Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 26 marzo 2020 - Ricorso n. 28841/003 - Causa De Cicco contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca , funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA DE CICCO c. ITALIA

(Ricorso n. 28841/03)

SENTENZA

STRASBURGO

26 marzo 2020

La presente sentenza è definitiva ma può subire modifiche di forma.

Nella causa De Cicco c. Italia,

la Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in un Comitato composto da:

Tim Eicke, Presidente,
Jovan Ilievski,
Raffaele Sabato, giudici,
e Renata Degener, cancelliere aggiunto di Sezione,

Visti:

il ricorso presentato contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino italiano, il Sig. Vincenzo De Cicco (“il ricorrente”), ha adito la Corte in data 9 febbraio 2000 ai sensi dell’articolo34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);

la decisione di comunicare il ricorso al Governo italiano (“il Governo”);

le osservazioni delle parti;

la decisione di rigetto dell’eccezione formulata dal Governo all’esame del ricorso da parte di un Comitato;

dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 3 marzo 2020,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

La causa concerne la costituzione di una servitù in relazione al terreno del ricorrente e la durata dei pertinenti procedimenti interni. Il ricorrente ha invocato l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e l’articolo 6 § 1 della Convenzione.

IN FATTO

1.Il ricorrente è nato nel 1940 e vive a Benevento. Il ricorrente è stato rappresentato dall’avvocato S. Ferrara, del foro di Benevento.

2.Il Governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo ex agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, la Sig.ra P.Accardo.

3.Il ricorrente era proprietario di un appezzamento di terreno ricadente nel Comune di Il terreno in questione era riportato nel catasto terreni al foglio n. 14, e distinto dalle particelle nn. 1055 e 1153.

4.In data 17 aprile 1990 il Presidente del Consiglio Regionale della Campania approvò un progetto finalizzato alla costruzione di condutture elettriche sul terreno del ricorrente.

5.In data 28 maggio 1991 il sindaco di Benevento emise un’ordinanza che autorizzava la società pubblica dell’energia elettrica, ENEL, a occupare il terreno del ricorrente per un periodo di cinque anni al fine di iniziare la costruzione delle condutture elettriche.

6.In data 8 luglio 1991, l’ENEL prese materialmente possesso del terreno e iniziò il lavoro di costruzione.

IL PROCEDIMENTO DINANZI AL TRIBUNALE DI BENEVENTO

7.In data 3 ottobre 1994 il ricorrente instaurò un’azione risarcitoria contro l’ENEL dinanzi al Tribunale di Benevento. Sostenne che l’occupazione del terreno era stata illegittima in quanto l’ordinanza emessa dal sindaco in data 28maggio 1991 non aveva precisato la data iniziale e quella finale del periodo di occupazione quinquennale. Sostenne inoltre che il lavoro di costruzione era stato completato senza che fosse stato emesso un provvedimento formale di costituzione della servitù. Chiese pertanto la restituzione del terreno e lo smantellamento delle condutture elettriche o, in alternativa, un risarcimento per la servitù costituita in relazione al bene di sua proprietà e un’ulteriore somma per la perdita del godimento del terreno.

8.In data imprecisata il tribunale dispose una perizia del terreno. Nella relazione presentata in data 7 luglio 1998 il perito dichiarò che il termine dell’occupazione legittima del terreno era spirato in data 7 luglio 1996. Rilevò inoltre che l’ordinanza emessa dal sindaco di Benevento non indicava la data iniziale e quella finale del lavoro di costruzione né di alcun procedimento di esproprio. Il perito procedette poi a calcolare il risarcimento dovuto al ricorrente per la servitù di elettrodotto che sarebbe stata costituita sul suo bene, che ammontava a suo avviso a lire italiane 8.115.000 (LIT). Il perito determinò inoltre che la perdita di valore del rimanente bene del ricorrente successivamente alla costituzione di una servitù sarebbe ammontata a LIT quattordici milioni.

9.Con sentenza del 14 dicembre 2006, deposita in cancelleria in data 19 dicembre 2006, il Tribunale di Benevento dichiarò che l’occupazione del terreno del ricorrente al fine di costruirvi delle condutture elettriche non era stata effettuata in conformità alla legge. Detto ciò, secondo il tribunale disporre l’eliminazione delle condutture elettriche avrebbe cagionato “un grave danno al sistema economico del Paese”, ed egli non avrebbe pertanto potuto prevedere una simile scelta. Il tribunale costituì una servitù di elettrodotto nel terreno del ricorrente e ritenne che il ricorrente avesse diritto al risarcimento calcolato dal perito, adeguato per l’inflazione e maggiorato degli interessi legali dovuti.

10.Il ricorrente non presentò appello avverso la sentenza del tribunale di Benevento.

IL PROCEDIMENTO “Pinto”

11.In data 15 aprile 2002 il ricorrente presentò ricorso alla Corte di appello di Roma ai sensi della Legge 24 marzo 2001 n. 89, denominata Legge “Pinto”, lamentando l’eccessiva durata dei procedimenti di cui sopra. Il ricorrente chiese alla Corte di appello di dichiarare che vi era stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e di ordinare allo Stato italiano di pagare un risarcimento per il danno non patrimoniale che aveva subito, che valutava pari a EUR 972.

12.Con decisione del 10 aprile 2003, depositata in cancelleria in data 8 maggio 2003, la Corte di appello dichiarò che il requisito del termine ragionevole non era stato osservato. Concesse al ricorrente EUR900 per il risarcimento del danno non patrimoniale ed EUR650 per le spese.

13.La decisione della Corte di appello fu notificata all’amministrazione in data 19 giugno 2003 e passò in giudicato in data 3 ottobre 2003.

IL PERTINENTE QUADRO GIURIDICO

14. Il diritto e la prassi interni concernenti la Legge 24 marzo 2001 n. 89, denominata “Legge Pinto”, sono esposti nella sentenza relativa alla causa Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006‑V).

IN DIRITTO

SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N.1 ALLA CONVENZIONE

15.Il ricorrente ha lamentato di essere stato privato del terreno di sua proprietà con modalità che non erano state conformi alla legge e che avevano pertanto comportato la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, che recita:

“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”

16.Il Governo ha contestato tali rilievi.

A.Sulla ricevibilità

1. Le osservazioni delle parti

17.Il Governo ha sostenuto innanzitutto che la causa non concerneva una privazione della proprietà bensì, piuttosto la costituzione di una servitù pubblica sul terreno del ricorrente. Ciò aveva rappresentato, a suo avviso, un tipo di ingerenza nel diritto di proprietà diverso da quello lamentato dal ricorrente. Il Governo ha inoltre rilevato che il tribunale di Benevento doveva ancora emettere una decisione nel momento in cui venivano redatte le osservazioni. Esso era tuttavia convinto che il ricorrente avrebbe ricevuto un adeguato risarcimento per l’ingerenza nei suoi diritti di proprietà.

18.Il ricorrente ha contestato i rilievi del Governo. Ha sottolineato di essere stato illegittimamente privato del suo bene. In particolare, ha sostenuto che il bene di sua proprietà era stato trasferito de facto all’autorità locale mediante l’espropriazione indiretta (accessione invertita), che la Corte aveva dichiarato incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 nelle sentenze relative alle cause Carbonara e Ventura c. Italia (n. 24638/94, CEDU2000‑VI), e Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia (n. 31524/96, CEDU 2000‑VI). Ha inoltre lamentato di non aver ancora ricevuto un risarcimento per l’illegittima sottrazione del suo bene e che l’eventuale risarcimento che avrebbe ricevuto non sarebbe stato, in ogni caso, pari al valore venale del suo bene.

2. La valutazione della Corte

19.La Corte rileva preliminarmente che era pendente un procedimento interno quando è stato notificato il ricorso al Governo in data 1° giugno 2006, quando il Governo ha presentato le sue prime osservazioni in data 3 ottobre 2006 e quando il ricorrente ha presentato le sue osservazioni di replica in data 7 dicembre 2006. La Corte rileva, tuttavia, che il procedimento si è concluso in data 14 dicembre 2006 con la sentenza del Tribunale di Benevento. In quest’ultima sentenza, il tribunale ha disposto la costituzione di una servitù di elettrodotto nel terreno del ricorrente e ha ritenuto che il ricorrente avesse diritto a un risarcimento a causa della perdita di valore della sua rimanente proprietà (si veda il paragrafo 9 supra). La Corte non può pertanto riscontrare alcuna prova che dimostri che il bene appartenente al ricorrente fosse stato effettivamente trasferito dal ricorrente all’autorità locale mediante l’applicazione del principio dell’espropriazione indiretta.

20.Alla luce dell’esito del procedimento dinanzi al Tribunale di Benevento, la Corte ritiene che il ricorrente non possa affermare di essere vittima della lamentata violazione della Convenzione, nella misura in cui ha lamentato l’illegittima privazione della sua proprietà.

21.Segue che la doglianza del ricorrente ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) e deve essere rigettata, in applicazione dell’articolo 35 § 4 della Convenzione.

SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

22.Il ricorrente ha sostenuto che il procedimento che aveva instaurato per chiedere il risarcimento dell’ingerenza nei suoi diritti di proprietà non aveva soddisfatto il requisito del “termine ragionevole” di cui all’articolo 6 § 1 della Convenzione, e che l’importo liquidato dalla Corte di appello era insufficiente per porre rimedio alla violazione. La parte pertinente di tale articolo recita:

“1.Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole (…) da un tribunale il quale sia chiamato a pronunciarsi sule controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)”

23.Il Governo ha contestato tale rilievo.

A. Sulla ricevibilità

1. L'eccezione relativa alla perdita della qualità di vittima

24.Il Governo ha sostenuto che il ricorrente non era più “vittima” della violazione dell’articolo 6 § 1 in quanto aveva ottenuto dalla Corte di appello la constatazione della violazione e la liquidazione di un importo che avrebbe dovuto essere considerato adeguato.

25. Il ricorrente riteneva di essere ancora “vittima” della violazione lamentata in quanto l’importo che gli era stato liquidato dalla Corte di appello di Roma era insufficiente.

26.In conformità alla sua giurisprudenza consolidata, è chiesto alla Corte di verificare che le autorità abbiano riconosciuto, almeno sostanzialmente, la violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione e che il risarcimento possa essere considerato appropriato e sufficiente (si veda Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, § 84, CEDU2006‑V).

27.La prima condizione, che è la constatazione di una violazione da parte delle autorità nazionali, non è in questione in quanto la Corte di appello di Roma ha riconosciuto espressamente che era avvenuta una violazione.

28.In ordine alla seconda condizione, la Corte ha indicato diverse caratteristiche che un mezzo di ricorso interno deve possedere per offrire una riparazione appropriata e sufficiente (si veda Cocchiarella c. Italia [GC], sopra citata, §§ 86-107). In particolare, nel valutare l’importo del risarcimento liquidato dalla Corte di appello, la Corte ritiene, sulla base del materiale di cui è in possesso, che avrebbe liquidato la stessa somma per il periodo di cui ha tenuto conto il tribunale interno.

29.Nel caso di specie, in conformità ai criteri stabiliti nella sua giurisprudenza, la Corte ritiene che la riparazione fosse insufficiente (si vedano DelleCave e Corrado c. Italia 14626/03, § 26-31, 5 giugno 2007, e Cocchiarella c. Italia [GC], sopra citata, §§ 69-98).

30.Alla luce di quanto sopra, il ricorrente può ancora proclamarsi “vittima” ai sensi dell’articolo 34 e l’eccezione preliminare del Governo relativa all’assenza della sua qualità di vittima deve pertanto essere rigettata.

2. L'eccezione relativa al mancato esaurimento

31.Il Governo ha sollevato un’ulteriore eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto il ricorrente non aveva presentato ricorso alla Corte di Cassazione avverso la decisione della Corte di appello di Roma.

32.La Corte ribadisce la sua precedente conclusione secondo la quale era ragionevole assumere che in data successiva al 26 luglio 2004 la collettività non poteva più ignorare la svolta giurisprudenziale della Corte di Cassazione, e a decorrere da tale data i ricorrenti erano tenuti ad avvalersi di tale mezzo di ricorso ai fini dell’articolo 35§1 della Convenzione (si veda DiSante c. Italia (dec.), n.56079/00, 24 giugno 2004).

33.Poiché la decisione della Corte di appello di Roma è passata in giudicato in data 3 ottobre 2003, la Corte ritiene che il ricorrente sia esente dall’obbligo di presentare ricorso alla Corte di Cassazione. L’eccezione deve conseguentemente essere rigettata.

3. Conclusione

34.La Corte rileva che la doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione. Rileva inoltre che non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.

B. Sul merito

35.La Corte rileva che nel caso di specie il procedimento interno è stato depositato in data 3 ottobre 1994 e in data 10 aprile 2003, quando la Corte di appello di Roma ha pronunciato la sua decisione, era durato circa otto anni e sei mesi, per un grado di giurisdizione.

36.La Corte ha precedentemente esaminato cause che sollevano questioni simili a quelle relative al caso di specie e ha riscontrato la violazione dell’articolo 6 § 1, in quanto la durata del procedimento lamentato non soddisfaceva il requisito del “termine ragionevole” (si veda, per esempio, Cocchiarella c. Italia, sopra citata). La Corte ha esaminato il caso di specie e ritiene che il Governo non abbia presentato alcun fatto o rilievo che avrebbe condotto a una differente conclusione di questo caso.

37.Vi è conseguentemente stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

SULLE ALTRE DEDOTTE VIOLAZIONI DELLA CONVENZIONE

38.Il ricorrente ha inoltre sostenuto che il mezzo di ricorso introdotto dalla Legge “Pinto” non poteva essere considerato un ricorso effettivo in ragione della somma ottenuta quale risarcimento a livello interno. Ha invocato l’articolo 13 della Convenzione, che prevede:

“Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.”

39.La Corte ribadisce che l’articolo 13 della Convenzione garantisce la disponibilità a livello interno di un ricorso che permetta di ottenere il rispetto della sostanza dei diritti e delle libertà previsti dalla Convenzione, a prescindere dalla forma in cui essi possano essere garantiti nell’ordinamento giuridico interno. L’articolo 13 esige quindi la previsione di un ricorso interno per trattare la sostanza di una “doglianza sostenibile” ai sensi della Convenzione e di offrire un’appropriata riparazione nei casi meritevoli (si vedano Mifsud c. Francia (dec.) [GC], n. 57220/00, § 17, CEDU 2002‑VIII; Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, §§ 186-88, CEDU 2006‑V; e Sürmeli c. Germania [GC], n. 75529/01, § 98, CEDU2006‑VII). La Corte sottolinea tuttavia che ai sensi dell’articolo 13 l’effettività di un ricorso non dipende dalla certezza di un esito favorevole al ricorrente (si veda Sürmeli c. Germania, sopra citata, § 98).

40.La Corte rinvia inoltre alla sua giurisprudenza consolidata, secondo la quale l’inadeguatezza del risarcimento liquidato ai sensi di un procedimento “Pinto” non costituisce un motivo sufficiente per mettere in discussione la complessiva effettività di tale ricorso (si vedano Gagliano Giorgi c. Italia, n. 23563/07, § 79, CEDU 2012 (estratti), e Delle Cave e Corrado c. Italia, sopra citata, §§ 43-46).

41.Nel caso di specie la Corte di appello di Roma era competente a esaminare la doglianza del ricorrente e l’ha debitamente esaminata. La Corte ritiene che il mero fatto che l’importo liquidato quale risarcimento fosse insufficiente non mette di per sé in discussione l’effettività del ricorso “Pinto” (si veda, mutatis mutandis, Zarb c. Malta, n. 16631/04, §51, 4luglio 2006).

42.Segue che questa doglianza deve essere rigettata in quanto manifestamente infondata, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3, lettera a) e 4 della Convenzione.

L’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

43.L’articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A. Il danno non patrimoniale

44.Il ricorrente non ha chiesto una specifica somma per quanto riguarda l’articolo 6 § 1 ma ha chiesto piuttosto che la Corte liquidasse un risarcimento del danno non patrimoniale per le sofferenze, l’angoscia e l’incertezza subite in conseguenza dei fatti contestati.

45. Il Governo ha sostenuto che il ricorrente aveva già ottenuto un risarcimento a livello nazionale per il danno non patrimoniale subito in conseguenza della eccessiva durata dei procedimenti interni e, per questo motivo, la concessione di un risarcimento aggiuntivo da parte della Corte non sarebbe stato giustificato.

46.In considerazione delle caratteristiche del mezzo di ricorso interno scelto dall’Italia e del fatto che, nonostante tale mezzo di ricorso nazionale, la Corte abbia riscontrato la violazione, essa ritiene, deliberando in via equitativa, che debbano essere liquidati al ricorrente EUR 3.420.

B. Le spese

47.In ordine alle spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte, il ricorrente ha presentato una parcella e ha chiesto il rimborso di EUR 53.585,53.

48. Il Governo ha lasciato la questione alla discrezione della Corte, sottolineando che l’importo chiesto per il procedimento dinanzi alla Corte era eccessivo.

49. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, il rimborso delle spese è concesso ai sensi dell’articolo 41 soltanto nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole (si veda Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008).

50. In considerazione dei documenti di cui è in possesso e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole liquidare la somma di EUR1.000 per il procedimento dinanzi alla Corte.

 C. Gli interessi moratori

51. L a Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara la doglianza relativa all’articolo 6 § 1 ricevibile e il resto del ricorso irricevibile;
  2. Dichiara che vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. EUR 3.420 (euro tremilaquattrocentoventi), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
      2. EUR 1.000 (euro mille), oltre l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della banca centrale europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 26 marzo 2020, in applicazione dell’articolo77§§2 e 3 del Regolamento della Corte.

Renata Degener
Cancelliere aggiunto

Tim Eicke
Presidente