Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 5 dicembre 2019 - Ricorso n. 48322/17 - Causa Luzi contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA LUZI c. ITALIA

(Ricorso n. 48322/17)

SENTENZA

STRASBURGO

5 dicembre 2019

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma

Nella causa Luzi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in un comitato composto da
Aleš Pejchal, presidente,
Tim Eicke,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 12 novembre 2019,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 48322/17) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. Valter Luzi («il ricorrente»), che ha adito la Corte il 13 ottobre 2017 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall'avvocato V. De Matteis, con studio a Vigodarzere. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente G. Civinini.

3. L'8 dicembre 2017 il ricorso è stato comunicato al Governo.

4. Con lettera del 30 agosto 2019, il Governo si è opposto all'esame del ricorso da parte di un comitato. Dopo avere esaminato l'obiezione del Governo, la Corte la respinge.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1974 e risiede a Mellaredo di Pianiga.

6. Dall'unione tra il ricorrente e J.B. nacque una figlia, G., il 21 aprile 2009.

A. Procedura volta a stabilire le modalità di esercizio del diritto di visita del ricorrente nei confronti della figlia

7. Nel luglio 2009, dopo quattro mesi di convivenza, J.B. lasciò la casa familiare con la bambina e andò a vivere presso la sua famiglia a Brugine, a circa 40 chilometri di distanza.

8. L'8 febbraio 2010 il ricorrente adì il tribunale per i minorenni di Venezia («il tribunale») lamentando delle difficoltà nell'esercizio del suo diritto di visita e chiedendo, in particolare, l’affidamento condiviso di sua figlia, la cui residenza principale sarebbe stata fissata a casa della madre, la regolamentazione del suo diritto di visita (diritto di vedere la figlia per un'ora due volte alla settimana a casa della madre senza la presenza di quest'ultima e di tenere la figlia a casa sua un fine settimana su due, uno o due pomeriggi a settimane alterne e 15 giorni durante le vacanze estive), nonché la fissazione di un assegno di mantenimento a suo carico e in favore della bambina.

9. All'udienza del 3 aprile 2010 le parti, su richiesta del giudice, accettarono di partecipare ad un percorso di mediazione presso l'Azienda Sanitaria Locale («ASL»). Il ricorrente e J.B. si accordarono sulle modalità provvisorie per l'esercizio del diritto di visita del ricorrente.

10. Il 26 maggio 2010 la psicologa dell'ASL informò il giudice che il percorso di mediazione era stato avviato e che si erano svolti tre incontri, ma aggiunse che la mediazione era fallita a causa del forte conflitto esistente tra i genitori.

11. All'udienza del 17 luglio 2010, le parti addivennero ad un accordo sul diritto di visita del padre il sabato e sul pagamento di un assegno di mantenimento di 300 euro (EUR) in favore della figlia.

12. Il 14 febbraio 2011 il ricorrente chiese al tribunale l'adozione delle misure necessarie per garantire a lui, alla nonna e alla zia di sua figlia la possibilità di trascorrere del tempo con la bambina, vista l'impossibilità di raggiungere un accordo con la madre di quest'ultima.

13. Il 22 febbraio 2011 il tribunale decise di affievolire la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori in favore dei servizi sociali del comune di Brugine, cui fu affidato il compito di «disciplinare i rapporti con le modalità più confacenti alla ripresa della relazione padre-figlia, nell'ambito del progetto quadro che preveda anche un percorso di sostegno alla genitorialità per [i genitori]». Una prima relazione doveva essere depositata entro il 15 giugno 2011.

14. J.B. impugnò questa decisione dinanzi alla corte d'appello.

15. L'11 marzo 2011 J.B. depositò una memoria in cui lamentava delle violenze psicologiche perpetrate dal ricorrente su di lei e sulla loro figlia, modificava le sue conclusioni iniziali e chiedeva l'affidamento esclusivo della figlia accordando un diritto di visita al ricorrente.

16. Il 14 giugno 2011, i servizi sociali depositarono una relazione in tribunale nella quale riferivano che si erano svolti degli incontri settimanali padre-figlia, alla presenza di un educatore e di un assistente sociale.

17. Il 7 luglio 2011 la corte d'appello dichiarò inammissibile il ricorso della madre della bambina.

18. Nel corso del procedimento, i servizi sociali informarono il tribunale dei progressi nell'attuazione del progetto di riavvicinamento tra la minore e suo padre dopo una fase che prevedeva, in un primo tempo, la presenza della madre al momento degli incontri, poi, in un secondo tempo, il graduale allontanamento di quest'ultima per favorire lo sviluppo dei rapporti padre-figlia.

19. Tuttavia, il 21 dicembre 2011, i servizi sociali trasmisero una relazione al tribunale in cui facevano presente che gli incontri si svolgevano con molta difficoltà a causa del comportamento di entrambi i genitori che non erano più disponibili e non collaboravano. Aggiungevano che la bambina aveva iniziato a mostrare un disagio via via crescente e che quindi avevano deciso, nell’interesse di quest'ultima e tenuto conto della totale mancanza di collaborazione dei genitori, di sospendere gli incontri. Nel corso del 2011 il ricorrente incontrò sua figlia 11 volte.

20. Con una relazione del 22 febbraio 2012, i servizi sociali informarono il tribunale che era stato predisposto un nuovo calendario di incontri tra la minore e i suoi genitori.

21. L'8 febbraio 2013, i servizi sociali segnalarono al tribunale che erano sopravvenuti sempre più conflitti tra i genitori.

22. Anche nell'attuazione del diritto di visita sopraggiunsero dei problemi: i genitori manifestarono la loro volontà di gestire gli incontri padre-figlia con maggiore autonomia e, dopo il mese maggio 2013, il ricorrente si rifiutò di continuare a partecipare agli incontri in condizioni che per lui non erano soddisfacenti.

23. Il 21 settembre 2013 il tribunale fu informato dell'interruzione degli incontri tra il ricorrente e sua figlia.

24. Il 17 ottobre 2013, con una nuova relazione, i servizi sociali informarono il tribunale della difficoltà di riprendere gli incontri e proposero che la famiglia fosse presa in carico da un servizio specializzato.

25. Nella loro relazione dell'11 gennaio 2014, i servizi sociali informarono il tribunale che la minore non vedeva suo padre da maggio 2013 a causa del rifiuto di quest'ultimo di partecipare agli incontri in condizioni che, a suo parere, lo obbligavano a sottomettersi alle decisioni imprevedibili di J.B. e a vedersi imporre la presenza di quest'ultima. Essi aggiunsero che la minore non aveva avuto nemmeno contatti telefonici con il ricorrente. Poiché non avevano concluso alcun accordo con quest'ultimo per la ripresa degli incontri, i servizi sociali ritenevano quindi necessario avviare un programma psicoterapeutico.

26. Con un provvedimento del 29 gennaio 2014, il tribunale decise di attribuire l'affidamento esclusivo della minore alla madre, nell'interesse della minore. Per giungere a questa conclusione, il tribunale tenne conto dell'età e dello stato di salute della bambina, che richiedevano continuità di cura, accoglienza e attenzione, del fatto che solo la madre mostrava allora la disponibilità a partecipare a un progetto per riprendere i rapporti tra il ricorrente e sua figlia, e dell'atteggiamento ostruzionistico del padre nei confronti degli esami sanitari. Per quanto riguardava il diritto di visita, il tribunale ordinò che fosse predisposto un calendario di incontri sulla base delle indicazioni dei servizi sociali. Il 7 febbraio 2014 il ricorrente impugnò questo provvedimento.

27. Con ordinanza del 14 luglio 2014, la corte d'appello respinse l'impugnazione del ricorrente e rilevò che le difficoltà nell'attuazione del diritto di visita di quest’ultimo erano imputabili ai comportamenti di entrambe le parti, che avevano ripetutamente rifiutato la presenza degli educatori, e alla decisione del padre di sospendere gli incontri. Di conseguenza, ordinò una perizia psicologica della minore e dei suoi genitori al fine di valutare la loro personalità e le capacità genitoriali di questi ultimi e al fine di individuare le migliori soluzioni possibili per quanto riguardava l'affidamento, il collocamento e il diritto di visita.

28. Il 24 settembre 2014, la corte d'appello, su impugnazione del ricorrente, dopo aver constatato che J.B. non si era conformata alla decisione del tribunale per quanto riguardava il diritto di visita e aveva impedito al ricorrente di vedere regolarmente sua figlia, dichiarò che un comportamento simile era illecito e ordinò l'esecuzione della decisione del tribunale. La corte d'appello, invocando l'articolo 709 ter del codice di procedura civile (CPC), invitò J.B. a non reiterare tale condotta e le spiegò le conseguenze di tale comportamento.

29. Il 22 dicembre 2014 la corte d'appello ordinò a J.B. di eseguire la decisione del tribunale e di rispettare il calendario degli incontri tra il ricorrente e sua figlia ai sensi dell'articolo 709 ter del CPC.

30. Nel corso del 2014, il ricorrente ha potuto incontrare sua figlia solo in tre occasioni.

31. Il 19 gennaio 2015 i servizi sociali segnalarono delle difficoltà nel riprendere gli incontri tra il ricorrente e sua figlia.

32. Il 27 febbraio 2015, l'esperto incaricato di redigere la relazione ordinata dalla corte d'appello richiese una proroga del termine per il deposito della suddetta relazione, indicando di dover far fronte a una serie di difficoltà legate sia alle malattie stagionali della bambina, sia alla mancanza di collaborazione da parte di J.B. nell'organizzazione degli incontri tra il ricorrente e sua figlia, nonostante i ripetuti tentativi dei servizi sociali di farli realizzare.

33. All'udienza del 20 marzo 2015, la corte d'appello fissò un nuovo termine per il deposito della relazione, invitò l’esperto a collaborare con il servizio di neuropsichiatria pediatrica al fine di istituire un supporto psicoterapeutico per la bambina e di verificare se quest'ultima soffrisse di eventuali patologie. La corte d'appello ordinò anche ai servizi sociali di continuare ad organizzare degli incontri tra il ricorrente e sua figlia e di segnalare qualsiasi mancato rispetto del calendario di questi incontri da parte degli interessati. Ingiunse anche alla madre di condurre la minore agli incontri con il padre, ma di non parteciparvi.

34. Nella loro relazione del 3 aprile 2015, i servizi sociali facevano presente l'impossibilità di proseguire gli incontri secondo le modalità applicate fino ad allora, poiché a loro parere queste modalità si erano rivelate inefficaci.

35. Il 17 giugno 2015 l'esperto presentò la sua relazione nella quale rilevava che, quando il rapporto tra il ricorrente e sua figlia diventava significativo, J.B. si interponeva e segnalava ai servizi sociali e a vari medici la comparsa di sintomi della minore tali da indurli a sospendere gli incontri tra il ricorrente e sua figlia. L'esperto osservava che J.B. era incapace di tollerare un rapporto tra la bambina e il ricorrente perché non accettava che la figlia potesse avere stati emotivi e bisogni diversi dai suoi. L'esperto spiegava che J.B. non lasciava autonomia alla bambina e che si opponeva agli incontri tra quest'ultima e suo padre. Aggiungeva che la minore si trovava in uno stato di rischio psicopatologico e che era probabile che sviluppasse una personalità disfunzionale durante l'adolescenza.

36. Di conseguenza, l'esperto raccomandava di adottare le seguenti misure prima di proporre un cambio di residenza della minore:

  • la immediata presa in carico terapeutica della madre da parte del servizio sanitario competente;
  • la predisposizione di un calendario di visite padre-figlia che sfruttasse il periodo estivo per consolidare il loro rapporto fino ad arrivare rapidamente ad una frequentazione «normale», da organizzare secondo delle modalità prestabilite;
  • l’attribuzione dell’affidamento temporaneo della minore ai servizi sociali e la presa in carico di quest'ultima da parte di un servizio di neuropsichiatria infantile.

L'esperto aggiungeva che, se J.B. non avesse aderito scrupolosamente a questo programma, l'affido esclusivo della minore avrebbe dovuto essere attribuito al ricorrente, la bambina avrebbe dovuto essere collocata presso di lui e si sarebbe dovuto pianificare un programma di visite madre-figlia, inizialmente in forma protetta.

37. Con decisione del 14 settembre 2015, la corte d'appello, dopo aver preso atto delle difficoltà incontrate dal ricorrente nell'esercizio del suo diritto di visita a causa del comportamento di J.B., revocò l'affidamento esclusivo della minore alla madre in favore dell'affidamento congiunto, affievolì la responsabilità genitoriale di entrambe le parti e affidò la minore ai servizi sociali incaricati di programmare un calendario di incontri, regolamentò il diritto di visita del padre e stabilì, in particolare, che quest'ultimo aveva il diritto di vedere sua figlia senza la presenza della madre.

La corte d'appello sottolineò che l'esperto aveva rilevato che la bambina era felice di avvicinarsi a suo padre e di vederlo e che non manifestava alcuna ostilità nei suoi confronti, ma che era condizionata da J.B. durante gli incontri.

38. La corte d'appello ordinò ai servizi sociali di segnalare eventuali violazioni della decisione al giudice tutelare e alla procura indicando che, in assenza di collaborazione da parte di J.B., il ricorrente avrebbe potuto anche chiedere all'autorità giudiziaria l'adozione di sanzioni nonché un risarcimento. Inoltre, confermò l'avvertimento dato alla madre della bambina nell'ordinanza del 24 settembre 2014 a titolo dell'articolo 709 ter del CPC.

39. Nel 2015 si svolsero solo due incontri, interrotti dalla madre della bambina.

40. Il 3 ottobre 2016 e il 18 novembre 2016, i servizi sociali segnalarono al procuratore presso il tribunale per i minorenni e al giudice tutelare che il calendario degli incontri padre-figlia era sospeso. Infatti, a partire dall'ottobre 2016, il ricorrente non poteva più incontrare sua figlia a causa dell'opposizione di J.B., che non gli permetteva neanche di parlarle al telefono, e del rifiuto della minore.

41. Il 2 dicembre 2016 il ricorrente presentò un ricorso dinanzi al tribunale per chiedere l'affidamento esclusivo della minore, la fissazione della residenza principale della figlia presso di lui, il riconoscimento di un diritto di visita a J.B. e la condanna di quest'ultima a risarcirlo per avergli impedito l'instaurazione di una relazione effettiva tra lui e sua figlia per sette anni. Nel suo ricorso, il ricorrente lamentava il fatto che J.B. ostacolava tutti gli incontri tra lui e sua figlia e chiedeva al tribunale di inserire nel fascicolo la segnalazione fatta dai servizi sociali al procuratore (paragrafo 40 supra).

42. Nel febbraio 2017 fu fatta un'altra segnalazione al procuratore e al giudice tutelare. I servizi sociali li informarono che J.B. stava manipolando la minore al fine di aizzarla contro il ricorrente e di impedire qualsiasi contatto con lui. Secondo loro, la condizione psicologica di J.B. era peggiorata ed era necessario ordinare con urgenza una valutazione psichiatrica.

43. A seguito di un ricorso del ricorrente (paragrafo 41 supra), il tribunale, con decisione del 14 maggio 2018, in considerazione delle difficoltà incontrate dal ricorrente nell'esercizio del suo diritto di visita, confermò l'attribuzione dell'affidamento della minore ai servizi sociali e ordinò loro di svolgere una nuova indagine familiare e di approfondire i rapporti tra il minore e sua madre.

44. Il 28 maggio 2018 J.B. impugnò la decisione del tribunale per ottenere l'affidamento della minore e, in subordine, di affidarla ad altri servizi sociali.

45. Con decisione del 13 luglio 2018, la corte d'appello respinse il ricorso di J.B. e la condannò al pagamento delle spese legali. La corte d'appello sottolineò che il percorso di osservazione psicologica della minore e dei suoi genitori doveva essere proseguito.

46. Dopo la decisione della corte d'appello, nel 2018 si svolsero sei incontri padre-figlia, in presenza dei servizi sociali.

47. Con decisione dell'8 ottobre 2018, il tribunale, alla luce della decisione della corte d'appello, richiese ai servizi sociali una valutazione delle competenze genitoriali di J.B. e un resoconto dei risultati del percorso di sostegno alla genitorialità realizzato con entrambi i genitori.

B. Le denunce penali

48. Nel maggio 2015, il ricorrente presentò una denuncia volta a far sanzionare il mancato rispetto da parte di J.B. della decisione sul diritto di visita. Il 14 febbraio 2017 la denuncia fu archiviata per mancanza di elemento morale del delitto.

49. Nel marzo 2017, il ricorrente depositò una seconda denuncia. La procura archiviò. Il ricorrente presentò opposizione.

50. Il 15 dicembre 2017 si svolse un'udienza dinanzi al giudice per le indagini preliminari. Con ordinanza del 22 dicembre 2017, quest'ultimo dispose l'archiviazione della denuncia in quanto il suo contenuto era identico a quello della denuncia archiviata il 14 febbraio 2017

II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

51. Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza Strumia c. Italia (n. 53377/13, §§ 73-78, 23 giugno 2016).

52. L’articolo 709 ter del CPC è così formulato nella sua parte pertinente nel caso di specie:
«Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. (…)
A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:

1. ammonire il genitore inadempiente;
2. disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3. disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4. condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro (...)»

53. L’articolo 614 bis del CPC dispone:

«Misure di coercizione indiretta:
Con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza.
Il giudice determina l'ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.»

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

54. Il ricorrente lamenta una violazione del suo diritto al rispetto della sua vita famigliare in quanto non ha potuto esercitare pienamente il suo diritto di visita per otto anni, e questo malgrado l’esistenza di varie decisioni del tribunale e della corte d’appello che hanno fissato le condizioni per l’esercizio di tale diritto. Egli rimprovera alle autorità nazionali di non avere messo in atto delle misure che gli avrebbero permesso di mantenere un legame con la figlia e, di conseguenza, di avere lasciato a J.B. il tempo di aizzare sua figlia contro di lui. Egli denuncia una inerzia delle autorità di fronte al comportamento di J.B., affermando che queste ultime non si sono adoperate né hanno adottato delle misure per permettergli di esercitare il suo diritto di visita e non hanno reagito di fronte al mancato rispetto da parte della madre delle decisioni che gli accordavano tale diritto di visita.

L’articolo 8 della Convenzione recita:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (...)
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A. Sulla ricevibilità

55. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Tesi delle parti

56. Il ricorrente ritiene che le autorità non abbiano adottato le misure volte a permettergli di stabilire dei contatti effettivi con sua figlia e abbiano tollerato per circa 8 anni che J.B. impedisse il consolidamento di una vera relazione tra lui e sua figlia. Egli considera che i servizi sociali, intervenuti più volte, non abbiano concretamente messo in atto le misure raccomandate per permettergli il riavvicinamento a sua figlia, mentre, a suo parere, la bambina non vi si era mai opposta, salvo quando era stata manipolata da J.B., come aveva riconosciuto l’esperto nominato dalla corte d’appello. A suo avviso, le autorità non avrebbero agito nell’interesse di sua figlia.

57. Il ricorrente ritiene in particolare che:

  • le giurisdizioni abbiano tardato a emettere le loro decisioni, il che a suo parere ha consolidato la situazione di fatto imposta da J.B e irrimediabilmente compromesso la sua relazione con sua figlia;
  • non siano stati utilizzati tutti gli strumenti giuridici, destinati ad assicurare l’applicazione concreta delle decisioni con cui gli veniva riconosciuto un diritto di visita, di cui le autorità disponevano, e questo malgrado fossero state formulate molte domande in tal senso durante il procedimento;
  • l’autorità giudiziaria italiana non ha reagito di fronte al mancato rispetto da parte di J.B. delle decisioni giudiziarie e delle indicazioni dei servizi sociali.

58. Il ricorrente sostiene che, dal 2010, le autorità non hanno messo in atto alcuna misura concreta volta a impedire una alienazione genitoriale, e ritiene che nemmeno la decisione della corte d’appello di Venezia sia stata eseguita. Egli deplora l’inettitudine dei servizi sociali e l’indifferenza delle autorità di fronte al comportamento di J.B.

59. Il ricorrente argomenta che la procura non ha adottato alcuna disposizione repressiva, limitandosi a chiedere l’archiviazione delle denunce presentate nonostante il risultato della perizia che, a suo parere, mostrava chiaramente che il comportamento di J.B. era estremamente pericoloso per la salute della minore.

60. Il Governo indica che le autorità hanno predisposto una serie di strumenti giuridici e amministrativi adeguati e sufficienti per assicurare i diritti legittimi degli interessati e il rispetto delle decisioni giudiziarie e delle misure adottate. Dal punto di vista del Governo, il processo ha avuto una durata ragionevole e le decisioni sono state adottate senza ritardo.

61. Il Governo considera che, secondo la giurisprudenza fissata nella causa Wdowiak c. Polonia (n. 28768/12, 7 febbraio 2017), il rispetto del diritto di visita debba essere valutato tenendo conto di tutte le misure adottate dallo Stato per assicurarlo.

62. Il Governo indica inoltre che i servizi sociali e sanitari hanno continuato, sia in esecuzione delle decisioni giudiziarie che di loro propria iniziativa, a compiere un importante lavoro di sostegno, di accompagnamento, di cura e di organizzazione degli incontri, senza mai scoraggiarsi di fronte al comportamento dei genitori.

63. Il Governo considera che gli incontri padre-figlia sono stati sempre garantiti: i due periodi di sospensione degli incontri erano infatti, a suo parere, imputabili al padre per quanto riguarda il primo, e alla madre per quanto riguarda il secondo. Aggiunge che i notevoli sforzi compiuti dai servizi sociali non hanno ottenuto il risultato sperato ma che l’adozione di misure drastiche, come collocare la minore presso una famiglia affidataria o in un istituto, non sarebbe stata ammissibile.

64. Il Governo ritiene che delle misure specifiche, che tengano conto dell’evolversi della situazione, siano state adottate, e che le autorità abbiano fatto tutto quanto ci si poteva ragionevolmente aspettare per applicare il diritto di visita del ricorrente, e probabilmente anche di più.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali

65. Come la Corte ha rammentato più volte, se l’articolo 8 della Convenzione ha essenzialmente lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso non si limita a imporre allo Stato di astenersi da simili ingerenze: a questo impegno piuttosto negativo possono aggiungersi degli obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o famigliare. Tali obblighi possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita familiare che riguardano persino le relazioni fra individui, tra cui la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti per assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero di misure specifiche appropriate (si veda, mutatis mutandis, Zawadka c. Polonia, n. 48542/99, § 53, 23 giugno 2005). Tali strumenti giuridici devono permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti fra i genitori (si vedano, mutatis mutandis, Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 108, CEDU 2000 I, Sylvester c. Austria, nn. 36812/97 e 40104/98, § 68, 24 aprile 2003, Zavřel c. Repubblica ceca, n. 14044/05, § 47, 18 gennaio 2007, e Mihailova c. Bulgaria, n. 35978/02, § 80, 12 gennaio 2006). La Corte rammenta anche che gli obblighi positivi non implicano solo che si vigili affinché il minore possa raggiungere il genitore o mantenere un contatto con lui, bensì comprendono anche tutte le misure propedeutiche che consentono di giungere a tale risultato (si vedano, mutatis mutandis, Kosmopoulou c. Grecia, n. 60457/00, § 45, 5 febbraio 2004, Amanalachioai c. Romania, n. 4023/04, § 95, 26 maggio 2009, Ignaccolo Zenide, sopra citata, §§ 105 e 112, e Sylvester, sopra citata, § 70).

66. La Corte rammenta anche che il fatto che gli sforzi delle autorità siano stati vani non porta automaticamente alla conclusione che lo Stato si sia sottratto agli obblighi positivi derivanti per esso dall’articolo 8 della Convenzione (Nicolò Santilli c. Italia, n. 51930/10, § 67, 17 dicembre 2013). In effetti, l’obbligo per le autorità nazionali di adottare misure per riunire il figlio e il genitore con cui non convive non è assoluto, e la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate costituiscono sempre un fattore importante. Se le autorità nazionali devono sforzarsi di agevolare una simile collaborazione, un obbligo per le stesse di ricorrere alla coercizione in materia non può che essere limitato: esse devono tenere conto degli interessi e dei diritti e delle libertà di queste stesse persone, in particolare degli interessi superiori del minore e dei diritti conferiti allo stesso dall’articolo 8 della Convenzione (Voleský c. Repubblica ceca, n. 63267/00, § 118, 29 giugno 2004).

67. Per quanto riguarda la vita famigliare di un minore, la Corte rammenta che esiste attualmente un ampio consenso – anche nel diritto internazionale – intorno all’idea che in tutte le decisioni che riguardano dei minori il loro interesse superiore debba prevalere (si veda, tra altre, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 135, CEDU 2010). Essa sottolinea del resto che, nelle cause in cui sono in gioco questioni di affidamento di minori e di restrizioni del diritto di visita, l’interesse del minore deve prevalere su qualsiasi altra considerazione (Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, § 204, 10 settembre 2019). Quando si tratta di ricorrere alla coercizione in questo ambito delicato è necessaria la massima prudenza (Mitrova e Savik c. l’ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, n. 42534/09, § 77, 11 febbraio 2016, e Reigado Ramos c. Portogallo, n. 73229/01, § 53, 22 novembre 2005). La questione decisiva consiste dunque nello stabilire se, nel caso di specie, le autorità nazionali abbiano adottato, per agevolare le visite tra genitore e figlio, tutte le misure necessarie che si potevano ragionevolmente esigere da loro (Nuutinen c. Finlandia, n. 32842/96, § 128, CEDU 2000 VIII).

b) Applicazione di questi principi alla presente causa

68. Esaminando i fatti della presente causa, la Corte osserva anzitutto che non viene contestato che il legame tra il ricorrente e sua figlia rientri nella sfera della vita famigliare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.

69. Inoltre, essa ritiene che, di fronte alle circostanze che le vengono sottoposte, il suo compito consista nel verificare se le autorità nazionali abbiano adottato tutte le misure che si potevano ragionevolmente esigere dalle stesse per mantenere i legami tra il ricorrente e sua figlia (Bondavalli c. Italia, n. 35532/12, § 75, 17 novembre 2015) e nell’esaminare in che modo queste ultime siano intervenute per agevolare l’esercizio del diritto di visita del ricorrente come definito dalle decisioni giudiziarie (Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 58, serie A n. 299 A, e Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 105, 15 gennaio 2015). Essa rammenta inoltre che, in questo genere di cause, l’adeguatezza di una misura si valuta in base alla rapidità della sua attuazione (Piazzi c. Italia, n. 36168/09, § 58, 2 novembre 2010) per evitare che il decorso del tempo possa, già di per sé, avere conseguenze sulla relazione di un genitore con il figlio.

70. La Corte rileva che, a partire dal 2010, quando la minore aveva solo un anno, il ricorrente ha chiesto ininterrottamente al tribunale di organizzare degli incontri con la figlia, ma ha potuto esercitare il suo diritto di visita soltanto in maniera estremamente limitata a causa dell’opposizione della madre della bambina.
Tra il 2010 e il 2012, nonostante l’attività di sostegno fornita ai due genitori dalle autorità, il ricorrente non è riuscito a incontrare regolarmente sua figlia a causa, soprattutto, dell’opposizione della madre allo svolgimento degli incontri (paragrafi 8-22 supra).

71. A questo proposito, la Corte constata che i servizi sociali avevano posto l’accento sulle difficoltà del padre a incontrare sua figlia e sottolineato che J.B. era all’origine di tali difficoltà. Di conseguenza, è stato ridotto il numero di incontri tra il ricorrente e sua figlia e l’organizzazione degli stessi è stata resa difficile. Essa rileva peraltro che la decisione presa dal ricorrente nel 2013 di sospendere gli incontri (si veda il paragrafo 25 supra) era una reazione al fatto che le autorità competenti non avevano preso in carico la situazione psicologica della minore allo scopo di ristabilire i rapporti genitore-figlia e che gli incontri si svolgevano in condizioni per lui non soddisfacenti a causa della presenza di J.B.

72. La Corte osserva poi che l’esperto incaricato dalla corte d’appello nel 2015 ha sottolineato che il comportamento nefasto di J.B. aveva impedito alla minore di stabilire un legame con il padre e che J.B. stava facendo fallire tutti i progetti di riavvicinamento previsti (paragrafi 35-36 supra).
Il ricorrente ha denunciato più volte il comportamento di J.B. e ha chiesto nel 2016 alle autorità giudiziarie di dargli l’affidamento della minore (come era stato suggerito dall’esperto della corte d’appello). Anche se la corte d’appello, nel 2015, ha dato la minore in affidamento ai servizi sociali, essa ha comunque mantenuto la residenza principale di quest’ultima presso la madre, intimandole di rispettare il diritto di visita del ricorrente.

73. La Corte osserva inoltre che, successivamente, anche se nella sua decisione del 14 settembre 2015 (paragrafo 37 supra) la corte d’appello ha indicato ai servizi sociali di segnalare al giudice tutelare e al procuratore presso il tribunale per i minorenni qualsiasi inosservanza della decisione che accorda al ricorrente un diritto di visita, tali segnalazioni (paragrafi 40 e 42 supra), con le quali i servizi sociali hanno denunciato l’atteggiamento manipolatore di J.B. e l’impossibilità per il ricorrente di esercitare il suo diritto di visita, sono rimaste senza risposta, e non è intervenuto alcun cambio di residenza principale della minore.

74. La Corte osserva che, nel 2015, il ricorrente ha potuto incontrare sua figlia soltanto due volte, e questa situazione si è protratta fino al 2018.

75. La Corte rammenta che non ha il compito di sostituire la sua valutazione a quella delle autorità nazionali competenti in merito alle misure che avrebbero dovuto essere adottate, in quanto tali autorità si trovano, in linea di principio, in una posizione migliore per procedere ad una valutazione di questo tipo, in particolare perché sono in contatto diretto con il contesto della causa e con le parti coinvolte (Reigado Ramos, sopra citata, § 53). Tuttavia, essa non può, nel caso di specie, ignorare i fatti precedentemente esposti (paragrafi 70-74 supra). Il ricorrente non ha mai smesso di tentare di avere contatti con sua figlia dal 2010 e, nonostante la perizia che metteva in luce l’influenza nefasta della madre sulla minore e la necessità di intervenire affinché egli potesse mantenere un legame con sua figlia, le autorità non hanno trovato soluzioni. Il ricorrente ha potuto esercitare il suo diritto di visita soltanto in maniera molto limitata a causa dell’opposizione della madre della minore, e quest’ultima ha così potuto mandare a monte qualsiasi progetto di riavvicinamento previsto. Gli ammonimenti della corte d’appello non hanno avuto alcun effetto su J.B., che ha continuato a impedire al ricorrente di esercitare il suo diritto di visita.

76. Certamente, la Corte riconosce che, nel caso di specie, le autorità si sono trovate ad affrontare una situazione molto difficile, che derivava in particolare dalle tensioni esistenti tra i genitori della minore, e ammette che la mancata realizzazione del diritto di visita del ricorrente era imputabile soprattutto all’evidente rifiuto di J.B., ma rammenta tuttavia che una mancanza di collaborazione tra i genitori separati non può dispensare le autorità competenti dal mettere in atto tutti i mezzi che possano permettere il mantenimento del legame famigliare (Nicolò Santilli, sopra citata, § 74, Lombardo, n. 25704/11, § 91, 29 gennaio 2013, e Zavřel, sopra citata, § 52).

77. In effetti, le autorità non hanno dimostrato la diligenza necessaria nel caso di specie e sono rimaste al di sotto di quello che si poteva ragionevolmente attendere da loro. In particolare, i giudici nazionali non hanno adottato le misure idonee per creare le condizioni necessarie per la piena realizzazione del diritto di visita del padre della minore (Bondavalli, sopra citata, § 81, Macready c. Repubblica ceca, nn. 4824/06 e 15512/08, § 66, 22 aprile 2010, Piazzi, sopra citata, § 61, e Strumia, sopra citata). Essa considera che i giudici interni non abbiano adottato, fin dall’inizio della separazione dei genitori, quando la minore aveva solo un anno di età, delle misure concrete e utili volte a instaurare dei contatti effettivi e hanno successivamente tollerato per circa otto anni che la madre, con il suo comportamento, impedisse che si instaurasse una vera e propria relazione tra il ricorrente e la figlia. La Corte rileva che dallo svolgimento del procedimento dinanzi al tribunale emerge piuttosto una serie di misure automatiche e stereotipate, quali le successive richieste di informazioni, una delega ai servizi sociali del controllo successivo, con l’obbligo per gli stessi di organizzare e di far rispettare il diritto di visita del ricorrente (Lombardo, sopra citata § 92, e Piazzi, sopra citata, § 61), un programma di sostegno alla genitorialità e degli ammonimenti a J.B. che, nel caso di specie, non hanno avuto alcun effetto. I servizi sociali, da parte loro, non hanno correttamente eseguito le decisioni giudiziarie. Ora, sebbene gli strumenti giuridici previsti dal diritto italiano sembrino sufficienti, secondo la Corte, per permettere allo Stato convenuto di garantire il rispetto degli obblighi positivi derivanti per quest’ultimo dall’articolo 8 della Convenzione, si deve constatare nella presente causa che le autorità non hanno intrapreso alcuna azione nei confronti di J.B. La Corte, perciò, ritiene che le autorità abbiano lasciato che si consolidasse una situazione di fatto generata dall’inosservanza delle decisioni giudiziarie.

78. Se è vero che gli obblighi dello Stato ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione non sono obblighi di risultato ma di mezzi (Pascal c. Romania, n. 805/09, § 69, 17 aprile 2012, e Wdowiak, sopra citata), la Corte osserva che, nel caso di specie, di fronte all’opposizione della madre della minore che perdurava da circa 8 anni, le autorità nazionali non hanno adottato tutte le misure necessarie e che si potevano ragionevolmente esigere dalle stesse per far rispettare il diritto del ricorrente di avere contatti con sua figlia e di stabilire una relazione con lei (Strumia, sopra citata, § 123).

79. La Corte ne deduce che, se le azioni dei tribunali sono state ispirate dall’interesse debitamente accertato della minore (Zavřel, sopra citata, § 53), lo scopo che gli stessi perseguivano non è stato raggiunto: nove anni dopo la separazione dei suoi genitori, la minore non quasi alcun rapporto con il padre, nonostante i provvedimenti adottati dalle giurisdizioni interne.

80. Considerato quanto sopra esposto e nonostante il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in materia, la Corte considera che le autorità nazionali non abbiano fatto sforzi adeguati e sufficienti per far rispettare il diritto di visita del ricorrente e che abbiano violato il diritto dell’interessato al rispetto della sua vita famigliare.

81. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

82. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

83. Il ricorrente chiede la somma di 150.000 euro (EUR) per il danno morale che afferma di avere subito a causa dell’impossibilità di allacciare una relazione con sua figlia. A suo parere, tale importo comprende, inoltre, il totale delle somme che egli avrebbe versato agli avvocati e agli psichiatri intervenuti nei procedimenti interni.

84. Il Governo si oppone a questa richiesta.

85. Tenuto conto delle circostanze del caso di specie e della constatazione della rottura dei rapporti tra il ricorrente e sua figlia, la Corte considera che l’interessato abbia subito un danno morale che non può essere riparato con la semplice constatazione di violazione dell’articolo 8 della Convenzione. Essa ritiene tuttavia che la somma richiesta sia eccessiva. Considerati tutti gli elementi in suo possesso e deliberando in via equitativa, ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, la Corte accorda all’interessato la somma di 13.000 EUR a questo titolo.

B. Spese

86. Il ricorrente chiede anche la somma di 14.910,39 EUR per le spese che afferma di avere sostenuto dinanzi alle giurisdizioni interne e dinanzi alla Corte.

87. Il Governo contesta tale richiesta.

88. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma di 10.000 EUR per tutte le spese sostenute e la accorda al ricorrente.

C. Interessi moratori

89. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  3. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi,
      1. 13.000 EUR (tredicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per il danno morale,
      2. 10.000 (diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per le spese;
  4. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 5 dicembre 2019, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Aleš Pejchal
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto