Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell'8 ottobre 2019 - Ricorso n. 5425/10 - Causa Loreto la Posta contro l' Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale degli affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 5425/10

Loreto LA POSTA

contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita l’8 ottobre 2019 in una camera composta da:
Ksenija Turković, presidente,
Aleš Pejchal,
Armen Harutyunyan,
Pere Pastor Vilanova,
Tim Eicke,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 18 dicembre 2009,

Viste le osservazioni presentate dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dal ricorrente,

Dopo aver deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

1. Il ricorrente, il sig. Loreto La Posta, è un cittadino italiano nato nel 1950 e residente a Sora. È stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avv. B. Forte, che esercita a Sora.
2. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, P. Accardo.

A. Le circostanze del caso di specie

3. I fatti di causa, come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

4. Il 6 luglio 1989 fu notificato al ricorrente un atto di pignoramento immobiliare su iniziativa del suo creditore, la Banca della Ciociaria S.p.A. Il pignoramento riguardava alcuni beni immobili di cui il ricorrente era comproprietario. Successivamente, il creditore presentò istanza di vendita. Il 28 settembre 1989 il giudice dell’esecuzione di Cassino nominò un perito per stabilire il valore dei beni pignorati.

5. L’udienza che era stata fissata per il 21 marzo 1990 fu rinviata a causa di uno sciopero degli avvocati. All’udienza del 31 marzo 1991 il giudice dell’esecuzione di Cassino dispose l’avvio di una procedura vendita degli immobili (RGE n. 75/1989). Successivamente si costituirono altri creditori al procedimento e, in data non precisata, il giudice dell’esecuzione ordinò la riunione di questo procedimento a un altro, relativo agli stessi comproprietari e a una parte degli stessi beni pignorati. In data non precisata, fu dichiarato il fallimento di uno dei comproprietari, e il curatore fallimentare nominato dal tribunale si costituì nel procedimento.

6. Il 3 ottobre 1997 il giudice dell’esecuzione ordinò la vendita all’asta degli immobili, che consistevano in un locale ad uso commerciale e un appartamento. Dopo varie aste andate deserte, il 22 marzo e il 29 settembre 2004 il giudice dell’esecuzione assegnò i due immobili. Il procedimento si concluse il 22 giugno 2005 con l’accettazione del piano di riparto.

7. Nel frattempo, l’11 ottobre 2004, il ricorrente adì la corte d’appello «Pinto» di Perugia lamentando l’eccessiva durata del procedimento di esecuzione. Il 21 ottobre 2005 la corte d’appello respinse il ricorso (RG n. 487/05) osservando che il procedimento aveva avuto una durata eccessiva e affermò che, sebbene in generale il superamento del termine ragionevole fosse di per sé la prova del danno morale, esistevano delle eccezioni quando la eccessiva durata del procedimento rispondeva a un interesse della parte o, in ogni caso, rappresentava un vantaggio per la stessa. La corte d’appello considerò che, nel caso di specie il ricorrente, comproprietario e custode giudiziario dei beni pignorati, aveva mantenuto il possesso degli stessi durante tutto il procedimento e ne aveva tratto beneficio.

8. Il 18 giugno 2009 la Corte di cassazione confermò la decisione della corte d’appello (sentenza n. 14166/09).

B. Il diritto e la prassi interni pertinenti

9. Gli articoli pertinenti del codice di procedura civile, nelle parti pertinenti al caso di specie, erano così formulati all’epoca dei fatti:

Articolo 495 – Conversione del pignoramento

«Prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli 530, 552 e 569 [del CPC], il debitore può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all'importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese.
(...)
Quando le cose pignorate siano costituite da beni immobili, il giudice può disporre, se ricorrono giustificati motivi, che il debitore versi la somma determinata con rateizzazioni mensili entro il termine massimo di diciotto mesi (...)»
Articolo 559 – Custodia dei beni pignorati
«Col pignoramento il debitore è costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori, compresi le pertinenze e i frutti, senza diritto a compenso (...)»

10. Secondo la giurisprudenza ben consolidata della Corte di Cassazione, una volta pignorato l’immobile, il proprietario-debitore non ha più il diritto di chiedere, nella sua qualità di proprietario, il versamento dei canoni di locazione, né di riceverli: solo il custode giudiziario è autorizzato a farlo. I canoni di locazione costituiscono, infatti, dei frutti dell’immobile pignorato, destinati a soddisfare i creditori (sentenze nn. 19323/05, 13216/16, 19264/16, 7748/18).

MOTIVI DI RICORSO

11. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, il ricorrente lamenta che il procedimento di esecuzione immobiliare ha avuto una durata eccessiva.

IN DIRITTO

12. La doglianza del ricorrente riguarda la durata eccessiva del procedimento che è iniziato il 6 luglio 1989 e si è concluso il 22 giugno 2005. L’interessato cita, a questo proposito, l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti al caso di specie, recita:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

13. Il Governo solleva, in via preliminare, un’eccezione di tardività del ricorso, e osserva che la decisione interna definitiva della Corte di Cassazione è stata emessa il 18 giugno 2009, e che il timbro di ricevimento del ricorso da parte della Corte reca la data del 10 gennaio 2010.

14. Il ricorrente afferma di avere inviato il proprio ricorso per posta il 18 dicembre 2009 e che la data in cui inizia a decorrere il termine di sei mesi previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione è quella dell’invio del ricorso.

15. La Corte rammenta che il termine di sei mesi decorre dalla data della decisione interna definitiva (dies a quo), ossia la data in cui il ricorrente ha effettivamente preso conoscenza della decisione in questione (si veda, tra molte altre, Sabri Güneş c. Turchia [GC], n. 27396/06, § 60, 29 giugno 2012). Essa rammenta inoltre che la data da prendere in considerazione per il calcolo del periodo di sei mesi (dies ad quem) è quella della presentazione del ricorso o dell’invio di quest’ultimo alla Corte, e che il timbro che fa fede, conformemente all’articolo 47 § 6 a) del suo regolamento, non è il timbro di ricevuta apposto dalla Corte sul ricorso, ma quello della posta (Vasiliauskas c. Lituania [GC], n. 35343/05, § 117, CEDU 2015).

16. Nel caso di specie, la Corte osserva che la decisione interna definitiva è la sentenza della Corte di Cassazione pubblicata il 18 giugno 2009, e rileva che la busta contenente il ricorso è stata spedita il 18 dicembre 2009, data del timbro della posta italiana. Di conseguenza, la Corte ritiene che il ricorso sia stato presentato entro il termine di sei mesi dalla data della decisione interna definitiva.

17. Pertanto, la Corte respinge l’eccezione sollevata dal Governo.

18. La Corte considera quindi necessario esaminare d’ufficio se si debba applicare, in questo caso, il criterio di ricevibilità previsto dall’articolo 35 § 3 b) della Convenzione (si vedano, per l’esame d’ufficio del criterio sopra menzionato, Magomedov e altri c. Russia, nn. 33636/09 e altri 9, § 49, 28 marzo 2017, e Ionescu c. Romania, (dec.), n. 36659/04, 1° giugno 2010), così formulato nelle sue parti pertinenti al caso di specie:

«(...) 3. La Corte dichiara irricevibile ogni ricorso individuale presentato ai sensi dell’articolo 34 se ritiene che:

(...)

b) il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio importante, salvo che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno (...)».

19. La Corte rammenta che il Protocollo n. 14 è entrato in vigore il 1° giugno 2010. Ai sensi dell’articolo 20 § 2 di tale Protocollo, il criterio dell’assenza di un pregiudizio grave «non si applica ai ricorsi dichiarati ricevibili prima dell’entrata in vigore del Protocollo». Tuttavia, si deve notare che la Corte non si è ancora pronunciata sulla ricevibilità del presente ricorso, il che le consente di esaminare se sia opportuno applicare il suddetto criterio di ricevibilità nel caso di specie (si vedano, Giusti c. Italia, n. 13175/03, § 22, 18 ottobre 2011, e anche, mutatis mutandis e a contrario, Vistins e Perepjolkins c. Lettonia (Merito) [GC], n. 71243/01, § 66, 25 ottobre 2012). Essa rammenta poi che il criterio dell’assenza di un pregiudizio grave è stato concepito per consentirle di esaminare rapidamente i ricorsi di carattere futile e di concentrarsi sul suo compito essenziale, che è quello di garantire a livello europeo la tutela giuridica dei diritti garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli (Stefanescu c. Romania (dec.), n. 11774/04, 12 aprile 2011, § 35).

20. Derivata dal principio de minimis non curat praetor, la nuova condizione di ricevibilità rinvia all’idea che la violazione di un diritto, quale che sia la sua realtà da un punto di vista strettamente giuridico, deve raggiungere una soglia minima di gravità per giustificare il suo esame da parte di una giurisdizione internazionale (Korolev c. Russia (dec.), n. 25551/05, 1° luglio 2010). La valutazione di tale soglia è, per definizione, relativa e dipende dalle circostanze del caso di specie (si vedano Korolev, sopra citata, e, mutatis mutandis, Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 100, serie A n. 161). Tale valutazione deve tenere conto sia della percezione soggettiva del ricorrente che della posta in gioco oggettiva della controversia.

21. La Corte rammenta che, al fine di verificare se la violazione di un diritto raggiunga la soglia minima di gravità prevista dall’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, si deve tenere conto, inter alia, dei seguenti elementi: la natura del diritto che si presume violato, la gravità dell’incidenza della violazione dedotta nell'esercizio di un diritto e/o le eventuali conseguenze della violazione sulla situazione personale del ricorrente (Giusti c. Italia, n. 13175/03, § 34, 18 ottobre 2011).

22. Nel caso di specie, il ricorrente sostiene nelle sue osservazioni che il diritto al risarcimento per il superamento del termine ragionevole, riconosciuto dalla «legge Pinto», esiste anche per la parte debitrice nel procedimento di esecuzione forzata. Il Governo non contesta il principio secondo il quale ciascuna parte, indipendentemente dalla sua posizione processuale, ha il diritto di ottenere un indennizzo per l’eccessiva durata di un procedimento di esecuzione forzata, ma indica che, nella presente causa, i tribunali interni hanno ritenuto che il vantaggio derivante dalla lunghezza eccessiva del procedimento compensasse il danno morale che ne derivava.

23. Ora, se è vero che la durata complessiva del procedimento in questione è stata eccessiva, la Corte osserva che quasi la metà della stessa è dovuta alla difficoltà di concludere la vendita all’asta degli immobili pignorati, il che non può essere direttamente imputato alle autorità. Per la parte restante, la Corte constata che il procedimento si è rivelato complesso a causa dell’intervento di numerosi creditori, del fatto che i beni pignorati erano tutti in comproprietà, che il procedimento relativo al ricorrente è stato riunito a un altro procedimento di esecuzione e, infine, che uno dei comproprietari è stato dichiarato fallito nel corso di quest’ultimo (paragrafo 5 supra).

24. La Corte continua osservando che, secondo le disposizioni interne applicabili, durante il procedimento di esecuzione il debitore è stato nominato custode giudiziario degli immobili pignorati. Inoltre, queste stesse disposizioni prevedono la possibilità, sempre per il debitore, di richiedere la conversione del pignoramento nel pagamento di una somma equivalente all’importo del credito, agli interessi e alle spese del procedimento, e di evitare in tal modo che il procedimento si dilunghi. Inoltre, nell’ottica di favorire questo approccio, il legislatore ha previsto che il debitore possa chiedere al giudice la rateizzazione mensile del pagamento della somma da rimborsare (paragrafo 9 supra).

25. La Corte osserva infine che, durante il procedimento di esecuzione, gli immobili continuano a produrre frutti, come i canoni di locazione, che possono essere utilizzati per pagare i crediti che hanno dato origine all’azione giudiziaria (paragrafo 10 supra) e gli interessi che maturano.

26. Nel caso di specie, si deve rilevare che, trattandosi di un procedimento di esecuzione immobiliare, nel quale sono già definiti gli obblighi tra le parti, la sola incertezza, per i creditori era costituita dalla realizzazione totale o parziale di ciò che essi cercavano di ottenere con la vendita dei beni del ricorrente in esecuzione del titolo esecutivo (si veda, a contrario, Binder c. Austria, (dec.), n. 50627/09, § 23, 2 febbraio 2016).

27. La Corte aggiunge che, come sopra indicato, per evitare l’eccessiva durata del procedimento il ricorrente aveva la possibilità di chiedere la conversione del pignoramento e la rateizzazione del pagamento della somma da versare (paragrafo 9 supra).

28. La Corte considera che la lungaggine del procedimento, dovuta al comportamento del ricorrente che non ha onorato spontaneamente il suo debito, ha permesso a quest’ultimo di mantenere il possesso del suo bene e di posticipare il pagamento ai suoi creditori, il che ha almeno compensato o ridotto notevolmente il pregiudizio normalmente derivante dalla eccessiva durata del procedimento (si vedano, mutatis mutandis, Gagliano Giorgi c. Italia, n. 23563/07, §§ 57-58, CEDU (estratti), e Galović c. Croazia, (dec.), n. 54388/09, §§ 71-74, 5 marzo 2013).

29. Di conseguenza, la Corte ritiene che il ricorrente non abbia subito un «pregiudizio importante» per quanto riguarda il suo diritto a un processo entro un termine ragionevole.

30. La Corte ritiene che nessun imperativo, inerente all’ordine pubblico europeo a cui partecipano la Convenzione e i suoi Protocolli, giustifichi il proseguimento dell’esame della doglianza del ricorrente.

31. In effetti, tale motivo di ricorso solleva la questione del diritto a un termine ragionevole in materia civile nel contesto del rimedio introdotto dalla «legge Pinto», che è stato oggetto di una ricca giurisprudenza della Corte (si vedano, tra le altre, Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, CEDU 2006 V, e Simaldone c. Italia, n. 22644/03, 31 marzo 2009).

32. In queste circostanze, la Corte ritiene che il rispetto dei diritti umani non esiga il proseguimento dell’esame di tale doglianza.

33. Infine, per quanto riguarda la terza condizione posta dal criterio di ricevibilità previsto dall’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, che esige che la causa sia stata «debitamente esaminata» da un tribunale interno, la Corte rammenta che essa mira a garantire che tutte le cause saranno oggetto di un esame giurisdizionale sia sul piano nazionale che sul piano europeo (Gagliano Giorgi, sopra citata, § 63).

34. Nella fattispecie, la Corte constata che la questione relativa alla eccessiva durata del procedimento in questione è stata esaminata dal giudice di appello e dal giudice di cassazione competenti ai sensi della «legge Pinto», dato che il ricorrente ha presentato dinanzi a quest’ultimo giudice i motivi di ricorso relativi al rifiuto della corte d’appello di concedergli un risarcimento pecuniario.

35. In queste circostanze, la Corte ritiene che la causa sia stata debitamente esaminata da un tribunale interno, e che nessuna questione seria relativa all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione o al diritto nazionale sia stata lasciata senza risposta.

36. Considerato quanto sopra esposto e tenuto conto delle condizioni previste dall’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, la Corte dichiara che la violazione dedotta della Convenzione non ha causato alcun pregiudizio importante alla parte ricorrente, che il rispetto dei diritti umani garantito dalla Convenzione o dai suoi Protocolli non esige alcun esame sul merito, e che i tribunali interni hanno debitamente esaminato la causa, ai sensi dell’articolo 35 § 3 b).

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 31 ottobre 2019.

Ksenija Turković
Presidente

Abel Campos
Cancelliere