Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 5 dicembre 2019 - Ricorso n. 35516/13 - Causa Scervino e Scaglioni contro l'Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

AFFAIRE SCERVINO E SCAGLIONI c. ITALIA
(Ricorso n. 35516/13)

SENTENZA

STRASBURGO
5 dicembre 2019

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Scervino e Scaglioni c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in un comitato composto da:
Pere Pastor Vilanova, presidente,
Krzysztof Wojtyczek,
Pauliine Koskelo, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 12 novembre 2019,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 35516/13) proposto contro la Repubblica italiana da due cittadini di questo Stato, i sigg. Luciano Scervino e Giordano Scaglioni («i ricorrenti»), che hanno adito la Corte il 30 aprile 2013 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall'avvocato D. Landini, del foro di Prato. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato da P. Accardo, all'epoca co-agente.
3. Il 20 maggio 2016 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. I sigg. Luciano Scervino e Giordano Scaglioni sono nati rispettivamente nel 1960 e nel 1939 e risiedono a Firenze.

5. Il 14 luglio 1998 i ricorrenti impugnarono dinanzi al tribunale amministrativo regionale («il TAR») della Toscana il decreto che era stato emesso dal comune di Sesto Fiorentino e che ordinava la demolizione di una serie di opere realizzate abusivamente su una costruzione esistente. Presentarono anche una istanza di fissazione dell’udienza. L'11 settembre 2009 depositarono una nuova istanza di fissazione dell'udienza.

6. Il 3 novembre 2011, in base alla legge n. 89/2001 detta «legge Pinto», presentarono un ricorso dinanzi alla corte d'appello di Genova per lamentare l’eccessiva durata del procedimento giudiziario amministrativo. Il 12 gennaio 2012 la corte d'appello ammise che il termine ragionevole era stato superato e accordò ai ricorrenti un indennizzo per danno morale.

7. Il 15 febbraio 2013 la Corte di cassazione annullò la decisione della corte d'appello in quanto nel corso del procedimento dinanzi al TAR i ricorrenti non avevano presentato istanza di prelievo, nuova condizione di ammissibilità dei ricorsi «Pinto» introdotta dal decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

8. Il diritto e la prassi interni pertinenti sono stati richiamati nella sentenza Olivieri e altri c. Italia (nn. 17708/12 e altri 3, §§ 11-18, 25 febbraio 2016).

IN DIRITTO

I. SULLA DOMANDA DEL GOVERNO VOLTA ALLA CANCELLAZIONE DEL RICORSO AI SENSI DELL'ARTICOLO 37 DELLA CONVENZIONE

9. Il 17 ottobre 2017 il Governo ha presentato una dichiarazione unilaterale nella quale proponeva di porre rimedio alla violazione dedotta nel presente ricorso e chiedeva alla Corte di cancellare la causa dal ruolo.

10. Per quanto riguarda il danno morale e le spese complessive, offriva ai ricorrenti la somma globale di 11.000 euro (EUR).

11. Il 13 novembre 2017 i ricorrenti hanno rifiutato la proposta del Governo.

12. La Corte rammenta che, in talune circostanze, può essere opportuno cancellare tutto o parte di un ricorso sulla base di una dichiarazione unilaterale anche se la parte ricorrente desidera che l'esame della causa prosegua. Per stabilire se tale decisione sia appropriata in una determinata causa, la Corte deve verificare che la dichiarazione unilaterale fornisca una base sufficiente per concludere che il rispetto dei diritti umani garantiti dalla Convenzione non esige che l'esame della causa prosegua (Tahirov c. Azerbaïjan, n. 31953/11, § 34, 11 giugno 2015).

13. In particolare, la Corte ha già dichiarato che l'importo proposto in una dichiarazione unilaterale può essere considerato una base sufficiente, tenuto conto degli importi che ha concesso in casi analoghi, per cancellare dal ruolo tutto o parte di un ricorso (Przemyk c. Polonia, n. 22426/11, § 39, 17 settembre 2013).

14. Dopo aver esaminato i termini della dichiarazione unilaterale presentata dal Governo, la Corte ritiene che nel caso di specie l'importo proposto per il danno morale non sia ragionevolmente rapportato agli importi accordati dalla Corte in casi analoghi (Olivieri, sopra citata, § 80).

15. Di conseguenza, essa ritiene che, nelle particolari circostanze della presente causa, la dichiarazione unilaterale non offra una base sufficiente per permettere alla Corte di concludere che il rispetto dei diritti umani garantiti dalla Convenzione non esige che essa prosegua l'esame della causa.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 § 1 E 13 DELLA CONVENZIONE

17. I ricorrenti lamentano l’eccessiva durata del procedimento dinanzi al TAR della Toscana tra la data di presentazione del ricorso, il 14 luglio 1998, e la data in cui hanno avviato la procedura «Pinto», il 3 novembre 2011. Essi ritengono che la procedura contestata abbia violato il principio del «termine ragionevole» di cui all'articolo 6 § 1 della Convenzione, che è così formulato nelle sue parti pertinenti al caso di specie
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

18. I ricorrenti sostengono peraltro che, a seguito dell'introduzione della nuova condizione di ammissibilità del ricorso «Pinto» con le disposizioni del decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, poi della modifica di tale condizione con il decreto legislativo n. 104 del 2 luglio 2010, il ricorso «Pinto» è divenuto non effettivo rispetto all'articolo 13 della Convenzione, che è così formulato:
«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

19. Il Governo si oppone a questa tesi.

A. Sulla ricevibilità

20. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

21. Senza anticipare l’esame della questione se sia stato o meno superato il termine ragionevole, la Corte ritiene che la doglianza dei ricorrenti relativa alla durata del procedimento giudiziario amministrativo dinanzi al TAR della Toscana costituisca prima facie una doglianza «difendibile». Il procedimento, in effetti, è durato più di tredici anni. I ricorrenti, pertanto, avevano diritto a un ricorso effettivo a tale proposito (Valada Matos das Neves c. Portogallo, n. 73798/13, § 74, 29 ottobre 2015).

22. Per quanto riguarda l’effettività del ricorso «Pinto», la Corte rammenta che, nella sentenza Olivieri (sopra citata, § 71) essa ha dichiarato che il mezzo di ricorso che permetteva di lamentare l’eccessiva durata di un procedimento giudiziario amministrativo, come risultava dalla lettura combinata dell’articolo 54, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008 (modificato dal decreto legislativo n. 102 del 2010) e della «legge Pinto», non poteva essere considerato un ricorso effettivo nel senso dell’articolo 13 della Convenzione.

23. Osservando che nessun elemento della presente causa può portarla a concludere diversamente, la Corte dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione.

24. Per quanto riguarda la durata del procedimento controverso, i ricorrenti lamentano l’eccessivo periodo di tempo intercorso tra l’avvio del procedimento dinanzi al TAR, il 14 luglio 1998, e la data di presentazione del ricorso «Pinto» dinanzi alla corte d’appello di Genova, il 3 novembre 2011, il che significa tredici anni per un solo grado di giudizio. La Corte osserva che nel corso di tale procedimento i ricorrenti hanno presentato due domande di fissazione dell’udienza, ma invano.

25. Essa rammenta che il carattere ragionevole della durata di un procedimento viene valutato sulla base delle circostanze di causa e tenendo conto dei criteri sanciti dalla sua giurisprudenza, in particolare la complessità della causa, il comportamento del ricorrente e quello delle autorità competenti, nonché la posta in gioco della controversia per gli interessati (si vedano, tra altre, Satakunnan Markkinapörssi Oy e Satamedia Oy c. Finlandia [GC], n. 931/13, § 209, CEDU 2017 (estratti), Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, § 68, CEDU 2006 V, e Frydlender c. Francia [GC], n. 30979/96, § 43, CEDU 2000 VII).

26. La Corte, dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti e osservando che il Governo non ha esposto fatti o argomenti idonei a giustificare la durata del procedimento nel caso di specie, ritiene che, in questa causa, la durata del procedimento in questione sia stata eccessiva e non risponda all’esigenza del «termine ragionevole» come previsto dalla sua giurisprudenza ben consolidata (ibidem).

Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

27. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

28. I ricorrenti chiedono la somma di 19.500 euro (EUR) ciascuno per danno morale.

29. Il Governo non ha preso posizione a questo riguardo.

30. La Corte ritiene doversi accordare a ciascun ricorrente la somma di 11.200 EUR per danno morale.

A. Spese

31. I ricorrenti chiedono anche la somma di 16.326,55 EUR per le spese che avrebbero sostenuto per i procedimenti dinanzi ai giudici nazionali e dinanzi alla Corte.

32. Il Governo non ha preso posizione a questo riguardo.

33. Tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza la Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti, per tutte le spese, la somma di 1.000 EUR.

B. Interessi moratori

34. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare, entro tre mesi, le somme seguenti:
      1. 11.200 EUR (undicimiladuecento euro) a ciascuno dei ricorrenti, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, per danno morale;
      2. 1.000 EUR (mille euro) ai ricorrenti, più l’importo eventualmente dovuto dagli stessi a titolo di imposta su tale somma, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 5 dicembre 2019, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Pere Pastor Vilanova
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto