Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 26 marzo 2020 - Ricorso n. 24888/03 - Causa Matteo contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca , funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA MATTEO c. ITALIA

(Ricorso n. 24888/03)

SENTENZA

STRASBURGO

26 marzo 2020

La presente sentenza è definitiva ma può subire modifiche di forma.

Nella causa Matteo c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in un Comitato composto da:
Tim Eicke, Presidente,
Jovan Ilievski,
Raffaele Sabato, giudici,
e Renata Degener, cancelliere aggiunto di Sezione,

Visti:
il ricorso presentato contro la Repubblica italiana con il quale una cittadina italiana, la Sig.ra Maria Cristina Matteo (“la ricorrente”), ha adito la Corte in data 3 febbraio 2000 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);
la decisione di comunicare il ricorso al Governo italiano (“il Governo”);
le osservazioni delle parti;
la decisione di rigetto dell’eccezione formulata dal Governo all’esame del ricorso da parte di un Comitato;
dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 3 marzo 2020,
pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

La causa concerne l’esproprio del terreno della ricorrente e la durata dei pertinenti procedimenti interni.

IN FATTO

1. La ricorrente è nata nel 1936 e vive a Castelpagano. È stata rappresentata dall’avvocato L. Crisci, del foro di Benevento.

2. Il Governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo ex agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, la Sig.ra P. Accardo.

3. La ricorrente era proprietaria di un appezzamento di terreno sito a Castelpagano. Il terreno in questione era riportato nel catasto terreni al foglio n. 30 e distinto dalla particella n. 365.

4. Il 6 settembre 1989 la Comunità montana Alto Tammaro – in prosieguo “la Comunità montana”) approvò un progetto per costruire una strada sul terreno della ricorrente.

5. Il 23 ottobre 1989, la società T., alla quale la Comunità montana aveva aggiudicato il progetto di costruzione, prese materialmente possesso di 708 metri quadrati del terreno della ricorrente, dopo essere stata autorizzata a farlo dal coniuge della ricorrente.

6. Il 10 maggio 1990 il Comune di Castelpagano emise un decreto che autorizzava formalmente la Comunità montana a occupare il terreno della ricorrente al fine di iniziare la costruzione della strada.

7. Il 14 febbraio 1992 la Comunità montana versò alla ricorrente un anticipo del risarcimento dovuto per l’esproprio, pari a lire italiane 1.260.000 (ITL).

8. Il 27 giugno 1995 il Comune di Castelpagano emise un decreto di esproprio concernente la porzione del terreno che era stata materialmente occupata (si veda il paragrafo 5 supra).

I. I PROCEDIMENTI INSTAURATI IN RELAZIONE ALL’ESPROPRIO

9. Il 14 settembre 1992 la ricorrente adì il Tribunale di Benevento con un’azione risarcitoria nei confronti della Comunità montana. Sostenne che l’occupazione del suo terreno non fosse conforme alla legge in quanto era iniziata precedentemente all’emissione del decreto che la autorizzava formalmente (si vedano i paragrafi 5 e 6 supra). Chiese la concessione di un risarcimento che la indennizzasse della perdita della proprietà del suo bene, sostenendo che de facto la proprietà dello stesso fosse stata trasferita all’autorità locale. Chiese inoltre una somma per la perdita di valore del rimanente terreno, nonché per la distruzione delle colture che crescevano su di esso.

10. Con sentenza del 22 dicembre 2004, depositata in cancelleria il 10 febbraio 2005, il Tribunale di Benevento dichiarò che il decreto di esproprio per pubblica utilità non era stato emesso tempestivamente. Ritenne che il decreto avrebbe dovuto essere stato emesso entro il termine di cinque anni decorrenti dall’inizio dell’occupazione del terreno della ricorrente, che il Tribunale individuò come coincidente con la data in cui le autorità avevano preso materialmente possesso del terreno, ovvero il 23 ottobre 1989 (si veda il paragrafo 5 supra). Conseguentemente, a norma del principio dell’espropriazione indiretta (occupazione appropriativa), i ricorrenti non erano più proprietari del terreno, che era diventato di proprietà della Comunità montana. Il Tribunale ammise inoltre che la ricorrente avesse diritto a un risarcimento per la perdita del suo bene, ma rigettò le altre richieste formulate dalla stessa in quanto la ricorrente non aveva fornito adeguate prove che le supportassero.

11. In data 25 aprile 2005, la Comunità montana propose appello avverso la sentenza di primo grado dinanzi alla Corte di appello di Napoli.

12. Con sentenza del 28 marzo 2008, depositata in cancelleria in data 28 maggio 2008, la Corte di appello di Napoli ribaltò la sentenza pronunciata dal Tribunale di Benevento e ritenne che l’esproprio del terreno della ricorrente fosse stato effettuato in conformità alla legge. La Corte di appello ritenne che il Tribunale avesse errato nel considerare che il decreto di espropriazione formale non fosse stato emesso tempestivamente, determinazione che aveva condotto quest’ultimo tribunale a concludere che il trasferimento della proprietà fosse avvenuto per mezzo dell’applicazione del principio dell’espropriazione indiretta. La Corte di appello constatò preliminarmente che la ricorrente non aveva provato che nel caso di specie la durata dell’occupazione legittima fosse stata fissata per un periodo inferiore al termine di cinque anni prescritto dalla pertinente legislazione vigente all’epoca. La Corte di appello proseguì rilevando che, poiché riteneva che l’occupazione fosse iniziata il giorno in cui le autorità avevano preso materialmente possesso del terreno, ovvero il 22 ottobre 1989 (si veda il paragrafo 5 supra) – che era la data cui aveva rinviato il Tribunale di primo grado (si veda il paragrafo 10 supra) – il periodo di occupazione legittima del terreno sarebbe dovuto scadere il 23 ottobre 1994. La Corte di appello sottolineò tuttavia che, a norma della legislazione applicabile all’epoca, il periodo di occupazione legittima quinquennale doveva essere considerato prorogato automaticamente per un ulteriore periodo di due anni. Seguiva che il termine entro cui emettere un decreto di esproprio era stato prorogato al 23 ottobre 1996. La Corte di appello concluse conseguentemente che il decreto di esproprio era stato emesso tempestivamente, vale a dire entro il termine di occupazione legittima.

13. La ricorrente non propose ricorso alla Corte di Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli.

II. IL PROCEDIMENTO “PINTO”

14. In data 17 aprile 2002 la ricorrente presentò ricorso alla Corte di appello di Roma ai sensi della Legge 24 marzo 2001 n. 89, denominata Legge “Pinto”, lamentando l’eccessiva durata dei procedimenti di cui sopra. La ricorrente chiese alla Corte di appello di dichiarare che vi era stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e di ordinare allo Stato italiano di pagare un risarcimento per il danno non patrimoniale subito, che valutava pari a EUR 18.550.

15. Con decisione del 17 marzo 2003, depositata in cancelleria in data 17 aprile 2003, la Corte di appello dichiarò che era stato superato il termine ragionevole per i procedimenti. Liquidò alla ricorrente EUR 1.400 per il risarcimento del danno non patrimoniale ed EUR 500 per le spese sostenute in relazione ai procedimenti interni nonché EUR 700 per le spese sostenute in relazione al procedimento dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

16. La decisione della Corte di appello di Roma fu notificata alle autorità locali in data 26 maggio 2003 e passò in giudicato in data 26 luglio 2003.

IL PERTINENTE QUADRO GIURIDICO

17. Il diritto e la prassi interni in materia di espropriazione indiretta si possono trovare nella sentenza relativa alla causa Guiso-Gallisay c. Italia ((equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, §§ 18-48, 22 dicembre 2009).

18. Il diritto e la prassi interni concernenti la Legge 24 marzo 2001 n. 89, denominata “Legge Pinto”, sono esposti nella sentenza relativa alla causa Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006 V).

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE

19. La ricorrente ha lamentato di essere stata illegittimamente privata del terreno di sua proprietà in ragione dell’applicazione, da parte dei tribunali interni, del principio dell’espropriazione indiretta (occupazione acquisitiva, occupazione appropriativa o accessione invertita). Ha sostenuto che ciò aveva violato i suoi diritti ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, che prevede:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.”

20. Il Governo ha contestato tale rilievo.

Sulla ricevibilità

1. I rilievi delle parti

(a) Il Governo

21. Il Governo ha sostenuto che la doglianza era prematura in quanto la causa era ancora all’esame da parte dei tribunali interni. Ha rilevato che era stato presentato appello avverso la sentenza del Tribunale di Benevento, che il procedimento era in corso e che era stato chiesto alla Corte di appello di riesaminare la questione di sapere se l’espropriazione fosse stata effettuata in conformità alla legge, determinazione dalla quale dipende la constatazione, da parte della Corte, della violazione. Se la Corte di appello dovesse decidere che l’esproprio era stato legittimo, non sussisterebbe alcun motivo per concludere per la violazione della Convenzione.
22. Qualora la Corte decida di esaminare la causa prima della conclusione dei procedimenti interni, il Governo ha sostenuto che l’esproprio era stato legittimo ai sensi del diritto interno ed era stato effettuato in conformità alla Convenzione, in quanto secondo le autorità locali il decreto di esproprio era stato emesso tempestivamente. Ha pertanto invitato la Corte a dichiarare la doglianza irricevibile in quanto manifestamente infondata.

Se, al contrario, la Corte dovesse ritenere che l’esproprio non fosse stato effettuato in conformità alla legge, ha preso atto della giurisprudenza consolidata della Corte relativa all’applicazione del principio dell’espropriazione indiretta, ha rinviato alle sue osservazioni depositate in relazione a numerose cause concernenti questa materia, e ha lasciato la questione alla discrezione della Corte.

(b) La ricorrente

23. La ricorrente ha ribadito che il Tribunale di primo grado aveva confermato che la proprietà del suo bene era stata trasferita alle autorità locali mediante l’applicazione del principio dell’espropriazione indiretta. Ha sostenuto che le autorità locali avevano potuto in tal modo trarre un vantaggio dalla propria condotta illegittima. A tale riguardo, ha formulato corpose osservazioni concernenti il fatto che il principio dell’espropriazione indiretta era incompatibile con il principio di legalità e in contrasto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1. Ha sottolineato che, nonostante l’illegittimità della privazione del bene, non era riuscita a ottenere la restituzione del terreno, ma soltanto la concessione di un risarcimento. A suo avviso anche questo aveva costituito violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

2. La valutazione della Corte

24. La Corte prende atto dell’eccezione del Governo relativa alla prematurità della doglianza. Tuttavia, alla luce delle sue conclusioni esposte nel paragrafo 25 infra, la Corte ritiene che non sia necessario esaminare tale eccezione.

25. La Corte ribadisce preliminarmente che la doglianza della ricorrente era incardinata sull’affermazione che ella era stata privata illegittimamente del suo terreno a causa dell’applicazione al suo caso del principio dell’espropriazione indiretta. A sostegno dei suoi rilievi, la ricorrente ha invocato la sentenza del Tribunale di Benevento, che aveva concluso in tal senso (si veda il paragrafo 10 supra). La Corte rileva tuttavia che la sentenza del Tribunale di Benevento era stata appellata dinanzi alla Corte di appello di Napoli e che pendeva un procedimento dinanzi a quest’ultimo organo giudiziario il 23 maggio 2006, quando il ricorso era stato notificato al Governo convenuto, quando il Governo aveva presentato le sue prime e le sue seconde osservazioni rispettivamente in data 21 settembre 2006 e 3 maggio 2007, e quando la ricorrente aveva presentato le sue osservazioni in data 19 marzo 2007. La Corte rileva che il procedimento si è concluso in data 28 maggio 2008, con la sentenza della Corte di appello di Napoli. Con tale sentenza la Corte di appello ha ribaltato la sentenza di primo grado e ha ritenuto che il trasferimento della proprietà in questione non fosse avvenuto per mezzo dell’espropriazione indiretta e fosse stato effettuato, al contrario, in conformità alla legge (si veda il paragrafo 12 supra). La Corte sottolinea inoltre che, poiché la ricorrente non ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, la sentenza della Corte di appello costituiva la determinazione finale della questione di sapere se la privazione della proprietà subita dalla ricorrente fosse stata legittima. Tenendo presente che spetta principalmente ai tribunali interni interpretare la pertinente legislazione interna, e che la decisione della Corte di appello, basata sulla piena conoscenza dei fatti pertinenti, non appare arbitraria o manifestamente irragionevole, la Corte non vede motivo per mettere in discussione le sue conclusioni.

26. Segue che tale doglianza è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3, lettera a) e 4 della Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

27. La ricorrente ha sostenuto che i procedimenti che aveva instaurato per chiedere il risarcimento dell’ingerenza nei suoi diritti di proprietà non avevano osservato il requisito del “termine ragionevole” di cui all’articolo 6 § 1 della Convenzione, e che l’importo liquidato dalla Corte di appello era insufficiente a porre rimedio alla violazione. La parte pertinente di tale articolo recita:
“1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole (…) da un tribunale il quale sia chiamato a pronunciarsi sule controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)”

28. Il Governo ha contestato tale rilievo.

A. Sulla ricevibilità

29. Il Governo ha sostenuto che la ricorrente non era più “vittima” della violazione dell’articolo 6 § 1 perché aveva ottenuto dalla Corte di appello la constatazione della violazione e la concessione di un importo che avrebbe dovuto essere considerato adeguato.

30. La ricorrente riteneva di essere ancora “vittima” della violazione lamentata in quanto l’importo che le era stato liquidato dalla Corte di appello di Roma era insufficiente.

31. In conformità alla sua giurisprudenza consolidata, è chiesto alla Corte di verificare che le autorità abbiano riconosciuto, almeno sostanzialmente, la violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione e che il risarcimento possa essere considerato appropriato e sufficiente (si veda Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, § 84, CEDU 2006 V).

32. La prima condizione, che è la constatazione di una violazione da parte delle autorità nazionali, non è in questione in quanto la Corte di appello di Roma ha riconosciuto espressamente che era avvenuta una violazione.

33. In ordine alla seconda condizione, la Corte ha indicato diverse caratteristiche che un mezzo di ricorso interno deve possedere per offrire una riparazione appropriata e sufficiente (si veda Cocchiarella c. Italia [GC], sopra citata, §§ 86-107). In particolare, nel valutare l’importo del risarcimento liquidato dalla Corte di appello, la Corte ritiene, sulla base del materiale di cui è in possesso, che avrebbe liquidato la stessa somma per il periodo di cui ha tenuto conto il tribunale interno.

34. Nel caso di specie, in conformità ai criteri stabiliti nella sua giurisprudenza, la Corte ritiene che la riparazione fosse insufficiente (si vedano Delle Cave e Corrado c. Italia n. 14626/03, § 26-31, 5 giugno 2007, e Cocchiarella c. Italia [GC], sopra citata, §§ 69-98).

35. Alla luce di quanto sopra, la ricorrente può ancora proclamarsi “vittima” ai sensi dell’articolo 34 e l’eccezione preliminare del Governo relativa all’assenza della sua qualità di vittima deve pertanto essere rigettata.

36. La Corte rileva che la doglianza non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione. Rileva inoltre che non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.

B. Sul merito

37. La Corte rileva che nel caso di specie il procedimento interno è stato depositato in data 12 settembre 1992 e, in data 17 marzo 2003 quando la Corte di appello di Roma ha pronunciato la sua decisione, era durato circa nove anni e sei mesi per un grado di giurisdizione.

38. La Corte ha precedentemente esaminato cause che sollevano questioni simili a quelle relative al caso di specie e ha riscontrato la violazione dell’articolo 6 § 1, in quanto la durata del procedimento lamentato non soddisfaceva il requisito del “termine ragionevole” (si veda, per esempio, Cocchiarella c. Italia, sopra citata). La Corte ha esaminato il caso di specie e ritiene che il Governo non abbia presentato alcun fatto o rilievo che avrebbe condotto a una differente conclusione di questo caso.

39. Vi è conseguentemente stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

III. L’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

40. L’articolo 41 della Convenzione prevede:
“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A. Il danno non patrimoniale

41. La ricorrente ha chiesto euro 50.000 (EUR) per il danno non patrimoniale subito in conseguenza della durata dei procedimenti interni.

42. Il Governo ha sostenuto che la ricorrente aveva già ottenuto un risarcimento a livello nazionale per il danno non patrimoniale, e per questo motivo la concessione di un risarcimento aggiuntivo da parte della Corte non sarebbe stato giustificato.

43. In considerazione delle caratteristiche del mezzo di ricorso interno scelto dall’Italia e del fatto che, nonostante tale mezzo di ricorso nazionale, la Corte abbia riscontrato la violazione, essa ritiene, deliberando in via equitativa, che debbano essere liquidati alla ricorrente EUR 3.640.

B. Le spese

44. In ordine alle spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte, la ricorrente ha presentato una nota spese ma ha lasciato la somma da liquidare alla discrezione della Corte.
45. Il Governo ha invitato la Corte a non concedere alcuna somma in relazione alle spese.
46. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, il rimborso delle spese è concesso ai sensi dell’articolo 41 soltanto nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole (si veda Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008).
47. Visti i documenti di cui è in possesso e la sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole liquidare, tenendo presente anche la somma già concessa dai tribunali interni (si veda il paragrafo 15 supra), EUR 300 per il procedimento dinanzi alla Corte in ordine alla doglianza relativa alla durata dei procedimenti.

C. Gli interessi moratori

48. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara la doglianza relativa all’articolo 6 § 1 ricevibile e il resto del ricorso irricevibile;
  2. Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Ritiene
    1. che lo Stato convenuto debba versare alla ricorrente, entro tre mesi, le seguenti somme:
      1. EUR 3.640 (euro tremilaseicentoquaranta), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
      2. EUR 300 (euro trecento), oltre l’importo eventualmente dovuto dalla ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 26 marzo 2020, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Tim Eicke
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto