Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 25 marzo 2021 - Ricorsi nn. 15931/15 e 16459/15 - Causa Di Martino e Molinari contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico, e rivista con la sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE
CAUSA DI MARTINO E MOLINARI c. ITALIA
(Ricorsi nn. 15931/15 e 16459/15)

SENTENZA

Art 6 § 1 (penale) • Processo equo non compromesso dalla mancata audizione dei testimoni a carico da parte della giurisdizione di appello prima di ribaltare il verdetto di assoluzione pronunciato in primo grado nel corso di un procedimento con rito abbreviato • Richiesta di giudizio abbreviato e conseguente rinuncia alle prove orali per fondare il processo sulle prove documentali risultanti dalle indagini preliminari • Mancata audizione da parte della corte d’appello di un testimone sentito d’ufficio dal tribunale di primo grado senza alcuna incidenza sui diritti della difesa

STRASBURGO
25 marzo 2021

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Di Martino e Molinari c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Ksenija Turković, presidente,
Krzysztof Wojtyczek,
Linos-Alexandre Sicilianos,
Alena Poláčková,
Péter Paczolay,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere di sezione,
Visti i ricorsi (nn. 15931/15 e 16459/15) presentati contro la Repubblica italiana da due cittadini di questo Stato, il sig. Leonardo Di Martino («il ricorrente») e la sig.ra Anna Maria Molinari («la ricorrente»), che hanno adito la Corte rispettivamente il 28 marzo 2015 e il 27 marzo 2015 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
Vista la decisione di comunicare al governo italiano («il Governo») la doglianza relativa all’equità del procedimento e di dichiarare i ricorsi irricevibili per il resto,
Viste le osservazioni delle parti,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 16 febbraio 2021,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. I ricorsi riguardano, sotto il profilo dell'articolo 6 § 1 della Convenzione, l'omissione, da parte della giurisdizione di appello, di disporre una nuova audizione dei testimoni a carico prima di ribaltare il verdetto di assoluzione dei ricorrenti pronunciato in primo grado.

IN FATTO

2. I ricorrenti sono nati nel 1958 e nel 1965 e risiedono rispettivamente a Lanciano e a Gragnano. Sono stati rappresentati dall’avvocato A. Gaito.

3. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia.

4. In data non precisata, i ricorrenti, marito e moglie, furono rinviati a giudizio con altre quindici persone nell'ambito di un procedimento penale riguardante un'associazione per delinquere di stampo mafioso. Il ricorrente era accusato dei reati di associazione di stampo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e coltivazione di canapa indiana, mentre la ricorrente era accusata di questi due ultimi capi di imputazione.

5. All'udienza del 7 ottobre 2007, dinanzi al giudice per l'udienza preliminare («il GUP») di Napoli, i ricorrenti chiesero l'adozione del giudizio abbreviato previsto dagli articoli 438 – 443 del codice di procedura penale (CPP), un rito semplificato che comporta, in caso di condanna, una riduzione della pena, ed è caratterizzato dall’assenza di dibattimento (in effetti, nell'ambito di tale procedimento, il giudice decide all'udienza preliminare sulla base dei documenti acquisiti, se del caso, nel fascicolo costituito all'esito delle indagini preliminari; in via eccezionale, possono essere ammesse nuove prove all'udienza se l'imputato lo richiede nella sua domanda e il giudice accoglie la richiesta (giudizio abbreviato condizionato), oppure quando il giudice ritiene di non poter decidere allo stato degli atti e assume, anche d'ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione (articolo 441, comma 5, del CPP)).

6. Il GUP di Napoli, ritenendo che le accuse contro i ricorrenti potessero essere decise allo stato degli atti, accolse la richiesta di giudizio abbreviato.

7. All'udienza del 21 novembre 2011, accogliendo una richiesta della procura, il GUP dispose, in applicazione dell'articolo 441, comma 5, del CPP, l'audizione di B.S., un ex membro del clan mafioso che, nel frattempo, aveva deciso di collaborare con la giustizia, e la cui testimonianza era necessaria ai fini della decisione sul reato di associazione di stampo mafioso riguardante, in particolare, P.C., uno dei coimputati dei ricorrenti.

8. B.S. fu interrogato all'udienza del 20 dicembre 2011. Conformemente alla procedura, i ricorrenti ebbero la possibilità di porre delle domande per il tramite del giudice, e di depositare le loro conclusioni.

9. Con una sentenza emessa il 27 marzo 2012, il GUP assolse la ricorrente da tutti i capi di imputazione a suo carico, e condannò il ricorrente per il solo reato di coltivazione di canapa. Secondo il GUP, gli elementi di prova presenti nel fascicolo delle indagini preliminari, ossia le dichiarazioni di vari «pentiti», le trascrizioni di intercettazioni telefoniche e di intercettazioni realizzate in luoghi pubblici (chiamate anche «intercettazioni ambientali»), e una nota informativa dei carabinieri di Napoli, in base ai quali erano stati condannati i coimputati dei ricorrenti, non permettevano di affermare né che il ricorrente fosse membro del clan mafioso, né che la coltivazione di canapa che egli praticava fosse finalizzata al traffico di stupefacenti. Secondo il GUP, nessun «pentito» aveva espressamente menzionato il ricorrente nelle sue dichiarazioni.

10. La procura interpose appello. Con una sentenza emessa il 14 giugno 2013, la corte d'appello di Napoli riformò la sentenza di primo grado e condannò i ricorrenti per tutti i reati loro ascritti. Per giungere a tale conclusione, la corte d'appello considerò che vari elementi delle indagini dimostrassero che il ricorrente era membro del clan mafioso detto «D.A.», e che era dedito, soprattutto, al traffico di stupefacenti. La corte fece riferimento soprattutto alla nota informativa dei carabinieri di Napoli riguardante, tra l'altro, il percorso criminale del ricorrente e la sua appartenenza a diversi clan mafiosi. Inoltre, la corte d'appello osservò che le informazioni dei carabinieri erano state corroborate da numerose intercettazioni ambientali e telefoniche e dalle dichiarazioni dei «pentiti» E., P.G. e S. sentiti nel corso delle indagini preliminari, che avevano espressamente menzionato il ricorrente in quanto membro del clan D.A., e avevano fatto riferimento all'attività di traffico di stupefacenti che quest'ultimo esercitava con altri membri della sua famiglia. La corte rilevò anche che B.S. aveva confermato, nel corso del dibattimento, sia l'appartenenza del ricorrente al clan mafioso che la sua attività di trafficante di droga, e che tali dichiarazioni corroboravano le altre prove.

11. Per quanto riguarda la ricorrente, la corte d'appello indicò che le intercettazioni ambientali effettuate presso il carcere nel quale il ricorrente era stato detenuto avevano permesso di stabilire che l'interessata svolgeva un ruolo importante nell'attività di coltivazione di canapa e che, inoltre, le dichiarazioni dei «pentiti» avevano dimostrato che quest'ultima partecipava al traffico di droga organizzato da suo marito.

12. I ricorrenti presentarono ricorso per cassazione, lamentando tra l'altro che, ribaltando la sentenza del tribunale, la corte d'appello aveva proceduto ad una reformatio in pejus senza disporre una nuova audizione dei testimoni a carico.

13. Con una sentenza del 29 settembre 2014 la Corte di cassazione respinse il ricorso dei ricorrenti, considerando, anzitutto, che il processo di questi ultimi si era svolto, fin dal giudizio di primo grado, secondo le norme in materia di giudizio abbreviato, e dunque non secondo i principi dell’oralità e dell'immediatezza, ma sulla base degli elementi di prova acquisiti al fascicolo della procura. La Corte di cassazione considerò, di conseguenza, che né il GUP né la corte d’appello avessero avuto un accesso diretto ai testimoni a carico, in quanto entrambe le giurisdizioni avevano avuto soltanto un rapporto intermediato con le dichiarazioni di tali testimoni.

14. Per quanto riguarda B.S., ossia l'unico testimone sentito direttamente dal giudice di primo grado in virtù dell'eccezione prevista dall'articolo 441, comma 5, del CPP, la Corte di cassazione osservò che, nella sua sentenza Dan c. Moldavia (n. 8999/07, 5 luglio 2011), la Corte aveva precisato che, prima di annullare un’assoluzione, il giudice d'appello era tenuto a disporre una nuova audizione dei testimoni alla duplice condizione che le testimonianze in questione fossero decisive e che il nuovo esame della credibilità dei testimoni fosse necessario. La suddetta Corte proseguì il suo ragionamento come di seguito descritto. Nella fattispecie, gli elementi a carico dei ricorrenti erano numerosi e vari, e la condanna non era stata fondata in maniera determinante sulle dichiarazioni di B.S. Inoltre, in nessun momento era stata messa in dubbio la credibilità di tale testimone. La corte d'appello, come il GUP, non aveva esaminato la credibilità di detto testimone, ma aveva semplicemente fatto una lettura corretta e logica degli elementi di prova disponibili, che il GUP aveva interpretato in maniera erronea. In effetti, quest'ultimo aveva ingiustamente affermato che nessun collaboratore di giustizia aveva fatto riferimento al ricorrente in quanto membro del clan mafioso, poiché sia i «pentiti» sentiti nel corso delle indagini preliminari che B.S. avevano varie volte menzionato il ricorrente nelle loro dichiarazioni. Inoltre, molti altri elementi di prova avevano corroborato tali testimonianze e permesso di confermare la responsabilità dei ricorrenti relativamente ai reati loro ascritti.

IL QUADRO E LA PRASSI GIURIDICI PERTINENTI

I. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

A. La reformatio in pejus dei verdetti di assoluzione pronunciati in primo grado

15. Il quadro giuridico interno in materia è descritto nella sentenza Lorefice c. Italia (n. 63446/13, §§ 26-28, 29 giugno 2017).

16. In particolare, la sentenza n. 27620 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, depositata il 6 luglio 2016, ha enunciato il principio secondo il quale il giudice di appello non può invalidare una sentenza di assoluzione «senza aver proceduto, anche d’ufficio, a norma dell’articolo 603, comma 3, del CPP, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado» (ibidem, § 28). Nella suddetta sentenza, l'alta giurisdizione italiana ha affermato che questo principio trova applicazione anche nei giudizi abbreviati, quando l’assoluzione è stata basata su testimonianze che sono state considerate decisive in primo grado e la cui portata viene messa in dubbio dalla procura nel suo appello.
Con la sentenza n. 18620 del 19 gennaio 2017, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno inoltre precisato che il giudice di appello deve fare applicazione dell’articolo 603 del CPP e rinnovare l’istruzione dibattimentale anche nei casi in cui il processo di primo grado si è svolto secondo il giudizio abbreviato «semplice», ossia senza l’assunzione di nuove prove nel corso del dibattimento. Secondo l’alta giurisdizione, l’eventuale scelta dell'imputato di rinunciare al principio contraddittorio nel giudizio di primo grado non incide sull’obbligo del giudice di appello, ai fini del ribaltamento della decisione assolutoria, di esaminare direttamente le prove orali decisive di cui fornisce un’interpretazione diversa.
Questo principio giurisprudenziale è stato confermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 14800 del 3 aprile 2018, nella quale l’alta giurisdizione ha affermato, in particolare, che «la rinuncia della persona accusata al contraddittorio nella formazione della prova non può incidere negativamente sul suo diritto a che la sua colpevolezza sia accertata in appello al di là di ogni ragionevole dubbio».

B. Il giudizio abbreviato

17. Le disposizioni del CPP relative al giudizio abbreviato, modificate dalla legge n. 479 del 16 dicembre 1999 e in vigore all’epoca dei fatti, sono così formulate nelle parti pertinenti alla presente causa:

Articolo 438

«1. L'imputato può chiedere che il processo sia definito all'udienza preliminare allo stato degli atti (…).
2. La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422.
3. La volontà dell'imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3 [da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore].
4. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato.
5. L'imputato (…) può subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione. Il giudice dispone il giudizio abbreviato se l'integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili. In tal caso il pubblico ministero può chiedere l'ammissione di prova contraria. (…)
(…)

Articolo 441

«1. Nel giudizio abbreviato si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste per l'udienza preliminare, fatta eccezione per quelle di cui agli articoli 422 e 423 [si tratta di disposizioni che regolano il potere del giudice di disporre ex officio l’assunzione di prove decisive e la possibilità, per il pubblico ministero, di modificare i capi di imputazione].

(…)

3. Il giudizio abbreviato si svolge in camera di consiglio; il giudice dispone che il giudizio si svolga in pubblica udienza quando ne fanno richiesta tutti gli imputati.

(…)

5. Quando il giudice ritiene di non poter decidere allo stato degli atti assume, anche d'ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione. Resta salva in tale caso l'applicabilità dell'articolo 423.

6. All'assunzione delle prove di cui al comma 5 del presente articolo e all'articolo 438, comma 5, si procede nelle forme previste dall'articolo 422, commi 2, 3 e 4 [questi ultimi commi prevedono la possibilità, per le parti, di porre, a mezzo del giudice, delle domande ai testimoni e ai periti, e il diritto per l’imputato di chiedere di essere sottoposto a interrogatorio].»

Articolo 442

«1. Terminata la discussione, il giudice provvede a norma degli articoli 529 e seguenti [si tratta di disposizioni relative alla pronuncia di una sentenza di non doversi procedere, di assoluzione o di condanna].

1-bis. Ai fini della deliberazione il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo di cui all'articolo 416, comma 2 [si tratta del fascicolo della procura, contenente gli atti compiuti durante le indagini preliminari], la documentazione di cui all'articolo 419, comma 3 [si tratta degli atti relativi alle indagini compiute dopo la richiesta di rinvio a giudizio], e le prove assunte nell'udienza.

2. In caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita di un terzo. Alla pena dell'ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta. Alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno (…) è sostituita quella dell'ergastolo.

3. La sentenza è notificata all'imputato che non sia comparso.

(…)

Articolo 443

«1. L'imputato e il pubblico ministero non possono proporre appello contro le sentenze di proscioglimento quando l’appello tende ad ottenere una diversa formula ([di assoluzione].

(…)

3. Il pubblico ministero non può proporre appello contro le sentenze di condanna, salvo che si tratti di sentenza che modifica il titolo del reato.

4. Il giudizio di appello si svolge con le forme previste dall'articolo 599.»

II. I TESTI DEL CONSIGLIO D’EUROPA

18. La Raccomandazione n. Rec(87)18 del Comitato dei Ministri agli Stati membri riguarda la semplificazione della giustizia penale. Tale raccomandazione, che concerne i procedimenti semplificati e i procedimenti sommari, è stata adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 17 settembre 1987. I passaggi della raccomandazione pertinenti nel caso di specie sono così formulati:
«Considerato l’aumento del numero di casi sottoposti alla giustizia penale, in particolare quelli in cui l'autore incorre in una pena lieve, e i problemi posti dalla durata del procedimento penale;
Considerato che il ritardo nelle decisioni penali getta il discredito sul diritto penale e pregiudica una buona amministrazione della giustizia;
Considerato che si potrebbe porre rimedio alle lungaggini della giustizia penale, non soltanto con le risorse ad essa conferite e con il modo in cui tali risorse vengono utilizzate, ma anche attraverso una migliore definizione delle priorità nella conduzione della politica penale, sia per quanto riguarda la forma che il merito, mediante:

  • il ricorso, per trattare i reati minori e le controversie collettive:
  • a procedimenti cosiddetti sommari,
  • a transazioni da parte delle autorità competenti in materia penale e di altre autorità intervenienti, come sostituto all'azione penale,
  • a procedimenti cosiddetti semplificati;
     

(…)

  • la semplificazione del procedimento giurisdizionale ordinario;
     

(...).

III. Semplificazione del procedimento giurisdizionale ordinario

a. Istruzione prima e durante l'udienza

4. Se vi è un'istruzione preliminare, questa dovrebbe essere condotta secondo una procedura che escluda qualsiasi formalità inutile e che eviti, soprattutto, la necessità di un’audizione formale dei testimoni quando i fatti non sono contestati dalla persona sospettata.»
La relazione finale sull'attività riguardante tale raccomandazione, nella sua parte relativa alle osservazioni del gruppo di lavoro sulle raccomandazioni in materia di semplificazione del procedimento giurisdizionale ordinario nella fase istruttoria «prima e durante l'udienza» (parte B, III, a.5) è così formulata:
«Nei casi in cui è necessario assumere delle prove dinanzi ad una giurisdizione, una procedura attraverso la quale il pubblico ministero e l'imputato concludono un accordo per produrre le prove in anticipo e/o convengono di limitare il numero di periti o di altri testimoni che il tribunale deve sentire può permettere di risparmiare molto tempo. Il giudice può considerare come accertati dei fatti non contestati che, secondo i documenti del fascicolo, risultano essere stati provati in maniera formale, ad esempio delle deposizioni raccolte precedentemente da un'autorità giudiziaria o altri mezzi già documentati. Una duplice produzione delle prove spreca il tempo del giudice, da cui spesso non ci si può ragionevolmente aspettare che ricostruisca l’intero fascicolo.»

IN DIRITTO

I. SULLA RIUNIONE DEI RICORSI

19. Tenuto conto della similitudine dei ricorsi per quanto riguarda il loro oggetto, la Corte ritiene opportuno esaminarli congiuntamente in una sola sentenza.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

20. I ricorrenti contestano alla corte d’appello di Napoli di avere pronunciato la loro condanna senza avere sentito direttamente i testimoni a carico. Essi affermano, a tale riguardo, che vi è stata una violazione dell’articolo 6 §§ 1 e 3 d) della Convenzione, che recita:

«1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (...)

3. In particolare, ogni accusato ha diritto di:

(...);

d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;

(...).»

A. Sulla ricevibilità

21. Constatando che i ricorsi non sono manifestamente infondati né irricevibili per uno degli altri motivi di cui all’articolo 35 della Convenzione, la Corte li dichiara ricevibili.

B. Sul merito

1. Gli argomenti delle parti

22. I ricorrenti affermano che l'omessa audizione, da parte della corte d'appello, dei testimoni le cui dichiarazioni sono state decisive per la loro condanna li ha privati della possibilità di presentare le loro argomentazioni e ha comportato una violazione dei diritti della difesa. A loro parere, la corte d'appello avrebbe dovuto procedere anche all'audizione di B.S., che era stato sentito dal giudice di primo grado, e a quella degli altri testimoni a carico, le cui dichiarazioni erano servite a corroborare l'accusa.

23. I ricorrenti affermano che la loro domanda di essere giudicati con rito abbreviato non li ha privati del diritto a un processo equo sancito dall'articolo 6 della Convenzione. Essi citano la giurisprudenza della Corte secondo la quale qualsiasi rinuncia, da parte di una persona sottoposta alla giustizia, alle garanzie del processo equo deve avvenire in maniera volontaria, consapevole e informata.

24. I ricorrenti affermano che il fatto che il GUP abbia ordinato l'audizione di B.S. sebbene fosse stato applicato il giudizio abbreviato dimostra che quest'ultimo era un testimone chiave, e che la sua testimonianza è stata decisiva. A loro parere, in queste condizioni, per valutare se le testimonianze a carico costituissero o meno delle prove gravi, precise e concordanti della loro responsabilità penale, la corte d'appello avrebbe dovuto riaprire l'istruzione in applicazione dell'articolo 603 del CPP e sentire direttamente tutti i testimoni a carico.

25. Il Governo indica, anzitutto, che i ricorrenti sono stati giudicati con rito abbreviato, ossia una procedura semplificata che comporta una limitazione di alcune garanzie procedurali, come la facoltà di ottenere l'audizione di testimoni e la produzione di nuove prove. Il Governo fa riferimento a numerose cause esaminate dalla Corte in materia (si vedano tra altre, Kwiatkowska c. Italia (dec.), n. 52868/99, 30 novembre 2000, Hermi c. Italia [GC], n. 18114/02, CEDU 2006 XII, Panarisi c. Italia, n. 46794/99, § 110, 10 aprile 2007, e Fornataro c. Italia (dec.), n. 37978/13, 26 settembre 2017) e ritiene che i ricorrenti non possano contestare il fatto che i giudici si sono pronunciati sulla loro causa sulla base delle prove acquisite al fascicolo della procura.

26. Il Governo afferma inoltre che, secondo la giurisprudenza della Corte, l'obbligo, per una giurisdizione di appello, di sentire direttamente i testimoni non è un obbligo assoluto, il cui mancato rispetto renda un processo automaticamente iniquo. A suo parere, si tratta di considerare l'insieme delle garanzie messe in atto nel corso del processo.

27. Il Governo argomenta che, nella presente causa, la condanna dei ricorrenti è stata basata su vari elementi di prova, tra i quali la testimonianza di B.S. Questo elemento non sarebbe stato né esclusivo né determinante. Inoltre, la credibilità di B.S. non sarebbe stata mai messa in discussione. La corte d'appello avrebbe proceduto ad un esame critico e approfondito della motivazione della sentenza del GUP e avrebbe corretto, con la propria sentenza, gli errori logici e fattuali commessi dal giudice di primo grado. Quest'ultimo, in effetti, avrebbe manifestamente ignorato una serie di prove a carico dei ricorrenti, tra cui la testimonianza di B.S., che sarebbe stata solo uno dei vari elementi.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali

28. La Corte rammenta che, quando un giudice di appello deve esaminare una causa in fatto e in diritto e analizzare, nel complesso, la questione della colpevolezza o dell'innocenza, tale giudice non può, per motivi di equità del procedimento, decidere in merito alle suddette questioni senza una valutazione diretta delle testimonianze presentate personalmente sia dall'imputato che sostiene di non aver commesso l'atto considerato reato (si vedano, tra altre, Ekbatani c. Svezia, 26 maggio 1988, § 32, serie A n. 134, Constantinescu c. Romania, n. 28871/95, § 55, CEDU 2000 VIII, Dondarini c. San Marino, n. 50545/99, § 27, 6 luglio 2004, e Igual Coll c. Spagna, n. 37496/04, § 27, 10 marzo 2009) sia dai testimoni che hanno deposto durante il procedimento e alle cui dichiarazioni il giudice di appello desidera attribuire una nuova interpretazione (si veda, per esempio, Lorefice, sopra citata, §§ 36). La Corte rammenta che coloro che hanno la responsabilità di decidere sulla colpevolezza o l'innocenza dell'imputato devono, in linea di principio, sentire i testimoni personalmente e valutarne la credibilità. L'esame della credibilità di un testimone è un compito complesso che, normalmente, non può essere compiuto attraverso una semplice lettura del contenuto delle dichiarazioni di quest'ultimo, riportate nel verbale delle audizioni (Dan, sopra citata, § 33, e Lorefice, sopra citata, § 43).

29. La Corte, tuttavia, ha sottolineato che, sebbene sia necessario per la giurisdizione che condanna per la prima volta un imputato valutare direttamente le prove sulle quali fonda la sua decisione, questa non è una regola automatica che possa rendere un processo iniquo soltanto perché il giudice in questione non ha sentito tutti i testimoni, menzionati nella sua sentenza, di cui ha dovuto valutare la credibilità. In effetti, è opportuno anche tenere conto del valore probatorio delle testimonianze in questione (Chiper c. Romania, n. 22036/10, § 63, 27 giugno 2017). La Corte rammenta, a tale proposito, la propria giurisprudenza secondo la quale, quando le dichiarazioni di un testimone che non è comparso e non è stato interrogato durante il processo sono utilizzate a titolo di prova, è importante esaminare se esistesse un motivo serio che giustificasse la mancata comparizione del testimone, se la deposizione del testimone assente abbia costituito l'unica base o l'elemento decisivo della condanna, e se esistessero degli elementi compensatori, soprattutto delle garanzie procedurali solide, sufficienti per controbilanciare le difficoltà causate alla difesa a seguito dell'ammissione di una determinata prova e per assicurare l'equità del procedimento nel suo insieme (Al Khawaja e Tahery c. Regno Unito [GC], nn. 26766/05 e 22228/06, § 131, CEDU 2011, Schatschaschwili c. Germania [GC], n. 9154/10, § 123, CEDU 2015, e Dadayan c. Armenia, n. 14078/12, §§ 39-43, 6 settembre 2018).

30. La Corte rammenta, inoltre, che le modalità di applicazione dell'articolo 6 della Convenzione ai procedimenti d'appello dipendono dalle caratteristiche del procedimento in questione: si deve tenere conto dell’intero processo condotto nell'ordinamento giuridico interno e del ruolo svolto dalla giurisdizione di appello (Botten c. Norvegia, 19 febbraio 1996, § 39, Recueil des arrêts et décisions 1996-I, e Hermi, sopra citata, § 60). Infine, gli Stati contraenti godono di una grande libertà nella scelta dei mezzi idonei a permettere al loro sistema giudiziario di rispettare gli imperativi dell'articolo 6 della Convenzione. Il compito della Corte consiste nell’esaminare se la via seguita abbia condotto, in una determinata controversia, a risultati compatibili con la Convenzione, tenuto conto anche delle circostanze specifiche del caso, della sua natura e della sua complessità (Taxquet c. Belgio [GC], n. 926/05, § 84, CEDU 2010). La Corte deve esaminare se il procedimento considerato complessivamente, tenuto conto anche della modalità in cui sono stati presentati i mezzi di prova, sia stato equo (si vedano, tra molte altre, Teixeira de Castro c. Portogallo, 9 giugno 1998, § 34, Recueil 1998‑IV, e Kashlev c. Estonia, n. 22574/08, § 39, 26 aprile 2016).

b) Applicazione di questi principi nel caso di specie

31. La Corte osserva che i ricorrenti sono stati processati con il giudizio abbreviato, ossia un procedimento semplificato di cui hanno chiesto l'applicazione allo scopo di ottenere una riduzione della pena. Il GUP ha accolto la domanda dei ricorrenti, ritenendo che la causa potesse essere definita sulla base degli elementi del fascicolo costituito dalla procura nel corso delle indagini preliminari, tra i quali vi erano le trascrizioni delle dichiarazioni di vari «pentiti». Successivamente, avvalendosi della possibilità prevista dall'articolo 441, comma 5, del CPP, il GUP ha disposto l'audizione di B.S., un ex mafioso, divenuto nel frattempo collaboratore di giustizia.

32. La Corte osserva, inoltre, che il GUP ha assolto la ricorrente da tutti i capi di imputazione a suo carico, e ha parzialmente assolto il ricorrente, che è stato condannato per il solo reato di coltivazione di canapa. Il GUP ha ritenuto che gli elementi di prova raccolti non dimostrassero la loro responsabilità penale. La corte d'appello, invece, ha invalidato la sentenza emessa in primo grado, e ha dichiarato i ricorrenti colpevoli dopo aver dato una nuova interpretazione di tutti gli elementi di prova, tra cui le dichiarazioni di tutti i testimoni, e dopo averli ritenuti sufficienti per basare la condanna.

i. Sulla mancata audizione dei testimoni E., P.G. e S.

33. La Corte rammenta anzitutto che ha già avuto occasione di esaminare le particolari caratteristiche del giudizio abbreviato previsto dal CPP italiano. Essa ha constatato che tale procedimento comporta dei vantaggi indiscutibili per l'imputato: in caso di condanna, quest'ultimo beneficia di una importante riduzione di pena e la procura non può interporre appello avverso le sentenze di condanna che non modificano la qualificazione giuridica del reato. In compenso, il giudizio abbreviato prevede un’attenuazione delle garanzie procedurali offerte dal diritto interno, soprattutto per quanto riguarda la pubblicità del dibattimento, la possibilità di chiedere la produzione di elementi di prova non contenuti nel fascicolo della procura, e quella di ottenere la convocazione dei testimoni (Kwiatkowska, decisione sopra citata, Hermi, sopra citata, § 78, Hany c. Italia (dec.), n. 17543/05, 6 novembre 2007, e Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, 17 settembre 2009). Le suddette garanzie costituiscono dei principi fondamentali del diritto a un processo equo, sancito dall'articolo 6 §§ 1 e 3 d) della Convenzione. La Corte rammenta che né il testo né lo spirito dell'articolo 6 della Convenzione impediscono a una persona di rinunciare spontaneamente, in maniera esplicita o tacita, alle garanzie di un processo equo. Tuttavia, per essere rilevante dal punto di vista della Convenzione, tale rinuncia deve essere accertata in maniera non equivoca, e devono essere previste delle garanzie minime proporzionate alla sua la gravità. Inoltre, tale rinuncia non deve scontrarsi con nessun interesse pubblico importante (Kwiatkowska, decisione sopra citata, Hermi, sopra citata, § 73, e Murtazaliyeva c. Russia [GC], n. 36658/05, §§ 117 e 118, 18 dicembre 2018).

34. La Corte osserva, inoltre, che l'introduzione del giudizio abbreviato da parte del legislatore italiano è volta a semplificare, e dunque ad accelerare, i procedimenti penali (Hermi, sopra citata, § 80). Essa osserva, a tale proposito, che la Raccomandazione n. Rec(87)18 del Comitato dei Ministri riguardante la semplificazione della giustizia penale raccomanda agli Stati membri, nel rispetto dei principi costituzionali e delle tradizioni giuridiche proprie di ciascuno Stato, l'introduzione di procedure semplificate e di procedimenti sommari (questi ultimi sono anche indicati con le espressioni «transazioni penali» o «plea bargaining»), soprattutto allo scopo di far fronte ai problemi posti dalla durata del procedimento penale (paragrafo 18 supra).

35. Perciò, in materia di transazioni penali, la Corte ha già avuto occasione di osservare che la possibilità per un imputato di ottenere un'attenuazione delle accuse o una riduzione della pena a condizione che egli ammetta la sua colpevolezza, o che rinunci prima del processo a contestare i fatti, o che collabori pienamente con le autorità inquirenti, è molto comune nei sistemi di giustizia penale degli Stati europei (si veda lo studio di diritto comparato nella causa Natsvlishvili e Togonidze c. Georgia, n. 9043/05, §§ 62-75, CEDU 2014 (estratti)). Il fatto di transigere su un capo d'accusa o su una pena non ha nulla di deplorevole di per sé (ibidem, §§ 90-91), così come il fatto di rinunciare al diritto di appello (Litwin c. Germania, n. 29090/06, § 47, 3 novembre 2011).

36. Passando a esaminare i fatti della presente causa, la Corte considera che, chiedendo l'applicazione del giudizio abbreviato, i ricorrenti, che erano assistiti da avvocati, hanno accettato di fondare la loro difesa sui documenti raccolti durante le indagini preliminari, di cui avevano preso visione, e hanno perciò rinunciato inequivocabilmente al loro diritto di ottenere la convocazione e l'audizione di testimoni al processo. Nulla permette di mettere in dubbio il fatto che la rinuncia dei ricorrenti al loro diritto era consapevole e informata. Gli interessati, inoltre, hanno accettato che i giudici investiti della loro causa utilizzassero, per decidere sulla fondatezza delle accuse formulate nei loro confronti, le trascrizioni delle deposizioni dei «pentiti» E., P.G. e S., acquisite al fascicolo della procura. Inoltre, i ricorrenti sapevano o avrebbero dovuto sapere che, in caso di assoluzione in primo grado, la corte d'appello aveva la facoltà di giudicare nuovamente la causa sulla base di questi stessi elementi di prova.

37. La Corte ne deduce che la domanda dei ricorrenti di essere giudicati con rito abbreviato ha determinato la rinuncia alle prove orali ed ha avuto come conseguenza che il loro processo fosse basato sulle prove documentali acquisite al fascicolo. Pertanto, le presenti cause si distinguono da quelle che la Corte ha precedentemente esaminato, nelle quali la giurisdizione di appello non aveva rispettato l'obbligo di interrogare direttamente i testimoni che erano stati sentiti dal giudice di primo grado, e di cui il giudice di appello doveva interpretare le dichiarazioni in maniera sfavorevole all'imputato e radicalmente diversa per condannare quest'ultimo per la prima volta (si vedano, tra altre, Dan, sopra citata, Găitănaru c. Romania, n. 26082/05, 26 giugno 2012, Lazu c. Repubblica di Moldavia, n. 46182/08, 5 luglio 2016, Lorefice, sopra citata, § 45, e Tondo c. Italia [comitato], n. 75037/14, 22 ottobre 2020).

38. La Corte rammenta di avere già osservato, nella causa Scoppola (sopra citata, § 139) che, se è vero che gli Stati contraenti non sono vincolati dalla Convenzione a prevedere dei procedimenti semplificati, rimane comunque il fatto che, quando tali procedimenti esistono e vengono adottati, i principi del processo equo impongono di non privare arbitrariamente un imputato dei vantaggi ad esso inerenti. È contrario al principio della certezza del diritto e alla protezione della fiducia legittima dei cittadini che uno Stato possa, in maniera unilaterale, ridurre i vantaggi derivanti dalla rinuncia ad alcuni diritti inerenti alla nozione di processo equo. Secondo la Corte, nulla di simile è avvenuto nella presente causa, nella quale i ricorrenti hanno beneficiato della riduzione di pena derivante dall'applicazione del giudizio abbreviato. Non sembra nemmeno che la causa abbia sollevato delle questioni di interesse pubblico che si opponevano a una tale di rinuncia (Kwiatkowska, decisione sopra citata).

39. La Corte osserva, tra l'altro, che la Corte di cassazione italiana ha recentemente interpretato in maniera estensiva l'articolo 603 del CPP, prevedendo l'obbligo per le giurisdizioni di appello di ordinare, anche d'ufficio, l'audizione di testimoni decisivi per la condanna, sia nei procedimenti penali ordinari che nei casi in cui il procedimento di primo grado si è svolto secondo il giudizio abbreviato (paragrafo 16 supra). Essa sottolinea, a tale riguardo, che la Convenzione non impedisce che gli Stati parte accordino ai diritti e alle libertà che essa garantisce una protezione giuridica più estesa di quella da essa attuata, sia attraverso il diritto interno, sia con altri trattati internazionali, sia attraverso il diritto dell'Unione europea. Come ha già avuto occasione di sottolineare, con il suo sistema di garanzia collettiva dei diritti che essa sancisce, la Convenzione rafforza, conformemente al principio di sussidiarietà, la protezione offerta a livello nazionale. Nulla impedisce agli Stati contraenti di adottare un'interpretazione più ampia che garantisca una maggiore protezione dei diritti e delle libertà in questione nei loro rispettivi ordinamenti giuridici interni (articolo 53 della Convenzione) (si vedano, mutatis mutandis, Partito comunista unificato di Turchia e altri c. Turchia, 30 gennaio 1998, § 28, Recueil 1998‑I, Chamaïev e altri c. Georgia e Russia, n. 36378/02, § 500, CEDU 2005‑III, Krombach c. Francia (dec.), n. 67521/14, § 39, 20 febbraio 2018 e Gestur Jónsson e Ragnar Halldór Hall c. Islanda [GC], nn. 68273/14 e 68271/14, § 93, 22 dicembre 2020).

40. In conclusione, tenuto conto di quanto precede, i ricorrenti non possono lamentare che il loro diritto a un processo equo sia stato ostacolato a causa della mancata audizione, da parte della corte d'appello, dei testimoni E., P. G. e S.

ii. Sulla mancata audizione di B.S.

41. La Corte deve ora determinare se la mancata audizione di B.S. abbia violato il diritto dei ricorrenti di beneficiare di un processo equo. Essa osserva che tale testimone è stato convocato d'ufficio dal GUP, ed è stato dunque interrogato in udienza da quest'ultimo, contrariamente agli altri testimoni a carico.

42. La Corte osserva anzitutto che la possibilità che il giudice deroghi alle condizioni ordinarie del giudizio abbreviato e si procuri, anche d'ufficio, degli elementi di prova necessari alla sua decisione è espressamente previsto dall'articolo 441, comma 5, del CPP, e non può di per sé costituire una violazione dei principi del processo equo (Campisi c. Italia (dec.), n. 10948/05, § 25, 12 febbraio 2013). Rimane comunque il fatto che essa deve esaminare se il modo in cui tale eccezione è stata applicata nel caso di specie abbia costituito una violazione dei principi del processo equo.

43. La Corte osserva che la condanna dei ricorrenti è stata basata su vari elementi di prova, tra i quali la nota informativa dei carabinieri di Napoli, alla quale la corte d'appello ha attribuito un'importanza determinante (paragrafo 9 supra). Questo elemento riguardava soprattutto le attività criminali del ricorrente e dei membri della sua famiglia, nonché la sua affiliazione al clan mafioso D.A. Ad esso si aggiungevano le dichiarazioni di E., P.G. e S., ex membri del clan «pentiti», e i risultati di varie intercettazioni telefoniche e ambientali.

44. La Corte osserva che, in questo contesto, la testimonianza di B.S. non ha fatto altro che confermare le dichiarazioni degli altri testimoni e corroborare l'insieme delle prove a carico. In effetti, né il GUP né la corte d'appello hanno attribuito un peso determinante a questa testimonianza, né in un senso né nell'altro, nelle loro decisioni relative alla responsabilità penale dei ricorrenti (si vedano, a contrario, Dan, sopra citata, § 31, Lorefice, sopra citata, § 37, e Tondo, sopra citata, § 42). La Corte osserva, inoltre, che il GUP aveva ordinato la convocazione di B.S. ritenendo che la sua audizione fosse determinante per giudicare la posizione di P.C., uno dei coimputati dei ricorrenti.

45. Considerato quanto sopra esposto, e soprattutto il valore probatorio della testimonianza in questione, e rammentando che, in linea di principio, spetta ai giudici nazionali valutare gli elementi da essi raccolti (Vidal c. Belgio, 22 aprile 1992, § 33, serie A n. 235‑B), la Corte ritiene che non si possa considerare che, non procedendo a una nuova audizione di B.S., la corte d'appello abbia limitato i diritti della difesa dei ricorrenti.

iii. Conclusioni

46. Le considerazioni che precedono sono sufficienti per permettere alla Corte di concludere che il procedimento penale a carico dei ricorrenti, considerato nella sua globalità, è stato equo.

47. Pertanto, non vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Decide di riunire i ricorsi;
  2. Dichiara i ricorsi ricevibili;
  3. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 25 marzo 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Ksenija Turković
Presidente

Renata Degener
Cancelliere

ALLEGATO

 
Ricorso N. Nome della causa Presentata il Ricorrente
Anno di nascita
Luogo di residenza
Cittadinanza
Rappresentato da
15931/15 Di Martino c. Italia 28/03/2015 Leonardo DI MARTINO
1958
Lanciano (Ch)
Italiana
Alfredo GAITO
16459/15 Molinari c. Italia 27/03/2015 Anna Maria MOLINARI
1965
Gragnano (Na)
Italiana
Alfredo GAITO