Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 6 febbraio 2020 - Ricorso n. 44221/14 - Causa Felloni contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita da Rita Carnevali, assistente linguistico e rivista con la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA FELLONI c. ITALIA

(Ricorso n. 44221/14)

SENTENZA

Art. 6 (penale) • Processo equo • Procedimento dinanzi alla Corte di cassazione che non garantisce un esame effettivo delle principali argomentazioni del ricorrente né una risposta che permetta di comprendere le ragioni per cui sono state respinte

Art 7 • Retroattività • Nuova legge che limita il potere discrezionale del giudice nel riconoscere le attenuanti di pena, senza rendere inoperante un criterio legale che sarebbe stato favorevole al ricorrente • Ricorrente non penalizzato in ragione della valutazione, dal punto di vista della nuova legge, di fatti precedenti alla sua entrata in vigore • Determinazione della pena risultante da un bilanciamento di tutti gli elementi pertinenti

STRASBURGO

6 febbraio 2020

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Felloni c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Ksenija Turković, presidente,
Aleš Pejchal,
Armen Harutyunyan,
Pere Pastor Vilanova,
Tim Eicke,
Jovan Ilievski,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 7 gennaio 2020,

Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 44221/14) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. Riccardo Felloni («il ricorrente»), che ha adito la Corte il 17 luglio 2014 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall’avvocato G. Carpeggiani, del foro di Ferrara. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora.

3. Il ricorrente lamentava l’applicazione retroattiva di una legge penale da lui ritenuta più severa e il rifiuto della Corte di cassazione di esaminare il suo motivo di ricorso a tale riguardo.

4. Il 28 agosto 2017 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1978 e risiede a Ferrara.

6. Il 29 settembre 2007 fu fermato durante un controllo stradale e sottoposto ad alcol test.

7. A seguito di questo controllo, fu avviato un procedimento penale nei suoi confronti dinanzi al tribunale di Ferrara per guida in stato di ebbrezza. A sua difesa, il ricorrente sostenne che i risultati dell’alcol test erano stati falsati dall’uso di un farmaco per l'asma.

8. Con sentenza del 14 novembre 2011, il tribunale di Ferrara dichiarò l'interessato colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza, lo condannò alla pena di un mese di arresto con sospensione della pena e ad una ammenda di 900 euro (EUR) oltre che alla sospensione della sua patente di guida per un anno.

9. Il ricorrente interpose appello avverso questa sentenza, dichiarandosi innocente e chiedendo, in subordine, il riconoscimento di circostanze attenuanti ai sensi dell'articolo 62 bis del codice penale (CP). A sostegno della sua richiesta, affermò di non avere precedenti penali.

10. Con sentenza del 22 maggio 2012, la corte d'appello di Bologna respinse l’appello del ricorrente e confermò la sua condanna. Respinse anche la richiesta del ricorrente volta a beneficiare di circostanze attenuanti, in quanto l'assenza di precedenti giudiziari, unico elemento addotto dal ricorrente a sostegno della sua richiesta, non era più un elemento idoneo ad integrarle. La corte d’appello aggiunse che, d’altronde, non vi erano altri parametri che potessero essere presi in considerazione a favore del ricorrente, nemmeno il comportamento tenuto da quest’ultimo nel corso del processo, durante il quale non aveva mostrato alcun segno di ravvedimento. Indicò, invece, che si doveva tener conto del fatto che, dopo la commissione del reato in questione, il ricorrente era stato nuovamente fermato a bordo del suo veicolo in stato di ebbrezza e aveva addotto, a sua difesa, argomentazioni simili a quelle ritenute infondate e mendaci nel caso di specie.

11. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione. Nel suo motivo di ricorso n. 6 lamentava, tra l’altro, l'applicazione retroattiva della legge n. 125 del 2008 alla sua causa e sosteneva che questa legge aveva modificato l'articolo 62 bis del CP nel senso che non era più possibile concedere delle circostanze attenuanti in caso di assenza di precedenti condanne a decorrere dall’entrata in vigore di questa legge, il 24 luglio 2008, vale a dire dopo la data di commissione del reato in questione.

12. Con ordinanza del 26 febbraio 2014, la Corte di cassazione dichiarò inammissibili tutti i motivi sollevati dal ricorrente in quanto questi ultimi presentavano una diversa versione dei fatti e sollevavano questioni di merito alle quali la sentenza della corte d'appello aveva fornito una risposta sufficientemente ampia e convincente. Essa concluse che la corte d'appello aveva chiaramente indicato le ragioni per le quali doveva essere dichiarata la responsabilità del ricorrente per il reato di cui era accusato.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A. Le disposizioni del codice penale

13. L’articolo 62 bis del CP riguarda le circostanze attenuanti generiche. Questo articolo prevede che, indipendentemente dalle circostanze attenuanti specifiche previste nell’articolo 62 del CP, il giudice può prendere in considerazione diverse altre circostanze qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena.

14. L’articolo 1, comma 1 f) del decreto-legge n. 92 del 2008, convertito in legge con la legge n. 125 del 24 luglio 2008, ha modificato l’articolo 62 bis del CP, aggiungendo un terzo e ultimo comma, così formulato:

«In ogni caso, l'assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma.»

Con la sentenza n. 183 del 2011, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 62 bis nella parte in cui non permetteva al giudice di considerare favorevolmente, ai fini dell'applicazione delle circostanze attenuanti generali, la condotta del condannato recidivo reiterato successiva alla commissione del reato.

15. Secondo l’articolo 65 del CP, in caso di riconoscimento di una sola circostanza attenuante le pene sono così ridotte :

«Alla pena dell'ergastolo è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni;
le altre pene sono diminuite in misura non eccedente un terzo.»

16. Gli articoli 132 e 133 del CP contengono disposizioni volte a guidare il giudice di merito nell'esercizio del suo potere di determinazione della pena e sono così formulate:

Articolo 132

(Potere discrezionale del giudice nell’applicazione della pena: limiti)

«Nei limiti fissati dalla legge, il giudice applica la pena discrezionalmente; esso deve indicare i motivi che giustificano l'uso di tale potere discrezionale.
Nell'aumento o nella diminuzione della pena non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena, salvi i casi espressamente determinati dalla legge.»

Articolo 133

(Gravità del reato: valutazione degli effetti della pena)

«Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:

  1. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione;
  2. dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
  3. dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:

  1. dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
  2. dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;
  3. dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
  4. dalle condizioni di vita individuale, famigliare e sociale del reo.

B. La giurisprudenza pertinente della Corte di cassazione

17. Risulta dagli elementi presentati dalle parti che esiste una giurisprudenza divergente della Corte di cassazione riguardante gli effetti dell'entrata in vigore della legge n. 125 del 2008 sul regime delle circostanze attenuanti.

18. Pertanto, secondo la sentenza della Corte di cassazione n. 10646 del 2009 – tra altre – prima dell'intervento del legislatore, spettava al giudice determinare ed esporre il o i fattori che potevano giustificare una attenuazione della pena, senza alcuna altra limitazione se non quella derivante dall'obbligo di motivare la sua decisione. Di conseguenza, l'articolo 62 bis del CP, in vigore prima della legge n. 125 del 2008, non impediva al giudice di ritenere che l'assenza di precedenti giudiziari della persona condannata permettesse di giustificare una attenuazione della sua pena in una determinata causa. In tale contesto, la sentenza della Corte di cassazione n. 7914 del 2015 ha affermato il principio secondo il quale il terzo comma dell'articolo 62 bis del CP, introdotto dalla legge n. 125 del 2008, non poteva essere applicato retroattivamente, in quanto si trattava di una disposizione che aveva l'effetto di aggravare il trattamento sanzionatorio esistente.

19. Al contrario, la Corte di cassazione ha affermato nella sentenza n. 4033 del 2014 – tra altre – che, anche prima della riforma del 2008, le circostanze attenuanti non potevano essere concesse sulla sola base dell'assenza di precedenti condanne, in quanto il giudice era tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi elencati nell'articolo 133 del CP.

C. La revisione del processo

20. L'articolo 630 del codice di procedura penale (CPP) prevede i casi in cui una persona condannata può chiedere la revisione del suo processo. Con la sentenza n. 113 del 7 aprile 2011, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'articolo 630 del CPP nella parte in cui non prevedeva la possibilità di chiedere la riapertura del processo quando quest’ultima risulti necessaria, ai sensi dell'articolo 46 della Convenzione, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo. Per effetto additivo, è ormai possibile presentare una richiesta di revisione del processo ai sensi dell'articolo 630 del CPP sulla base di una sentenza della Corte che ha riscontrato la mancanza di equità del procedimento.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

21. Il ricorrente contesta alla Corte di cassazione di essere venuta meno al suo obbligo di motivare le sue decisioni derivante dall'articolo 6 § 1 della Convenzione, che, nelle sue parti pertinenti al caso di specie, prevede:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole, da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti (...)»

22. Il ricorrente sostiene che la Corte di cassazione ha ignorato il suo motivo di ricorso relativo all'applicazione retroattiva della legge n. 125 del 2008 al suo caso e ritiene quindi che la sua causa non sia stata esaminata equamente. Considera che, alla fine, né i giudici di merito né la Corte di cassazione abbiano dato risposta a una questione di diritto che egli considerava determinante per la sua causa.

23. Il Governo sostiene che la Corte di cassazione ha esaminato tutte le argomentazioni del ricorrente, che queste ultime si riferivano tutte a questioni di fatto e rientravano quindi nella competenza delle giurisdizioni di merito, ragioni per le quali la Corte di cassazione le avrebbe giustamente dichiarate inammissibili. Secondo il Governo, la Corte di cassazione ha quindi giustamente confermato le conclusioni della corte d'appello in merito alla responsabilità penale del ricorrente e al quantum della pena.

24. La Corte rammenta che, sebbene i giudici non possono essere tenuti a motivare il rigetto di ogni argomentazione addotta da una parte (Ruiz Torija c. Spagna, 9 dicembre 1994, § 29, serie A n. 303-A), essi non sono tuttavia dispensati dal dover esaminare debitamente i principali motivi di ricorso che quest’ultima deduce e dal rispondervi (si veda, Moreira Ferreira c. Portogallo (n. 2) [GC], n. 19867/12, § 84, 11 luglio 2017). Se, per di più, questi motivi attengono «ai diritti e alle libertà» garantiti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli - come il principio di non retroattività delle leggi penali più severe – i giudici nazionali sono tenuti ad esaminarli con particolare cura e rigore (Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo, n. 76240/01, § 96, 28 giugno 2007, e Magnin c. Francia (dec.), n. 26219/08, 10 maggio 2012).

25. Inoltre, la Corte ha già avuto modo di sottolineare che la motivazione è finalizzata soprattutto a dimostrare alle parti che sono state ascoltate e, quindi, a contribuire ad una migliore accettazione della decisione (si veda, mutatis mutandis, Taxquet c. Belgio [GC], n. 926/05, CEDU 2010, 16 novembre 2010, § 91).

26. Pertanto, nel respingere un ricorso, la giurisdizione d'appello può, in linea di principio, limitarsi a fare propri i motivi della decisione impugnata (García Ruiz c. Spagna [GC], n. 30544/96, § 26, CEDU 1999-I). Tuttavia, il concetto di processo equo richiede che una giurisdizione che abbia dato solo una breve motivazione alla sua decisione, incorporando le motivazioni fornite da una giurisdizione di grado inferiore o in altro modo, abbia effettivamente esaminato le questioni essenziali che le sono state sottoposte (Helle c. Finlandia, 19 dicembre 1997, § 60, Recueil des arrêts et décisions 1997 VIII, e Boldea c. Romania, n. 19997/02, § 30, 15 febbraio 2007).

27. Nel caso di specie, occorre rilevare che la Corte di cassazione non ha in alcun modo risposto al motivo di ricorso del ricorrente relativo alla presunta applicazione retroattiva della legge n. 125 del 2008 al suo caso e al rifiuto dei giudici di merito di concedergli il beneficio delle circostanze attenuanti.

28. La Corte osserva che la Suprema Corte si è limitata a dichiarare inammissibili tutti i motivi di ricorso addotti dal ricorrente in quanto erano volti a rimettere in discussione la versione dei fatti adottata dai giudici di merito. Tuttavia, la Corte non è convinta che la questione sollevata dal ricorrente nel suo motivo di ricorso n. 6 (paragrafo 11 supra) riguardasse una questione di fatto non rientrante nella competenza della Suprema Corte. Inoltre, nota che la decisione della Corte di cassazione non contiene alcun riferimento alla pena inflitta al ricorrente e, in particolare, alla legge applicabile in materia di circostanze attenuanti, che avrebbe consentito di rispondere, anche se solo indirettamente, alle doglianze dell’interessato circa la gravità della sanzione.

29. Infine, poiché la questione controversa è stata sollevata per la prima volta dinanzi alla Corte Suprema, non si può ritenere che quest’ultima abbia incorporato i motivi addotti dalla giurisdizione di grado inferiore per dare fondamento alla sua decisione in modo compatibile con le esigenze dell'articolo 6 § 1 della Convenzione (si veda, a contrario, Helle, sopra citata, § 56, e Dobrescu c. Romania (dec.), n. 10520/09, § 51, 31 agosto 2010).

30. La Corte ritiene che la questione della presunta applicazione retroattiva della legislazione in materia di circostanze attenuanti fosse uno dei principali motivi di ricorso addotti dal ricorrente e richiedesse pertanto una risposta specifica ed esplicita.

31. In conclusione, la Corte ritiene che il ricorrente non abbia beneficiato di un procedimento che gli garantisse un esame effettivo delle sue argomentazioni o una risposta che gli permettesse di comprendere le ragioni del loro rigetto. Ne consegue che la Corte di cassazione è venuta meno al suo obbligo di motivare le sue decisioni relative dell'articolo 6 § 1 della Convenzione. Di conseguenza, vi è stata violazione di questa disposizione.

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 7 DELLA CONVENZIONE

32. Il ricorrente lamenta che la pena che gli è stata inflitta è stata fissata sulla base di una legge penale che sostiene essere più severa e che sarebbe stata applicata retroattivamente nel suo caso. Egli invoca l'articolo 7 § 1 della Convenzione che, nella sua parte pertinente al caso di specie, recita:

«1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, nel momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al tempo in cui il reato è stato commesso.

(...)»

A. Sulla ricevibilità

33. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

34. Il ricorrente lamenta che il tribunale e la corte d'appello hanno fatto un’applicazione retroattiva della legge n. 125 del 2008 per negargli il beneficio delle circostanze attenuanti e, pertanto, una diminuzione della sua pena.

35. Egli espone che, se i giudici non avessero applicato la legge n. 125 del 2008 – che avrebbe modificato, rendendoli più severi, i criteri per la concessione delle circostanze attenuanti –, l’assenza di precedenti penali avrebbe costituito un elemento sufficiente per ottenere un’attenuazione della sua pena.

36. Il ricorrente fa riferimento, a questo proposito, ad alcune sentenze della Corte di cassazione che avrebbero dichiarato che la legge del 2008 aveva introdotto un aggravamento delle pene e non era pertanto applicabile retroattivamente (sentenze n. 10646 del 2009 e n. 7914 del 2015).

37. Egli indica inoltre che gli articoli 62 bis e 133 del CP riguardano due ambiti diversi, ossia la fissazione della pena principale per quanto riguarda il secondo, e l'applicazione di una diminuzione di tale pena per effetto delle circostanze attenuanti per quanto riguarda il primo. Perciò, secondo il ricorrente, sebbene il tribunale e la corte d'appello avessero fissato la pena principale in virtù del loro potere discrezionale e prendendo in considerazione tutte le circostanze della causa ai sensi dell'articolo 133 del CP, gli stessi avrebbero dovuto adottare in via preliminare una decisione debitamente motivata relativamente alla concessione o meno delle circostanze attenuanti.

38. Il Governo replica che il ricorrente afferma a torto che la legge n. 125 del 2008 ha modificato in pejus l'articolo 62 bis del CP, e afferma che, prima dell'entrata in vigore di tale legge, il giudice era tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi indicati nell'articolo 133 CP, e che una persona che non ha precedenti penali non aveva dunque alcuna certezza di ottenere automaticamente il riconoscimento di circostanze attenuanti. La decisione di accordare una diminuzione di pena sarebbe dipesa – sia prima che dopo la riforma del 2008 – dal potere discrezionale del giudice, il quale sarebbe stato soltanto tenuto a motivare la sua decisione. Il Governo, a questo proposito, fa riferimento alla giurisprudenza della Corte di cassazione in materia (sentenze n. 31440 del 25 giugno 2008 e n. 4033 del 29 gennaio 2014).

39. Il Governo afferma che, per respingere la domanda di diminuzione della pena presentata dal ricorrente, la corte d'appello di Bologna ha effettuato una valutazione globale dei criteri menzionati nell'articolo 133 del CP. A suo parere, il rifiuto del giudice di accordare le circostanze attenuanti al ricorrente è il risultato della valutazione della condotta di quest'ultimo durante il processo e del comportamento successivo alla perpetrazione del reato, e non soltanto di considerazioni riguardanti il casellario giudiziale del ricorrente. La corte d'appello ha debitamente motivato il suo rifiuto ritenendo che non sussistessero elementi favorevoli al ricorrente, neppure il comportamento dell'interessato durante il processo, e tenendo conto, invece, della reiterazione da parte di quest'ultimo dello stesso reato dopo i fatti in questione. Il Governo considera, pertanto, che il riferimento fatto dalla corte d'appello alla riforma dell’articolo 62 bis del CP non abbia inciso in alcun modo sulla determinazione della pena del ricorrente.

40. Il Governo sostiene infine che la riforma del 2008 era volta a limitare la tendenza di alcuni giudici ad adottare pratiche generose in materia di circostanze attenuanti, senza comunque riformare in pejus il sistema preesistente. Considera che la legge del 2008 non costituisse dunque in alcun caso una legge penale più severa, e indica che un’applicazione retroattiva di quest’ultima sarebbe in ogni caso vietata dal diritto nazionale.

2. Valutazione della Corte

41. La Corte rammenta che la garanzia prevista dall’articolo 7 della Convenzione, elemento fondamentale della preminenza del diritto, occupa un posto di primo piano nel sistema di protezione della Convenzione, come attesta il fatto che l'articolo 15 non autorizza alcuna deroga ad esso nemmeno in tempo di guerra o in caso di altro pericolo pubblico. Come risulta dal suo oggetto e dal suo scopo, esso deve essere interpretato ed applicato in maniera da garantire una protezione effettiva contro le azioni penali, le condanne e le sanzioni arbitrarie (Del Río Prada c. Spagna [GC], n. 42750/09, § 77; CEDU 2013, Vasiliauskas c. Lituania [GC], n. 35343/05, § 153, CEDU 2015, e Ilnseher c. Germania [GC], nn. 10211/12 e 27505/14, § 202, 4 dicembre 2018).

42. L'articolo 7 della Convenzione non si limita a vietare l'applicazione retroattiva della legge penale a svantaggio dell'imputato: esso sancisce anche, in maniera più generale, il principio della legalità dei delitti e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege) e quello che impone di non applicare la legge penale in maniera estensiva a discapito dell’imputato, soprattutto per analogia (Del Río Prada, sopra citata, § 78, Vasiliauskas, sopra citata, § 154, e Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993, § 52, serie A n. 260 A).

43. Nella fattispecie, la Corte osserva anzitutto che non viene messo in discussione tra le parti che la corte d'appello di Bologna ha esaminato la causa del ricorrente sotto il profilo del nuovo testo dell’articolo 62 bis del CP, come modificato dalla legge n. 125 del 2008, che è entrata in vigore dopo la commissione dei fatti.

44. È dunque opportuno esaminare se l'applicazione di tale disposizione abbia comportato la retroattività di una pena più severa di quella prevista dalla legge penale in vigore all'epoca della commissione dei fatti, come sostiene il ricorrente.

45. La Corte rammenta a questo proposito che non ha il compito di definire la questione della natura della legge nazionale in contestazione e del suo impatto sull’ordinamento giuridico interno esistente. Inoltre, essa non deve esaminare in abstracto la questione se l'applicazione retroattiva della legge n. 125 del 2008 sia, di per sé, incompatibile con l'articolo 7 della Convenzione. Tale questione deve essere valutata caso per caso, tenendo conto delle circostanze proprie di ciascuna causa e, in particolare, della questione se i giudici interni abbiano applicato la legge le cui disposizioni erano più favorevoli all’imputato (si vedano Gabarri Moreno c. Spagna, n. 68066/01, §§ 32-33, 22 luglio 2003, Scoppola, sopra citata, § 109, e Maktouf e Damjanović c. Bosnia-Erzegovina [GC], nn. 2312/08 e 34179/08, § 65, CEDU 2013 (estratti)).

46. La Corte osserva anzitutto che la legge penale vigente all'epoca dei fatti non prevedeva il riconoscimento automatico di circostanze attenuanti in assenza di precedenti giudiziari della persona condannata, in quanto tale elemento, secondo il diritto penale, costituisce solo uno dei criteri di cui tenere conto nella valutazione discrezionale fatta dal giudice sulla base dell’articolo 133 del CP (paragrafo 16 supra).

47. In effetti, sebbene la suddetta legge n. 125 del 2008 abbia modificato l'articolo 62 bis del CP limitando il potere discrezionale del giudice nel riconoscimento delle attenuazioni della pena, essa non ha per questo riformato il sistema delle circostanze attenuanti rendendo inoperante un criterio previsto dalla legge che sarebbe stato, nel caso di specie, favorevole al ricorrente.

48. La Corte osserva che la corte d'appello di Bologna ha rigettato la domanda di applicazione delle circostanze attenuanti del ricorrente dopo avere proceduto ad un esame complessivo dei criteri indicati dall’articolo 133 del CP e dopo avere condotto una valutazione approfondita del comportamento dell'interessato. In tal modo, essa ha precisato che nessuna circostanza era tale da giustificare la concessione di una diminuzione di pena al ricorrente, ivi compreso il suo comportamento durante il processo, e che nemmeno la condotta di quest'ultimo dopo la perpetrazione del reato poteva essere considerata favorevolmente (paragrafo 10 supra). La corte d'appello aveva sottolineato che il ricorrente non aveva manifestato alcun segno di ravvedimento nel corso del processo e che, invece, aveva reiterato lo stesso reato mentre il procedimento penale in questione era pendente.

49. Secondo la Corte, la determinazione della pena del ricorrente è stata il risultato di un bilanciamento di tutti gli elementi pertinenti. In questo contesto, nulla indica che la corte d'appello avrebbe accordato al ricorrente delle circostanze attenuanti se non avesse esaminato la causa dal punto di vista della nuova legge n. 125 del 2008 e tenuto conto dell’assenza di precedenti penali.50. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che il ricorrente non sia stato penalizzato a causa della valutazione, dal punto di vista della nuova legge, di fatti antecedenti all'entrata in vigore di quest'ultima (Rohlena c. Repubblica ceca [GC], n. 59552/08, § 67, CEDU 2015 e, a contrario, Maktouf e Damjanović, sopra citata, § 70).

51. Di conseguenza, non vi è stata violazione dell’articolo 7 della Convenzione.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

52. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

53. Il ricorrente chiede la somma di 25.000 euro (EUR) per il danno morale che ritiene di avere subito. Egli chiede inoltre la riapertura del suo processo e, contestualmente, il riconoscimento della prescrizione dei reati ascritti.

54. Il Governo si oppone a tale richiesta e considera che il danno subito dall’interessato sia minimo rispetto alla modicità, a suo avviso, della pena comminata.

55. La Corte ritiene che il ricorrente debba avere subito un danno morale certo, a cui non sia possibile porre rimedio con la semplice constatazione di violazione contenuta nella presente sentenza. Essa osserva inoltre che, per effetto della sentenza n. 113 del 7 aprile 2011 emessa dalla Corte costituzionale italiana, l'articolo 630 del CPP è stato modificato in maniera tale da permettere a un ricorrente di presentare una domanda di revisione del proprio processo fondata su una sentenza della Corte che abbia constatato una violazione della Convenzione (paragrafo 19 supra, e Drassich c. Italia (n. 2), n. 65173/09, § 35, 22 febbraio 2018). Essa considera pertanto che l’interessato disponga effettivamente della possibilità di chiedere che la sua causa sia riesaminata.

56. Tenuto conto di tale possibilità, la Corte ritiene doversi accordare al ricorrente la somma di 2.500 EUR per danno morale.

B. Interessi moratori

57. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

  1. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara, all’unanimità, che non vi è stata violazione dell’articolo 7 della Convenzione;
  4. Dichiara, con sei voti contro uno,
    1. che lo Stato convenuto deve versare, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, 2.500 EUR (duemilacinquecento euro) più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, per danno morale;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Respinge, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 6 febbraio 2020, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Ksenija Turković
Presidente

Abel Campos
Cancelliere

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata del giudice Turković.

K.T.U.
A.C.

OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE TURKOVIĆ

Nella presente causa, l’assenza di precedenti giudiziari è stata ritenuta essere l’unica circostanza attenuante per il ricorrente. Pertanto, considerata in concreto, la vecchia legge, che permetteva di tenere conto dell’assenza di precedenti penali nel determinare la pena, anche quando questa costituiva l’unica circostanza attenuante, a differenza della nuova legge, per la quale ciò non è più possibile, costituiva una legge più favorevole per il ricorrente. Di conseguenza, nella presente causa, avrebbe dovuto essere applicata la vecchia legge, anziché la nuova (si veda il paragrafo 43 della sentenza). Nonostante ciò, ho votato in favore della constatazione di non violazione dell’articolo 7.

Anzitutto, è importante sottolineare che, ai sensi della vecchia legge, i tribunali nazionali avevano il potere discrezionale di considerare o meno l’assenza di precedenti condanne come una circostanza attenuante, tenendo presenti tutti gli elementi della causa (si vedano i paragrafi 16 e 46 della sentenza).

Dal momento che, nell’applicare la nuova legge, i tribunali nazionali hanno fornito spiegazioni sufficienti sul motivo per cui, anche se avrebbero potuto tenere conto dell’assenza di condanne precedenti, non lo hanno fatto (è stata elencata una serie di circostanze aggravanti, tra le quali di particolare importanza era il fatto che, durante il procedimento penale, il ricorrente ha commesso ulteriori reati dello stesso tipo, si veda il paragrafo 48 della sentenza), è chiaro che, nella fattispecie, il risultato finale dell'applicazione della vecchia legge non sarebbe stato diverso dal risultato ottenuto applicando la nuova legge. Pertanto, il fatto che i tribunali abbiano erroneamente dichiarato di non poter più applicare la vecchia legge (si veda il paragrafo 10 della sentenza), mentre in realtà avrebbero dovuto applicarla in quanto legge più favorevole per il ricorrente, non ha operato a discapito del ricorrente, nella presente causa, per quanto riguarda la pena inflitta (si veda il paragrafo 50 della sentenza). Ho dunque votato in favore della constatazione di non violazione dell'articolo 7.

Tuttavia, la corretta applicazione della legge per i tribunali nazionali, nella presente causa, sarebbe stata l’applicazione della vecchia legge, in quanto più favorevole per il ricorrente, precisando il motivo per cui, tenuto conto di tutte le circostanze, avevano considerato, che l’assenza di precedenti condanne nel caso di specie non potesse comportare una riduzione della pena inflitta.