Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 14 gennaio 2021 - Ricorso n.21052/18 - Causa Terna contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA TERNA c. ITALIA

(Ricorso n. 21052/18)

SENTENZA

Art 8Vita familiare • Collocamento in comunità della nipote rom della ricorrente che si occupava di lei sin dalla nascita • Relazione familiare tra la nonna e la nipote • Ricorrente che non ha cessato di tentare di riprendere dei contatti con la minore senza aver potuto esercitare il suo diritto di visita nonostante le decisioni del tribunale • Mancanza di sforzi adeguati e sufficienti da parte delle autorità nazionali per far rispettare il diritto di visita della ricorrente • Problema sistemico

Art 14+8Discriminazione • Nessuna motivazione, legata all'origine etnica della minore e della sua famiglia, invocata dai giudici interni per giustificare il collocamento della bambina • Perizie che constatano l'incapacità della ricorrente di esercitare il ruolo genitoriale e difficoltà della minore che cresce in un ambiente delinquenziale, e che presenta disturbi dell'attaccamento • Interesse superiore della minore

STRASBURGO
14 gennaio 2021

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Terna c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Ksenija Turković, presidente,
Krzysztof Wojtyczek,
Linos-Alexandre Sicilianos,
Gilberto Felici,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato,
Lorraine Schembri Orland, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere di sezione,
Visti:
il ricorso (n. 21052/18) proposto contro la Repubblica italiana da una cittadina di questo Stato, la sig.ra Emilia Terna («la ricorrente»), che il 7 maggio 2018 ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),

la decisione di portare il ricorso a conoscenza del governo italiano («il Governo»),

le osservazioni comunicate dal governo convenuto e quelle comunicate in risposta dalla ricorrente,

le osservazioni del Centro europeo per i diritti dei Rom, che il presidente della sezione ha autorizzato a partecipare come terzo interveniente,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio l’8 dicembre 2020,

Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. Il ricorso riguarda la dedotta violazione del diritto al rispetto della vita familiare della ricorrente a causa dell'allontanamento e della presa in carico da parte dei servizi sociali di sua nipote (appartenente alla comunità rom), di cui si occupava sin dalla nascita. La ricorrente lamenta, inoltre, che il trattamento controverso subìto a partire da marzo 2016 è dovuto alla stigmatizzazione della famiglia della minore legata all'appartenenza di quest'ultima all'etnia rom.

IN FATTO

2. La ricorrente è nata nel 1966 e risiede a Milano. È stata rappresentata dall’avvocato G. Perin.

3. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia.

I. I PRECEDENTI PENALI DELLA RICORRENTE

4. La ricorrente è una cittadina italiana. Nel 2001 sposò S.T., di etnia rom.

5. Il 24 settembre 2008 la ricorrente fu arrestata, insieme al marito, nell'ambito di un'indagine riguardante un traffico di stupefacenti e fu condannata a due anni e dieci mesi di reclusione.

6. L'8 febbraio 2011, nell'ambito di un'altra causa, il giudice dell'udienza preliminare di Trento condannò la ricorrente a quattro anni di reclusione per traffico di droga.

7. Il 23 novembre 2011 nei confronti della ricorrente fu disposta la misura dell’affidamento in prova ai servizi sociali, al quale fu sottoposta fino al 22 giugno 2012.

8. Nel 2013 fu condannata per resistenza a pubblico ufficiale nell’ambito di una lite con la sua primogenita.

9. Nel 2014 la ricorrente fu condannata per tratta di persone, così come suo marito, per aver trasportato con la sua auto alcuni immigrati dalla Germania verso l'Italia. Nell'aprile 2014 fu sottoposta a detenzione in Germania e rilasciata in una data non precisata durante l'estate 2014.

II. IL CONTESTO FAMILIARE E IL COLLOCAMENTO DI I.

10. Il 12 novembre 2010 una delle due figlie di S.T. partorì una figlia, I. Non potendo prendersi cura della bambina, i genitori di I. chiesero alla ricorrente e a suo marito di occuparsi di lei. Dinanzi alla Corte, la ricorrente sostiene che la bambina fu affidata a lei e a suo marito nell'ambito di una procedura ufficiale di presa in carico ai sensi dell'articolo 9, comma 4, della legge n. 183 del 1984. Il fascicolo non contiene alcuna prova di una decisione delle autorità in tal senso.

11. Il 13 marzo 2014 la ricorrente chiese l'assistenza dei servizi sociali di Milano per iscrivere la minore a scuola, poiché quest’ultima non aveva documenti d'identità.

12. Secondo la relazione dei servizi sociali inviata al tribunale per i minorenni di Milano («il tribunale»), occorreva istituire un programma di assistenza sociale mantenendo il collocamento della bambina presso i nonni. Secondo questo stesso documento, la minore era ben inserita nella famiglia della ricorrente.

13. Dopo l'arresto della ricorrente nell'aprile 2014 e durante la sua detenzione, la minore fu affidata alla sorella dell’interessata.

14. Con decreto del 10 luglio 2014, il tribunale osservò che la bambina non aveva documenti d'identità e che i suoi nonni avevano precedenti penali. Inoltre, sottolineò che la bambina aveva un ritardo del linguaggio e un problema podologico che richiedevano un controllo medico. Tenuto conto del fatto che la bambina sembrava essere ben inserita nella famiglia della ricorrente, il tribunale affidò la sua custodia al comune di Milano con collocamento presso l'interessata; ordinò altresì l'iscrizione della minore all'asilo nido e una valutazione psicosociale di quest'ultima e della ricorrente.

15. Il 20 luglio 2015 i servizi sociali informarono il tribunale che la bambina frequentava l'asilo nido e che la valutazione psicosociale della ricorrente era in corso. Chiesero al tribunale di confermare il collocamento della minore presso la ricorrente.

16. Il 2 settembre 2015 un'equipe di neuropsichiatria infantile (UONPIA) incaricata di effettuare una perizia sulla minore inviò al tribunale una relazione che mostrava un legame molto forte tra quest’ultima e la ricorrente, la quale era percepita dalla bambina come una «madre», capace di rispondere ai bisogni primari della nipote. La relazione evidenziava anche che la bambina aveva un disturbo comportamentale.

17. Con un’altra relazione del 23 febbraio 2016, una psicologa dell'Agenzia di tutela della salute di Milano, incaricata di effettuare una valutazione della ricorrente, sottolineò che quest’ultima era in grado di prendersi cura della bambina e che un allontanamento della minore era da escludere. Secondo questa relazione, la bambina aveva stabilito un buon rapporto con la ricorrente, che considerava come una «madre» e dalla quale riceveva le cure necessarie per soddisfare i suoi bisogni.

18. Con decreto del 4 marzo 2016, il tribunale affidò la custodia della bambina al comune di Milano e confermò il suo collocamento presso la ricorrente, dichiarò i genitori della minore decaduti dalla responsabilità genitoriale e inviò il fascicolo al giudice tutelare ai fini del monitoraggio della situazione familiare.

19. Con provvedimento del 31 marzo 2016, il giudice tutelare nominò un esperto per effettuare una valutazione della situazione della famiglia, poiché, a suo parere, le conclusioni fornite dai servizi sociali erano incomplete ed era necessaria una verifica delle attività della ricorrente, del suo livello di istruzione, dei suoi precedenti penali e di quelli di suo marito.

20. Il 5 aprile 2016 fu nominata la tutrice della minore, la sig.ra C.

21. Secondo la ricorrente, durante la sua prima visita a casa sua, la tutrice le chiese se fosse di etnia rom.

22. Il 20 luglio 2016, dopo tre mesi di indagini e diversi colloqui, l'esperto presentò la sua relazione in cui osservava che la ricorrente doveva affrontare delle sfide difficili per gestire lo sviluppo della minore, in quanto quest’ultima aveva ritardi nel linguaggio e un disturbo dell'attaccamento. Riferiva che la ricorrente era priva di capacità genitoriali. Aggiungeva che quest’ultima, non avendo un lavoro, si trovava in una situazione economica molto difficile. Indicava anche che la bambina stava crescendo in una famiglia in cui diversi membri avevano precedenti penali. L'esperto riteneva che una possibile soluzione fosse il collocamento della minore in una famiglia affidataria e/o in una comunità mantenendo i contatti con la ricorrente. Osservava che la tutrice della minore aveva espresso dei dubbi sul mantenimento di contatti, motivati dalla eventualità di una sottrazione di quest’ultima da parte della sua famiglia rom, e che la stessa consigliava una rottura del legame tra la minore e la ricorrente. Concludeva che, in caso di rottura del legame, la minore avrebbe subito un trauma molto forte e che sarebbe stato necessario prevedere una presa in carico psicoterapeutica.

23. Con una decisione del 27 settembre 2016, dopo aver analizzato l'ambiente familiare nel quale si era sviluppata la minore, il giudice tutelare, sulla base delle conclusioni dell'esperto e della tutrice e considerando che la bambina dovesse essere allontanata da un ambiente in cui era già penalizzata sotto diversi punti di vista (economico, educativo, affettivo e relazionale (a causa dei precedenti penali dei membri della famiglia)), dispose l'allontanamento della minore e il suo collocamento in comunità.

24. Il 28 settembre 2016 fu avviato un procedimento dinanzi al tribunale per verificare lo stato di abbandono della minore e avviare una procedura di adozione.

25. Il 7 ottobre 2016 il tribunale, alla luce della decisione del giudice tutelare e delle relazioni dei servizi sociali secondo cui le condizioni della bambina erano migliorate (aveva iniziato a frequentare la scuola e a recuperare il ritardo nel linguaggio che presentava), emise un provvedimento con il quale confermò il collocamento della minore in comunità e incaricò i servizi sociali di gestire i contatti tra la ricorrente e la bambina, garantendo che quest’ultima ricevesse una terapia psicologica.

26. Il 2 novembre 2016 la minore fu collocata in comunità.

27. Il 7 novembre 2016 la tutrice della bambina presentò al giudice tutelare una domanda volta alla sospensione degli incontri ordinati dal tribunale. Secondo la tutrice, vi era un'alta probabilità che la famiglia rom della bambina potesse sottrarre forzatamente quest’ultima se avesse scoperto dove era stata collocata. Sempre secondo la tutrice, in passato vi erano stati casi in cui dei familiari di bambini rom avevano pedinato questi ultimi dopo lo svolgimento di incontri in ambiente protetto al fine di scoprire il luogo in cui questi minori erano stati collocati.

La sua domanda era così formulata:
«(...) Ritengo quindi alta la probabilità che la famiglia Rom di appartenenza della bambina possa sottrarre forzatamente la minore se ne scoprisse la collocazione. A fronte di questo propongo la sospensione dei colloqui con la ricorrente.

Sottolineo, inoltre, il comportamento inappropriato dell’assistente sociale, sig.ra P., che ha chiamato in comunità per premere e forzare l’inizio dei colloqui almeno una decina di volte. (...)

Già nella stessa comunità vi sono state esperienze di bambini sottratti alle comunità da [famiglie ] Rom, dopo i colloqui in area protetta (...)

Richiedo

La sospensione di ogni colloquio e contatto con la ricorrente essendo altissima la probabilità che la bambina comunichi [il nome del]la città ove vive e i cognomi della famiglia ospitante, dando seguito anche al pericolo di un prelievo forzato della bambina da parte della comunità Rom.»

28. Con decreto dell'8 novembre 2016, sei giorni dopo il collocamento in comunità, il giudice tutelare invitò i servizi sociali a sospendere gli incontri e chiese al tribunale di prevedere degli incontri in ambiente protetto in presenza di membri della polizia, se ciò fosse stato nell'interesse della bambina, per poter garantire l'anonimato del luogo di collocamento di quest’ultima.

29. Il 16 novembre 2016 l’equipe di presa in carico psicologica che si occupava del controllo della minore e della ricorrente presentò la relazione richiesta dal tribunale. In questo documento, gli esperti concludevano che la scelta migliore era quella di mantenere il collocamento della bambina presso la ricorrente, precisando che quest’ultima non aveva mostrato alcuna propensione alla sottrazione di minore come evidenziato dalla tutrice. Gli esperti confermavano che la ricorrente stava ancora ricevendo un sostegno psicologico al fine di ottenere gli strumenti necessari per gestire la separazione dalla minore.

30. Con un decreto del 6 dicembre 2016, il tribunale confermò la sua precedente decisione e incaricò i servizi sociali di organizzare gli incontri con la ricorrente avendo cura di preservare l'anonimato del luogo di collocamento della bambina.

31. In data non precisata, il fascicolo fu inviato ai servizi sociali del luogo di residenza della tutrice della minore. Non fu organizzato nessun incontro nonostante le richieste formulate dalla ricorrente ai servizi sociali di rispettare la decisione del tribunale.

32. In data non precisata, il tribunale richiese una nuova perizia e incaricò lo stesso esperto che chiese di sospendere gli incontri per il tempo necessario a preparare la perizia. L'8 febbraio 2017 il tribunale accolse la richiesta di quest’ultimo e gli incontri, che peraltro non avevano mai avuto luogo, furono sospesi fino alla conclusione della perizia.

33. Il 29 maggio 2017 la psicologa di Milano, che seguiva la bambina da parecchi anni, presentò una relazione in cui attestava il malessere della minore a causa della lunga interruzione dei contatti con la ricorrente. A suo parere, gli incontri dovevano essere organizzati proprio nell'interesse della bambina e del suo benessere psicologico.

34. L'11 giugno 2017 l'esperto depositò la sua relazione. A suo parere, la ricorrente era priva di capacità genitoriali e la relazione bambina-ricorrente avrebbe potuto essere interrotta senza che la minore, già ben inserita nella sua nuova famiglia, dovesse subire danni psicologici diversi da quelli già osservati.

35. L'11 luglio e il 16 novembre 2017 la ricorrente chiese al tribunale di revocare la decisione con cui i contatti erano stati sospesi in attesa del completamento della perizia.

36. Con sentenza del 12 aprile 2018, notificata alla ricorrente il 17 maggio 2018, il tribunale dichiarò lo stato di adottabilità della bambina. Per giungere a tale conclusione il tribunale osservò innanzitutto che i genitori naturali della bambina erano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale e che la ricorrente era l'unica ad essersi opposta alla dichiarazione di adottabilità, poiché il nonno della minore era in carcere. Il tribunale ritenne che la minore si trovasse in uno stato di abbandono morale e materiale. Per quanto riguarda la ricorrente, considerò che quest’ultima non poteva esercitare delle funzioni genitoriali che permettessero di assicurare uno sviluppo sano ed equilibrato della bambina per diversi motivi: in primo luogo, la bambina era cresciuta in un ambiente delinquenziale, segnato anche dalle varie condanne della ricorrente e dal fatto che la stessa aveva continuato a vedere suo marito in prigione senza prendere le distanze dall’attività criminale di quest’ultimo; in secondo luogo, la ricorrente aveva nascosto per diversi anni l'esistenza della bambina alle autorità e non aveva mai informato la minore della verità sui suoi genitori; inoltre, la perizia aveva evidenziato delle carenze cognitive ed affettive nonché l'incapacità della ricorrente di anteporre i bisogni della bambina ai propri.

37. La ricorrente interpose appello il 13 giugno 2018. In particolare, basandosi sulle conclusioni che tutti gli psicologi avevano presentato fino al mese di marzo 2016, chiese alla corte d'appello di non dichiarare lo stato di adottabilità della bambina e, in subordine, di autorizzarla a incontrare la nipote secondo modalità stabilite dalla stessa corte. Anche i genitori della bambina interposero appello. Il curatore della minore, che nel frattempo era stato nominato, chiese alla corte d'appello di permettere alla ricorrente di incontrare la minore in modo da mantenere un legame tra loro.

38. Il 21 novembre 2018 la corte d'appello ordinò una nuova perizia per valutare il legame tra I. e la ricorrente. Il 6 dicembre 2018 chiese all’esperto:

«di descrivere l’attuale situazione psico-emotiva della minore e di esprimere [il suo parere] a questo proposito (…);
di fornire tutte le informazioni utili e le valutazioni sulla qualità dell’inserimento della bambina nella famiglia a cui era stata affidata;
di indicare quale ruolo avesse, nell'immaginario della minore, la figura della ricorrente;
di fornire, nel caso in cui si stabilisse che la ricorrente sarebbe in grado di svolgere un ruolo positivo per la minore, informazioni sull’opportunità per I., per il suo benessere psicofisico, di mantenere rapporti con la ricorrente e di indicare, eventualmente, quali sarebbero le procedure e le precauzioni da adottare.»

39. L'esperto presentò la sua relazione il 16 luglio 2019. In essa indicava che non vi erano motivi per pronunciarsi a favore dell’allontanamento della bambina, in quanto la ricorrente svolgeva adeguatamente il suo ruolo e precisava che l'interruzione di tutti i contatti era priva di qualsiasi giustificazione. Aggiungeva che, al momento della perizia, la nuova assistente sociale, la signora G., aveva confermato che non vi erano ragioni concrete per pensare che vi fosse un rischio reale di sottrazione. Inoltre, indicava che l'improvvisa rottura del rapporto con la nonna aveva determinato «nella mente della bambina uno scenario molto accidentato e precario, i cui effetti drammatici si erano innestati sul già fragile terreno della dolorosa storia familiare». Riteneva che la ripresa dei contatti con la ricorrente fosse nell'interesse della minore.

40. Dalle ultime informazioni fornite dalle parti risulta che la causa è pendente dinanzi alla corte d'appello di Milano.

IL QUADRO GIURIDICO INTERNO PERTINENTE

41. Il diritto interno pertinente nel caso di specie è descritto nella sentenza R.V. e altri c. Italia (n. 37748/13, §§ 65-69 18 luglio 2019).

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

42. La ricorrente lamenta la violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare a causa della mancata esecuzione del suo diritto di visita riconosciuto nel 2016. Invoca l’articolo 8 della Convenzione, che recita:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A. Sulla ricevibilità

43. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto, al momento della presentazione del ricorso, il procedimento relativo all'adottabilità della bambina era ancora in corso e ad oggi non si è ancora concluso. A suo avviso, la ricorrente chiede alla Corte di sostituirsi alle giurisdizioni interne.

44. La ricorrente sostiene che la sua doglianza non riguarda l'adottabilità della bambina ma l'allontanamento di quest’ultima e l'interruzione di ogni contatto con lei. Dichiara di essersi ripetutamente rivolta ai servizi sociali per chiedere l'esecuzione del decreto del tribunale dell'11 ottobre 2016, ma di essersi scontrata con la mancata organizzazione di incontri. Afferma anche che, dopo il completamento della perizia, ha presentato due domande al tribunale, rispettivamente l'11 luglio 2017 e il 16 novembre 2017, ma senza risultato. Ritiene di aver esaurito le vie di ricorso conformemente al diritto interno.

45. La Corte osserva, in primo luogo, che la doglianza della ricorrente riguarda la questione dell'attuazione del diritto di visita secondo le modalità stabilite dal tribunale. Rammenta di aver già dichiarato nelle sue precedenti sentenze contro l'Italia (Lombardo c. Italia, n. 25704/11, § 63, 29 gennaio 2013, e Nicolò Santilli c. Italia, n. 51930/10, § 45, 17 dicembre 2013) che le decisioni del tribunale per i minorenni riguardanti, in particolare, il diritto di visita non erano definitive e potevano quindi essere modificate in qualsiasi momento in funzione degli eventi connessi alla situazione controversa. Così, l'evoluzione del procedimento interno è la conseguenza del carattere non definitivo delle decisioni del tribunale per i minorenni in materia di diritto di visita. Peraltro, la Corte osserva, nella fattispecie, che la ricorrente non ha potuto esercitare pienamente il suo diritto di visita a partire dal 2016 e che l’interessata ha presentato il suo ricorso dinanzi alla Corte il 7 maggio 2018 dopo aver adito due volte il tribunale che si era pronunciato sul suo diritto. Osserva che la ricorrente ha effettivamente adito il tribunale per i minorenni l'11 luglio e il 16 novembre 2017 per chiedere la ripresa dei contatti (Lombardo, sopra citata, § 63, Nicolò Santilli, sopra citata, § 46, e Strumia c. Italia, n. 53377/13, §§ 90-92, 23 giugno 2016), visto che il procedimento relativo al diritto di visita era indipendente da quello riguardante l'adottabilità della minore.

46. Tenuto conto di questi elementi, la Corte ritiene che la ricorrente abbia esaurito le vie di ricorso disponibili e che l’eccezione sollevata dal Governo debba essere respinta.

47. Costatando che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per uno degli atri motivi indicati nell'articolo 35 della Convenzione, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

a) La ricorrente

48. La ricorrente indica che non vede sua nipote da più di tre anni, nonostante tutte le autorità abbiano riconosciuto, fin dall'inizio dei procedimenti giudiziari, l'esistenza di un legame molto forte che la unisce alla bambina.

49. Facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte, la ricorrente sostiene che l'interesse suo e della minore a mantenere dei legami coincidono. L'estrema gravità dello stato psicologico della minore in seguito alla rottura di ogni contatto tra la lei e la nipote è stata constatata nell'ultima relazione peritale depositata in corte d'appello.

50. La ricorrente afferma che, dopo l'assegnazione della tutela alla signora C., la sua situazione e quella della bambina sono radicalmente cambiate. Sostiene che la tutrice, durante la prima e unica visita a casa sua, dopo aver ottenuto conferma dell'origine rom della bambina, ha affermato che quest’ultima doveva essere allontanata. Questo comportamento della tutrice - che l’interessata qualifica come pregiudizio nei confronti dei Rom – risulta dalla relazione inviata dalla signora C. al giudice tutelare.

51. La ricorrente insiste sul cambiamento di atteggiamento di cui sarebbe stata oggetto. Secondo lei, dopo essere stata considerata per due anni da tutti come una «buona nonna», da un giorno all’altro è stata percepita come una persona che non meritava più di rivedere sua nipote e, tutto questo, nonostante i progressi costanti attestati dai servizi sociali riguardanti sia la minore che lei stessa.

52. Per quanto riguarda la questione dei precedenti penali, la ricorrente sostiene che, nella fattispecie, i giudici ne erano a conoscenza fin dall'inizio. Sostiene anche che nel diritto italiano, in assenza di prove che dimostrino che la condotta criminale abbia interessato il minore, i precedenti penali non costituiscono, da soli, un motivo valido per separare un bambino dalla sua famiglia. Aggiunge che le persone che violano la legge penale devono essere soggette alle pene determinate dal codice penale e che quest'ultimo non prevede la pena accessoria della perdita di ogni contatto con i parenti. Precisa che la valutazione operata a questo proposito deve essere fatta considerando unicamente i legami affettivi del bambino.

53. Per quanto riguarda la condanna per «tratta di perone», la ricorrente sostiene di essere stata condannata a causa del suo status di proprietaria dell'auto che, secondo lei, era stata presa in prestito da suo marito e da un uomo straniero per accompagnare dei parenti senza permesso di soggiorno in Germania. Non c'era quindi un crimine violento in cui la vita delle persone sarebbe stata messa in pericolo, poiché la criminalizzazione del comportamento denunciato avrebbe come scopo principale la difesa delle frontiere dello Stato.

b) Il Governo

54. Il Governo ritiene che l'ingerenza in questione sia espressamente prevista dalla legge n. 184 del 1983 e afferma che la finalità di quest’ultima è la tutela del minore interessato: secondo il Governo, si tratta di garantire che il minore possa crescere in un ambiente non compromesso da forti connotazioni delinquenziali, ma caratterizzato da una stabile figura di riferimento in grado di svolgere le delicate funzioni e responsabilità genitoriali. Secondo il Governo, questa ingerenza rispetta il criterio della «necessità in una società democratica».

55. Il Governo sostiene che la ricorrente non aveva mai rivelato le sue vere origini alla minore fino al 2014, e che quest’ultima è cresciuta senza documenti e senza vedere un pediatra, nonostante soffrisse di un disturbo del linguaggio e di un problema podologico. Inoltre, afferma che la bambina è stata cresciuta in un ambiente con forte connotazione delinquenziale, poiché la ricorrente era stata condannata per possesso e traffico di droga e per tratta di persone.

56. Il Governo indica che le autorità hanno preso in considerazione le condizioni di vita offerte alla minore, che sarebbero state insoddisfacenti e segnate da privazioni materiali, così come altri fattori quali le condizioni psichiche della ricorrente e di suo marito e la loro capacità affettiva, educativa e pedagogica, che considera inesistente.

57. Il Governo afferma inoltre che, nel corso del procedimento dinanzi alla corte d'appello, è stata ordinata una terza perizia per accertare la situazione psicologica della minore e la possibilità di riattivare gli incontri.

58. Il Governo ritiene che, favorendo gli incontri, vi era un elevato rischio di compromettere definitivamente l'equilibrio della minore e la validità del percorso intrapreso, nella probabile eventualità di una sottrazione della bambina da parte della ricorrente o da parte dei familiari di suo marito a causa dei precedenti penali specifici di queste persone.

59. Il Governo ammette che vi è stata un'ingerenza delle autorità nella vita familiare della ricorrente, ma questo, a suo dire, è stato fatto senza violare gli obblighi positivi dello Stato e in presenza della necessità di proteggere l'interesse superiore della minore ad essere allontanata da un ambiente deleterio con forte connotazione delinquenziale.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali

60. Come la Corte ha più volte rammentato, l’articolo 8 ha essenzialmente ad oggetto la tutela dell’individuo dalle ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, ma non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a questo obbligo negativo possono aggiungersi degli obblighi positivi attinenti a un effettivo rispetto della vita privata o familiare. Questi ultimi possono implicare l’adozione di misure finalizzate al rispetto della vita familiare, anche nelle relazioni reciproche fra individui, tra cui la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti per garantire i diritti legittimi degli interessati e il rispetto delle decisioni giudiziarie, o l’attuazione di misure specifiche appropriate (si veda Zawadka c. Polonia, n. 48542/99, § 53, 23 giugno 2005). Tali strumenti giuridici devono permettere allo Stato di adottare misure atte a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori (si vedano, Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 108, CEDU 2000 I, Sylvester c. Austria, nn. 36812/97 e 40104/98, § 68, 24 aprile 2003, Zavřel c. Repubblica ceca, n. 14044/05, § 47, 18 gennaio 2007, e Mihailova c. Bulgaria, n. 35978/02, § 80, 12 gennaio 2006). La Corte rammenta altresì che gli obblighi positivi non implicano solo che si vigili affinché il minore possa incontrasi con il genitore o mantenere un contatto con lui, bensì comprendono anche tutte le misure propedeutiche che consentono di pervenire a tale risultato (si vedano, Kosmopoulou c. Grecia, n. 60457/00, § 45, 5 febbraio 2004, Amanalachioai c. Romania, n. 4023/04, § 95, 26 maggio 2009, Ignaccolo-Zenide, sopra citata, §§ 105 e 112, e Sylvester, sopra citata, § 70).

61. La Corte rammenta inoltre che il fatto che gli sforzi delle autorità siano stati vani non implica automaticamente che lo Stato si sia sottratto agli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione (Nicolò Santilli, sopra citata, § 67). In effetti, l'obbligo in capo alle autorità nazionali di adottare misure idonee a riavvicinare il figlio e il genitore non convivente non è assoluto, e la comprensione e la cooperazione di tutte le persone coinvolte costituiscono sempre un fattore importante. Anche se le autorità nazionali devono impegnarsi ad agevolare tale collaborazione, l’obbligo per le stesse di ricorrere alla coercizione in materia non può che essere limitato: esse devono tener conto degli interessi, nonché dei diritti e delle libertà di dette persone, e in particolare dell’interesse superiore del minore e dei diritti conferiti al medesimo dall’articolo 8 della Convenzione (Voleský c. Repubblica ceca, n. 63267/00, § 118, 29 giugno 2004).

62. Per quanto riguarda il diritto al rispetto della vita familiare dei minori, la Corte rammenta che esiste attualmente un ampio consenso – anche nel diritto internazionale – intorno all’idea che in tutte le decisioni che riguardano dei minori il loro interesse superiore debba prevalere (si veda, tra altre, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 135, CEDU 2010). Essa sottolinea del resto che, nelle cause in cui sono in gioco questioni di affidamento di minori e di restrizioni del diritto di visita, l’interesse del minore deve prevalere su qualsiasi altra considerazione (Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, § 204, 10 settembre 2019). È necessaria la massima prudenza quando si tratta di ricorrere alla coercizione in questa materia delicata (Mitrova e Savik c. l’ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, n. 42534/09, § 77, 11 febbraio 2016, e Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, § 53, 22 novembre 2005). Il punto decisivo consiste dunque nell’appurare se, concretamente, le autorità nazionali abbiano adottato, allo scopo di agevolare le visite tra genitore e figlio, tutte le misure necessarie che si potevano ragionevolmente esigere da esse (Nuutinen c. Finlandia, n. 32842/96, § 128, CEDU 2000 VIII).

b) Applicazione di questi principi nel caso di specie

63. Passando a esaminare i fatti della presente causa, la Corte osserva in primo luogo che, nella fattispecie, non viene contestato che il legame tra la ricorrente e la minore rientri nella vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione (Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 221, CEDU 2000 VIII, e Manuello e Nevi c. Italia, n. 107/10, §§ 50-53, 20 gennaio 2015).

64. La Corte osserva anzitutto che, nella presente causa, la ricorrente è la nonna della minore, e rammenta di avere già considerato in alcune cause che i legami tra nonni e nipoti e quelli tra genitori e figli sono di natura e intensità diverse, e che, per la loro stessa natura, i primi richiedono in linea di principio un minor grado di protezione (Kruškić c. Croazia (dec.), n. 10140/13, 25 novembre 2014 §§ 108-110, e Mitovi c. l’ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, n. 53565/13, § 58, 16 aprile 2015). In altre cause, invece, la Corte ha considerato che la protezione accordata ai nonni non era ridotta a causa della presenza dei genitori che esercitano la responsabilità genitoriale (Nistor c. Romania, n. 14565/05, § 71, 2 novembre 2010, e Manuello e Nevi, sopra citata, §§ 50-53). Ora, pur rilevando che, nel caso di specie, è stata pronunciata la decadenza della responsabilità genitoriale nei confronti dei genitori della bambina, e sebbene non vi sia stata una procedura ufficiale di presa in carico della stessa da parte della ricorrente, la Corte osserva che quest’ultima si è occupata di lei da quando è nata, che si era sviluppato uno stretto legame interpersonale e che la ricorrente si è comportata a tutti gli effetti come la madre della minore (Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo, n. 76240/01, § 117, 28 giugno 2007; per il legame tra la famiglia affidataria e i minori si vedano Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, §§ 49-50, 27 aprile 2010, Kopf e Liberda c. Austria, n. 1598/06, § 37, 17 gennaio 2012; Antkowiak c. Polonia (dec.), n. 27025/17, 22 maggio 2018, e V.D. e altri c. Russia, n. 72931/10, §§ 90-93, 9 aprile 2019). Di conseguenza, la Corte ritiene che, nel caso di specie, i rapporti tra la ricorrente e sua nipote siano in linea di principio della stessa natura delle altre relazioni familiari protette dall’articolo 8 della Convenzione.

65. Inoltre, essa ritiene che, di fronte alle circostanze che le vengono sottoposte, il suo compito consista nel verificare se le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure che si potevano ragionevolmente esigere da esse per mantenere i legami tra la ricorrente e la minore (Bondavalli c. Italia, n. 35532/12, § 75, 17 novembre 2015) e nell’esaminare il modo in cui le stesse sono intervenute per agevolare l’esercizio del diritto di visita dell’interessata definito dai provvedimenti giudiziari (Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 58, serie A n. 299 A, e Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 105, 15 gennaio 2015). Inoltre, essa rammenta che, in questo tipo di cause, l’adeguatezza di una misura si valuta in base alla rapidità della sua attuazione (Piazzi c. Italia, n. 36168/09, § 58, 2 novembre 2010) per evitare che il passare del tempo possa avere, di per sé, delle conseguenze sulla relazione tra un genitore e suo figlio.

66. La Corte osserva che, a partire dal 2016, nel momento in cui la bambina è stata collocata in comunità, la ricorrente ha chiesto ripetutamente al tribunale che fossero organizzati degli incontri, ma non ha potuto esercitare il suo diritto di visita nonostante i provvedimenti emessi da tale giurisdizione (paragrafi 25 e 30 supra).

67. La Corte constata in effetti che la ricorrente non è riuscita a incontrare la minore, né in un primo tempo – in quanto il giudice tutelare aveva disposto, con il provvedimento emesso l’8 novembre 2016, la sospensione degli incontri basandosi sull’esistenza di un rischio di sottrazione della bambina – né successivamente – sebbene un secondo provvedimento del tribunale, in data 6 dicembre 2016, avesse disposto che fossero organizzati degli incontri, vista l’inerzia dei servizi sociali a tale riguardo.

68. La Corte osserva che, da una parte, nell’intervallo, l’equipe di presa in carico psicologica che seguiva la bambina ha sottolineato che non vi erano elementi che facessero temere un’eventuale sottrazione della stessa come aveva invece evidenziato la tutrice e che, dall’altra, la psicologa che seguiva la minore da vari anni ha emesso una relazione in cui rilevava un malessere di quest’ultima dovuto alla lunga interruzione dei contatti con la ricorrente, e raccomandava l’organizzazione di incontri nell’interesse della minore e del suo benessere psicologico.

69. La Corte osserva che, sebbene gli incontri non avessero mai avuto luogo, l’8 febbraio 2017 il tribunale ha accolto la domanda della tutrice di sospenderne l’organizzazione fino a quando fosse stata conclusa la perizia, che è stata portata a termine nel giugno 2017, e che, successivamente, la ricorrente ha depositato, invano, due domande dinanzi al tribunale, rispettivamente l’11 luglio e il 16 novembre 2017.

70. La Corte osserva che, in seguito, è stato dichiarato lo stato di adottabilità della minore, e il diritto di visita della ricorrente è stato sospeso.

71. La Corte rammenta che non ha il compito di sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali competenti per quanto riguarda le misure che avrebbero dovuto essere adottate, poiché tali autorità, in linea di principio, si trovano in una posizione migliore per procedere a tale valutazione, in particolare perché sono a diretto contatto con il contesto della causa e con le parti interessate (Reigado Ramos, sopra citata, § 53). Tuttavia, essa non può, nella fattispecie, ignorare i fatti precedentemente esposti (paragrafi 66-70 supra). In particolare, essa osserva che la ricorrente ha cercato costantemente di riprendere i contatti con la bambina da quando quest'ultima è stata collocata in comunità e che, nonostante le varie decisioni del tribunale, non ha potuto esercitare il suo diritto di visita.

72. Certamente, la Corte ammette che le autorità si siano trovate di fronte, nel caso di specie, a una situazione molto difficile che derivava soprattutto dal rischio di sottrazione, eccepito in particolare dalla tutrice, e dalle sue implicazioni per le modalità di svolgimento degli incontri. Tuttavia, essa osserva che, a tale proposito, il tribunale ha chiesto due volte ai servizi sociali di organizzare gli incontri secondo modalità volte a garantire l'anonimato del luogo in cui era stata collocata la bambina, ma che i servizi sociali non hanno mai dato seguito alle sue ingiunzioni (Jansen c. Norvegia, n. 2822/16, § 102, 6 settembre 2018).

73. La Corte ritiene che le autorità non abbiano dimostrato la diligenza necessaria nel caso di specie, e che siano rimaste al di sotto di quanto ci si poteva ragionevolmente attendere da esse. La Corte ritiene, in particolare, che i servizi sociali non abbiano adottato le misure appropriate per creare le condizioni necessarie alla piena realizzazione del diritto di visita della ricorrente (Bondavalli, sopra citata, § 81, Macready c. Repubblica ceca, nn. 4824/06 e 15512/08, § 66, 22 aprile 2010, Piazzi, sopra citata, § 61, e Strumia, sopra citata).

74. La Corte osserva che i giudici nazionali non hanno adottato rapidamente misure concrete e utili volte all'instaurazione di contatti effettivi tra la ricorrente e la bambina, e che hanno inoltre «tollerato» per un certo tempo che l'interessata non potesse vedere la minore. Essa constata, in particolare, che il tribunale ha deciso di sospendere il diritto di visita della ricorrente in attesa che fosse depositata la relazione peritale, mentre invece non era mai stata organizzata alcuna visita.

75. Ora, sebbene gli strumenti giuridici previsti dal diritto italiano sembrino sufficienti, secondo la Corte, per permettere allo Stato convenuto di assicurare il rispetto degli obblighi positivi che l'articolo 8 pone a suo carico, si deve constatare che le autorità hanno lasciato che si consolidasse, per un certo tempo, una situazione di fatto sorta nonostante i provvedimenti giudiziari emessi, senza tener conto degli effetti a lungo termine che potevano essere provocati da una separazione permanente tra la minore interessata e la persona incaricata di occuparsene, nella fattispecie la ricorrente.

76. Considerato quanto sopra esposto, e nonostante il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in materia, la Corte considera che le autorità nazionali non abbiano compiuto sforzi adeguati e sufficienti per far rispettare il diritto di visita della ricorrente, e che abbiano violato il diritto dell’interessata al rispetto della sua vita familiare.

77. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE IN COMBINATO DISPOSTO CON L’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

78. La ricorrente lamenta che il trattamento contestato, subìto a partire da marzo 2016, che essa definisce illegale, è dovuto alla stigmatizzazione della famiglia rom della minore.

La stessa invoca l’articolo 14 della Convenzione, così formulato:

«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»

A. Sulla ricevibilità

79. Constatando che questa doglianza non è manifestamente infondata né irricevibile per uno degli altri motivi indicati nell’articolo 35 della Convenzione, la Corte la dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti e osservazioni del terzo interveniente

a) La ricorrente

80. La ricorrente afferma che ci si trova di fronte a una «discriminazione palese e dichiarata», e che stabilire la prova dell’esistenza di una discriminazione è sempre molto difficile, in quanto chi discrimina cercherebbe di evitare qualsiasi riferimento alla vera motivazione dell’azione discriminatoria, e la discriminazione assumerebbe sistematicamente delle forme sottili e insidiose.

81. La ricorrente afferma che, a partire da marzo 2016, il «virus dei pregiudizi razziali» si è insediato in una procedura che, a suo parere, poteva fino a quel momento essere considerata un esempio molto positivo di azione pubblica di sostegno a una famiglia in difficoltà.

82. La stessa assicura che non vi erano motivi reali o sospetti fondati per temere la sottrazione della minore: a suo parere, a questo proposito è stata determinante la percezione soggettiva discriminatoria della tutrice. Nel caso di specie, si tratterebbe di «costruzione di un profilo razziale». Questo «virus dei pregiudizi razziali» avrebbe reso possibile l'allontanamento della minore dall'interessata e il divieto di qualsiasi contatto tra le stesse, mentre invece i rapporti dei servizi sociali e degli psicologi sarebbero stati favorevoli. A tale riguardo, la ricorrente precisa che l'assistente sociale che aveva seguìto fino ad allora la famiglia è stata sollevata dall’incarico a causa della sua insistenza per quanto riguarda la realizzazione degli incontri tra lei e la minore.

83. La ricorrente afferma che la domanda della tutrice (paragrafo 27 supra), in cui la parola «rom» sarebbe esplicitamente legata al rischio di sottrazione, costituisce la prova documentale dell'esistenza di una discriminazione fondata sull’origine etnica. Nel caso di specie, non vi sarebbero stati motivi specifici per considerare il rischio di sottrazione; in particolare, durante il suo colloquio con l'ultimo esperto incaricato, l'assistente sociale cui era stato affidato il caso a partire dall’allontanamento della nipote avrebbe ammesso che non vi erano motivi per temere la sottrazione della bambina.

84. La ricorrente indica che spettava allo Stato invertire la presunzione di discriminazione, ma che la prova in questione non è stata fornita dal Governo: a suo parere, quest'ultimo si è limitato a fare riferimento a dei precedenti penali, mentre invece il tribunale aveva autorizzato le visite pur essendo a conoscenza di tali precedenti. L'unico motivo per la dedotta ingerenza dello Stato nella vita familiare dell'interessata sarebbe basato sulla discriminazione per motivi etnici.

85. La ricorrente fa riferimento alla sentenza Jansen, sopra citata, per affermare che la sua separazione dalla minore ha comportato anche l’allontanamento della bambina dalla sua identità rom.

86. La ricorrente considera che il comportamento adottato dalle autorità nei suoi confronti ha prodotto l'effetto di minare la sua dignità e creare un ambiente intimidatorio, ostile, degradante e umiliante per lei, il che rappresenterebbe un caso tipico di vessazione.

b) Il Governo

87. Il Governo indica che il sistema giuridico italiano include il principio di non discriminazione tra i principi generali riguardanti l'adozione, e precisa che si tratta di un aspetto specifico del principio fondamentale di uguaglianza posto dall'articolo 3 della Costituzione.

88. Inoltre, il Governo sostiene che l'affermazione della ricorrente per quanto riguarda l'esistenza di una discriminazione non è fondata. A tale proposito, sostiene che la parola «discriminazione» significa «distinzione fatta a seguito di un giudizio o di una classificazione» e che, nel caso di specie, la ricorrente lamenta effettivamente l'assenza di una giustificazione «oggettiva e ragionevole» e imputa le decisioni adottate dalle autorità all’origine etnica di suo marito. Ora, secondo il Governo, le decisioni in questione hanno una base diversa e una giustificazione solida che non è legata all'origine etnica del marito della ricorrente e della sua famiglia.

Tutti i provvedimenti riguardanti la minore sarebbero stati adottati sulla base delle perizie condotte sulla bambina e sulla ricorrente.

89. Il Governo argomenta che la valutazione negativa dell’impatto degli incontri tra la ricorrente e la bambina sulla crescita armoniosa di quest'ultima è stata costruita sulla base dell’ambiente delinquenziale che faceva da contesto alla minore e della patologia sviluppata da quest'ultima (disturbo dell’attaccamento di tipo emotivo) tenuto conto della sua relazione «disfunzionale» con la nonna.

c) Il terzo interveniente

90. Il Centro europeo per i diritti dei Rom suggerisce l'esistenza di una situazione generale di razzismo istituzionale contro la minoranza rom e afferma che, nel sistema sociale italiano, prevale un «antiziganismo», che consiste nel permettere il collocamento di bambini rom in comunità educative, in seguito al quale tali minori sono dichiarati in stato di abbandono e, pertanto, adottabili in Italia. Il terzo interveniente insiste sull’esistenza di stereotipi razziali persistenti in Europa a proposito dei Rom, descritti come persone che rapiscono i bambini, e invita la Corte a utilizzare il termine «antiziganismo» per evocare le forme di discriminazione riguardanti i Rom. Il Centro continua esponendo quanto segue: da un'indagine condotta nel 2011 sulle discriminazioni nelle comunità per bambini in vari paesi d’Europa diversi dall'Italia, in cui i Rom rappresentano lo 0,23% della popolazione, il 10,4% dei bambini collocati in comunità sono bambini rom; per quanto riguarda l'Italia, l'indagine ha rivelato l'esistenza di comportamenti discriminatori all'interno del sistema, così come di idee diffuse tra gli assistenti sociali italiani che sarebbero responsabili del collocamento dei minori in comunità in ragione di una incapacità delle loro famiglie di crescerli e di educarli correttamente; il rapporto pubblicato all'esito di tale indagine ha messo in luce il fatto che il tribunale e le parti coinvolte nel sistema di collocamento dei minori rom in comunità hanno contribuito all'esistenza di tale stereotipo inopportuno, facendo sì che numerosi minori di origine rom fossero tolti alle loro famiglie e collocati in comunità.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali

91. La Corte rammenta che la discriminazione consiste nel trattare in maniera diversa, salvo giustificazione oggettiva e ragionevole, persone che si trovano in situazioni equiparabili (si veda Willis c. Regno Unito, n. 36042/97, § 48, CEDU 2002-IV). La discriminazione fondata, tra l’altro, sull’origine etnica di una persona è una forma di discriminazione razziale (D.H. e altri c. Repubblica ceca [GC], n. 57325/00, § 176 CEDU 2007 IV). La discriminazione razziale è una forma di discriminazione particolarmente odiosa che, in considerazione delle sue pericolose conseguenze, richiede una particolare attenzione e una reazione incisiva da parte delle autorità. Per questo motivo le autorità devono ricorrere a ogni mezzo disponibile per combattere il razzismo, rafforzando così la visione democratica di una società in cui la diversità sia percepita non come minaccia, bensì come una ricchezza (Natchova e altri c. Bulgaria [GC], nn. 43577/98 e 43579/98, § 145, CEDU 2005 VII; e Timichev c. Russia, n. 55762/00 e 55974/00, § 56, CEDU 2005).

92. La Corte ha altresì precisato che nessuna disparità di trattamento fondata esclusivamente o in misura determinante sull’origine etnica di una persona può essere considerata giustificata in una società democratica contemporanea (D.H. e altri, sopra citata § 176; Timichev, sopra citata, § 58).

93. Per quanto concerne l’onere della prova in materia, la Corte ha già affermato che una volta che il ricorrente abbia dimostrato l’esistenza di una disparità di trattamento, spetta al Governo provare che tale disparità era giustificata (D.H. e altri, sopra citata, § 177).

94. Per quanto riguarda i mezzi di prova che possono costituire una prova prima facie e, dunque, trasferire l’onere della prova allo Stato convenuto, la Corte ha osservato (Natchova e altri, sopra citata, § 147) che, nell’ambito del procedimento dinanzi ad essa, non esistevano ostacoli procedurali all’ammissibilità di elementi di prova, né formule predefinite applicabili alla valutazione delle stesse. In effetti, la Corte adotta le conclusioni che, a suo parere, sono suffragate da una valutazione indipendente di tutti gli elementi di prova, comprese le deduzioni che essa può trarre dai fatti e dalle osservazioni delle parti. Conformemente alla giurisprudenza consolidata della Corte, la prova può dunque risultare da un insieme di indizi o di presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precisi e concordanti. Inoltre, il grado di convinzione necessaria per giungere a una conclusione particolare e, a tale riguardo, la ripartizione dell’onere della prova, sono intrinsecamente legati alla specificità dei fatti, alla natura della doglianza formulata e al diritto convenzionale in questione (D.H. e altri, sopra citata §178).

b) Applicazione di questi principi nel caso di specie

95. La Corte osserva nel caso di specie che i giudici nazionali hanno proceduto al collocamento della nipote della ricorrente basandosi sulle perizie che avevano constatato l'incapacità di quest'ultima di esercitare il proprio ruolo genitoriale e le difficoltà della bambina che cresceva in un ambiente delinquenziale (paragrafi 23 e 34 supra) e presentava un disturbo dell’attaccamento. Successivamente al collocamento della minore in comunità educativa, il tribunale ha ordinato due volte il mantenimento dei contatti tra la ricorrente e la bambina.

96. La Corte osserva anche che la tutrice della bambina aveva chiesto al giudice tutelare la sospensione dei contatti in ragione di un rischio di sottrazione della minore da parte della comunità rom, la sua comunità di appartenenza. Anche se in un primo tempo il giudice tutelare, agendo in via provvisoria, ha accolto la domanda della tutrice ordinando la sospensione degli incontri e prevedendo delle misure provvisorie finalizzate a prevenire la sottrazione della minore, il tribunale, nell’esame del merito della causa, ha modificato la propria decisione e ordinato alle autorità competenti di assicurarsi che gli incontri con la bambina potessero svolgersi mantenendo l'anonimato del luogo in cui quest'ultima era stata collocata (si veda, a contrario, Jansen, sopra citata, § 102).

97. Quanto al fatto che i contatti, sebbene ordinati dal tribunale, non hanno avuto luogo, la Corte osserva che si tratta di una mancata organizzazione delle visite da parte dei servizi sociali, e rammenta di aver concluso con una constatazione di violazione dell'articolo 8 della Convenzione a causa dell’assenza di sforzi adeguati e sufficienti da parte delle autorità nazionali per far rispettare il diritto di visita della ricorrente (paragrafi 76-77 supra). La Corte osserva, inoltre, che tali ritardi, come si evince dalla giurisprudenza (Piazzi, sopra citata, Lombardo, sopra citata, Nicolò Santilli, sopra citata, Bondavalli, sopra citata, § 90, Strumia, sopra citata, Solarino c. Italia, n. 76171/13, 9 febbraio 2017, Endrizzi c. Italia, n. 71660/14, 23 marzo 2017) dimostrano l'esistenza di un problema sistemico in Italia.

98. Dal momento che il terzo interveniente ha fatto riferimento a un’indagine del 2011 (paragrafo 90 supra) da cui risulterebbe un numero elevato di bambini rom affidati in Italia, la Corte non può perdere di vista che la sua unica preoccupazione è determinare se, nel caso di specie, l'affidamento della bambina e la mancata esecuzione del diritto di visita della ricorrente siano stati motivati dall'origine etnica della bambina e della sua famiglia (si vedano Mižigárová c. Slovacchia, n. 74832/01, § 117, 14 dicembre 2010 e Natchova, sopra citata, § 155). La Corte osserva che l'affidamento è stato motivato dall'interesse superiore della bambina di essere allontanata da un ambiente in cui era fortemente penalizzata sotto vari punti di vista, nonché dall'incapacità della ricorrente di esercitare un ruolo genitoriale (paragrafi 23 e 36 supra). Non è stata fornita alcuna motivazione legata all'origine etnica, da parte dei giudici nazionali, per giustificare il suo collocamento.

99. Per quanto riguarda il ruolo della tutrice, anche se la Corte ritiene che le sue considerazioni rispecchino pregiudizi e non possano essere considerate una formulazione infelice che richiama critiche serie, esse costituiscono di per sé una base insufficiente per concludere che le decisioni dei giudici fossero dettate dall'origine etnica della bambina e della sua famiglia. A questo proposito, la Corte ribadisce che, sebbene il giudice tutelare abbia accolto in via provvisoria la domanda della tutrice ordinando la sospensione degli incontri e prevedendo misure provvisorie di natura tale da prevenire un rapimento della minore, questa decisione è stata in seguito modificata dal tribunale (paragrafo 96 supra).

100. Pertanto, la Corte ritiene che non vi sia stata violazione dell'articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l'articolo 8 della Convenzione.

III. SULLA VIOLAZIONE DEDOTTA DELL'ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE IN COMBINATO DISPOSTO CON L'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

101. La ricorrente lamenta di non disporre di un ricorso effettivo che le permetterebbe di far valere la sua doglianza fondata sull'articolo 8. Essa invoca l'articolo 13 della Convenzione, che recita:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

102. Tenuto conto della conclusione alla quale è giunta per quanto riguarda l'articolo 8 della Convenzione (paragrafi 76-77 supra), la Corte ritiene non doversi esaminare separatamente la doglianza relativa all'articolo 13.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

103. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione:

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno morale

104. La ricorrente chiede la somma di 50.000 euro (EUR) per il danno morale che ritiene di avere subìto a causa dell’interruzione dei contatti con la minore.

105. Il Governo si oppone a questa richiesta, e chiede che venga respinta.

106. Tenuto conto delle circostanze del caso di specie, la Corte considera che l’interessata abbia subìto un pregiudizio morale che non può essere riparato con la semplice constatazione di violazione dell’articolo 8 della Convenzione. Tuttavia, essa ritiene che la somma richiesta a questo titolo sia sproporzionata. Considerati tutti gli elementi di cui dispone e deliberando in via equitativa, ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, la Corte accorda all’interessata la somma di 4.000 EUR per danno morale.

B. Spese

107. Producendo i relativi documenti giustificativi, la ricorrente chiede la somma di 17.091 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.

108. Il Governo si oppone a questa richiesta.

109. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute soltanto nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte considera ragionevole accordare alla ricorrente la somma di 10.000 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi ad essa.

C. Interessi moratori

110. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 8 della Convenzione;
  4. Dichiara non doversi esaminare la doglianza formulata dal punto di vista dell’articolo 13 della Convenzione;
  5. Dichiara,
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 4.000 EUR (quattromila euro), più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale,
      2. 10.000 EUR (diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto dalla ricorrente su tale somma a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  6. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 14 gennaio 2021, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Ksenija Turković
Presidente

Abel Campos
Cancelliere