Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 10 dicembre 2020 - Ricorso n. 36936/18 - Causa A.V. contro l'Italia


© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA A.V. c. ITALIA

(Ricorso n. 36939/18)

SENTENZA

STRASBURGO

10 dicembre 2020

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.
Nella causa A.V. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in un comitato composto da:
Alena Poláčková, presidente,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,
Visti:
il ricorso (n. 36936/18) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. A.V. («il ricorrente»), che ha adito la Corte il 27 luglio 2018 ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano il 29 novembre 2018;
le osservazioni delle parti,
la decisione con la quale la Corte ha respinto l’opposizione del Governo all’esame del ricorso da parte di un comitato,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 17 novembre 2020,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. Il ricorso riguarda la dedotta violazione del diritto al rispetto della vita familiare del ricorrente a causa dell'impossibilità per quest'ultimo di esercitare il suo diritto di visita nelle condizioni stabilite dai tribunali.

IN FATTO

2. Il ricorrente è nato nel 1977, risiede a Canale Monterano ed è stato rappresentato dall’avvocato G. Menicucci.

3. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex agente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, M.G. Civinini.

4. Dall’unione tra il ricorrente e A.G., nacque un figlio, N., il 22 dicembre 2008. Nel maggio 2009 il ricorrente e A.G. si separarono.

5. Il 10 marzo 2010 il ricorrente adì il tribunale per i minorenni di Roma («il tribunale») sulla base dell'articolo 317bis del codice civile. Il ricorrente lamentava delle difficoltà nell'esercizio del suo diritto di visita e, in particolare, chiedeva l'affidamento condiviso di suo figlio, la cui residenza principale sarebbe stata fissata presso la madre, la regolamentazione del suo diritto di visita (il diritto di vedere suo figlio due pomeriggi e un sabato o una domenica a settimana, 15 giorni durante le vacanze estive e, a partire dai due anni di età del bambino, anche un diritto di visita e di alloggio), nonché la fissazione di un assegno alimentare a suo carico a favore del bambino.

6. Con decreto del 12 aprile 2010, il tribunale accordò al ricorrente un diritto di visita di due pomeriggi a settimana e di un giorno nel fine settimana. Inoltre, incaricò i servizi sociali del comune di Canale Monterano di effettuare un'indagine sociale sulla situazione familiare e di verificare il corretto svolgimento degli incontri tra il ricorrente e suo figlio.

7. Il 20 luglio 2010 il ricorrente presentò una denuncia penale, sostenendo che non riusciva a esercitare il suo diritto di visita.

8. I servizi sociali depositarono una relazione in cancelleria con la quale rilevavano che la madre del bambino aveva un atteggiamento di opposizione ingiustificato nei confronti degli incontri tra il ricorrente e il bambino, anche se questi ultimi avevano una relazione positiva. La madre aveva sviluppato un rapporto simbiotico con il figlio, escludendo il ricorrente da qualsiasi decisione riguardante, in particolare, la scelta del pediatra o il periodo delle vacanze.

9. Con decreto del 10 agosto 2010, il tribunale osservò che il ricorrente non aveva potuto incontrare suo figlio secondo le modalità stabilite e prese atto della relazione dei servizi sociali. Affidò la custodia del bambino ai servizi sociali e ordinò a questi ultimi di adottare le misure necessarie per garantire gli incontri che non dovevano essere lasciati alla scelta unilaterale della madre. Confermò il collocamento del figlio presso il domicilio della madre, a condizione che quest'ultima rispettasse le decisioni del tribunale e il diritto di visita del padre in sua assenza.

10. Le visite ebbero luogo fino a settembre 2011, grazie all'attività di supporto dei servizi sociali.

11. Il 24 settembre 2011, senza avere prima ottenuto l'autorizzazione del tribunale, A.G. si trasferì ad Acilia, a un centinaio di chilometri dal domicilio del ricorrente. A partire da questo momento i contatti tra il ricorrente e suo figlio divennero più difficili a causa dei 200 chilometri circa che il ricorrente doveva percorrere per vedere il bambino, senza contare la difficoltà di trovare un luogo per esercitare il suo diritto di visita durante il periodo invernale.

12. Secondo una relazione dei servizi sociali del 22 dicembre 2011, questo trasferimento aveva rotto un equilibrio che era stato raggiunto per quanto riguarda i rapporti tra il ricorrente e suo figlio e aveva reso la situazione più tesa.

13. I servizi sociali ritennero che fosse necessario, in base alla nuova organizzazione stabilita unilateralmente dalla madre, che il bambino potesse essere ospitato dal ricorrente durante i fine settimana.

14. Il 1° giugno 2012 il ricorrente sporse denuncia contro A.G. per mancata ottemperanza ai provvedimenti giudiziari, sostenendo che non riusciva più a vedere suo figlio a causa dell'opposizione di A.G. agli incontri. Fu aperta un'indagine. Con sentenza del 23 aprile 2015, A.G. fu assolta.

15. Il 2 giugno 2012 i servizi sociali constatarono che il diritto di visita del ricorrente non era rispettato e chiesero al tribunale per i minorenni di fissare con urgenza un'udienza per ordinare una perizia sulle capacità genitoriali dei due ricorrenti.

16. Il 24 settembre 2012 il tribunale di Roma, dopo aver constatato che la madre del bambino, nonostante l'ammonizione del tribunale, persisteva nel suo atteggiamento di opposizione nei confronti degli incontri tra il ricorrente e il figlio, decise di revocare la sua precedente decisione e di affidare la custodia del bambino a entrambi i genitori. Fissò la residenza del bambino presso la madre. Secondo questo provvedimento, il ricorrente poteva vedere suo figlio un pomeriggio a settimana e un fine settimana su due, due settimane durante le vacanze estive, e un anno su due durante le vacanze di Natale e di Pasqua. Il tribunale rammentò che, in caso di mancato rispetto di tale provvedimento, avrebbe potuto prendere una decisione diversa in merito all'affidamento del minore.

17. Il 25 febbraio 2013 i servizi sociali produssero una relazione in cui descrivevano le difficoltà incontrate dal ricorrente nell'esercizio del suo diritto di visita. In particolare, sottolineavano il comportamento ostruzionista della madre, l'opposizione del bambino e la mancanza di fiducia reciproca dei genitori.
18. Il 15 gennaio 2013, A.G. propose un ricorso dinanzi al giudice tutelare di Roma ai sensi dell'articolo 337 del codice civile per chiedere che fosse realizzata una perizia al fine di verificare il comportamento del ricorrente nell'esercizio del suo ruolo di genitore.

19. Il ricorrente si costituì nel procedimento, sottolineando il mancato rispetto della decisione del tribunale per i minorenni di Roma da parte della madre del bambino.

20. Il 26 febbraio 2013 le parti si dichiararono favorevoli a una mediazione.

21. Il 20 gennaio 2014 fu depositata in cancelleria una relazione dei servizi sociali secondo la quale, nonostante tutti gli interventi effettuati, A.G impediva al ricorrente di esercitare il suo diritto di visita.

22. Il 28 gennaio 2014 fu inviata al giudice tutelare una sintesi delle attività di sostegno alla famiglia.

23. All'udienza del 7 febbraio 2014 le parti si accordarono sulle modalità del diritto di visita e il giudice tutelare rinviò all'udienza del 14 marzo 2014 per verificare che l'accordo fosse eseguito. Durante questa udienza, il giudice sentì le parti.

24. Il 12 settembre 2014 il giudice tutelare incaricò i servizi sociali di Roma di informare il tribunale per i minorenni delle difficoltà incontrate dal ricorrente nell'esercizio del suo diritto di visita. Indicò anche che l'iniziativa dei servizi sociali di ridurre gli incontri con il ricorrente avrebbe dovuto essere sottoposta all’esame del tribunale e che il diritto di visita del padre non era stato pienamente rispettato. Il giudice tutelare sottolineava che non era stato solo il comportamento ostruzionista di A.G. ad impedire per un certo tempo il diritto di visita del ricorrente, ma anche il rifiuto del minore di incontrarlo e la decisione di quest'ultimo di non esercitare il suo diritto di visita in presenza della madre del bambino. Il giudice tutelare affermò che la madre del bambino non era l'unica colpevole della situazione: il ricorrente non aveva rispettato i suoi obblighi di corrispondere l'assegno alimentare e non aveva manifestato la sua volontà di intraprendere un percorso al fine di riallacciare un rapporto con suo figlio.

25. Il 20 gennaio 2015 il procuratore, sulla base delle nuove informazioni ricevute dai servizi sociali, presentò un ricorso dinanzi al tribunale di Roma volto a ottenere la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale della madre in base alla decisione adottata dal tribunale il 24 settembre 2012.

26. Con decreto del 16 settembre 2015, il tribunale per i minorenni di Roma, dopo aver esaminato le relazioni dei servizi sociali e la decisione del giudice tutelare, concluse che la situazione familiare era la conseguenza del comportamento dei due genitori. Sospese la responsabilità genitoriale di entrambi, affidò la custodia del bambino ai servizi sociali, nominò un tutore, ordinò una perizia su entrambi i genitori, incaricò i servizi sociali di seguire la situazione della famiglia e chiese una perizia sulle capacità genitoriali del ricorrente e di A.G. e sull'evoluzione del bambino entro il 31 dicembre 2015.

27. Il 6 ottobre 2015 il ricorrente chiese con urgenza al tribunale per i minorenni di Roma la ripresa immediata dei rapporti padre-figlio.

28. Tra il 10 giugno e il 14 giugno 2016, i servizi sociali e il tutore del minore segnalarono al tribunale che la valutazione della situazione della famiglia avrebbe dovuto essere effettuata prima del 30 dicembre 2015, ma che il Centro di assistenza all'infanzia che ne era stato incaricato non era più operativo. I servizi sociali contattarono allora il centro Fregosi, che era disponibile per riprendere il monitoraggio della famiglia a partire da ottobre 2016.

29. Dopo aver seguito i genitori e il bambino, questo centro inviò una relazione al tribunale, in cui si sosteneva che il bambino era ostacolato nel suo sviluppo psicofisico. In particolare, in questa relazione si affermava: «Il bambino sembra utilizzare meccanismi di difesa primitivi incentrati sulla negazione, la proiezione e la scissione. L'attuale contesto familiare del bambino, costituito principalmente dalla madre e dai genitori [di quest'ultima], appare fortemente schizofrenico a causa di legami di natura narcisistica in cui prevale la perdita di differenziazione psicologica tra i membri di una famiglia, la confusione dei loro ruoli e, dunque, la rottura dei legami intergenerazionali. (...) I genitori sono stati seguiti per anni dai servizi sociali e nessun cambiamento sembra essere avvenuto. Al contrario, l'evoluzione del bambino sembra orientarsi verso uno sviluppo psicopatologico. In tale contesto, diventa indispensabile preservare il bambino da un ambiente familiare pregiudizievole [in cui il suo benessere e le sue esigenze non sono stati presi in considerazione]. Un trattamento con psicoterapia intensiva è inevitabilmente [necessario per] proteggere il bambino».

30. Il 28 novembre 2016 il tribunale per i minorenni di Roma, basandosi sulla relazione del centro Fregosi e considerando che l'attuale collocamento del bambino presso la madre fosse pregiudizievole per il minore e che non era possibile, in questa fase, prevedere un collocamento presso il ricorrente, decise di collocare il minore in una struttura di accoglienza. Ordinò anche che quest'ultimo fosse sottoposto a un trattamento psicoterapeutico per aiutarlo ad avvicinarsi al padre, che gli incontri con i genitori fossero organizzati nella struttura di accoglienza e che la frequenza di tali incontri fosse stabilita dal tutore in coerenza con il percorso psicoterapeutico del minore.

31. La madre del bambino impugnò questa decisione nel novembre 2016. Con decreto del 26 gennaio 2017, questo appello fu respinto e il collocamento del bambino fu confermato.

32. Con una relazione del 23 marzo 2017, l'assistente sociale e il tutore informarono il tribunale del miglioramento delle condizioni in cui si trovava il minore.

33. Il 4 aprile 2017 fu nominato un tutore speciale per il bambino. Il tutore speciale fu autorizzato a prevedere, d'accordo con il curatore, il ritorno del minore presso i suoi genitori.

34. All'udienza del 7 settembre 2017, alla presenza del curatore, del tutore, del responsabile della casa-famiglia affidataria, degli assistenti sociali e degli avvocati delle parti, il tribunale per i minorenni, alla luce dei miglioramenti intervenuti, decise che il minore doveva essere nuovamente collocato presso la madre e che doveva trascorrere un fine settimana su due presso il ricorrente, pur continuando a beneficiare di un percorso di sostegno.

35. Il 1º marzo 2018 il tribunale per i minorenni prese atto del miglioramento della situazione familiare e non diede seguito alla richiesta del procuratore di privare la madre della sua responsabilità genitoriale. Osservò che la comunicazione tra i genitori era migliorata, che il bambino aveva buoni rapporti con il ricorrente e la sua compagna e che entrambi i genitori collaboravano nell'esercizio della loro responsabilità genitoriale.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

36. Il diritto interno pertinente è riportato nella sentenza Strumia c. Italia (n. 53377/13, §§ 73-78, 23 giugno 2016).

37. Ai sensi dell'articolo 337ter, primo comma, del codice civile, il figlio minorenne ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e assistenza morale da parte di entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all'articolo 337bis del codice civile, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Il giudice valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori, oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo in cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Il giudice può modificare le modalità di custodia e prende atto dei diversi accordi intervenuti tra le parti.

Il giudice di merito è competente per dare esecuzione ai provvedimenti relativi alle modalità di affidamento e può anche intervenire d'ufficio nei casi di affidamento familiare. A tal fine, una copia del provvedimento di affidamento è inviata dal procuratore della Repubblica al giudice tutelare.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

38. Il ricorrente lamenta che lo Stato non ha adottato misure positive per far valere il suo diritto di visita nelle condizioni stabilite dai giudici nazionali a partire dal 2010. Lamenta anche il ritardo nell'attuazione dei provvedimenti dei giudici interni e invoca l'articolo 8 della Convenzione, che è così formulato:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A. Sulla ricevibilità

39. Il Governo ritiene che l'oggetto della causa debba essere limitato al procedimento avviato dal procuratore dinanzi al tribunale per i minorenni il 20 gennaio 2015, che si è concluso il 1° marzo 2018. Ritiene che il procedimento pendente dinanzi al tribunale per i minorenni a partire dal 2010 e quello pendente dinanzi al giudice tutelare siano irricevibili per mancato rispetto del termine di sei mesi.

40. Il ricorrente contesta l'eccezione del Governo e sostiene che si trattava di una situazione continua che si era protratta dal 2010 al 2016: la sentenza del tribunale di Roma rappresentava, a suo avviso, solo la fine di un lungo procedimento giudiziario avviato per far valere il suo diritto di visita.

41. La Corte rileva che il procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni è iniziato nel 2010 e che, nel suo ricorso al tribunale per i minorenni nel 2015, il procuratore ha chiesto l'esecuzione del decreto del tribunale del 2012, che aveva già disciplinato il diritto di visita del ricorrente. La Corte rammenta di aver già affermato nelle sue precedenti sentenze che le decisioni del tribunale per i minorenni riguardanti, tra l'altro, il diritto di visita non sono definitive e possono pertanto essere modificate in qualsiasi momento in funzione degli eventi connessi alla situazione controversa (Lombardo c. Italia, n. 25704/11, § 63, 29 gennaio 2013, e Nicolò Santilli c. Italia, n. 51930/10, § 45, 17 dicembre 2013).

42. Secondo la Corte, il procedimento che si è svolto dal 2012 al 2015 deve essere considerato un elemento della doglianza iniziale presentata dal ricorrente dinanzi ad essa. In particolare, la Corte ritiene che, quando esaminerà il procedimento avviato dal procuratore dinanzi al tribunale nel 2015, che ha portato alla decisione di affidamento del minore nel 2016, essa dovrà ricondurre tale procedimento e tali decisioni nel loro contesto, il che la porterà inevitabilmente a interessarsi in una certa misura ai procedimenti e alle decisioni anteriori (Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, § 148, 10 settembre 2019).

43. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per uno degli altri motivi indicati nell’articolo 35 della Convenzione, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

44. Il ricorrente dichiara che le autorità italiane non hanno correttamente messo in atto i provvedimenti delle autorità competenti. Al riguardo, egli indica che la valutazione delle capacità genitoriali e dello stato psicologico del minore doveva essere effettuata entro il 30 dicembre 2015, ma che la relazione è stata depositata soltanto nell’ottobre 2016, ossia dieci mesi dopo, a causa di problemi strutturali del sistema italiano che avrebbero comportato la chiusura di due centri specializzati.

45. Il ricorrente ritiene importante sottolineare che è a seguito di tale perizia che il minore ha potuto essere preso in carico e collocato in un istituto. Egli argomenta che questo ritardo nell’esecuzione della valutazione delle capacità genitoriali ha condotto alla necessità di procedere al collocamento del minore, mentre un intervento e un’assistenza più tempestivi avrebbero permesso di raggiungere lo stesso obiettivo senza procedere al collocamento.

46. Il ricorrente è del parere che la frammentazione delle competenze dei giudici (tribunale per i minorenni e giudice tutelare), così come la chiusura del centro specializzato, abbiano ostacolato la realizzazione del progetto di sostegno all’unità familiare entro un termine ragionevole.

47. Il Governo indica che i servizi sociali sono intervenuti nel 2010, e che hanno aiutato le parti a mantenere dei rapporti equilibrati fino a quando la madre del bambino si è trasferita in un’altra città. Aggiunge che il ricorrente non ha chiesto l’esecuzione delle disposizioni del tribunale per i minorenni, ma che è stata la madre del bambino che ha deciso di rivolgersi al giudice tutelare.

48. Il Governo afferma che, durante questo periodo, le parti sono state aiutate e assistite da servizi specializzati: sono state compiute varie azioni per superare la conflittualità tra i genitori e la mancanza di collaborazione. Il Governo sostiene che proprio a seguito della decisione del giudice tutelare, il quale ha trasmesso il fascicolo alla procura presso il tribunale per i minorenni, quest’ultimo tribunale, dopo una perizia effettuata da un centro altamente specializzato, ha deciso che il minore doveva essere collocato in un istituto.

49. Il Governo ritiene che la famiglia sia stata seguita con costanza e attenzione, e indica a questo proposito che sono state adottate misure sempre più decise, fino ad arrivare al collocamento del bambino, che è durato 7 mesi, ossia il tempo necessario, a suo parere, per permettere ai genitori di imparare a esercitare le loro responsabilità genitoriali.

50. Il Governo aggiunge che lo Stato ha messo in atto una serie di strumenti giuridici e amministrativi adeguati e sufficienti per assicurare i diritti legittimi degli interessati, e osserva infine che la causa si è conclusa in maniera positiva, che tale risultato è stato raggiunto grazie a un forte investimento dello Stato e che, nella fattispecie, non si pone alcun problema di ritardo nell’attuazione delle decisioni.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali

51. Come la Corte ha più volte rammentato, se l’articolo 8 ha essenzialmente ad oggetto la tutela dell’individuo dalle ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, esso non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a tale obbligo negativo possono aggiungersi obblighi positivi attinenti ad un effettivo rispetto della vita privata o familiare. Essi possono implicare l’adozione di misure finalizzate al rispetto della vita familiare, incluse le relazioni reciproche fra individui, e la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie, o delle misure specifiche appropriate (si veda, mutatis mutandis, Zawadka c. Polonia, n. 48542/99, § 53, 23 giugno 2005). Tali strumenti giuridici devono permettere allo Stato di adottare misure atte a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori (si vedano, mutatis mutandis, Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 108, CEDU 2000 I, Sylvester c. Austria, nn. 36812/97 e 40104/98, § 68, 24 aprile 2003, Zavřel c. Repubblica ceca, n. 14044/05, § 47, 18 gennaio 2007, e Mihailova c. Bulgaria, n. 35978/02, § 80, 12 gennaio 2006). La Corte rammenta altresì che gli obblighi positivi non implicano solo che si vigili affinché il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, bensì comprendono anche tutte le misure propedeutiche che consentono di pervenire a tale risultato (si vedano, mutatis mutandis, Kosmopoulou c. Grecia, n. 60457/00, § 45, 5 febbraio 2004, Amanalachioai c. Romania, n. 4023/04, § 95, 26 maggio 2009, Ignaccolo-Zenide, sopra citata, §§ 105 e 112, e Sylvester, sopra citata, § 70).

52. La Corte rammenta che il fatto che gli sforzi delle autorità siano stati vani non implica automaticamente che lo Stato abbia disatteso gli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione (Nicolò Santilli, sopra citata, § 67, 17 dicembre 2013). In effetti, l'obbligo in capo alle autorità nazionali di adottare misure idonee a riavvicinare il genitore ed il figlio non conviventi non è assoluto e la comprensione e la cooperazione di tutte le persone coinvolte costituiscono sempre un fattore importante. Anche se le autorità nazionali devono impegnarsi ad agevolare tale collaborazione, l’obbligo in capo alle medesime di ricorrere alla coercizione in materia non può che essere limitato: esse devono tener conto degli interessi, nonché dei diritti e delle libertà di dette persone ed in particolare dell’interesse superiore del minore e dei diritti conferiti al medesimo dall’articolo 8 della Convenzione (Voleský c. Repubblica ceca, n. 63267/00, § 118, 29 giugno 2004).

53. Per quanto riguarda la vita familiare di un bambino, la Corte rammenta che esiste attualmente un ampio consenso – anche nel diritto internazionale – intorno all’idea che in tutte le decisioni che riguardano dei minori il loro interesse superiore debba prevalere (si veda, tra altre, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 135, CEDU 2010). Essa sottolinea del resto che, nelle cause in cui sono in gioco questioni di affidamento di minori e di restrizioni del diritto di visita, l’interesse del minore deve prevalere su qualsiasi altra considerazione (Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, § 204, 10 settembre 2019). È necessaria la massima prudenza quando si tratta di ricorrere alla coercizione in questa materia delicata (Mitrova e Savik c. l’ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, n. 42534/09, § 77, 11 febbraio 2016, e Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, § 53, 22 novembre 2005). Il punto decisivo consiste dunque nell’appurare se le autorità nazionali abbiano adottato, allo scopo di agevolare il diritto di visita, ogni misura necessaria che si potesse ragionevolmente esigere da esse (Nuutinen c. Finlandia, n. 32842/96, § 128, CEDU 2000 VIII).

b) Applicazione di questi principi nel caso di specie

54. Passando all’esame dei fatti della presente causa, la Corte ritiene che, alla luce alle circostanze che le sono state sottoposte, il suo compito consista nel verificare se le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure che ci si poteva ragionevolmente attendere dalle stesse per mantenere il legame tra il ricorrente e suo figlio (Bondavalli c. Italia, n. 35532/12, § 75, 17 novembre 2015) e nell’esaminare il modo in cui le stesse siano intervenute per agevolare l’esercizio del diritto di visita del ricorrente come definito nei provvedimenti giudiziari (Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 58, serie A n. 299 A, e Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 105, 15 gennaio 2015). Essa rammenta, inoltre, che, in questo tipo di cause, l’adeguatezza di una misura si valuta in base alla rapidità della sua attuazione (Piazzi c. Italia, n. 36168/09, § 58, 2 novembre 2010) per evitare che il passare del tempo possa avere, di per sé, delle conseguenze sulla relazione tra un genitore e suo figlio.

55. La Corte osserva che, a partire dal 2010, quando il bambino aveva soltanto due anni, il ricorrente ha chiesto incessantemente al tribunale di organizzare degli incontri con suo figlio, ma ha potuto esercitare il suo diritto di visita soltanto in modo estremamente limitato, a causa dell’opposizione della madre del bambino. Tra il 2011 e il 2012, dopo il trasferimento della madre del bambino in un’altra città, il ricorrente non è riuscito a incontrare regolarmente suo figlio, soprattutto in quanto la madre si opponeva allo svolgimento degli incontri (paragrafi 11-15 supra). I servizi sociali hanno chiesto al tribunale di disporre una perizia sulle capacità genitoriali di A.G. e del ricorrente, ma il tribunale non ha dato seguito alla domanda.

56. Dopo avere osservato che A.G. perseverava nel suo atteggiamento di opposizione per quanto riguarda gli incontri tra il ricorrente e il bambino, nel 2012 il tribunale per i minorenni decise di revocare la sua precedente decisione, dispose l’affidamento congiunto del minore ai genitori e fissò la residenza di quest’ultimo presso la madre. Rammentò che, in caso di inosservanza della suddetta decisione, avrebbe potuto prendere una decisione diversa per quanto riguarda l’affidamento del bambino.

57. Nel gennaio 2013, la madre del bambino presentò ricorso dinanzi al giudice tutelare di Roma, che chiese ai servizi sociali di depositare una relazione sulla situazione del bambino. La Corte osserva che la relazione evidenziava una sempre maggiore difficoltà del ricorrente nell’incontrare suo figlio a causa del comportamento della madre.

58. Nel settembre 2014 il giudice tutelare incaricò i servizi sociali di Roma di informare il tribunale per i minorenni della difficoltà del ricorrente a esercitare il suo diritto di visita, e constatò che il diritto di visita non era stato rispettato e che questo era dovuto non soltanto al comportamento ostruzionista della madre, ma anche al rifiuto del bambino di incontrare il ricorrente, che non si impegnava abbastanza nel rapporto con suo figlio.

59. La Corte osserva che in quel momento preciso, nel 2015, il procuratore, sulla base delle nuove informazioni ricevute dai servizi sociali, presentò un ricorso dinanzi al tribunale di Roma volto a ottenere la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale della madre sulla base del provvedimento che questo stesso tribunale aveva adottato il 24 settembre 2012.

60. Il tribunale chiese di presentare una perizia sulle capacità genitoriali del ricorrente e di A.G. entro dicembre 2015. La Corte osserva che la perizia fu depositata soltanto nell’ottobre 2016, ossia circa nove mesi dopo, e che il ricorrente non ebbe la possibilità di esercitare il suo diritto di visita.

61. Il 28 novembre 2016 il tribunale, sulla base della perizia che evidenziava che il disagio del bambino aumentava, decise che il collocamento era la soluzione migliore per preservarlo da un ambiente familiare pregiudizievole che non teneva conto né del suo benessere, né dei suoi bisogni.

62. La Corte rammenta che non ha il compito di sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali competenti per quanto riguarda le misure che avrebbero dovuto essere adottate, in quanto le stesse, in linea di principio, si trovano in una posizione migliore per procedere a tale valutazione, in particolare perché sono a diretto contatto con il contesto della causa e con le parti interessate (Reigado Ramos, sopra citata, § 53). Non per questo, tuttavia, essa può ignorare, nel caso di specie, i fatti sopra esposti (paragrafi 55-61 supra). In particolare, essa osserva che il ricorrente ha costantemente cercato di stabilire dei contatti con suo figlio a partire dal 2010 e, nonostante varie decisioni del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare, le autorità non hanno trovato soluzioni per permettergli di esercitare regolarmente il suo diritto di visita. Il ricorrente ha potuto esercitare il suo diritto di visita soltanto in maniera molto limitata fino al 2015. La richiesta di perizia del minore e dei genitori formulata fin dal 2012 è stata accolta soltanto nel 2015, e la relazione peritale è stata depositata in ritardo, nell’autunno del 2016.

63. La Corte ammette, certamente, che le autorità si trovavano di fronte, nel caso di specie, a una situazione molto difficile che derivava soprattutto dalle tensioni esistenti tra i genitori del bambino. Essa ammette che la mancata esecuzione del diritto di visita del ricorrente, all’inizio, era soprattutto imputabile al rifiuto manifesto della madre del bambino, poi al rifiuto del bambino e alla mancanza di impegno da parte del ricorrente nella relazione con suo figlio. Ciò premesso, essa rammenta che una mancanza di cooperazione tra genitori separati non può dispensare le autorità competenti dal mettere in atto tutti i mezzi che possano permettere il mantenimento del legame familiare (Nicolò Santilli, sopra citata, § 74, Lombardo, sopra citata, § 91, e Zavřel, sopra citata, § 52).

64. In effetti, le autorità non hanno dimostrato la diligenza necessaria nel caso di specie e sono rimaste al di sotto di quello che si poteva ragionevolmente attendere da loro. La Corte ritiene, in particolare, che i giudici nazionali non abbiano adottato le misure idonee per creare le condizioni necessarie alla piena realizzazione del diritto di visita del padre del minore (Bondavalli, sopra citata, § 81, Macready c. Repubblica ceca, nn. 4824/06 e 15512/08, § 66, 22 aprile 2010, Piazzi, sopra citata, § 61, e Strumia, sopra citata). Essa constata soprattutto che, dopo la trasmissione del fascicolo da parte del giudice tutelare alla procura nel 2015, la decisione di collocare il minore in un istituto è stata presa soltanto due anni dopo, mentre il ricorrente non poteva più vedere il bambino e quest’ultimo, come ha sottolineato la perizia, si trovava in un ambiente familiare pregiudizievole.

65. La Corte osserva che i giudici interni non hanno adottato rapidamente delle misure concrete e utili volte a instaurare dei contatti effettivi tra il ricorrente e il bambino, e che hanno successivamente «tollerato», per un certo tempo, che l’interessato non potesse vedere suo figlio liberamente. Essa constata, in particolare, che nonostante fosse stato trasmesso il fascicolo alla procura per i minorenni segnalando la situazione critica del bambino nel 2014, non è stata adottata alcuna misura prima del novembre 2016.

66. Ora, sebbene gli strumenti giuridici previsti dal diritto italiano sembrino sufficienti, secondo la Corte, per permettere allo Stato convenuto di assicurare il rispetto degli obblighi positivi che derivano per quest’ultimo dall’articolo 8 della Convenzione, si deve constatare che le autorità hanno lasciato che si consolidasse, per un certo tempo, una situazione di fatto che si era prodotta in violazione delle decisioni giudiziarie.

67. La Corte osserva che, nel caso di specie, di fronte all’opposizione della madre del bambino, che perdurava dal 2010 e alla difficoltà del ricorrente a esercitare il diritto di visita, le autorità nazionali non hanno adottato rapidamente tutte le misure necessarie che si potevano ragionevolmente esigere dalle stesse per far rispettare il diritto del ricorrente di avere dei contatti con suo figlio e stabilire una relazione (Strumia, sopra citata, § 123).

68. Alla luce di quanto sopra esposto e nonostante il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in materia, la Corte considera che le autorità nazionali non abbiano compiuto gli sforzi adeguati e sufficienti per far rispettare il diritto di visita del ricorrente e che abbiano violato il diritto dell’interessato al rispetto della sua vita familiare.

69. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

70. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione:
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

71. Il ricorrente chiede la somma di 50.000 euro (EUR) a titolo di danno materiale per i viaggi che afferma di avere dovuto effettuare per poter incontrare suo figlio, e la somma di 80.000 EUR per il danno morale che avrebbe subìto a causa della difficoltà a mantenere i rapporti con lui dal 2010 al 2018.

72. Il Governo contesta le richieste del ricorrente e afferma che, per quanto riguarda il danno materiale, non esiste un nesso di causalità tra i danni citati e l’azione dello Stato. Per quanto riguarda il danno morale, il Governo si affida al giudizio della Corte.

73. La Corte prende atto che non vi è un nesso di causalità diretto tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto. Quanto al danno morale, tenuto conto delle circostanze della presente causa, la Corte considera che l’interessato abbia subìto un danno morale che non possa essere riparato dalla semplice constatazione di violazione dell’articolo 8 della Convenzione. Essa ritiene, tuttavia, che la somma richiesta a questo titolo sia eccessiva. Considerati tutti gli elementi di cui dispone e deliberando in via equitativa, ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, essa accorda all’interessato la somma di 10.000 EUR a questo titolo.

B. Spese

74. Il ricorrente chiede la somma di 1.750,89 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi ai giudici nazionali e, producendo i relativi documenti giustificativi, la somma di 5.328,96 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.

75. Il Governo ritiene che la somma richiesta per il procedimento interno non sia giustificata, e che quella richiesta per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte sia sproporzionata.

76. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute soltanto nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte considera ragionevole la somma di 5.000 EUR per tutte le spese sostenute, e la accorda al ricorrente.

C. Interessi moratori

77. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara,
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi, le somme seguenti:
      1. 10.000 EUR (diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale;
      2. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  4. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 10 dicembre 2020, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Alena Poláčková
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto