Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 30 giugno 2020 - Ricorso n.82314/17 - Causa E.C. contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE
Ricorso n. 82314/17

E.C.
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Ksenija Turković, presidente,
Krzysztof Wojtyczek,
Linos-Alexandre Sicilianos,
Armen Harutyunyan,
Pere Pastor Vilanova,
Tim Eicke,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto,
Visto il ricorso (n. 82314/17) proposto contro la Repubblica italiana con cui una cittadina di questo Stato, la sig.ra Capalbo («la ricorrente»), ha adito la Corte l'11 gennaio 2018 ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
Viste le osservazioni delle parti,
Rilevando che il ricorso è stato comunicato al Governo il 6 aprile 2018,
Vista la decisione della Corte di non divulgare l'identità della ricorrente,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 30 giugno 2020,
Emette la seguente decisione, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. Il ricorso riguarda la dedotta violazione del diritto al rispetto della vita familiare della ricorrente a causa del collocamento di suo figlio, sedicenne, in una famiglia affidataria. La ricorrente invoca l'articolo 8 della Convenzione.

IN FATTO

2. La ricorrente, sig.ra E.C., è una cittadina italiana nata nel 1962 e residente a G. Dinanzi alla Corte è stata rappresentata dall'avvocato A. Sisti, del foro di Varese.

3. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora, e poi dal suo ex co-agente, M.G. Civinini.

4. La ricorrente è la madre di E. e di A., nati rispettivamente nel 1997 e nel 1999.

5. In una data non precisata nel fascicolo, la figlia maggiore della ricorrente, E., sporse denuncia per abusi sessuali contro uno zio paterno. A seguito di questa denuncia, il procuratore presso il tribunale per i minorenni di Milano («il tribunale») chiese che fosse effettuata un'indagine psicosociale sulla figlia della ricorrente. Nel giugno 2014, i servizi sociali avviarono un esame della situazione dei figli della ricorrente e dei loro genitori.

6. Nell'ambito dell'indagine psicosociale richiesta dal procuratore, i servizi sociali incontrarono il fratello di E., A., che all'epoca aveva 14 anni.

7. Nel luglio 2014, E. informò i servizi sociali che, da alcune settimane, lei e suo fratello vivevano, con l'accordo dei loro genitori, nella casa della coppia M.M., genitori di uno dei compagni di scuola di A.

8. Tra luglio 2014 e marzo 2015, i servizi sociali incontrarono E. e A. circa quindici volte. Ogni volta i minori dichiararono di non voler ritornare a casa dei loro genitori perché si sarebbero sentiti molto più protetti e ascoltati nella famiglia che li ospitava.

9. Nell'autunno 2014 i servizi sociali organizzarono cinque colloqui di mediazione con i minori, i loro genitori e la loro famiglia di accoglienza al fine di gestire al meglio i rapporti tra di loro attraverso incontri e colloqui telefonici.

10. Secondo l'indagine psico-sociale, esisteva un profondo conflitto tra E., A. e i loro genitori; questo conflitto era stato accentuato dalla denuncia per stupro di E. contro suo zio; E. si sentiva abbandonata e delusa dai suoi genitori, colpevoli, a suo parere, di averla mandata, assieme a suo fratello, a dormire a casa dello zio paterno ogni fine settimana da quando aveva otto anni; i genitori di E. ignoravano le sue esigenze; E. aveva affermato che il padre la picchiava; i minori descrivevano il padre come una persona che perdeva il controllo senza motivo e che spesso scatenava su di loro la sua frustrazione; indicavano anche che la madre era passiva e sottomessa al marito.

11. Sempre secondo l'indagine psicosociale, E. era delusa dall'atteggiamento dei suoi genitori nei suoi confronti, soprattutto dopo aver presentato la denuncia contro suo zio; i suoi genitori non le avevano mai chiesto cosa fosse successo, ma le ricordavano sempre che a causa sua dovevano spendere molti soldi per pagare il suo avvocato; E. aveva trovato conforto nella famiglia che l'aveva accolta.

12. L'indagine psicosociale rilevò anche che A. aveva indicato di essersi integrato bene nella famiglia di accoglienza, che suo padre a volte lo schiaffeggiava, soprattutto quando era nervoso, che aveva un rapporto migliore con sua madre perché lei lo avrebbe ascoltato di più, e che era deluso dal fatto che i suoi genitori non avessero sostenuto sua sorella quando lei aveva sporto denuncia contro lo zio.

13. Nella loro relazione del 16 febbraio 2015, i servizi sociali chiesero al tribunale di adottare misure concrete per proteggere il minore A.

14. Il 5 marzo 2015 il procuratore chiese al tribunale di dichiarare la decadenza della ricorrente e di suo marito dalla potestà genitoriale, di affidare la custodia dei due minori al comune e di collocarli presso una famiglia affidataria.

15. Con decisione del 13 marzo 2015, il tribunale affidò la custodia di E. e A. al comune di G.S. con affidamento presso la coppia M.M. I servizi sociali erano incaricati di regolamentare le relazioni tra i minori e i loro genitori e di effettuare una perizia psicologica sui due minori. Il tribunale sottolineò che la ricorrente e suo marito erano incapaci di mostrare empatia per E. e che non erano in grado di comprendere le esigenze di A.

16. E. divenne maggiorenne nel marzo 2015.

17. All'udienza del 24 aprile 2015 dinanzi al tribunale, A. dichiarò che i suoi genitori non andavano a trovarlo da mesi e che li vedeva solo quando andava a casa loro per prendere dei vestiti. Dichiarò di non volerli più incontrare a causa del loro atteggiamento nei confronti di ciò che stava accadendo alla loro famiglia, di voler passare gli anni seguenti con la famiglia M.M. e che, da quando viveva con questa famiglia affidataria, si sentiva meglio perché non avrebbe più avuto paura di rientrare a casa, contrariamente a quanto accadeva prima.

18. Il 15 maggio 2015 furono sentiti la ricorrente e suo marito. Essi sostennero di non essere a conoscenza di ciò che era accaduto ad E. perché quest'ultima non avrebbe mai detto nulla a loro. La ricorrente e suo marito acconsentirono che i figli rimanessero presso la famiglia M.M. fino al termine dell'anno scolastico.

19. Il 4 agosto 2015 la ricorrente e suo marito chiesero una perizia sullo stato di salute psicologico di A. e il 29 novembre 2015 chiesero il ritorno del figlio a casa loro.

20. Il 3 dicembre 2015, il tribunale, dopo aver sottolineato che non vi era alcun elemento che deponesse a favore del ritorno di A. a casa dei suoi genitori, chiese ai servizi sociali di regolamentare gli incontri tra la ricorrente, suo marito e A. in modo diverso.

21. Il 27 aprile 2016, la ricorrente e suo marito chiesero nuovamente che A. ritornasse a vivere con loro e sollecitarono una nuova audizione di quest'ultimo da parte del giudice.

22. Il 4 maggio 2016 fu depositato in tribunale un rapporto dei servizi sociali. In questo rapporto, i servizi sociali rilevavano che A. era al secondo anno di formazione professionale come meccanico e stava ottenendo ottimi risultati. Indicavano che A. continuava ad avere contatti telefonici bisettimanali con i suoi genitori, ma che, su sua richiesta, gli incontri tra lui e i suoi genitori si erano interrotti nel febbraio 2015 a seguito di un episodio che aveva avuto delle conseguenze sull'allontanamento affettivo ed emotivo che esisteva tra loro. I servizi sociali rilevavano che A. si era integrato bene nella sua famiglia affidataria, aveva riacquistato fiducia in sé stesso ed era più aperto nelle relazioni interpersonali. Rilevavano che la ricorrente e suo marito si recavano agli incontri organizzati, che erano delusi dal fatto che non vedevano il figlio da molto tempo, e che attribuivano il rifiuto di A. di incontrarli all'influenza della sorella, sostenuta in questo atteggiamento, a loro avviso, dalla famiglia affidataria. Secondo i servizi sociali, la ricorrente e suo marito sembravano non ammettere di avere difficoltà nel rapporto con il loro figlio.

23. Il 30 maggio 2016 fu inviato al tribunale un rapporto sullo stato psicologico di A. Secondo il rapporto, A. soffriva di un senso di solitudine dovuto alla mancanza di affetto dei suoi genitori biologici; era ben integrato nella famiglia affidataria e aveva fiducia nei coniugi che lo avevano preso in carico. Voleva prendere le distanze dalla sua famiglia naturale perché i suoi genitori non gli avrebbero mostrato abbastanza affetto e manifestava nei loro confronti una collera lucida a causa del «loro comportamento di ricatto e di negligenza affettivi». A. stava seguendo una formazione professionale e voleva iniziare a lavorare il più presto possibile. Il rapporto concludeva che A. non soffriva di alcun problema psicologico che richiedesse un supporto psicoterapeutico.

24. Durante l'audizione del 6 giugno 2016 dinanzi al tribunale, la ricorrente e suo marito dissero di avere due contatti telefonici alla settimana con il figlio. Attribuivano questa situazione all'inerzia dei servizi sociali e al comportamento, a loro avviso, ostruzionista della famiglia affidataria di A., e rifiutavano comunque di prendere in considerazione la possibilità che il loro figlio non volesse semplicemente incontrarli.

25. L'assistente sociale indicò che A. non voleva più rispondere alle telefonate dei suoi genitori perché si ricordava della situazione di grande trascuratezza e di abbandono che avrebbe subito nella sua famiglia biologica. Precisò che aveva tentato una mediazione che aveva avuto un esito negativo. Suggerì, quindi, di verificare regolarmente se vi fossero delle condizioni favorevoli a un riavvicinamento tra A. e i suoi genitori, precisando che il minore seguiva anche una terapia psicologica. Quanto al percorso di sostegno per la ricorrente, l'assistente sociale dichiarò che era stato temporaneamente interrotto, ma che sarebbe stato ripreso.

26. Il 30 novembre 2016 la ricorrente e suo marito chiesero la chiusura del procedimento.

27. L'audizione della famiglia affidataria fu fissata per l'udienza del 10 febbraio 2017. L'avvocato della ricorrente e di suo marito ricevette la convocazione e chiese che le parti fossero autorizzate a partecipare. Tuttavia, il tribunale autorizzò solo la presenza dell'avvocato. Tale decisione non fu contestata. L'avvocato della ricorrente e di suo marito partecipò all'udienza e non sollevò la questione del rigetto della richiesta di partecipazione delle parti. Lo stesso giorno l'avvocato richiese copia degli atti e del verbale dell'udienza. Il contenuto delle dichiarazioni dei genitori affidatari di A. non fu contestato.

28. All'udienza del 10 febbraio 2017, alla quale erano presenti l'assistente sociale e l'avvocato dei genitori biologici di A., la madre della famiglia affidataria affermò che il minore stava bene, il che fu confermato anche dall'assistente che fece riferimento ai buoni risultati scolastici di quest'ultimo, alla prosecuzione dei suoi incontri con la psicologa e al suo reiterato rifiuto di incontrare i suoi genitori e di rispondere alle loro telefonate. L'assistente sociale riferì anche una diminuzione del sentimento di collera provato da A. nei confronti dei suoi genitori biologici come risultato del suo percorso psicologico, anche se A. continuava a rifiutarsi di vedere i suoi genitori, a causa della mancanza di sostegno da parte di questi ultimi nei confronti di sua sorella per quanto riguardava gli abusi che lei diceva di aver subito.

29. All'udienza del 26 maggio 2017 A. confermò al giudice di sentirsi bene nella sua famiglia affidataria e dichiarò di non voler più mantenere i rapporti con i genitori.

30. Con decisione definitiva del 15 settembre 2017, tenuto conto del fatto che A era divenuto maggiorenne, il tribunale revocò la sua precedente decisione e chiuse il procedimento.

31. Con sentenza del 7 dicembre 2016, il tribunale di Busto Arsizio assolse lo zio dei minori dichiarando che il fatto non sussiste. Il tribunale rilevò che le dichiarazioni di E. erano contraddittorie e non provate. Dal fascicolo risulta che quest’ultima, a partire dal 2017, ha ristabilito il rapporto con la ricorrente.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI PERTINENTE

32. Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza R.V. e altri c. Italia (n. 37748/13, § 65-69, 18 luglio 2019).

MOTIVI DI RICORSO

33. Invocando l'articolo 8, la ricorrente lamenta che le autorità non hanno messo in atto vere e proprie misure di sostegno a favore di A. e non hanno preso in considerazione il ritorno del figlio a casa sua.

IN DIRITTO

34. La ricorrente rimprovera alle autorità italiane di non aver adottato delle misure positive per permettere il ritorno del figlio a casa. Invoca l'articolo 8 della Convenzione, così formulato:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A. Tesi delle parti

1. Il Governo

35. Il Governo afferma innanzitutto che la ricorrente e suo marito hanno acconsentito a che A. e sua sorella E. fossero collocati presso una famiglia affidataria, dopo che E. aveva presentato una denuncia per stupro e abuso sessuale contro lo zio paterno e in totale assenza di sostegno da parte della sua famiglia in tale azione. Secondo il Governo, questa situazione, vissuta in modo drammatico dai ragazzi, che si sono sentiti privati di ogni fiducia e protezione, è stato l'evento scatenante di un allontanamento graduale e sempre più radicale di A. dai suoi genitori.

36. Il Governo sostiene che, a seguito della relazione redatta dai servizi sociali, il tribunale ha adottato delle misure di protezione nei confronti di A. il 13 marzo 2015, e assicura che, fino a tale data, A. e la ricorrente avevano avuto dei contatti regolari e che i loro contatti sono proseguiti nel 2015. Il Governo afferma che i rapporti tra la ricorrente e A. sono poi diventati sempre più difficili, nonostante gli sforzi di mediazione dei servizi sociali, il sostegno e la presa in carico psicoterapeutica del minore, che alla fine si è rifiutato risolutamente di incontrare e persino di parlare al telefono con i suoi genitori. In effetti, il Governo dichiara che, all'udienza del 26 maggio 2017, A. ha ribadito in modo molto chiaro davanti al tribunale di non volere più alcun contatto con i suoi genitori.

37. Secondo il Governo, le autorità, in particolare, hanno messo in atto un programma per aiutare la ricorrente e suo marito nel loro ruolo di genitori e hanno messo in atto una serie di misure di sostegno per tutte le persone interessate ma, tenuto conto del rifiuto di A., è stato deciso di non obbligare quest'ultimo, con misure coercitive, a incontrare la ricorrente. Inoltre, il Governo rammenta che, a partire dall'interruzione dei contatti nel 2016 e fino alla fine del procedimento, non vi è stata alcuna restrizione al diritto di visita della ricorrente. Il Governo sostiene che tutte le decisioni sono state prese nell'interesse superiore del minore e in conformità con la giurisprudenza della Corte.

38. Per quanto riguarda l'aspetto procedurale della causa, il Governo sostiene che il diritto della ricorrente a un processo equo è stato pienamente rispettato. In particolare, assicura che, con riferimento all'udienza del 10 febbraio 2017, fissata per l'audizione della coppia affidataria, l'avvocato della ricorrente ha partecipato all'udienza e non ha sollevato la questione della mancata partecipazione delle parti. Infine, il Governo aggiunge che la ricorrente e il marito non hanno contestato le dichiarazioni della famiglia affidataria.

2. La ricorrente

39. La ricorrente contesta la versione dei fatti presentata dal Governo e sostiene che A. aveva deciso di andare a vivere presso la famiglia M.M. perché sarebbe stato innamorato della figlia della coppia e perché la coppia M.M. gli avrebbe impedito di avere contatti con lei e con suo marito. Secondo la ricorrente, le autorità nazionali non hanno agito in maniera sufficiente per preservare i legami familiari con suo figlio e non hanno adottato alcuna misura positiva per assicurare l'effettiva tutela del diritto al rispetto della loro vita familiare.

40. La ricorrente lamenta di non aver potuto partecipare con suo marito all'audizione della famiglia affidataria, il 10 febbraio 2017, e ritiene che ciò costituisca una evidente violazione dei diritti della difesa.

41. Inoltre, la ricorrente sostiene che non è stato effettuato alcun controllo nel merito, né da parte dei servizi sociali né da parte del tribunale. Accusa i servizi sociali di aver agito per facilitare e rafforzare il rapporto di A. con la sua famiglia affidataria piuttosto che il rapporto tra A. e i suoi genitori naturali. Ciò, secondo la ricorrente, è pregiudizievole per l'interesse superiore del minore e, in particolare, per il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

42. Infine, la ricorrente ritiene che il fallimento delle autorità competenti in materia abbia comportato la chiusura del procedimento a causa della maggiore età di A., mentre tale procedimento avrebbe dovuto, a suo avviso, concludersi con il ritorno a casa di A. prima che egli divenisse maggiorenne.

B. Valutazione della Corte

1. Principi generali

43. I principi generali applicabili sono ben consolidati nella giurisprudenza della Corte e, recentemente, sono stati ampiamente enunciati nella causa Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, §§ 202-213 10 settembre 2019.

44. La Corte rammenta che la ricerca dell’unità familiare e quella del ricongiungimento familiare in caso di separazione costituiscono delle considerazioni inerenti al diritto al rispetto della vita familiare sancito dall’articolo 8. Di conseguenza, qualsiasi autorità pubblica che ordini una presa in carico avente l’effetto di limitare la vita familiare ha l’obbligo positivo di adottare le misure necessarie per riunire la famiglia biologica non appena ciò sia possibile. Inoltre, la decisione di presa in carico deve essere considerata una misura temporanea, da sospendere non appena le circostanze lo permettano, e qualsiasi atto di esecuzione deve essere coerente con uno scopo ultimo: unire nuovamente la famiglia biologica. L’obbligo positivo di adottare delle misure allo scopo di agevolare la riunione della famiglia appena ciò sia veramente possibile si impone alle autorità competenti fin dall’inizio del periodo di presa in carico, ma deve essere sempre bilanciato con il dovere di considerare l’interesse superiore del minore Per di più, i legami tra i familiari e le chance di ricongiungimento con esito positivo saranno per forza di cose indeboliti se si pongono degli ostacoli che impediscono incontri facili e regolari tra gli interessati (Strand Lobben e altri, sopra citata, §§ 205 e 208).

45. La Corte rammenta che il diritto all'autonomia personale, insito nella nozione di «vita privata», che nel caso degli adulti comprende il diritto di scegliere come condurre la propria vita, a condizione di non violare ingiustificatamente i diritti e le libertà altrui, ha una portata diversa nel caso dei minori. Costoro, a differenza degli adulti, non hanno completa autonomia, ma sono comunque soggetti di diritti. I minori esercitano la loro autonomia limitata, che aumenta gradualmente man mano che maturano, attraverso il loro diritto di essere consultati e ascoltati. Come precisato dall'articolo 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo, il fanciullo che è capace di discernimento ha il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni e il diritto che le stesse siano tenute in debita considerazione, in funzione della sua età e del suo grado di maturità e, in particolare, deve avere la possibilità di essere ascoltato in qualsiasi procedimento giudiziario o amministrativo che lo riguardi (M. e M. c. Croazia, n. 10161/13, § 171, 3 dicembre 2015 e M.K. c. Grecia, n. 51312/16, § 35, 1° febbraio 2018).

2. Applicazione di questi principi al caso di specie

46. La Corte ritiene che il punto decisivo nel caso di specie consista nello stabilire se le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure necessarie e appropriate che ragionevolmente si potevano loro richiedere affinché A. potesse condurre una vita familiare all'interno della sua famiglia d'origine.

47. Nella presente causa, la Corte rileva che il primo intervento dei servizi sociali risale al 2014 e che la ricorrente e suo marito hanno dato il loro consenso al collocamento volontario di A. e di sua sorella nella famiglia affidataria M.M. Successivamente, nel 2015, il tribunale ha ordinato l’affidamento di A. e di sua sorella, dopo aver constatato che i genitori non erano in grado di prendersi cura di loro (paragrafo 15 supra). All'epoca essi avevano, rispettivamente, 16 e quasi 18 anni.

48. La Corte rileva che l’affidamento dei minori deciso dal tribunale nel 2015 è stato motivato dall'incapacità affettiva, educativa e pedagogica dei genitori (si vedano, ad esempio, Rampogna e Murgia c. Italia (dec.), n. 40753/98, 11 maggio 1999, M.G. e M.T.A. c. Italia (dec.), n. 17421/02, 28 giugno 2005, Kutzner c. Germania, n. 46544/99, § 68, CEDU 2002-I, § 68, e Barelli e altri c. Italia (dec.), n. 15104/04, 27 aprile 2010).

49. La Corte rammenta che il tribunale aveva incaricato i servizi sociali di regolamentare le visite tra i minori e i loro genitori (paragrafo 15 supra) e osserva anche che durante il primo periodo di collocamento di A. nella famiglia di accoglienza, sono stati mantenuti i contatti tra lui e la ricorrente e che è stato messo in evidenza che le visite della ricorrente e di suo marito ai loro figli erano molto sporadiche (paragrafo 17 supra). Successivamente, il minore ha avuto esclusivamente dei contatti telefonici con la ricorrente sotto forma di due telefonate alla settimana, in quanto si rifiutava di incontrarla.

50. La Corte rileva, inoltre, che la necessità di mantenere i contatti tra la ricorrente, suo marito e i loro figli è stata una preoccupazione costante delle autorità e che l'evoluzione del rapporto genitori-figli era un elemento preso in considerazione dai giudici nazionali e dai servizi sociali nella loro decisione di mantenere la misura di affidamento.

51. La Corte osserva, poi, che la sospensione della potestà genitoriale della ricorrente e di suo marito, decisa nel 2015, è stata mantenuta dal tribunale fino al 2017: le autorità hanno constatato che A., che aveva quasi diciotto anni, era ben integrato nella sua famiglia affidataria e non voleva tornare nella casa familiare per il fatto che i suoi genitori non si erano presi cura di lui e di sua sorella, verso la quale non avevano mai mostrato alcuna empatia. Le autorità hanno anche constatato che, secondo lo psicologo, A. non soffriva di alcun problema psicologico che richiedesse un supporto psicoterapeutico (paragrafo 23 supra).

52. La Corte rammenta che non ha il compito di sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali competenti per quanto riguarda le misure che avrebbero dovuto essere adottate, in quanto queste ultime si trovano in una posizione migliore per effettuare tale valutazione, in particolare perché sono a diretto contatto con il contesto della causa e con le parti interessate (Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, § 53, 22 novembre 2005).

53. La Corte constata che, nel caso di specie, le autorità sono intervenute offrendo alla ricorrente, a suo marito e ad A., un sostegno e un'assistenza concreti per aiutarli a superare le loro difficoltà (si vedano, a contrario, Saviny c. Ucraina, n. 39948/06, § 57, 18 dicembre 2008, e R.M.S. c. Spagna n. 28775/12, § 86, 18 giugno 2013; si veda anche Zhou c. Italia, n. 33773/11, § 58, 21 gennaio 2014), in un contesto complesso, in quanto A., che aveva 16 anni, viveva con la famiglia affidataria da molto prima del loro intervento.

54. La Corte rileva che sono state emesse due decisioni giudiziarie relative all’affidamento di A. Inoltre, constata che queste decisioni sono state prese dopo alcuni interventi dei servizi sociali volti a riunire la ricorrente ed A. attraverso, in particolare, un progetto di mediazione e un regolare controllo psicologico del minore.

55. La Corte rileva che emerge chiaramente dalla motivazione di queste diverse decisioni che il tribunale ha effettuato un esame attento e approfondito della situazione della ricorrente, di suo marito e di A. dopo aver preso in considerazione le richieste degli interessati. La misura di affidamento è stata decisa in considerazione delle condizioni psicologiche in cui si trovavano A. e sua sorella, delle privazioni affettive che costoro subivano e dell'incapacità dei genitori di prendersi cura di loro. Questa misura è stata successivamente mantenuta a causa del mancato miglioramento delle capacità genitoriali della ricorrente e di suo marito, nonché dell'insufficiente sviluppo dei rapporti tra la ricorrente e A.

56. La Corte sottolinea che, al momento dell'intervento dei servizi sociali nel 2014, A. e sua sorella vivevano già con la famiglia affidataria, e che la ricorrente e suo marito avevano acconsentito a questo collocamento. La Corte rileva inoltre che, per diversi mesi, le visite dei genitori ai loro figli sono state sporadiche e che, quando la ricorrente e suo marito hanno chiesto alle autorità, nell'agosto 2015, che A. ritornasse a vivere con loro e che tra loro vi fossero dei contatti, hanno dovuto affrontare il rifiuto di quest'ultimo di vederli e di ristabilire un rapporto con loro. La Corte rammenta a questo proposito che il tribunale ha preso in considerazione l'incapacità della ricorrente e di suo marito di esercitare il loro ruolo di genitori e il desiderio, espresso da A. ai servizi sociali in numerose occasioni, di non tornare più nella casa dei genitori, dove non viveva da molto tempo, e di non avere più contatti con i suoi genitori. La Corte ritiene che le decisioni adottate siano state accompagnate, in brevissimo tempo, dalle misure più idonee a consentire una valutazione precisa della situazione di A. e del suo rapporto con la ricorrente. In particolare, la Corte rammenta che la volontà espressa da un minore con sufficiente capacità di discernimento è un elemento chiave da prendere in considerazione in qualsiasi procedimento giudiziario o amministrativo che lo riguardi (M. e M. c. Croazia, sopra citata, § 171 CEDU 2015 (estratti) e M.K. c. Grecia, sopra citata, § 35). Il diritto di un minore di essere ascoltato e di partecipare al processo decisionale nei procedimenti familiari che lo riguardano in primo luogo è garantito da diversi strumenti giuridici internazionali (M. e M. c. Croazia, sopra citata, §§ 94-99 CEDU 2015 (estratti) e M.K. c. Grecia, sopra citata, §§ 46-50).

57. Secondo la Corte, i giudici nazionali hanno addotto motivi pertinenti per giustificare le loro decisioni relative all’affidamento e al diritto di visita: in queste condizioni, si può considerare che tali decisioni siano state adottate nell'interesse superiore del minore.

58. Inoltre, la Corte ritiene opportuno sottolineare che il compito delle autorità in questa materia rimane molto complesso, ma anche che A. ha costantemente espresso la sua volontà di non tornare a vivere nella sua famiglia d'origine. La Corte ribadisce che, nel caso di specie, tenuto conto della sua età e della sua maturità, è quindi difficile sostenere che il figlio della ricorrente non fosse capace di discernimento né di esprimere liberamente le proprie opinioni. Tali fattori non possono essere ignorati nella valutazione dell'atteggiamento delle autorità italiane, che hanno tenuto conto della situazione familiare nel suo complesso, dell'evoluzione di tale situazione nel tempo e dell'interesse superiore di A., che all'epoca aveva già compiuto 16 anni. A questo proposito, la Corte ribadisce che si impone la massima prudenza quando si deve ricorrere alla coercizione in questo ambito (Mitrova e Savik contro l'ex Repubblica jugoslava di Macedonia, n. 42534/09, § 77, 11 febbraio 2016, Reigado Ramos, sopra citata, n. 73229/01, § 53, 22 novembre 2005), soprattutto nei confronti di minori la cui maturità consiglia di tenere conto della loro volontà.

59. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che le autorità nazionali, meglio posizionate di essa per trovare un giusto equilibrio tra l'interesse del minore a vivere in un ambiente equilibrato e l'interesse che ha ispirato le azioni della ricorrente e di suo marito, siano state guidate nelle loro decisioni dalla volontà di preservare lo sviluppo psicologico del minore e non abbiano oltrepassato il margine di discrezionalità loro conferito dall'articolo 8 § 2 della Convenzione. Di conseguenza, il ricorso deve essere respinto in quanto manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, a maggioranza,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 23 luglio 2020.

Ksenija Turković
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto