Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 28 maggio 2020 - Ricorso n.30589/18 - Causa Spano contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 28393/18

Massimo SPANO

contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita il 24 marzo 2020 in un comitato composto da:
Aleš Pejchal, presidente,
Tim Eicke,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 30 maggio 2018,
Vista la decisione di trattare il ricorso in via prioritaria ai sensi dell'articolo 41 del regolamento della Corte,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente,
Dopo avere deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

Il ricorrente, il sig. Massimo Spano, è un cittadino italiano nato nel 1966. Attualmente è detenuto a Piacenza. Dinanzi alla Corte è stato rappresentato dall'avvocato O. Paperi, del foro di Piacenza.

Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, M.G. Civinini.

A.Le circostanze del caso di specie

1. I fatti di causa esposti dalle parti si possono riassumere come segue.

2. Il ricorrente ebbe un figlio con la sua ex moglie, T., nato il 31 maggio 2000.

3. Nel 2003 l'ex moglie del ricorrente presentò una denuncia penale contro di lui per atti sessuali aggravati su minore, in questo caso suo figlio.

4. Nel 2007 il ricorrente fu condannato dal tribunale di Piacenza; questa condanna fu confermata in appello nel 2010.

5. Con sentenza del 2011, la Corte di cassazione annullò la sentenza d'appello per carenza di motivazione e rinviò la causa ad un'altra sezione della corte d'appello.

6. Con sentenza del 17 luglio 2013, la corte d'appello assolse il ricorrente. Questa sentenza fu confermata dalla Corte di cassazione il 1° ottobre 2014.

7. Nel frattempo, nel 2009, nei confronti del ricorrente era stata pronunciata la decadenza dalla potestà genitoriale, confermata dalla corte d'appello nel 2010.

8. Il 20 maggio 2014 il ricorrente presentò un ricorso dinanzi al tribunale per i minorenni di Bologna chiedendo di essere reintegrato nella sua potestà genitoriale.

9. Il tribunale chiese ai servizi sociali di redigere una relazione. Questi ultimi incontrarono diverse volte le parti ed effettuarono delle valutazioni psicologiche, a seguito delle quali, il 9 ottobre 2014, depositarono la loro relazione in cancelleria. In questa relazione, i servizi sociali ritenevano opportuno definire un progetto progressivo di incontri padre-figlio, lasciando al minore la decisione su tempi, circostanze e modalità di tali incontri. I servizi sociali ritenevano anche auspicabile attendere qualche mese prima di organizzare degli incontri preparatori. Spiegavano che la madre del minore aveva bisogno di sostegno in questa fase delicata e stressante e che il ricorrente aveva bisogno di essere accompagnato e guidato per avvicinarsi al figlio con empatia.

10. Dopo aver sentito i genitori all'udienza del 14 ottobre 2014 e il minore all'udienza del 15 ottobre 2014, il tribunale, con decisione del 13 novembre 2014, respinse la domanda del ricorrente volta al reintegro nella sua potestà genitoriale, in considerazione soprattutto del disinteresse che costui aveva manifestato dopo la sua condanna. Nella decisione, il tribunale rilevava, in particolare, che il padre non aveva chiesto di incontrare il figlio né di mettere in atto misure che permettessero di affrontare meglio l'interruzione delle relazioni. Ritenendo che non si potesse tuttavia escludere una ripresa delle relazioni in un futuro prossimo, ordinò ai servizi sociali «di sostenere attraverso un percorso psicologico, se necessario a carattere terapeutico, il minore e i genitori».

11. Il tribunale incaricò i servizi sociali di definire secondo quali modalità e in quali termini potesse essere messo in atto un progetto volto al riavvicinamento tra il minore e il ricorrente sotto la forma di incontri protetti e graduali, nel rispetto dei desideri del minore.

12. L'11 maggio 2015 il ricorrente impugnò questa decisione chiedendo di essere reintegrato nella sua potestà genitoriale e di ordinare ai servizi sociali di elaborare un progetto volto a mettere in atto gli incontri padre-figlio.

13. I servizi sociali prepararono una relazione che fu depositata in cancelleria il 16 novembre 2015. In questa relazione indicavano che la madre era l'unico punto di riferimento per il minore, che i due erano uniti l'uno all'altra da un legame molto forte che li portava a vivere in simbiosi, che il minore era fedele a sua madre, che aderiva completamente alla realtà e ai valori che sua madre gli proponeva, che detestava e disprezzava suo padre e che, come tutta la sua famiglia materna, lo rinnegava, ma non escludeva la possibilità in futuro di fare luce sul suo passato. I servizi sociali aggiungevano che il ricorrente doveva beneficiare di un sostegno significativo prima di riprendere il contatto con il figlio. La relazione menzionava anche che l'eliminazione dell'immagine del padre, obiettivo che il minore perseguiva da sempre, era preoccupante. I servizi sociali ritenevano necessario mettere in atto un progetto di graduale riavvicinamento tra il padre e suo figlio.

14. Con decisione del 20 gennaio 2016, la corte d'appello reintegrò il ricorrente nella sua potestà genitoriale, ma non chiuse il procedimento. Ordinò una perizia al fine di stabilire quali fossero i termini e le modalità più appropriati per poter avviare la ripresa dei rapporti con il ricorrente nell'interesse del minore, e a valutare le capacità dei genitori di realizzare il progetto.

15. La relazione peritale fu inserita nel fascicolo nel marzo 2017. Secondo il perito, il riavvicinamento tra il minore e il ricorrente era necessario per uno sviluppo equilibrato del minore.

16. Durante l'udienza del 9 marzo 2017, i due genitori chiesero congiuntamente alla corte d'appello di non chiudere il procedimento e di incaricare i servizi sociali di realizzare un progetto di incontri periodici e preparatori per i genitori e per il bambino, di fissare i termini e le modalità di un riavvicinamento padre-figlio che fosse graduale, protetto e negoziato, e che tenesse conto con la massima attenzione dello stato emotivo del minore, e di proseguire il lavoro di sviluppo del ruolo paterno attraverso l'esercizio delle funzioni genitoriali.

17. Il 7 giugno 2017 i servizi sociali trasmisero alla corte d'appello una nuova relazione, che concludeva che il padre e la madre si impegnavano poco nel percorso di sostegno messo in atto.

18. Con un'altra relazione, datata 8 settembre 2017 e redatta all'esito di cinque incontri con le parti, i servizi sociali informarono il tribunale che era stato deciso che la madre avrebbe inviato al ricorrente, tramite la psicologa, almeno una fotografia di vacanze recenti. In questa relazione i servizi sociali indicavano anche che il padre era stato informato dei risultati scolastici del figlio e aggiungevano che non era stato possibile fissare le date degli incontri a causa dell'opposizione che quest'ultimo aveva espresso.

19. Il 20 ottobre 2017 i servizi sociali informarono la corte d'appello che il minore si rifiutava di riallacciare una relazione con il ricorrente e che la madre non collaborava.

20. All'udienza del 9 novembre 2017, il ricorrente sostenne che il progetto di riavvicinamento era fallito.

21. Con una decisione del 12 dicembre 2017, la corte d'appello dichiarò di non dover verificare se il minore opponesse un rifiuto perché sua madre lo aveva allontanato da suo padre, in quanto ciò esulava dall'ambito della controversia, che mirava al reintegro nella potestà genitoriale, e considerò che fosse necessario, per lo sviluppo psicologico del minore, ristabilire la relazione padre-figlio. Di conseguenza, la corte d'appello confermò il reintegro del ricorrente nella potestà genitoriale e la decisione del 20 gennaio 2016. Inoltre, constatò che la madre si opponeva a qualsiasi riavvicinamento tra il figlio e il ricorrente, ma che, poiché il minore avrebbe presto raggiunto la maggiore età, non era possibile ordinare una valutazione peritale sulla madre e sul figlio.

22. Avverso questa decisione non è stato presentato alcun ricorso per cassazione, e quindi la stessa è divenuta definitiva.

B. Il diritto interno pertinente

23. Il diritto interno pertinente è esposto nelle sentenze Cincimino c. Italia (n. 68884/13, §§ 40-42, 28 aprile 2016), e Strumia c. Italia (n. 53377/13, §§ 73-78, 23 giugno 2016).

24. L’articolo 709 ter del codice di procedura civile (CPC) è così formulato nella sua parte pertinente al caso di specie:

«Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso.

A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:

  1. ammonire il genitore inadempiente;
  2. disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
  3. disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
  4. condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro (...)»

25. L’articolo 614 bis del CPC dispone:

«Le misure di coercizione indiretta:

Con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza.

Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.»

MOTIVO DI RICORSO

26. Invocando l'articolo 8 della Convenzione, il ricorrente ritiene che le autorità nazionali non abbiano messo in atto misure che gli avrebbero consentito di mantenere un legame con suo figlio e, di conseguenza, di avere lasciato il tempo alla sua ex moglie di mettere il figlio contro di lui. Il ricorrente considera tutto ciò come una violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare, lamenta un’inerzia delle autorità di fronte al comportamento della sua ex moglie e rimprovera loro di non aver fatto alcuno sforzo né di aver adottato delle misure cautelari che gli avrebbero permesso di esercitare il suo diritto di visita e di impedire che suo figlio fosse allontanato da lui.

IN DIRITTO

27. Il ricorrente lamenta una violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare e invoca l'articolo 8 della Convenzione che recita:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

1. Il Governo

28. Il Governo ritiene che il ricorrente non abbia esaurito le vie di ricorso interne in quanto avrebbe dovuto presentare ricorso per cassazione avverso la decisione della corte d'appello del 12 dicembre 2017 e avrebbe anche potuto citare in giudizio per la responsabilità civile e penale i magistrati e/o i servizi sociali. Il Governo sostiene che, a partire dal 2016, il ricorso per cassazione è un ricorso effettivo con il quale il ricorrente avrebbe potuto contestare l'accertamento dei fatti e l'applicazione del diritto. Inoltre, chiede alla Corte di circoscrivere l'oggetto della causa alla procedura per il reintegro nella potestà genitoriale, in quanto i procedimenti avviati in precedenza erano, a suo parere, tardivi.

29. Peraltro, il Governo ritiene che fino all'assoluzione del ricorrente, pronunciata con sentenza della Corte di cassazione, la sospensione di qualsiasi contatto con il minore fosse giustificata dal rischio importante di pregiudizio per lo stesso.

30. Il Governo afferma che, dopo la sua assoluzione, il ricorrente ha intentato un procedimento per riottenere la sua potestà genitoriale, e indica che le autorità hanno messo in atto una serie di strumenti giuridici e amministrativi adeguati e sufficienti per garantire i diritti legittimi degli interessati, e che il progetto di riavvinamento messo in atto è fallito in quanto il minore si era opposto e la madre non aveva collaborato. Il Governo aggiunge che il tentativo di mediazione non è andato a buon fine, che i colloqui di sostegno sono stati inutili e che il minore si è rifiutato di collaborare con i servizi sociali e con il perito, che le terapie psicologiche seguite dal minore non hanno prodotto risultati e che la madre non si è presentata ai colloqui.

31. Il Governo considera che gli sforzi importanti che sono stati compiuti dai servizi sociali non hanno permesso di ottenere il risultato sperato, ma che l'adozione di misure più drastiche, come collocare il minore presso una famiglia affidataria o in un istituto, non sarebbe stata accettabile.

32. Il Governo ritiene che, sul piano formale, il procedimento sia stato equo e condotto entro un termine ragionevole, tenuto conto di tutti gli sforzi che erano stati compiuti dai servizi sociali.

1. Il ricorrente

33. Il ricorrente si oppone alla tesi del Governo, e afferma che in appello ha vinto la causa, in quanto la Corte lo ha reintegrato nella sua potestà genitoriale riconoscendo che era «assolutamente necessario, per lo sviluppo psicologico del minore, ristabilire la relazione padre-figlio» e condannando la madre a pagare le spese dei due gradi di giudizio e delle perizie. Aggiunge che, se avesse adito la Corte di cassazione, avrebbe ottenuto una decisione di inammissibilità o di rigetto che, per di più, sarebbe intervenuta dopo che il ragazzo avesse raggiunto la maggiore età. Egli indica inoltre che il Governo non precisa quali misure volte alla ripresa della relazione padre-figlio avrebbero potuto essere attuate e quali sarebbero state le soluzioni proposte.

34. Per quanto riguarda l'azione di responsabilità civile contro i giudici, il ricorrente afferma che si tratta di un ricorso eccezionale, che richiede che siano accertati il dolo o una colpa grave, e che in ogni caso non sarebbe stato possibile riallacciare i legami con suo figlio utilizzando questo mezzo. Per quanto riguarda le azioni disciplinari, il ricorrente indica che, secondo la Costituzione e la legge, ne è titolare solo il Ministro della Giustizia.

35. Quanto all’eccezione relativa al mancato rispetto del termine di sei mesi, il ricorrente sostiene che, prima della sentenza della Corte di cassazione del 2016, le misure di cui all'articolo 330 del codice civile erano viste come prive di carattere definitivo e decisivo, cosicché, a suo parere, esse non potevano né passare in giudicato né essere oggetto di un ricorso per cassazione. Il ricorrente aggiunge che tali misure sono sempre modificabili, a condizione che si possa dimostrare «un’evoluzione della situazione di fatto».

36. Il ricorrente ritiene che escludere dall'oggetto della causa il procedimento anteriore alla sua assoluzione gli causerebbe un duplice pregiudizio. Da una parte, egli afferma di avere reiterato la sua domanda presso il tribunale per i minorenni non appena ne ha avuto l'occasione. Dall'altra, e soprattutto, egli considera che degli elementi molto importanti e indissolubilmente legati ai fatti successivi ne rimarrebbero occultati. Egli ritiene infatti che le misure adottate all'epoca abbiano prodotto degli effetti negativi per tutta la durata del suo processo e abbiano portato a mettere il minore contro suo padre, situazione di cui il tribunale non aveva tenuto conto nel 2014 e che non era stata risolta.

37. Sul merito, il ricorrente considera che la dedotta violazione dell'articolo 8 della Convenzione derivi dalla constatazione, a suo parere inconfutabile, che ordinando l'interruzione degli incontri per tutta la durata del procedimento penale, i giudici nazionali hanno impedito per sette anni (dal 2007 fino alla fine del procedimento, che si è concluso con una decisione di assoluzione in cassazione nel 2014), che fosse mantenuta la relazione padre-figlio, mentre tale relazione avrebbe dovuto essere preservata. Egli argomenta che, nello stesso tempo, i giudici nazionali hanno avallato l’atteggiamento della madre invece di preoccuparsi dell’interesse superiore del minore e che, così facendo, hanno contribuito a distruggere la relazione padre-figlio che, inizialmente, era perfettamente sana, come dimostrerebbero gli elementi di quell’epoca. Egli afferma che, dopo che fu pronunciata l’assoluzione, il tribunale per i minorenni nuovamente adito, invece di tentare di porre rimedio alla situazione che, secondo il ricorrente, aveva già compromesso, ha continuato sulla stessa strada, favorendo, tra l'altro, anche l'insorgere di una radicalizzazione prevedibile che ha portato il minore a rifiutare e respingere suo padre. Infine, egli considera che, in queste condizioni, la corte d'appello ha dovuto istruire in maniera tardiva, ripartendo da zero, un fascicolo che in realtà non era mai stato istruito e che, anche se in appello sono emersi numerosi elementi veritieri, detta corte ha potuto soltanto constatare la propria impotenza, in quanto il figlio era diventato maggiorenne. Egli afferma che la situazione, pertanto, non si è più evoluta, e che i tentativi di contatto con suo figlio si sono sempre conclusi con un rifiuto ostinato da parte di quest’ultimo.

38. Il ricorrente argomenta che il tribunale avrebbe dovuto reagire energicamente per mettere in atto tempestivamente, per mezzo di misure cautelari, il progetto – ragionevole – dei servizi sociali che consisteva nel fissare termini brevi e nel mantenere sotto controllo il procedimento. Egli ritiene che i primi giudici avrebbero dovuto ricercare in maniera approfondita le cause dell’opposizione del minore, il che avrebbe permesso di realizzare un anno prima la perizia successivamente disposta dalla corte d'appello. Il ricorrente aggiunge infine che il tribunale avrebbe potuto fare pressione sulla madre per ottenere la sua collaborazione, se necessario ricorrendo alle misure coercitive previste dagli articoli 709 ter o 614 bis del codice di procedura penale.

B. Valutazione della Corte

39. La Corte ritiene di non doversi pronunciare sulle eccezioni preliminari di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e di mancato rispetto del termine di sei mesi sollevate dal Governo, in quanto il ricorso è in ogni caso irricevibile per i motivi di seguito esposti.

40. Essa osserva anzitutto che il ricorrente è stato condannato per abusi sessuali sulla persona di suo figlio. Perciò, in attesa dell'esito del procedimento penale, l'interesse del minore giustificava la decadenza dalla potestà genitoriale e la restrizione del diritto di visita del ricorrente, e legittimava l’ingerenza nel diritto di quest'ultimo al rispetto della sua vita familiare. L’ingerenza era, pertanto, fino all’esito del processo e fino all’assoluzione del ricorrente, «necessaria per la protezione dei diritti altrui», nella fattispecie i diritti di suo figlio.

41. Tuttavia, questo stesso interesse del minore esigeva anche che si permettesse al legame familiare di svilupparsi nuovamente non appena le misure adottate non fossero più sembrate necessarie (Olsson c. Svezia (n. 2), n. 13441/87, § 90, serie A n. 250).

42. La Corte ritiene che, considerate le circostanze che le vengono sottoposte, il suo compito consista nell’esaminare se le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure che ci si poteva ragionevolmente attendere da esse a seguito dell’assoluzione del ricorrente affinché i legami tra il quest’ultimo e suo figlio fossero mantenuti (Bondavalli c. Italia, n. 35532/12, § 75, 17 novembre 2015) e nel verificare il modo in cui le autorità sono intervenute per agevolare l'esercizio del diritto di visita del ricorrente (Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 58, serie A n. 299 A, e Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 105, 15 gennaio 2015). Essa rammenta inoltre che, in una causa di questo tipo, l'adeguatezza di una misura si giudica in base alla rapidità della sua attuazione (Piazzi c. Italia, n. 36168/09, § 58, 2 novembre 2010).

43. Nella fattispecie, la Corte rammenta che il ricorrente è stato per molto tempo separato da suo figlio, a causa della lunghezza del procedimento penale condotto contro di lui. Di conseguenza, al momento della sua assoluzione nel 2013, la relazione tra i due era molto complessa, se non addirittura inesistente, dato che dal 2007 il ricorrente non aveva più avuto contatti con suo figlio ed era stato dichiarato decaduto dalla potestà genitoriale.

44. La Corte osserva che, dopo l’assoluzione del ricorrente nel luglio 2013, le autorità interne hanno fatto degli sforzi per permettergli di riallacciare un legame con suo figlio. In particolare, i giudici nazionali hanno ordinato ai servizi sociali di sostenere, attraverso un percorso psicologico, se necessario a carattere terapeutico, il minore e i genitori ai fini di un progressivo riavvinamento. Il ricorrente, tuttavia, ha dovuto affrontare il rifiuto di suo figlio di vederlo e di allacciare una relazione con lui.

45. Dal 20 marzo 2014, giorno in cui il ricorrente ha depositato una domanda di reintegrazione nella potestà genitoriale, il tribunale e la corte d'appello hanno emesso varie decisioni (paragrafi 10, 14 e 21 supra). La Corte ritiene che, di fronte alle gravi incomprensioni che esistevano tra i due genitori e al rifiuto che opponeva il figlio, le autorità abbiano adottato, a partire dal 2014, le misure idonee per ristabilire i rapporti tra il ricorrente e suo figlio. In effetti, sono stati depositati vari rapporti dei servizi sociali, sono state organizzate attività di sostegno per i genitori e incontri individuali, e il minore ha seguito un percorso psicologico.

46. La Corte riconosce che le autorità nazionali hanno dovuto affrontare nella presente causa una situazione molto difficile. Infatti, il mancato esercizio del diritto di visita del ricorrente era soprattutto imputabile al rifiuto che esprimeva il minore perché la madre si opponeva a qualsiasi progetto di riavvinamento tra i due. Ciò premesso, essa rammenta che una mancanza di cooperazione tra genitori separati non può dispensare le autorità competenti dal mettere in atto tutti i mezzi che possano permettere il mantenimento del legame familiare (Nicolò Santilli, sopra citata, § 74, Lombardo, sopra citata, § 91, e ZavÅ™el, sopra citata, § 52). A questo proposito, essa rammenta anche che spetta allo Stato convenuto scegliere i mezzi che gli permettano di assicurare il rispetto degli obblighi positivi derivanti dell'articolo 8. Nella presente causa, essa ha il compito di esaminare se le misure adottate dalle autorità italiane fossero adeguate e sufficienti.

47. Nella fattispecie, la Corte ritiene che le autorità abbiano adottato le misure appropriate per creare le condizioni necessarie alla piena realizzazione del diritto di visita del ricorrente (si veda, a contrario, Bondavalli, sopra citata, § 81, Macready c. Repubblica ceca, nn. 4824/06 e 15512/08, § 66, 22 aprile 2010, e Piazzi, sopra citata, § 61). Esse hanno adottato misure utili volte all’instaurazione di contatti effettivi (si vedano D’Alconzo c. Italia, n. 64297/12, 23 febbraio 2017, e, a contrario, Lombardo, sopra citata, § 92, e Piazzi, sopra citata, § 61) e hanno messo a punto un progetto volto al riavvinamento tra il ricorrente e suo figlio.

48. Inoltre, la Corte sottolinea che il compito delle autorità era ancora più complesso in questa materia in quanto il figlio minorenne aveva costantemente manifestato la propria volontà di non incontrare il ricorrente. A questo proposito, essa rammenta che è necessaria la massima prudenza quando si tratta di ricorrere alla coercizione in questo ambito (Mitrova e Savik c. l’ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, n. 42534/09, § 77, 11 febbraio 2016, e Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, § 53, 22 novembre 2005), soprattutto nei confronti di minori il cui livello di maturità richiede che si tenga conto della loro volontà.

49. Considerati tutti gli elementi sopra esposti e il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in materia, la Corte considera che le autorità nazionali abbiano, a partire da maggio 2014, fatto tutti gli sforzi che ci si poteva ragionevolmente attendere da esse affinché il diritto di visita del ricorrente fosse garantito, conformemente alle esigenze del diritto al rispetto della vita familiare sancito dall’articolo 8 della Convenzione. Non vi è stata pertanto violazione di tale diritto su questo punto.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 28 maggio 2020.

Aleš Pejchal
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto