Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 17 settembre 2019 - Ricorso n. 42401/13 - Causa Raimondo contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 42401/13

Pasquale RAIMONDO

contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in data 17 settembre 2019 in un comitato composto da :
Krzysztof Wojtyczek, presidente,
Armen Harutyunyan,
Pere Pastor Vilanova, giudici,
e Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,
visto il ricorso sopra menzionato presentato il 26 giugno 2013,
viste le osservazioni presentate dal Governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente,
dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione :

IN FATTO

1. Il ricorrente, Sig. Pasquale Raimondo, è un cittadino italiano nato nel 1944 e residente a Larino. È stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avvocato A. Mascia, del foro di Verona.

2. Il Governo italiano (« il Governo ») è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia.

A. Le circostanze del caso di specie

3. I fatti oggetto della causa, così come esposti dalle parti, possono essere riassunti come segue.

4. Il ricorrente è proprietario di un terreno che misura diversi ettari e di un’immobile di due piani.

5. Il 30 aprile 1976, il comune di Larino approvò un piano di lottizzazione richiesto dal ricorrente e concernente la sua proprietà.

6. Tra il settembre del 1979 e il dicembre del 1981, il ricorrente procedette alla ristrutturazione della sua abitazione.

7. Nel frattempo, il 9 settembre 1980, il prefetto di Campobasso autorizzò il Provveditorato alle Opere Pubbliche a occupare i terreni da espropriare al fine della costruzione di un carcere. Tra essi, 330 metri quadrati appartenevano al ricorrente.

8. Le opere di costruzione del carcere terminarono nel1987.

9. Il carcere fu costruito a una distanza di quaranta metri dall’abitazione del ricorrente e quest’ultimo subì l’espropriazione di un terreno la cui superficie era pari a 2.070 metri quadrati.

10. Il carcere entrò in funzione nel 1987. Era stato dotato di un’alta recinzione a grata metallica costituita da piatti verticali di ferro zincato molto ravvicinati le cui vibrazioni, mediante l’azione del vento costante nella zona, emettevano un forte rumore. La facciata del fabbricato di proprietà del ricorrente si trovava proprio dinanzi alla torre situata a 7,5 metri dal suolo e munita sulla sua sommità di una potente fonte luminosa che illuminava durante la notte la zona circostante il carcere. Conseguentemente, tutte le notti l’abitazione del ricorrente subiva un’illuminazione intensa e abbagliante che penetrava all’interno dell’abitazione, malgrado le imposte fossero chiuse.

1. Il primo procedimento dinanzi al Tribunale di Campobasso

11. Con atto di citazione notificato il 28 settembre 1987, il ricorrente introdusse dinanzi al Tribunale di Campobasso un’azione risarcitoria nei confronti del Ministero dei Lavori pubblici, del Provveditorato alle Opere Pubbliche della regione Molise, dell’Intendenza di Finanza di Campobasso e del Ministero della Giustizia.

12. Oltre a lamentare l’espropriazione subita, il ricorrente sostenne, ai sensi dell’articolo 844 del codice civile, che dal carcere provenivano immissioni sonore e luminose intollerabili e che il valore commerciale della sua abitazione, recentemente ristrutturata, era peraltro notevolmente diminuito. Conseguentemente, chiese al Tribunale di dichiarare le immissioni sonore e luminose intollerabili e di concedergli un risarcimento pari a 500.000 euro (EUR), somma corrispondente alla perdita del valore di mercato dei suoi beni.

13. Nel corso di tale procedimento furono depositate in cancelleria sei perizie e valutazioni tecniche attestanti l’inquinamento acustico esistente.

14. Con sentenza del 22 marzo 2004, il Tribunale di Campobasso accolse la domanda del ricorrente. Secondo il Tribunale i periti avevano rilevato che le immissioni luminose e sonore non erano conformi alla legge ed erano intollerabili. Ritenne che non fosse possibile condannare l’amministrazione pubblica a eseguire un obbligo di «facere », e riconobbe al ricorrente un importo pari a 25.822,24 EUR per le immissioni sonore e luminose moleste subite e per sostenere le spese di realizzazione di una siepe alberata per mettere l’abitazione al riparo dall’inquinamento luminoso. Il Tribunale di Campobasso rigettò infine la domanda di risarcimento corrispondente alla somma di 500.000 EUR e relativa alla perdita di valore dell’abitazione familiare.

15. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti propose appello in ordine ai parametri di quantificazione dell’indennità di esproprio adottata dal Tribunale. Nel corso del procedimento furono disposte ulteriori perizie.

16. Con sentenza del 28 marzo 2007, la Corte di appello di Campobasso, confermò, tra l’altro, la sentenza del Tribunale relativa alle immissioni sonore e luminose moleste.

17. Il ricorrente non propose ricorso per cassazione e la sentenza divenne irrevocabile.

2. Il secondo procedimento dinanzi al Tribunale di Campobasso

18. Con atto di citazione del 10 ottobre 2004, il ricorrente introdusse una nuova azione risarcitoria ai sensi dell’articolo 844 del codice civile dinanzi al Tribunale di Campobasso nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Ministero della Giustizia.

19. Sostenne nuovamente che le immissioni sonore e luminose non erano state ancora eliminate nonostante la sentenza del 22 marzo (si veda il paragrafo 30 infra) e chiese un risarcimento per le immissioni sonore e luminose successive alla sentenza del 22 marzo 2004 fino alla cessazione di tale inquinamento. Chiese anche la somma di 300.000 EUR, corrispondente al valore venale della sua abitazione.

20. Con sentenza del 9 luglio 2008, il Tribunale, dopo aver constatato che il ricorrente continuava a subire danni connessi alle immissioni sonore e luminose moleste, condannò la parte convenuta a pagare una somma pari a 19.230,90 EUR a titolo di risarcimento.

21. Il ricorrente propose appello lamentando l’esiguità del risarcimento.

22. Con sentenza del 4 agosto 2015, la Corte di appello ridusse l’importo riconosciuto inizialmente dal Tribunale a 7.692,36 EUR. Secondo la Corte di appello l’importo accordato al ricorrente dalla sentenza del 22 marzo 2004 nel primo procedimento contenzioso doveva essere considerata la somma corrispondente al costo per costituire una siepe finalizzata a eliminare le immissioni luminose moleste. Conseguentemente, l’amministrazione pubblica non poteva essere ritenuta responsabile del fatto che il ricorrente non avesse piantato una siepe nella sua proprietà al fine di eliminare il suddetto inquinamento luminoso.

23. Il ricorrente non presentò ricorso per cassazione.

24. Nel 1990, il ricorrente piantò di propria iniziativa una siepe vicino alla sua abitazione, al fine di metterla al riparo dalla luce proveniente dalla torre-faro del carcere. Scelse degli alberi di Cupressus arizonica, per una siepe alta al fine di contrastare il vento e l’immissione luminosa molesta. Questo tipo di alberi raggiungono mediamente in dieci anni un’altezza che va dai 2,5 ai 3 metri.

25. Con decreto no 17234/VI, promulgato il 13 maggio 2010, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti stanziò dei fondi per finanziare un programma finalizzato a eliminare o ridurre il forte rumore proveniente dal carcere.

26. Il 24 luglio 2012 l’amministrazione pubblica pubblicò un bando di gara.

27. Il 30 ottobre 2012 la commissione giudicatrice per la gara designò come aggiudicatrice temporanea la società P.T.A.M. Costruzioni S.r.l. Tuttavia, in data 5 luglio 2013, il Prefetto di Napoli trasmise al Ministero l’informazione denominata "informativa antimafia" concernente l’A.T.I. P.T.T.A.M. (tale informativa è una misura utilizzata dal Prefetto per evitare che l’amministrazione pubblica concluda contratti con imprese che potrebbero svolgere un’attività criminale). Per tale motivo l’amministrazione pubblica non potè designare l’aggiudicatario finale.

28. Il 7 marzo 2018 l’amministrazione pubblica designò l’aggiudicatario finale.

29. Il Governo ha informato la Corte del fatto che, per una prima parte delle opere, lo Stato ha previsto una spesa pari a 661.151,09 EUR.

B. Il diritto interno pertinente

30. L’articolo 844 del codice civile prevede che il proprietario di un fondo non possa impedire le immissioni nocive derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità.

31. L’articolo 2043 del codice civile sancisce il principio del neminem laedere, vale a dire il dovere generale di non cagionare un danno ad altri. Chiunque sostenga di aver subito un danno in violazione di tale principio può esperire un’azione risarcitoria.

32. L’articolo 2050 del codice civile sancisce il principio generale della responsabilità per l’esercizio di « attività pericolose ».

33. Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, ai sensi dell’articolo 844 del codice civile è possibile chiedere al giudice civile di ordinare all’amministrazione pubblica la cessazione delle immissioni moleste (si veda la giurisprudenza della Corte di Cassazione, risultante segnatamente dalle sue sentenze no 23245 del 2016, no 4848 del 2013; no 2598 del 1996; e no 1469 del 1982).

DOGLIANZE

34. Invocando gli articoli 8 e 13 della Convenzione, il ricorrente lamenta le immissioni acustiche e visive subite quotidianamente nella sua proprietà a causa della costruzione di un carcere a circa quaranta metri dalla sua abitazione, e la mancata adozione da parte delle autorità di misure idonee a garantirgli un effettivo rispetto della sua vita privata e familiare e del suo domicilio.

IN DIRITTO

35. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto il ricorrente avrebbe omesso di chiedere, alle autorità giudiziarie, a norma dell’articolo 844 del codice civile la cessazione delle immissioni acustiche e visive moleste (si veda il paragrafo 30 supra).

36. Secondo il Governo il ricorrente avrebbe dovuto rivolgersi, e potrebbe ancora farlo, direttamente al giudice civile, chiedendogli ai sensi di tale articolo di vietare qualsiasi immissione che oltrepassi la soglia della normale tollerabilità e la cessazione delle immissioni acustiche e visive moleste (si vedano, tra le altre, le sentenze della Corte di Cassazione n° 23245 del 2016; Corte di Cassazione n. 4848 del 2013; Corte di Cassazione n° 2598 del 1996; Corte di Cassazione n° 1469 del 1982).

37. Inoltre, in caso di mancata esecuzione della decisione del giudice da parte dell’amministrazione, il ricorrrente avrebbe potuto presentare un ricorso per ottemperanza che gli avrebbe permesso di costringere l’amministrazione pubblica a cessare il comportamento nocivo.

38. Il Governo sottolinea infine che il ricorrente non ha presentato ricorso per cassazione avverso le due sentenze della Corte di appello di Campobasso.

39. Il ricorrente contesta l’eccezione formulata dal Governo e afferma di non aver chiesto la cessazione delle immissioni moleste in quanto, a decorrere dal 2009, l’amministrazione pubblica aveva già manifestato la volontà di eliminare l’inquinamento sonoro proveniente dal carcere. Non era pertanto obbligato a esaurire una delle vie di ricorso interne indicate dal Governo al fine di ottenere un provvedimento già adottato dall’amministrazione pubblica, vale a dire un intervento sulla recinzione al fine di eliminare l’inquinamento sonoro.

40. Il ricorrente argomenta inoltre che la presentazione di un ricorso per ottemperanza al fine di permettere all’amministrazione pubblica di adempiere al suo obbligo (Dello Preite c. Italia, n° 15488/89 (dec.), 27 febbraio 1995), non sembra avere ragionevoli prospettive di successo.

41. Il ricorrente sottolinea infine che non era possibile contestare dinanzi alla Corte di Cassazione l’esiguità del risarcimento riconosciuto dai giudici interni, in quanto tale domanda concerne il merito della causa e il suo ricorso sarebbe stato dichiarato inammissibile con il rischio concreto di essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

42. La Corte rammenta che, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, essa può essere adita soltanto dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne. La finalità di tale regola è di riservare agli Stati contraenti la possibilità di prevenire o di riparare le violazioni dedotte contro di essi prima che esse siano sollevate dinanzi alla Corte (si vedano, tra le altre, Mifsud c. Francia (dec.) [GC], n° 57220/00, § 15, CEDU 2002 VIII, e, più recentemente, Simons c. Belgio (dec.), no 71407/10 § 23, 28 agosto 2012).

43. L’articolo 35 § 1 della Convenzione prescrive tuttavia unicamente l’esaurimento delle vie di ricorso interne relative alle violazioni denunciate, ma ancora disponibili e adeguate. Un ricorso è effettivo se all’epoca dei fatti è disponibile sia teoricamente che praticamente, vale a dire se è accessibile, in grado di offrire al ricorrente una riparazione per le sue doglianze e presenta ragionevoli prospettive di successo. A tale proposito, il semplice fatto che si possano nutrire dubbi sulle prospettive di successo di un dato ricorso, che non è evidentemente destinato all’insuccesso, non costituisce un motivo valido per giustificare la mancata utilizzazione dei ricorsi interni (Brusco c. Italia (dec.), n° 69789/01, CEDU 2001 IX, Sardinas Albo c. Italia (dec.), n° 56271/00, CEDU 2004 I (estratti), Sejdovic c. Italia [GC], n° 56581/00, § 46 CEDU 2006 II, e Alberto Eugénio da Conceição c. Portogallo (dec.), n° 74044/11, 29 maggio 2012).

44. La Corte rileva che in due occasioni il ricorrente ha adito le giurisdizioni interne con un’azione risarcitoria, senza chiedere la cessazione delle immissioni sonore e visive nocive. Rammenta a tale proposito il suo ruolo sussidiario rispetto ai sistemi nazionali di garanzia dei diritti umani (Handyside c. Regno Unito, 7 dicembre 1976, § 48, Serie A n° 24, e Vučković e altri c. Serbia [GC], n° 17153/11, § 69, 25 marzo 2014), e ritiene che il ricorrente avesse a disposizione diverse norme giuridiche che gli avrebbero permesso di offrire alle autorità giudiziarie interne l’occasione di porre rimedio a livello nazionale all’asserita violazione dell’articolo 8.

45. La Corte rileva tuttavia, come il Governo, che il ricorrente avrebbe potuto chiedere al giudice civile ai sensi dell’articolo 844 del codice civile (si veda la giurisprudenza della Corte di Cassazione, esposta segnatamente nelle sue sentenze no 23245 del 2016, no 4848 del 2013; no 2598 del 1996; no 1469 del 1982) di ordinare all’amministrazione pubblica di cessare le immissioni moleste. In caso di inottemperanza all’eventuale decisione da parte dell’amministrazione, il ricorrente avrebbe potuto introdurre dinanzi alle giurisdizioni amministrative un « giudizio di ottemperanza ». Tale giurisprudenza non è stata contestata dal ricorrente.

46. Peraltro, la Corte non dispone di alcun elemento che le permetta di affermare che il ricorso in questione non fosse in grado di fornire un’appropriata riparazione alla doglianza del ricorrente di cui all’articolo 8 della Convenzione e che non offrisse ragionevoli prospettive di successo (si veda, in tal senso e, mutatis mutandis, Taron c. Germania (dec.), n° 53126/07, § 40, 29 maggio 2012). È opportuno rammentare a tale proposito che qualora sussista un dubbio sull’effettività e sulle possibilità di successo di un ricorso interno, esso deve essere esperito (Voisine c. Francia, n° 27362/95, decisione della Commissione del 14 gennaio 1998, e Gürceğiz c. Turchia, n° 11045/07, § 32, 15 novembre 2012). Il ricorrente non può quindi fingere di aver esaurito correttamente le vie di ricorso interne (mutatis mutandis Pagliccia e altri c. Italia, n° 35392/97, dec. 7 settembre 2000, e De Ciantis c. Italia n° 39386/10, dec. del 16 dicembre 2014).

47. In conclusione, la Corte ritiene che a causa del mancato esercizio dell’azione finalizzata alla cessazione delle immissioni nocive, prevista dall’articolo 844 del codice civile, il ricorrente non abbia fornito alle giurisdizioni nazionali l’occasione di prevenire o di riparare nel loro ordinamento giuridico interno le violazioni della Convenzione. È pertanto opportuno accogliere l’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo, in quanto il ricorrente si è privato egli stesso della possibilità di proteggere i suoi diritti garantiti dall’articolo 8 della Convenzione a seguito delle immissioni moleste denunciate.

48. La Corte accoglie pertanto l’eccezione del Governo e rigetta il ricorso per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese e poi comunicata per iscritto il 10 ottobre 2019.

Krzysztof Wojtyczek
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto