

(b) Ernst e altri

79. La sentenza Ernst e altri si trova, secondo la maggioranza nella causa Petrella (si veda il paragrafo 50 della sentenza), in un sottogruppo a sé stante: in tale caso la maggioranza vede una giustificazione dell’applicazione del classico “criterio delle due vie” nel fatto che le autorità non avevano alcuna responsabilità dell’archiviazione, a causa di un’immunità dalla giurisdizione ordinaria. Secondo la mia lettura, tale sentenza dimostra al contrario che – in un contesto molto particolare – l’immunità dalla giurisdizione, di cui godeva soltanto uno degli avversari del ricorrente, non era che un aspetto dei fatti, mentre erano constatate violazioni degli articoli 8 e 10 (e non dell’articolo 6 in ordine all’accesso a un tribunale). Il passo pertinente della sentenza (Ernst, §§ 54-55) dimostra, a mio avviso, che era stato ritenuto applicabile un criterio “a due vie” piuttosto tradizionale (come sarebbe apparso successivamente nella sentenza Tănase) (con qualche adeguamento alla peculiarità del caso, e – fatto ancora più importante – senza considerare alcuna assenza di responsabilità da parte delle autorità).

“(...) la Corte attribuisce importanza al fatto che, nella legislazione belga, il deposito dinanzi al giudice istruttore di una domanda di costituzione di parte civile non è che uno dei metodi di introduzione di un’azione di carattere civile e che in linea di massima le vittime dispongono di altre vie mediante le quali esercitare i loro diritti di carattere civile (...) [cosicché,] (...) nella misura in cui la loro doglianza era diretta nei confronti di persone diverse dai giudici o dai pubblici ministeri, esse avrebbero potuto adire il tribunale civile con un’azione nei confronti di tali persone (...) [e anche nei confronti di un giudice o di un pubblico ministero] (...) in casi eccezionali. (...) Benché i ricorrenti non abbiano tentato un’azione civile nei confronti di privati, essi hanno invece, contemporaneamente alla loro costituzione di parte civile nel procedimento penale, instaurato (...) un’azione risarcitoria nei confronti dello Stato belga dinanzi al Tribunale civile sulla base dei medesimi fatti (...) I fatti dimostrano che l’inammissibilità della domanda di costituzione di parte civile formulata dai ricorrenti e l’archiviazione della loro denuncia (...) non hanno comportato che fossero privati di un’azione risarcitoria.”

2. Parallela azione civile

80. Nella causa Petrella la maggioranza ha ritenuto anche che l’applicazione del classico criterio delle “due vie” fosse giustificata, e che non potesse essere riscontrata alcuna violazione del diritto di accesso a un tribunale, se “il ricorrente aveva già adito, parallelamente, il giudice civile e ottenuto un esame sul merito prima della chiusura dell’azione penale” (paragrafo 50 della sentenza Petrella, in fine). I precedenti citati comprendono un precedente sul quale non mi soffermerò (poiché la sentenza Tănase non lo invoca), e un altro precedente che è invece citato nella sentenza Tănase. Stranamente, tuttavia, il secondo precedente è citato nella sentenza Petrella con l’indicazione mutatis mutandis. Mi riferisco alla sentenza Borobar e altri.

81. La sentenza Borobar è molto interessante, benché non mi sia chiaro perché dovrebbe essere associata, sebbene mutatis mutandis, al differente caso in cui “il ricorrente aveva già adito, parallelamente, il giudice civile e ottenuto un esame sul merito prima della chiusura dell’azione penale”.

82. La sentenza Borobar ha molto di più: è pertanto un peccato, a mio avviso, che nella causa Petrella la maggioranza abbia perso l’opportunità di discutere tale causa dettagliatamente, anche se soltanto per distinguerla; essa ha invece deciso di relegarla dietro un mutatis mutandis.

83. La Corte ha trattato il caso di tre ricorrenti, una delle quali si era avvalsa di un ricorso dinanzi a un tribunale civile prima di costituirsi parte civile nel procedimento penale; le altre due ricorrenti si erano soltanto costituite parti civili nel procedimento penale, senza esperire precedenti azioni di carattere civile. La Corte ha pertanto proseguito l’analisi della doglianza concernente il diritto di accesso a un tribunale soltanto in relazione alla prima ricorrente (Borobar, §§ 59-62), in quanto:

“in considerazione del carattere sussidiario del meccanismo della Convenzione, la Corte ha ritenuto che la seconda e la terza ricorrente avrebbero dovuto esperire una nuova azione separata dinanzi ai tribunali civili e che non spettasse alla Corte di fare congetture sull’esito di tale azione. (...)”

84. Quindi nella sentenza Borobar la Corte (a mio avviso coerentemente con quanto sarebbe stato successivamente sostenuto nella sentenza Tănase) ha affermato l’esistenza dell’obbligo di esperire il ricorso civile successivamente all’archiviazione del procedimento penale, prima che un ricorrente possa formulare una doglianza ai sensi della Convenzione concernente il diritto di accesso a un tribunale.

85. Le parole utilizzate chiariscono che tale obbligo, che deve essere rispettato se deve essere verificata l’assenza di accesso a un tribunale, sussiste indipendentemente dal fatto che possa essere riscontrata una violazione dell’articolo 6 § 1 a causa dell’eccessiva durata del procedimento penale che ha condotto all’archiviazione (otto anni).

86. Si può facilmente considerare che, dal punto di vista rilevante per la sentenza Petrella, la posizione della prima ricorrente (sulla quale sembra che si concentri la maggioranza) non è realmente essenziale; è importante rilevare anche che la sua precedente azione dinanzi al tribunale civile (che era stata presentata un anno prima della domanda di costituzione di parte civile nel tribunale penale, ed era stata definitivamente rigettata quattro anni dopo, mentre il procedimento penale era ancora pendente – Borobar, § 59) era stata considerata dalla Corte “un ricorso effettivo in ordine alle domande di carattere civile formulate dalla ricorrente” (Borobar, § 72), cosicché non era stata riscontrata alcuna violazione del diritto di accesso a un tribunale.

87. Conseguentemente, a mio avviso, riflettere sulla sentenza Borobar aiuta a comprendere perché la sentenza Tănase rinvii chiaramente ai ricorsi esistenti all’epoca in cui è presentata la domanda di costituzione di parte civile nel procedimento penale (ex ante), senza considerare pertinente la situazione esistente all’epoca dell’archiviazione del procedimento penale (ex post) per valutare la disponibilità e l’effettività dell’accesso a un tribunale in situazioni in cui vi sono due vie. Ho già menzionato tale aspetto e vi tornerò in seguito (si vedano, per esempio, i paragrafi 38, 91 e 97 e segg. della presente opinione).

1. Un precedente sub silentio: l’Associazione delle Vittime

88. Ho già accennato che non analizzerò i precedenti cui rinvia la sentenza Petrella, in quanto non sono rilevanti per l’esercizio che propongo. Vi è, al contrario, un precedente invocato nella sentenza Tănase, che nella causa Petrella è stato ignorato dalla maggioranza. Mi riferisco al ricorso Association of the Victims of the S.C. Rompetrol S.A. and S.C. Geomin S.A. System e altri c. Romania.

89. Nel ricorso Associazione delle Vittime la Corte ha riscontrato la violazione per l’eccessiva durata del procedimento penale nel quale l’associazione ricorrente si era costituita parte civile (§§ 74-80). Pertanto, sussisteva sicuramente qualche responsabilità da parte delle autorità, in un modo molto simile alla causa Petrella. Non era applicabile alcun criterio che la maggioranza aveva tentato di elaborare nella causa Petrella per dispensare la Corte da una parallela constatazione di violazione del diritto di accesso a un tribunale. Tuttavia la domanda relativa all’accesso a un tribunale è stata trattata prima e indipendentemente da quella concernente la durata del procedimento; e non è stata riscontrata alcuna violazione.

90. Ancora una volta, analogamente a quanto sarebbe pertinente nella sentenza Petrella, è stata l’inerzia del pubblico ministero che ha condotto alla prescrizione del procedimento (si veda Associazione delle vittime, § 64, in cui la Corte ha osservato anche che nel diritto romeno, quando il tribunale è investito di una domanda di costituzione di parte civile, esso può decidere di esaminare l’azione civile a prescindere dall’archiviazione dell’imputazione penale, citando a contrario le sentenze Atanasova e Anagnostopoulos – si vedano, per esempio, i paragrafi 17, 46, 52, 61 e 109 della presente opinione).

91. In tale contesto, la sentenza relativa al ricorso Associazione delle Vittime (§§ 65-67) è molto chiara nel fornire un’ulteriore base in ordine alla quale considerare che la disponibilità di due vie è qualcosa che deve essere valutato al momento della presentazione della domanda (ex ante), in modo che la pertinente valutazione sia in linea di principio indipendente dal successivo comportamento delle autorità, che può diventare rilevante soltanto per altri aspetti connessi alla conduzione del procedimento:

“65. La Corte rileva anche che in altri casi in cui era in questione il mancato esame di una domanda di costituzione di parte civile a causa dell’inammissibilità o dell’estinzione del procedimento penale nel contesto del quale era stata presentata, essa ha tenuto conto dell’esistenza di altre vie disponibili per i ricorrenti per esercitare le loro azioni. Nei casi in cui i ricorrenti disponevano di ricorsi accessibili ed effettivi, essa ha concluso che non vi era stata violazione del diritto di accesso a un tribunale (si vedano Ernst e altri c. Belgio, n. 33400/96, §§ 53-55, 15 luglio 2003, e Forum Maritime SA c. Romania, nn. 63610/00 e 38692/05, §§ 91-93, 4 ottobre 2007).

66. Nel caso di specie, il pertinente diritto interno consentiva al ricorrente di presentare una domanda di risarcimento ai tribunali civili fin dal momento in cui erano avvenuti i fatti, non essendo la condanna penale una condizione sine qua non per una domanda civile di risarcimento. Invero, egli poteva scegliere se instaurare un’azione civile dinanzi ai tribunali civili o costituirsi parte civile nel quadro della sua denuncia. Tuttavia, il ricorrente non ha instaurato alcuna azione dinanzi ai tribunali civili. Ha scelto di sua spontanea volontà, quando l’azione civile separata era già prescritta (si veda il paragrafo 41 supra), di costituirsi parte civile nel contesto della sua denuncia, via probabilmente più semplice e meno costosa, ma correndo quindi il rischio che le autorità adite potessero non essere in grado di esaminare la sua azione civile.

67. Date le circostanze del caso, la Corte ritiene che il mancato esame dell’azione civile del ricorrente nel contesto della sua denuncia non abbia compromesso la sostanza stessa del suo diritto di accesso a un tribunale. Segue che tale doglianza è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 , lettera a) e 4 della Convenzione.”

92. Quindi, la sentenza Associazione delle Vittime – invocata dalla sentenza Tănase – dimostra, coerentemente con tutti gli altri risultati dell’analisi delle citazioni di cui sopra, la logica della determinazione della Grande Camera in ordine al criterio delle “due vie” – logica che non è stata percepita dalla maggioranza nella sentenza Petrella. Riguardo all’omissione del rinvio alla sentenza Associazione delle Vittime, nonostante il fatto che una pertinente sentenza della Grande Camera l’abbia invocata proprio in ordine all’argomento in questione, non posso fare congetture per riscontrare in ciò una possibile applicazione della settima proposizione di Wittgenstein. Quello che è sicuro è che la sentenza Associazione delle Vittime avrebbe offerto spunti di riflessione per trattare la causa Petrella differentemente, così come aveva ispirato la sentenza Tănase.

93. Per concludere il mio esercizio di analisi comparativa delle citazioni, ritengo che il fatto che la sentenza Tănase citi le sentenze Associazione delle Vittime, Borobar e una serie di altri precedenti pertinenti che erano stati percepiti differentemente dalla maggioranza nella causa Petrella (mentre la sentenza Associazione delle Vittime non è stata neanche citata) costituisca un importante elemento del testo e del contesto della sentenza della Grande Camera, che avrebbe dovuto condurre la stessa maggioranza a decidere diversamente. Stranamente, inoltre, i precedenti sui quali la sentenza Tănase è – a mio avviso – solidamente basata sono citati dalla maggioranza nella sentenza Petrella nei paragrafi (49 e 50), che sono stati separati dal paragrafo (51) dedicato a riesumare l’approccio della sentenza Atanasova (e nel 51, come ho già detto, la sentenza Tănase è citata a contrario). A mio avviso, il modo in cui la maggioranza ha scelto di rinviare a Tănase a contrario, piuttosto che riconoscerlo come un precedente che sconfessa la sentenza Atanasova, crea ancora più confusione se si considera che nella causa Petrella la maggioranza (sempre nel paragrafo 51) combina all’interno del rinvio a contrario due ulteriori citazioni di cause – Lacerda Gouveia e Dimitras – in cui la Corte, in contesti molto specifici, non aveva riscontrato violazioni del diritto di accesso a un tribunale e non aveva esaminato esplicitamente il criterio delle “due vie”. Mi rammarico di dover constatare che tale modo di citare i precedenti della Corte, oltre a privare di importanza i precedenti sui quali era basata una sentenza della Grande Camera, ha a sua volta privato la maggioranza nella causa Petrella della possibilità di commentare se i precedenti confermati dalla Grande Camera fossero coerenti con l’approccio scelto a favore dei concetti di cui alla sentenza Atanasova. A mio modesto avviso, non lo erano.

B. Riformulazione nella sentenza Tănase del tradizionale criterio delle “due vie” ex ante

94. Mi sembra allora corretto affermare che la sentenza Tănase abbia sconfessato la sentenza Atanasova e i non numerosi precedenti che discendono da quest’ultima, relegandoli sub silentio. Ho tentato di fornire indicazioni testuali e contestuali, nonché qualche considerazione aggiuntiva sulle circostanze. Le principali questioni sono state, tuttavia, (i) la chiara incompatibilità testuale del criterio delle “due vie” adottato nella sentenza Tănase con gli argomenti simili alla sentenza Atanasova presenti in tale causa (in particolare, il fatto che il criterio delle “due vie” fosse stato applicato nella sua formula tradizionale, e l’ordine di esame delle questioni contrario all’ordine delle sentenze Tonchev-Petrella); (ii) l’assenza di citazioni di sentenze simili alla sentenza Atanasova; (iii) la presenza di citazioni contrastanti con la sentenza Atanasova; (iv) i contesti di tali ultimi precedenti chiaramente ispirati al classico criterio delle “due vie”. La constatazione – con tutto il dovuto rispetto – di errori nella differente lettura dei precedenti da parte della maggioranza nella causa Petrella ha rafforzato le mie considerazioni.

95. Mi rimane da sottolineare un’ulteriore indicazione che corrobora l’idea di cui sopra, parallelamente all’incompatibilità testuale dei principi. Mi riferisco all’incompatibilità concettuale con la sentenza Atanasova del classico criterio delle “due vie” riformulato dalla Grande Camera nella sentenza Tănase. Il concetto che desidero sottolineare è che nella sentenza Tănase (§199) la Grande Camera rinvia esplicitamente alla necessità di considerare l’esistenza di un ricorso civile alternativo non al momento dell’archiviazione del ricorso penale, bensì al momento (spesso molto prima, se il procedimento si protrae nel tempo) in cui il ricorrente decide di utilizzare la via penale:

“197. Nessuna delle parti ha sostenuto o presentato prove che indichino che quando si è concluso il procedimento nei confronti di J.C.P. e di D.I., i giudici penali avevano l’obbligo di esaminare la domanda civile del ricorrente nonostante la loro decisione di archiviare il procedimento. Inoltre, date le prove disponibili, la Corte ritiene che la decisione delle autorità nazionali di archiviare il procedimento penale avviato nei confronti di J.C.P. e D.I. non fosse arbitraria o manifestamente irragionevole, per i motivi menzionati sopra (…)”

199. Nel caso di specie, all’epoca in cui il ricorrente si è costituito parte civile nel procedimento penale, egli avrebbe potuto invece instaurare un’azione civile separata nei confronti di J.C.P. e D.I. Mentre le prove disponibili e le spiegazioni del Governo indicano che tale procedimento avrebbe potuto essere sospeso, in attesa dell’esito del procedimento penale, la Corte rileva che non era stata fornita dalle parti alcuna prova che suggerisse che il ricorrente non avrebbe potuto ottenere una determinazione del merito delle sue domande di carattere civile alla conclusione del procedimento penale.”

96. Pertanto, il classico criterio delle “due vie” ex ante è riformulato dalla Grande Camera (§ 197), comprendendo: (i) la verifica della sussistenza dell’obbligo per i tribunali penali di risolvere la domanda civile o l’eventuale possibilità di rinvio ai tribunali civili (l’eccezione di cui alla sentenza Anagnostopoulos – si vedano, per esempio, §§ 17, 46, 52, 61 e 109 della presente opinione – è qui evidente, così come l’invocazione del § 64 del ricorso Associazione delle Vittime, dimenticato nella sentenza Petrella); (ii) il riesame della mera legittimità e della non arbitrarietà dell’archiviazione penale (senza alcuna ingerenza nella questione della durata, che comporta una valutazione ex post ed è esaminata separatamente).

97. Ritengo che la riformulazione della regola classica nella sentenza Tănase, mediante il rinvio alla disponibilità (e all’effettività) di una via alternativa all’inizio della domanda (ex ante), e non alla fine della sua trattazione da parte delle autorità penali (ex post), dimostri una chiara incompatibilità concettuale con l’approccio di cui alla sentenza Atanasova. L’irrilevanza della durata del procedimento – che è una questione distinta, come ho detto, a decorrere dal momento in cui è stata decisa la causa Matos e Silva – è confermata dal fatto che ai sensi della riformulazione di cui alla sentenza Tănase (§ 199) anche un’eventuale sospensione del procedimento civile, mentre pende il procedimento penale, non è un problema che incide sull’accesso, ma forse sulla durata.

98. Per completare il quadro risultante dalla sentenza Tănase, si dovrebbe aggiungere che la Grande Camera – pur adottando un approccio ex ante al fine di valutare la disponibilità di una via civile – chiarisce l’esistenza di un supplementare passo del criterio, che deve essere evidentemente applicato se l’approccio ex ante rivela che non esisteva alcuna via civile alternativa all’inizio della domanda di costituzione di parte civile.
Nella sentenza Tănase tale passo è menzionato come un criterio obiter, ad abundantiam, in quanto nella causa in questione l’approccio ex ante era sufficiente:

“200. Inoltre, se l’archiviazione del procedimento penale nei confronti di J.C.P. e di D.I. non impediva al ricorrente di adire il tribunale civile con una separata azione civile nei loro confronti, quando era stato informato delle sentenze definitive dei tribunali penali che confermavano la decisione della Procura di archiviare il procedimento penale. Inoltre, come ha spiegato il Governo (si vedano i paragrafi 95-96 supra), il ricorrente avrebbe potuto sostenere che il termine di prescrizione per instaurare una separata azione civile non decorreva mentre pendeva il procedimento penale nell’ambito del quale erano state formulate domande di carattere civile. Pertanto, tale azione non era necessariamente destinata all’insuccesso.”

99. Quindi, se non esiste alcuna alternativa via civile ex ante, l’accesso a un tribunale non è comunque impedito se, benché il procedimento civile possa essere stato sospeso nel corso del procedimento penale, la Corte non è convinta del fatto che l’instaurazione di un’azione civile successivamente alla sospensione avrebbe comportato “necessariamente” un insuccesso nella determinazione definitiva dei tribunali civili. A questo punto si trova, a mio avviso, un ulteriore argomento, per dichiarare la totale incompatibilità concettuale con l’approccio di cui alle sentenze Atanasova-Petrella. Le questioni concernenti la negligenza/le omissioni devono essere trattate – secondo il classico schema Matos e Silva – come vizi procedurali e/o irragionevole durata dei procedimenti ai sensi dell’articolo 6; soltanto in tale ambito un approccio ex post riacquista il suo significato.

A. Il seguito della sentenza Tănase

100. Non è forse privo di significato – ed è a mio avviso molto significativo – che le modalità con cui la Corte ha seguito la sentenza Tănase abbiano confermato l’approccio della Grande Camera in ordine al criterio delle “due vie”.

101. Il pertinente seguito può essere fatto risalire al giorno stesso della pronuncia della sentenza della Grande Camera, quando il Giudice Kūris vi ha allegato un’opinione parzialmente dissenziente. Non ho la necessità di soffermarmi su tale opinione, se non per sottolineare che in essa il mio esimio collega critica aspramente le conclusioni di non violazione dell’articolo 6 § 1, sia riguardo al diritto di accesso a un tribunale che riguardo al diritto alla ragionevole durata dei procedimenti, e riassume in modo chiaro (si veda il paragrafo 84 della sua opinione) la (principale) logica in base alla quale la maggioranza della Grande Camera ha ritenuto che l’accesso al tribunale fosse accessibile:

“all’epoca in cui il ricorrente si è costituito parte civile nel procedimento penale, egli avrebbe potuto invece instaurare un separato procedimento civile nei confronti dei due privati (che egli ha contestato nel procedimento penale ( ...)”

102. Si tratta, a mio avviso, di un’ulteriore conferma di quanto dichiarato dalla Grande Camera nella sentenza Tănase in ordine alla trattazione del “criterio delle due vie”: qualcosa di molto chiaro (tanto che uno dei giudici ha sentito la necessità di manifestare il suo dissenso) e di molto distante da quanto percepito dalla maggioranza nella sentenza Petrella.

103. Per riflettere ulteriormente in ordine alla distanza, che la maggioranza della Camera nella causa Petrella, ha creato dalla giurisprudenza confermata dalla Grande Camera, può essere opportuno sottolineare che qualche indiretta ulteriore conferma dei principi di cui alla sentenza Tănase connessi al “criterio delle due vie” si è avuta recentemente a seguito di due sentenze che non erano definitive all’epoca delle deliberazioni di cui alla causa Petrella. Le sentenze sono Mihail Mihăilescu c. Romania, n. 3795/15, e Victor Laurențiu Marin c. Romania, n. 75614/14, entrambe del 12 gennaio 2021.

104. I contesti di tali cause sono molto differenti da quelli di cui alle cause Petrella e Tănase, in quanto le cause del 12 gennaio 2021 concernono entrambe l’equità dei procedimenti ( in cui – come ho accennato – vi è spazio per valutazioni ex post). Inoltre, non vi è un’esplicita considerazione del diritto di accesso a un tribunale, benché parte del testo si avvicini molto a tale concetto. Soltanto in un caso vi è una doglianza concernente la durata del procedimento, ma essa è esaminata sotto il profilo degli obblighi positivi di cui all’articolo 2. Soltanto in un caso il ricorrente aveva instaurato un’azione civile. Le autorità avevano basato l’archiviazione del procedimento penale su diversi fattori, ma aveva rilevanza la prescrizione (si veda Mihăilescu, § 86).

105. Detto ciò, mi limiterò a citare parte del testo della sentenza Mihăilescu (in cui – come ho già detto – vi è anche stata un’archiviazione a causa della prescrizione), sottolineando tuttavia che i paragrafi 80-84 della sentenza Mihăilescu sono paralleli ai paragrafi 137-41 della sentenza Marin. Si può rilevare che è citata la sentenza Tănase e che è applicato il criterio delle “due vie”, con un approccio in qualche modo diverso adatto alle questioni concernenti l’equità (piuttosto che l’accesso a un tribunale). Quello che mi sembra importante è che la Corte ribadisce che, nel determinare se sussistesse una questione ai sensi dell’articolo 6 (in questo caso, in generale, concernente l’equità), “la Corte terrà conto di tutti i procedimenti accessibili al ricorrente”, e “valuterà se le misure adottate [nel corso del procedimento penale] abbiano indebolito la posizione del ricorrente riguardo alla sua domanda civile in misura tale che tutte le successive fasi di tale procedimento o il separato procedimento civile siano stati resi fin dall’inizio iniqui”. Nonostante le differenze, sono ribaditi i principi di cui alla sentenza Tănase.

IV. LA DIFFERENTE CONSTATAZIONE CHE SAREBBE STATA APPROPRIATA

106. Passando adesso alla corretta constatazione che, a mio avviso, la Corte avrebbe dovuto effettuare nel determinare la doglianza formulata dal ricorrente in ordine all’accesso a un tribunale nel caso di specie, le mie considerazioni contenute nella parte II della presente opinione, che affrontano il rapporto tra la protezione del diritto di accesso a un tribunale e la protezione del diritto alla ragionevole durata dei procedimenti, mi conducono ad affermare che la maggioranza avrebbe dovuto scegliere tra l’approccio di cui alla sentenza Matos e Silva e quello di cui alla sentenza Anagnostopoulos, qualora quest’ultimo fosse ancora praticabile successivamente alla sentenza Tănase.

107. Nel caso di specie è indiscusso che non sussistesse una reale azione civile, la cui presentazione nel sistema nazionale era consentita in una successiva fase dell’udienza preliminare, che sarebbe stata svolta soltanto se il pubblico ministero avesse deciso di formulare delle imputazioni (si veda il paragrafo 11 della sentenza); tuttavia, secondo la specifica giurisprudenza della Corte concernente alcuni specifici Paesi, poiché nel diritto nazionale sono concessi alcuni diritti procedurali alla parte che sporge denuncia anche prima della costituzione di parte civile nel procedimento penale, è stato riconosciuto un certo spazio per l’applicabilità dell’articolo 6 § 1 in ordine alla ragionevole durata del procedimento (si vedano Arnoldi c. Italia, n. 35637/04, §§ 25-44, 7 dicembre 2017 e l’ulteriore giurisprudenza citata nel paragrafo 22 della sentenza). Spiegherò in seguito che nutro qualche esitazione in ordine alla giurisprudenza della sentenza Arnoldi, benché abbia votato con la maggioranza nel constatare la violazione del diritto alla ragionevole durata del procedimento.

108. Ciò che conta a questo punto è che, nella causa Petrella, la maggioranza ha per la prima volta esteso la nozione di cui alla sentenza Arnoldi, che concede la protezione da un’eccessiva durata del procedimento ai denuncianti che hanno presentato denunce soltanto alla Polizia o al pubblico ministero, al diritto di accesso a un tribunale. Non posso concordare su questo punto. Anche ammettendo in questa fase che si possa equiparare la posizione di una persona che sporge denuncia a quella di una parte civile in un procedimento penale (ma spiegherò le mie esitazioni generali in ordine a ciò), nel campo dell’accesso a un tribunale ciò non avrebbe rilevanza, in quanto la maggioranza avrebbe dovuto utilizzare il criterio specifico, confermato dalla Grande Camera nella sentenza Tănase, che le imponeva la necessità di determinare se i tribunali penali (che nel nostro caso non erano stati in realtà aditi, in quanto la denuncia giaceva ancora nell’ufficio del pubblico ministero, benché un giudice avesse infine acconsentito all’archiviazione – si veda il paragrafo 9 della sentenza) avessero l’obbligo di esaminare la domanda civile del ricorrente senza poter rinviare la causa a un tribunale civile.

109. Il risultato del criterio sarebbe stato che non era stata fornita alcuna prova del fatto che, nell’ordinamento nazionale, i tribunali penali avessero tale obbligo nella fase della presentazione di una denuncia e delle preliminari indagini di polizia. Invero, il sistema nazionale di rapporti tra i procedimenti civili e quelli penali si basa sugli articoli 75 e 651 e segg. del Codice di procedura penale (il “CPP”), che enunciano il principio dell’autonomia e della separazione; un’azione civile risarcitoria è sempre possibile e il giudice civile ha tutti i poteri necessari anche per valutare gli elementi dell’illecito che costituirebbero reato, con la sola eccezione – ai sensi dell’articolo 75 – del caso in cui l’azione civile è presentata quando è già stata depositata una domanda di costituzione di parte civile nel procedimento penale, o è già stata pronunciata una sentenza penale in primo grado; in tali casi, è imposta la sospensione dell’azione civile fino all’imminente res judicata. I tribunali penali non sono mai obbligati a determinare in via definitiva le domande di costituzione di parte civile e possono sempre rimetterle ai tribunali civili, anche qualora sia accertata la responsabilità (articolo 539 CPP); in caso di sospensione, è accertata la responsabilità al fine della determinazione di un’azione civile soltanto se il procedimento non è di primo grado, e il rinvio ai tribunali civili è nuovamente possibile al fine di una determinazione definitiva della domanda (articoli 539 e 578 CPP). Per quanto sopra esposto, se – come preferisco – la maggioranza ha confermato l’approccio di cui alla sentenza Matos e Silva, o piuttosto l’approccio di cui alla sentenza Anagnostopoulos (se la sentenza Tănase lo permetteva), essa avrebbe dovuto ritenere che non poteva essere riscontrata alcuna possibile violazione del diritto di accesso a un tribunale.

110. Quale ulteriore passo, nell’applicare i criteri di cui alla sentenza Tănase, date le prove disponibili e le disposizioni interne in materia di prescrizione, la maggioranza avrebbe dovuto ritenere che non fosse arbitrario o manifestamente irragionevole per le autorità nazionali decidere di archiviare il procedimento penale.

111. Per i motivi che ho tentato di spiegare nella parte III della presente opinione, la maggioranza sarebbe dovuta giungere all’applicazione del tradizionale criterio delle “due vie“ ex ante, come riformulato nella sentenza Tănase (§ 199). A mio avviso, essa avrebbe dovuto ritenere che il criterio avrebbe prodotto un esito totalmente negativo, poiché il momento ex ante cui rinviare al fine di valutare se vi fosse una seconda via, che era effettiva e accessibile, è “il momento in cui il ricorrente si è costituito parte civile nel procedimento penale”. Nel caso di specie non vi è stata alcuna domanda di costituzione di parte civile.

112. Anche concedendo che potesse essere applicato il principio di cui alla sentenza Arnoldi (sul quale, come ho detto, non posso concordare), è indiscusso che all’epoca in cui il ricorrente aveva presentato una denuncia, egli avrebbe potuto instaurare un’azione civile, che a norma della legislazione nazionale applicabile non sarebbe stata sospesa. Prendendo in prestito il testo della sentenza Associazione delle Vittime, confermata dalla sentenza Tănase, la Corte avrebbe dovuto ritenere che il ricorrente avesse scelto di sua spontanea volontà di sporgere denuncia, via che era probabilmente più semplice e meno costosa, correndo tuttavia il rischio che le autorità adite non sarebbero state in grado di esaminare la sua azione civile. Pertanto, il criterio delle “due vie” ex ante avrebbe condotto in ogni caso al rigetto della denuncia; qualcosa che la maggioranza – a mio avviso scorrettamente, con tutto il dovuto rispetto – ha esplicitamente negato nel paragrafo 52 della sentenza, utilizzando un criterio ex post di comportamento viziato da parte delle autorità che, come ho tentato di dimostrare, non appartiene (o non appartiene più) alla giurisprudenza della Corte.

113. Ho chiarito che si suppone che sia applicato un passo supplementare del criterio se l’approccio ex ante rivela che non esisteva alcuna alternativa via civile all’inizio della domanda di costituzione di parte civile. La situazione era diversa nelle circostanze del caso di specie.

114. Rinvierei comunque a tale supplementare criterio ex post, che esige che la Corte – ai sensi della sentenza Tănase (§ 200) – verifichi se l’instaurazione di un’azione civile successivamente alla sospensione imposta dal procedimento penale pendente sarebbe stata “necessariamente” destinata all’insuccesso. Tale passo ha notevole rilevanza dal punto di vista della maggioranza, in quanto essa ha ritenuto – come ho criticato a lungo – che il tradizionale criterio delle “due vie” non fosse applicabile e che la durata delle indagini penali compromettesse le aspettative dell’azione civile proposta dal ricorrente, equiparando quindi tale durata a una sostanziale sospensione che – come ho detto – non è in realtà imposta ai sensi della legislazione nazionale (su questo si vedano anche le considerazioni del Giudice Wojtyczek formulate nella sua opinione separata concernente il caso di specie, che condivido).

115. La maggioranza, pur non riconoscendo la sentenza Tănase (§ 200) quale precedente e citando piuttosto la sentenza Anagnostopoulos, mutatis mutandis, nel paragrafo 53 della sentenza, ha esaminato in sostanza se il ricorrente avesse la possibilità di instaurare un’azione civile successivamente all’archiviazione delle imputazioni. Si tratta del passo del ragionamento della maggioranza in ordine al quale sono obbligato a esprimere il mio più forte dissenso. Essa introduce inspiegabilmente considerazioni in ordine alle difficoltà della raccolta delle prove, che spetterebbe al ricorrente in un procedimento civile e con il decorso del tempo tali prove potrebbero disperdersi. Nel farlo, essa cita – ancora una volta – la sentenza Atanasova, concernente le lesioni personali riportate in un incidente stradale (si veda il paragrafo 51 della presente opinione). Tuttavia, nella sentenza Petrella, abbiamo un asserito caso di diffamazione, mediante la pubblicazione di un articolo su un giornale: una copia del giornale è stata perfino prodotta dinanzi a questa Corte (si veda il paragrafo 5 della sentenza); i dati concernenti la tiratura dei giornali sono ufficialmente accessibili; le diverse, limitate esigenze probatorie in casi concernenti la diffamazione in ordine alla sentenza Atanasova sono sottolineate dal Giudice Wojtyczek nella sua opinione separata concernente il caso di specie (§ 3), con la quale concordo.

116. Vorrei soltanto osservare inoltre che la maggioranza ha anche applicato purtroppo uno standard probatorio ordinario per valutare le asserite difficoltà di instaurare un’azione civile successivamente a un’archiviazione. Lo standard corretto avrebbe comportato per la maggioranza la necessità di verificare se l’instaurazione di un’azione civile successivamente alla conclusione delle indagini penali sarebbe stata “necessariamente” destinata all’insuccesso (Tănase, § 200). Non è stata fornita alcuna prova di questo tipo.

117. Il mancato esame dell’azione civile instaurata dal ricorrente nel contesto della sua denuncia non ha, a mio avviso, compromesso l’essenza stessa del suo diritto di accesso a un tribunale. Segue che la Corte avrebbe dovuto considerare la pertinente doglianza manifestamente infondata e avrebbe dovuto rigettarla.

V. LA SPECIFICA GIURISPRUDENZA DEL PAESE IN ORDINE ALLA POSIZIONE DELLE VITTIME CHE PRESENTANO DENUNCE AI PUBBLICI MINISTERI/ALLA POLIZIA RIGUARDO AL DIRITTO ALLA RAGIONEVOLE DURATA DEI PROCEDIMENTI DIVENTA PIÚ PROBLEMATICA SE ESTESA ALL’ACCESSO A UN TRIBUNALE

118. Ho votato con la maggioranza, benché con qualche esitazione, nel riscontrare la violazione del diritto alla ragionevole durata dei procedimenti. Le mie esitazioni erano legate al fatto che i precedenti concernenti lo Stato convenuto, essendo propri di un Paese, equiparano la presentazione di una denuncia ai pubblici ministeri (o alla Polizia) a una domanda di costituzione di parte civile (si veda Arnoldi, §§ 36-41, e gli ulteriori precedenti ivi citati). Mi sono sentito in dovere di osservare tali precedenti, benché sia consapevole del fatto che essi non si accordano con la giurisprudenza concernente altri Paesi aventi caratteristiche simili (si veda, per esempio, Associazione delle Vittime, § 64, in cui la Corte ha comprensibilmente ritenuto che un pubblico ministero non potesse determinare una domanda civile).

119. I problemi posti dalla suddetta giurisprudenza propria del Paese rischiano adesso di acquisire maggiore importanza – se la sentenza Petrella dovesse diventare definitiva – a causa del fatto che la maggioranza, per la prima volta, ha esteso l’applicazione della norma “elastica” della sentenza Arnoldi anche al campo dell’accesso a un tribunale, aspetto in ordine al quale – come ho già accennato – dissento.

120. Nel caso di specie non esiste una reale domanda civile (si veda il paragrafo 107 della presente opinione), poiché l’ordinamento nazionale permette di presentare una simile azione soltanto in una fase che nel caso di specie non è stata raggiunta a causa dell’archiviazione del procedimento. Può il medesimo approccio, proprio del Paese che ha riconosciuto un certo spazio all’applicabilità dell’articolo 6 § 1 in ordine al diritto a una ragionevole durata del procedimento, essere esteso ipso facto al diritto di accesso a un tribunale, anche se non vi è un’autentica domanda civile? Possono esservi serie obiezioni a tale estensione. In primo luogo, il diritto di accesso a un tribunale concerne soltanto i diritti di carattere civile, in ordine ai quali non si può ragionevolmente ritenere che siano stati esercitati dinanzi al pubblico ministero e/o alla Polizia, cui è presentata una denuncia (benché possa essere manifestata l’intenzione di instaurare un’azione civile – si veda il paragrafo 23 della sentenza). In secondo luogo, e soprattutto, poiché la Convenzione non conferisce alcun diritto, in quanto tale, di far perseguire o condannare terzi per un reato (si veda Mustafa Tunç e Fecire Tunç c. Turchia [GC], § 218, 14 aprile 2015), e benché la questione dell’applicabilità dell’articolo 6 § 1 non possa dipendere dal riconoscimento della formale qualità di “parte” nel diritto interno, ritengo che – in considerazione del diritto di accesso a un tribunale – tale diritto debba essere indissociabile dall’esercizio da parte della vittima del diritto di instaurare un procedimento civile nel diritto nazionale (si veda il paragrafo 10 della presente opinione). Credo pertanto che la maggioranza abbia superato il limite nell’equiparare la denuncia di un asserito reato alla Polizia o ai pubblici ministeri – vale a dire le autorità cui sono presentate le denunce – con il tentativo di instaurare un procedimento civile, con il risultato che l’archiviazione comporterebbe un diniego di accesso a un tribunale (civile). In terzo luogo, il criterio delle “due vie” preclude la possibilità che, mediante tale mezzo, la denuncia di un reato possa mai equivalere all’instaurazione di una causa dinanzi a un tribunale civile, in quanto l’attivazione di una parallela via civile impedirà sempre la constatazione della violazione del diritto di accesso.

121. Affermare che la presentazione di una denuncia di un asserito reato alla Polizia o ai pubblici ministeri equivalga all’instaurazione di un’azione civile ai fini del diritto di accesso a un tribunale di cui all’articolo 6 § 1 della Convenzione avrebbe conseguenze particolarmente paradossali per i Paesi in cui la legislazione nazionale lascia l’esercizio dell’azione penale alla discrezionalità del pubblico ministero e nessun tribunale è coinvolto in tale valutazione – neanche potenzialmente.

122. Se la presente sentenza non dovesse diventare definitiva, come è auspicato, anche tale aspetto potrebbe essere riesaminato.

123. Posso aggiungere che, sentendomi ancora una volta vincolato dalla giurisprudenza della sentenza Arnoldi, anche io ho votato con la maggioranza nel riscontrare la violazione dell’articolo 13. Desidero chiarire che tale constatazione da parte mia è naturalmente limitata al fatto che il regime nazionale non apre il programma risarcitorio nazionale per l’eccessiva durata dei procedimenti a situazioni di costituzione di parte civile ai sensi della sentenza Arnoldi. Non posso in alcun modo concordare circa il fatto che sia necessario un ricorso interno per lamentare la violazione del diritto di accesso a un tribunale che, a mio avviso, nel caso di specie non sussiste.

VI. I PERICOLI CHE L'APPROCCIO DELLA MAGGIORANZA COMPORTA PER IL FUTURO E LA NECESSITÀ DI UN RIESAME

124. La confusione che crea la sentenza della maggioranza, con il dovuto rispetto, tra l’accesso a ricorsi per le domande civili e i problemi connessi alla durata dei procedimenti (sia civili che penali) non è priva di conseguenze per i futuri ricorrenti e per gli Stati contraenti. Come ho accennato, ciò riguarda anche il diritto a un ricorso effettivo.

125. In ordine ai problemi connessi all’eccessiva durata dei procedimenti, la Corte, sia mediante la sua giurisprudenza che mediante la voce dei suoi Presidenti, in un’autentica visione di sussidiarietà, incoraggia costantemente gli Stati contraenti della Convenzione a istituire ricorsi interni effettivi per trattare la durata dei procedimenti. Per esempio, nella causa Scordino c. Italia (n. 1) (n. 36813/97, [GC] § 183, 29 marzo 2006) la Corte ha ritenuto:

“La migliore soluzione in termini assoluti è incontestabilmente, come in molte sfere, la prevenzione. La Corte (…) ha dichiarato in numerose occasioni che l’articolo 6 paragrafo 1 impone agli Stati contraenti l’obbligo di organizzare i loro sistemi giudiziari in modo tale che i tribunali possano soddisfare (…) l’obbligo di giudicare le cause entro un termine ragionevole. Se il sistema giudiziario è carente a tale riguardo, un ricorso finalizzato ad accelerare i procedimenti al fine di impedire che essi si protraggano eccessivamente è la soluzione più efficace. Tale ricorso offre un innegabile vantaggio rispetto a un ricorso che offre soltanto il risarcimento in quanto impedisce la constatazione di successive violazioni in ordine al medesimo procedimento e non si limita a porre rimedio alla violazione a posteriori, come fa un ricorso risarcitorio (...)”

126. Sebbene debba essere preferito un approccio acceleratorio, la Corte ha accettato che gli Stati possano anche scegliere di introdurre soltanto un ricorso risarcitorio, senza che tale ricorso sia generalmente ritenuto inefficace.

127. Gli stessi Stati membri del Consiglio d'Europa hanno adottato un ampio strumentario “al fine di promuovere e assistere l'adempimento dei loro obblighi derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo”, sottolineando che l’attuazione dei rimedi interni “dovrebbe consentire una riduzione del carico di lavoro della Corte come risultato, da un lato, di una diminuzione del numero di casi che le pervengono e, dall'altro, del fatto che il trattamento dettagliato dei casi a livello nazionale faciliterebbe il loro successivo esame da parte della Corte 8” . Il Comitato dei Ministri ha, in particolare, trattato il tema dei ricorsi in materia di durata dei procedimenti nella Raccomandazione CM/Rec(2010)3 “sui ricorsi effettivi per l'eccessiva durata dei procedimenti”, che era accompagnata da una guida alle buone pratiche 9 .

128. I ricorsi per l’eccessiva durata dei procedimenti, sia di carattere acceleratorio che di carattere risarcitorio, si sono diffusi in diversi ordinamenti europei. La Corte ha conseguentemente dovuto esaminare, nella sua giurisprudenza, diversi aspetti di tali ordinamenti.

129. Quale è il rapporto tra tali ricorsi interni, destinati a fare osservare la sussidiarietà in materia di durata dei processi, e le possibili violazioni del diritto di accesso a un tribunale? La risposta è reperibile nella sentenza Arnoldi c. Italia,§ 54, in cui la Corte ha già

“rilevato che [un ricorso interno risarcitorio] costituisce un ricorso effettivo per lamentare la durata del procedimento e non, dal punto di vista dell’articolo 6, l’assenza di accesso a un tribunale né (...) le conseguenze derivanti da tale assenza di accesso.”

130. Conseguentemente, nella medesima sentenza (§ 55; si vedano altresì §§ 12-14), la Corte ha dichiarato che il termine semestrale previsto dall’articolo 35 § 1 iniziava a decorrere dalla data dell’interruzione del procedimento penale ai fini di una doglianza concernente un possibile diniego di accesso a un tribunale; mentre – poiché il ricorso risarcitorio era in linea di principio effettivo in ordine a una doglianza concernente la durata del procedimento – nella misura in cui era interessata tale diversa doglianza, esso iniziava a decorrere quando era diventata definitiva la decisione interna di rigetto della domanda di risarcimento.

131. È quindi evidente che – fino al momento in cui la maggioranza di cui alla causa Petrella ha deciso di riscoprire la sentenza Atanasova – i ricorrenti potevano scegliere di seguire diverse linee di azione: la presentazione di un ricorso risarcitorio a livello interno e successivamente, in caso di rigetto, ricorrere alla Corte, al fine di lamentare la durata dei procedimenti; o ricorrere direttamente a Strasburgo per l’assenza di accesso a un tribunale, dato che in linea di principio non esistevano ricorsi interni effettivi a tal fine; o anche ricorrere alla Corte al fine di presentare entrambe le doglianze, indipendentemente dal fatto che il ricorrente avesse agito precedentemente a livello interno, con qualche rischio di irricevibilità di almeno una doglianza in tal caso. Sia come sia, prima della sentenza Petrella i ricorrenti potevano fare affidamento su alcune certezze: potevano aspettarsi che in alcuni casi più gravi la Corte avrebbe seguito la sentenza Anagnostopoulos (oggi, entro i limiti fissati dalla sentenza Tănase) e avrebbe riscontrato la violazione del diritto di accesso a un tribunale e, in tal caso, non sarebbe sorta alcuna questione distinta dal punto di vista della durata; altrimenti, nella maggior parte dei casi essi potevano decidere di portare avanti la causa con successo – ai sensi del tradizionale approccio di cui alle sentenze Matos e Silva – soltanto riguardo alla durata dei procedimenti, dopo aver esaurito i ricorsi risarcitori interni, se disponibili.

132. Il rischio per il futuro, se l’opinione della maggioranza di cui alla causa Petrella diventa nel caso di specie l’ultima parola, è connesso all’infelice scelta da parte della maggioranza di ritenere che il diritto di accesso a un tribunale e il diritto alla ragionevole durata dei procedimenti possano essere violati contemporaneamente e a causa delle medesime negligenza/omissioni. Ciò comporta l’esito paradossale che i ricorrenti dovranno adire la Corte, in linea di principio, due volte: una volta entro sei mesi (in un prossimo futuro, quattro) dall’interruzione del procedimento penale, riguardo al diritto di accesso a un tribunale; e di nuovo entro sei (quattro) mesi dalla decisione definitiva in ordine al ricorso interno risarcitorio, riguardo alla durata del procedimento.

133. Si potrebbe quindi dire addio, in questo campo, alla necessità di promuovere una dettagliata gestione dei casi a livello nazionale, riguardo alla sussidiarietà, e di prevenire un eccessivo carico di lavoro per la Corte. I Governi correrebbero il rischio di un duplice risarcimento (nazionale e internazionale), sulla base dei medesimi fatti.

134. Tuttavia quelli che ho appena descritto non sono gli unici pericoli che prevedo, se l’approccio della maggioranza dovesse diventare definitivo. L’ulteriore confusione derivante dal rifiuto da parte della maggioranza di essere fedele a un approccio più tradizionale al criterio delle “due vie”, come dichiarato dalla Grande Camera nella sentenza Tănase, e dalla conseguente riesumazione della sentenza Atanasova anche a tale riguardo, obbligherà i ricorrenti a valutare, prima di ricorrere alla Corte, se l’interruzione del procedimento fosse conseguente a qualche “responsabilità” delle autorità (e in tal caso essi non sarebbero obbligati a instaurare una separata azione civile) o se non lo fosse (o la responsabilità non fosse così grave – e in tal caso essi sarebbero stato obbligati ad attivare la differente via civile). Sarebbe ciò nell’interesse della protezione dei diritti umani? Sarebbero gli Stati contraenti agevolati nel loro compito di assicurare la protezione nazionale di tali diritti?

135. Non credo che l’approccio della maggioranza sia utile al fine di interpretare e applicare la Convenzione in modo semplice, chiaro e prevedibile; esso crea piuttosto problemi per i ricorrenti e per i Governi, che possono diventare perfino insormontabili.

VII. CONCLUSIONE

136. Non ho potuto condividere la considerazione della maggioranza sul caso di specie riguardo alla sua comprensione del contenuto e della protezione del diritto di accesso a un tribunale.

137. Presumibilmente, l’approccio della maggioranza, mediante il quale essa riconosce, al medesimo tempo e in ordine ai medesimi fatti, sia la violazione del diritto di accesso a un tribunale che del diritto a una ragionevole durata dei procedimenti ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione, offre una protezione più ampia dei diritti umani. In realtà, a mio avviso, ciò porta confusione e crea complicazioni, obbligando i ricorrenti e i Governi a compiere complesse valutazioni prima di presentare ricorso o di preparare le loro difese, e diminuisce anche la complessiva efficienza dei programmi di risarcimento nazionali per l’eccessiva durata dei procedimenti.

138. Nello scrivere la presente opinione, ho tentato di sottolineare le gravi questioni concernenti l’applicazione della Convenzione che solleva l’approccio della maggioranza. Quale rapporto vi è tra la protezione del diritto di accesso a un tribunale e la protezione dei diritti procedurali, in particolare del diritto a una ragionevole durata del procedimento? Quale è la rilevanza delle vie parallele per garantire l'accesso a un tribunale al fine di determinare una domanda civile? Quali sono i precisi passi di un eventuale criterio in questo campo? Sono la negligenza/le omissioni da parte della autorità rilevanti? Può la posizione di una vittima che presenta una denuncia al pubblico ministero e/o alla Polizia essere considerata equivalente a quella di una persona che si costituisce parte civile?

139. Nel porsi tali domande, il lettore della sentenza Petrella si interrogherà anche sulla fedeltà della Corte alla sua giurisprudenza. Per tali motivi, si deve sperare che l’opinione della maggioranza non costituisca l’ultima parola nel caso di specie. Dopo il lascito della sentenza Golder, il confronto nella sentenza Matos e Silva tra la Commissione e la Corte, e la riformulazione della giurisprudenza della sentenza Tănase, si sente la necessità di un ulteriore chiarimento del contenuto e della protezione del diritto di accesso a un tribunale.


NOTE:

1 Per questioni di leggibilità, dopo la prima citazione, citerò le cause soltanto con le prime parole della loro intestazione, omettendo espressioni quali “sopra citata”.

2 In tutta la presente opinione tutte le sottolineature – qualora utilizzate– sono mie.

3 Il manuale è scaricabile all’indirizzo: https://fra.europa.eu/en/publication/2016/handbook-european-law-relating-access-justice e https://www.echr.coe.int/documents/handbook_access_justice_eng.pdf .

4 Si veda all’indirizzo: https://www.coe.int/en/web/help/about-help.

5 Quindi “non puoi tenere il dolce e mangiartelo”, in inglese e in diverse altre lingue, mentre in francese si parla di guadagnare denaro vendendo burro e tenere il burro; per non parlare dell’italiano con il suo riferimento alla botte… La saggezza popolare universale esprime verità basate sul buonsenso.

6 Sempre per una questione di leggibilità, a partire da questo punto del testo e in tutta la presente opinione sono tradotte le citazioni di passi redatti originariamente soltanto in francese. Sono l’autore delle traduzioni.

7 La pertinenza delle citazioni che seguono l’indicazione a contrario nel presente passo sarà commentata nei paragrafi 56-65 della presente opinione.

8 Consiglio d’Europa, Guida alle buone pratiche in materia di ricorsi interni (adottata dal Comitato dei Ministri in data 18 settembre 2013), p. 5.

9 Si veda, per i rinvii, ibid., pp. 9, 15, e 39.