Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 5 settembre 2019 - Ricorso n. 20983/12 - Causa Rizzotto contro Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA RIZZOTTO c. ITALIA (N. 2)

(Ricorso n. 20983/12)

SENTENZA

STRASBURGO

5 settembre 2019

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Rizzotto c. Italia (N. 2),
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Ksenija Turković, presidente,
Aleš Pejchal,
Armen Harutyunyan,
Pere Pastor Vilanova,
Tim Eicke,
Gilberto Felici,
Raffaele Sabato, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 2 luglio 2019,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 20983/12) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. Salvatore Stefano Rizzotto («il ricorrente»), che ha adito la Corte il 4 aprile 2012 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è stato rappresentato dall'avvocato E.P. Reale, del foro di Siracusa. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente M.G. Civinini.

3. In particolare, il ricorrente lamenta la mancanza di un controllo effettivo sulla legittimità della sua privazione della libertà e il mancato rispetto delle garanzie procedurali inerenti all'articolo 5 § 4 della Convenzione.

4. Il 23 maggio 2017 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1972 e risiede a Floridia.

6. Con ordinanza del 16 settembre 2010, il giudice per le indagini preliminari di Palermo decise di sottoporlo a custodia cautelare in carcere dal momento che era coinvolto in un procedimento penale per traffico di stupefacenti.

7. Poiché il ricorrente era irreperibile, le autorità lo dichiararono latitante e gli nominarono un avvocato d'ufficio. In data 13 ottobre 2010, quest'ultimo presentò al tribunale del riesame di Palermo la richiesta di riesame dell'ordinanza che disponeva la custodia cautelare in carcere sulla base dell'articolo 309 del codice di procedura penale (CPP) (paragrafo 20 infra).

8. Il 22 ottobre 2010, il tribunale del riesame respinse il ricorso in quanto gli indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, nonché la sua condotta e la sua personalità, giustificavano la misura detentiva.

9. Il 6 dicembre 2010 il ricorrente fu arrestato a Malta. Egli nominò un avvocato di fiducia il quale, in data 14 dicembre 2010, presentò al tribunale del riesame di Palermo richiesta di riesame dell'ordinanza che disponeva la custodia cautelare in carcere.

10. Il 20 dicembre 2010 il ricorrente fu estradato in Italia e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli a Roma.

11. Il 21 dicembre 2010 il difensore del ricorrente ricevette una copia dell'ordinanza del 16 settembre 2010 nonché l'avviso della data dell'interrogatorio di garanzia del ricorrente, fissata per il 23 dicembre 2010.

12. In tale data, il ricorrente fu interrogato dal giudice per le indagini preliminari di Roma, competente in base al luogo in cui era detenuto, alla presenza del sostituto del suo difensore di fiducia.

13. In data 3 gennaio 2011 si svolse l'udienza dinanzi al tribunale del riesame di Palermo. Il ricorrente, ancora detenuto a Roma, non vi assistette e fu rappresentato dal suo difensore di fiducia. Con provvedimento dello stesso giorno, il tribunale del riesame dichiarò inammissibile la richiesta di riesame in quanto l'interessato aveva già esercitato il suo diritto di ricorso nell'ambito dell'impugnazione presentata dal suo difensore d'ufficio all'epoca in cui si era reso irreperibile.

14. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione, nel quale lamentava, tra l'altro, una violazione dell'articolo 5 § 4 della Convenzione. Egli affermava di essere venuto a conoscenza del procedimento avviato a suo carico solo il giorno del suo arresto all'estero, dove risiedeva, e di aver appreso che era stato rappresentato da un difensore d'ufficio solo in occasione della pubblicazione del provvedimento di inammissibilità del ricorso da lui presentato contro l'ordinanza di applicazione della misura detentiva. Sosteneva che il tribunale del riesame avrebbe dovuto tenere conto di queste circostanze prima di decidere di dichiarare il suo ricorso inammissibile.

15. L'11 ottobre 2011 la Corte di cassazione respinse il suo ricorso. Facendo riferimento alla propria giurisprudenza in materia, essa richiamò il principio dell'unicità del diritto all'impugnazione, secondo il quale un ricorso presentato nell'interesse dell'imputato latitante dal difensore di fiducia o dall'avvocato d'ufficio, impedisce all'interessato di presentare personalmente un nuovo ricorso o di chiedere la riapertura del termine di ricorso. Secondo la Corte di cassazione, tale principio, sancito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 6026 del 2008, relativa alle sentenze di condanna in contumacia, era ancora più applicabile ai procedimenti in materia di misure cautelari, la cui revoca poteva essere richiesta dall'imputato in qualsiasi momento e senza limitazioni. Di conseguenza, a suo avviso, l'impossibilità per l'imputato irreperibile di reiterare una richiesta di riesame o di ottenere la restituzione nel termine non costituiva un ostacolo ai diritti della difesa.

16. Nel frattempo, in data 1° febbraio 2011, il ricorrente aveva presentato al giudice per le indagini preliminari di Palermo una domanda di revoca della misura detentiva e, in subordine, di sostituzione di quest'ultima con una misura meno restrittiva, ai sensi dell'art. 299 del CPP. Nella sua memoria, precisava di essere stato privato della possibilità di far valere le sue argomentazioni nel ricorso che aveva presentato in base all'articolo 309 del CPP e che la sua richiesta era quindi volta, in particolare, a ottenere il riesame della gravità degli indizi di colpevolezza che avevano giustificato la misura applicata nei suoi confronti.

17. Con provvedimento del 9 febbraio 2011, il giudice per le indagini preliminari respinse l'istanza di revoca. A tal fine, rilevò che gli argomenti del ricorrente riguardavano essenzialmente le circostanze che avevamo giustificato l'adozione della misura cautelare, che erano già state ampiamente esaminate dal tribunale del riesame il 22 ottobre 2010, e non riportavano fatti nuovi. Il giudice ritenne peraltro che la gravità del comportamento del ricorrente, tenendo conto soprattutto della quantità di stupefacente che aveva ceduto, giustificasse la misura detentiva applicata nei suoi confronti.

18. Il ricorrente non presentò ricorso contro tale decisione.

19. Con sentenza del 14 settembre 2011, il tribunale di Palermo lo condannò a due anni e otto mesi di reclusione e 12.000 euro (EUR) di multa. Il 20 luglio 2012, l'interessato è stato rimesso in libertà dopo aver finito di scontare la sua pena.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A. Le vie di ricorso avverso una misura cautelare

20. Ai sensi dell'articolo 309 del CPP, il provvedimento che dispone la custodia cautelare in carcere può essere oggetto di una richiesta di riesame dinanzi alla competente sezione del tribunale incaricata di riesaminare le misure cautelari. La domanda deve essere presentata entro dieci giorni dall'esecuzione o dalla notificazione del provvedimento. Per l'imputato latitante, il termine decorre dalla data di notificazione del provvedimento al suo difensore o, se egli prova di non aver avuto conoscenza del provvedimento, dall'esecuzione della misura (comma 2). Ai sensi dell'articolo 127 del CPP, l'udienza dinanzi al tribunale del riesame si svolge in camera di consiglio. La disposizione in questione prevede che se l'interessato è detenuto in un luogo posto fuori della circoscrizione del giudice del tribunale del riesame, egli deve, se ne fa richiesta, essere sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione.
L’interessato può proporre ricorso per cassazione contro una decisione sfavorevole del tribunale del riesame (articolo 311 del CPP).

21. In seguito, egli può in qualsiasi momento presentare richiesta di revoca della misura cautelare ai sensi dell'articolo 299 del CPP. La richiesta di revoca è presentata al giudice che in quel momento ha in carico il procedimento, il quale decide entro dieci giorni dal deposito della richiesta, dopo aver sentito il pubblico ministero. Secondo il comma 3ter dell’articolo 299, il giudice può decidere di interrogare l'imputato. Se la richiesta di revoca è basata su fatti nuovi, il giudice deve interrogare l'imputato che ne ha fatto richiesta.

22. L’interessato può in seguito proporre appello contro una decisione negativa del giudice, in base all'articolo 310 CPP. Egli può proporre ricorso per cassazione contro le decisioni emesse in appello dal tribunale.

23. La legge italiana non prevede alcun controllo automatico e/o periodico delle condizioni che giustificano il mantenimento della custodia cautelare; se lo desidera, la persona privata della libertà può chiedere il riesame delle suddette condizioni e la revoca della misura.

B. Il ricorso per la restituzione nel termine

24. L’articolo 175, comma 1, del CPP recita:

«Il pubblico ministero, le parti private e i difensori sono restituiti nel termine stabilito a pena di decadenza, se provano di non averlo potuto osservare per caso fortuito o per forza maggiore. La richiesta per la restituzione nel termine è presentata, a pena di decadenza, entro dieci giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore.»

25. L’articolo 175, comma 2, del CPP che prevede la possibilità di presentare una domanda di restituzione nel termine nel caso in cui un procedimento penale si sia svolto in contumacia, recita:

«Se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l'imputato è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione. A tale fine l'autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica.»

C. La sentenza n. 6026 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione

26. Nella sentenza n. 6026 del 13 gennaio 2008 (sentenza Huzuneanu), le Sezioni Unite della Corte di cassazione precisarono che un condannato in contumacia perdeva il suo diritto alla restituzione nel termine per proporre impugnazione se il difensore di fiducia o l’avvocato nominato d’ufficio avevano, in maniera autonoma, se non addirittura a sua insaputa, impugnato la decisione contestata e se il giudice nazionale competente aveva già deciso in merito al loro ricorso. Le Sezioni Unite invocarono i principi dell’unicità del diritto di impugnare una sentenza e del ne bis in idem, sottolineando anche che la possibilità di un doppio appello (uno interposto dal difensore e l’altro dall’imputato) era in contrasto con l’esigenza del rispetto del «termine ragionevole» quando l’imputato contumace, che non era stato informato del processo, era stato rappresentato da un avvocato; per le Sezioni Unite, se quest’ultimo aveva esperito i ricorsi esistenti per impugnare la decisione di condanna, non era più possibile per il condannato avvalersene dopo essere venuto a conoscenza della sua condanna.

D. La sentenza n. 317 del 2009 della Corte costituzionale italiana

27. Con la sentenza n. 317 del 4 dicembre 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 175, comma 2, del CPP nella parte in cui precludeva la restituzione del contumace, che non aveva avuto cognizione del processo, nel termine per proporre impugnazione contro la decisione di condanna, quando la stessa impugnazione fosse già stata proposta dal difensore. Nella motivazione della sua decisione indicò, in particolare, che le garanzie offerte all'imputato contumace non potevano essere «consumate» dall'atto di un soggetto che avrebbe agito di propria iniziativa e senza aver ricevuto un mandato da parte dell'interessato.

E. La legge n. 67 del 28 aprile 2014

28. La legge n. 67 del 28 aprile 2014 contiene delle disposizioni sui procedimenti nei confronti degli imputati irreperibili. L'articolo 9 di questa legge ha modificato l'articolo 420bis del CPP permettendo al giudice di procedere in assenza dell'imputato soltanto se risulti con certezza che lo stesso era a conoscenza del procedimento o se aveva «espressamente rinunciato ad assistervi».

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 5 § 4 DELLA CONVENZIONE

29. Il ricorrente lamenta di non avere beneficiato di un controllo giurisdizionale effettivo sulla legittimità della custodia cautelare e afferma che la procedura presentava varie lacune. Egli invoca gli articoli 5 § 3, 5 § 4, 6 §§ 1 e 3 b) e c) e 13 della Convenzione.

30. La Corte considera che le doglianze del ricorrente rientrino nel campo di applicazione del paragrafo 4 dell’articolo 5, che garantisce a qualsiasi persona arrestata il diritto di presentare un ricorso dinanzi a un tribunale, affinché quest’ultimo decida sulla legittimità della sua detenzione. Secondo la sua giurisprudenza, infatti, una procedura relativa alla legittimità di una custodia cautelare non riguarda la «fondatezza» di una «accusa in materia penale», e l’articolo 5 § 4 costituisce una lex specialis in materia di detenzione rispetto alle esigenze più generali dell’articolo 13 della Convenzione e del profilo civile dell’articolo 6 (Fodale c. Italia, n. 70148/01, §§ 27 e 28, CEDU 2006 VII).

31. La Corte ritiene dunque doversi esaminare il presente ricorso esclusivamente dal punto di vista dell’articolo 5 § 4, che recita:

«Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.»

A. Sulla ricevibilità

32. Il Governo osserva anzitutto che il ricorrente non ha interposto appello avverso la decisione del 9 febbraio 2011, con la quale il giudice per le indagini preliminari di Palermo aveva respinto la sua richiesta di revoca della misura cautelare presentata sulla base dell’articolo 299 del CPP. Per questo motivo, il ricorrente non avrebbe esaurito i ricorsi effettivi che avrebbe avuto a disposizione per ottenere un controllo della regolarità della sua detenzione e la sua liberazione. A questo proposito, il Governo afferma che il giudice competente per ordinare la revoca della misura cautelare può, in qualsiasi momento, considerare che il mantenimento in custodia cautelare non sia giustificato e ordinare la liberazione dell’interessato, anche se la misura applicata non è stata previamente impugnata.

33. Il Governo aggiunge che il ricorrente aveva la possibilità di presentare una domanda di restituzione nel termine ai sensi dell’articolo 175, comma 1, del CPP, che sarebbe la disposizione interna di diritto comune in materia di restituzione nei termini, e afferma che tale disposizione offriva al ricorrente la facoltà di provare che non si sarebbe volontariamente sottratto alla giustizia, e dunque di ottenere la restituzione nel termine per proporre un nuovo appello avverso il provvedimento di custodia cautelare.

34. Il ricorrente contesta le argomentazioni del Governo e indica che il diritto nazionale offre una sola via di ricorso che permette di far esaminare la legittimità di una custodia cautelare, ossia la richiesta di riesame del provvedimento da parte del tribunale, ai sensi dell’articolo 309 del CPP. I giudici competenti farebbero, tuttavia, del principio della «unicità del diritto all’impugnazione» un’applicazione restrittiva che gli avrebbe impedito di avere una vera occasione per esperire tale via di ricorso.

35. Quanto al ricorso previsto dall’articolo 299 del CPP, esso non soddisferebbe le caratteristiche richieste dall’articolo 5 § 4 della Convenzione e non potrebbe essere preso in considerazione ai fini della condizione dell’esaurimento delle vie di ricorso. Potrebbe essere introdotto soltanto per far valere fatti nuovi idonei a giustificare la revoca di una misura privativa della libertà, e permetterebbe dunque di fare «riesaminare la regolarità della detenzione a intervalli ragionevoli», ma non di ottenere un controllo ab origine sulla legittimità della detenzione. Inoltre, la revoca non sarebbe decisa da un collegio di giudici ma da un giudice unico, che per di più sarebbe il giudice che ha disposto la misura litigiosa, ossia il giudice per le indagini preliminari.

36. Infine, il ricorrente aggiunge che l’articolo 175, comma 1, del CPP permette la restituzione nel termine qualora un caso fortuito o un caso di forza maggiore abbia impedito il rispetto. Egli indica che il suo ricorso avverso l’ordinanza di applicazione della misura cautelare è stato proposto entro il termine fissato dall’articolo 309, comma 2, del CPP e afferma che tale disposizione non è dunque pertinente nel suo caso.

37. La Corte considera che gli argomenti del Governo sollevino in sostanza delle eccezioni di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, e ritiene peraltro che, nelle circostanze della causa, le eccezioni siano strettamente legate alla sostanza delle doglianze del ricorrente relative all’articolo 5 § 4 della Convenzione e che debbano essere unite al merito. Constatando che il ricorso non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Gli argomenti delle parti

38. Il ricorrente afferma che l’interpretazione dell’articolo 309 del CPP da parte dei giudici nazionali gli ha impedito di beneficiare di un controllo effettivo sulla legittimità della sua detenzione. Il rimedio previsto dal sistema italiano, che in maniera generale rispetterebbe le condizioni richieste dall’articolo 5 § 4 della Convenzione, sarebbe stato lacunoso nel suo caso, come in tutti i casi in cui un avvocato nominato d’ufficio abbia già presentato una richiesta di riesame all’insaputa di un imputato irreperibile.

39. Il ricorrente riferisce di non avere mai avuto contatti con l’avvocato che gli è stato nominato d’ufficio, di cui avrebbe persino ignorato l’esistenza fino al momento in cui è stato respinto il suo stesso ricorso, e ritiene di non avere potuto far valere le proprie argomentazioni nei confronti della decisione privativa della libertà.

40. Egli afferma che le giurisdizioni competenti avrebbero dovuto esaminare il suo ricorso sul merito dopo avere preso in considerazione la sua situazione specifica. A questo proposito, fa riferimento alla sentenza n. 317 del 2009, con la quale la Corte costituzionale italiana avrebbe dichiarato incostituzionale l’impossibilità, per una persona condannata in contumacia, di proporre impugnazione contro la sua condanna nei casi in cui il difensore nominato d’ufficio si sia già avvalso di tale diritto a sua insaputa. Il ricorrente ritiene che nel suo caso i giudici nazionali avrebbero dovuto ispirarsi ai principi stabiliti dalla Corte costituzionale.

41. Egli aggiunge che la procedura relativa al controllo sulla legittimità della sua detenzione non si è svolta in contraddittorio e non ha rispettato il principio della parità delle armi. Considera peraltro che, per il fatto di essere stato detenuto in un carcere di Roma, città posta a 1.200 km da Palermo, è stato interrogato da un giudice non competente, ossia il giudice per le indagini preliminari di Roma. Infine, sostiene di non avere disposto del tempo e delle agevolazioni necessarie per preparare la sua difesa e di non avere avuto la possibilità di assistere all’udienza tenutasi dinanzi al tribunale del riesame di Palermo.

42. Il Governo afferma che il diritto italiano offre un ricorso idoneo a permettere un controllo effettivo sulla legittimità di una custodia cautelare, ossia la richiesta di riesame prevista dall’articolo 309 del CPP, che risponderebbe a tutti i criteri fissati dalla giurisprudenza della Corte. Il ricorrente sarebbe stato rappresentato da un avvocato nominato d’ufficio, che avrebbe agito nell’interesse della persona interessata, e avrebbe beneficiato di detto controllo entro un termine ragionevole e nel pieno rispetto del diritto a un processo equo. Il tribunale del riesame di Palermo avrebbe emesso un provvedimento ampiamente motivato esponendo le ragioni che hanno giustificato la privazione della libertà.

43. Successivamente, i giudici non avrebbero fatto altro che applicare il principio dell’unicità del diritto all’impugnazione, regola generale del processo in virtù della quale il diritto di proporre impugnazione si esaurirebbe dal momento che è già stato esercitato da uno dei suoi titolari.

44. Il Governo riferisce che il difensore di fiducia del ricorrente avrebbe potuto evitare che il suo ricorso fosse respinto se avesse preso visione di tutti gli atti del processo e verificato se una domanda simile era già stata presentata dall’avvocato nominato d’ufficio.

45. La sentenza n. 317, emessa dalla Corte costituzionale nel 2009, avrebbe in effetti rimesso in discussione l’applicazione di detto principio nelle cause di condanna in contumacia, e avrebbe così aperto ai condannati che non si erano volontariamente sottratti alla giustizia la possibilità di proporre impugnazione avverso la sentenza di condanna anche nel caso in cui un avvocato d’ufficio avesse già presentato un tale ricorso.

Il Governo aggiunge che la giurisprudenza nazionale potrebbe anch’essa evolversi in tal senso per i procedimenti relativi alle misure privative della libertà,.

2. I principi generali stabiliti dalla giurisprudenza della Corte

46. La Corte rammenta i principi stabiliti dalla sua giurisprudenza costante in materia di interpretazione dell’articolo 5 § 4 della Convenzione.

  1. In virtù di tale disposizione, le persone arrestate o detenute hanno diritto a una verifica del rispetto delle esigenze procedurali e di merito necessarie alla «regolarità» e alla «legittimità», ai sensi dell’articolo 5 § 1, della loro privazione della libertà (si vedano, tra molte altre, Brogan e altri c. Regno Unito, 29 novembre 1988, § 65, serie A n. 145 B). Tale analisi deve potersi concludere, a breve termine, con una decisione che pone fine alla detenzione se la stessa si rivela illegittima (Baranowski, sopra citata, § 68).
  2. Così come tutte le altre disposizioni della Convenzione e dei suoi Protocolli, l’articolo 5 § 4 deve essere interpretato in modo tale che i diritti in esso sanciti non siano teorici e illusori, ma concreti ed effettivi (si vedano, tra altre, Artico c. Italia, 13 maggio 1980, § 33, serie A n. 37, e Schöps c. Germania, n. 25116/94, § 47, CEDU 2001-I).
  3. Una via di ricorso, ai sensi dell’articolo 5 § 4 della Convenzione, deve esistere sempre con un grado sufficiente di certezza, poiché in caso contrario verrebbero meno l’accessibilità e l’effettività richieste da tale disposizione (E. c. Norvegia, 29 agosto 1990, § 60, serie A n. 181-A, e Sakık e altri c. Turchia, 26 novembre 1997, § 53, Recueil des arrêts et décisions 1997‑VII).
  4. L’articolo 5 § 4 non obbliga gli Stati contraenti a istituire un doppio grado di giudizio per l’esame delle domande di scarcerazione. Tuttavia, uno Stato che preveda un tale sistema deve, in linea di principio, accordare ai detenuti le stesse garanzie in appello e in primo grado (Toth c. Austria, 12 dicembre 1991, § 84, serie A n. 224, nonché Rutten c. Paesi Bassi, n. 32605/96, § 53, 24 luglio 2001, e Lanz c. Austria, n. 24430/94, § 42, 31 gennaio 2002).
  5. La procedura ai sensi dell’articolo 5 § 4 non deve sempre prevedere garanzie identiche a quelle che l’articolo 6 § 1 prescrive per le controversie civili o penali, in quanto le due disposizioni perseguono scopi diversi (Reinprecht c. Austria, n. 67175/01, § 39, CEDU 2005‑XII). Tuttavia, essa deve sempre essere di natura giudiziaria e offrire all’individuo delle garanzie adeguate alla natura della privazione della libertà da lui lamentata (si veda, tra altre, D.N. c. Svizzera [GC], n. 27154/95, § 41, CEDU 2001-III). Per determinare se una procedura offra tali garanzie, si deve avere riguardo alle particolari circostanze nelle quali essa si svolge (si veda, ad esempio, Megyeri c. Germania, 12 maggio 1992, § 22, serie A n. 237-A). In ogni caso, tale procedura deve rispettare, per quanto possibile, le esigenze fondamentali di un processo (Lietzow c. Germania, n. 24479/94, § 44, CEDU 2001-I, e Schöps, sopra citata, § 44).
  6. La prima garanzia fondamentale che deriva naturalmente dall’articolo 5 § 4 della Convenzione è il diritto di essere effettivamente sentito dal giudice cui è stato presentato un ricorso avverso una detenzione (Svipsta c. Lettonia, n. 66820/01, § 128, CEDU 2006 III (estratti), e Knebl c. Repubblica ceca, n. 20157/05, § 81, 28 ottobre 2010). Per le persone detenute nelle condizioni previste dall’articolo 5 § 1 c) della Convenzione, l’articolo 5 § 4 esige che sia tenuta un’udienza (Kampanis c. Grecia, 13 luglio 1995, § 47, serie A n. 318-B, e Włoch c. Polonia, n. 27785/95, § 126, CEDU 2000 XI). L’udienza deve svolgersi in contraddittorio, il che presuppone normalmente che l’interessato sia rappresentato da un difensore e abbia la possibilità, se del caso, di citare e interrogare dei testimoni (Hussain c. Regno Unito e Singh c. Regno Unito, sentenze del 21 febbraio 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996-I, § 60 e § 68 rispettivamente).

3. Applicazione dei suddetti principi nel caso di specie

47. La Corte osserva che la questione che si pone è stabilire se l’ordinamento giuridico interno offrisse al ricorrente garanzie procedurali tali da assicurare che l’articolo 5 § 4 fosse rispettato.

a) Sul ricorso previsto dall’articolo 309 del CPP

48. La Corte osserva con le parti che il diritto italiano offre alle persone sottoposte alla giustizia la possibilità di contestare la motivazione di una decisione che dispone una misura privativa della libertà per mezzo di una richiesta di riesame da presentare sulla base dell’articolo 309 del CPP.

49. Esaminando la doglianza del ricorrente, che consiste nell’affermare che, nel suo caso, la procedura non ha rispettato le garanzie fondamentali del processo equo, la Corte constata che il ricorso presentato dal difensore di fiducia dell’interessato avverso l’ordinanza di custodia cautelare è stato dichiarato inammissibile dal tribunale del riesame di Palermo, in quanto una richiesta simile era già stata presentata da un avvocato nominato d’ufficio all’epoca in cui il ricorrente era latitante. La Corte di cassazione confermò in seguito tale analisi, invocando il principio dell’«unicità del diritto all’impugnazione», come interpretato dalle sue Sezioni Unite, che ostacolava la reiterazione dello stesso ricorso da parte di una qualsiasi delle varie persone titolari del diritto di esercitarlo.

50. Ora, non viene messo in discussione il fatto che l’avvocato che fu nominato d’ufficio dalle autorità per rappresentare il ricorrente nel procedimento decise di impugnare l’ordinanza di custodia cautelare all’insaputa del suo cliente, che in quel momento era latitante. Pertanto, è fuori discussione che il ricorrente non ebbe l’occasione di comunicare con tale avvocato e di esporre le proprie argomentazioni a sostegno della domanda di scarcerazione. Peraltro, si deve constatare che egli non è mai stato sentito dal tribunale del riesame di Palermo che ha deliberato sulla legittimità della sua detenzione.

51. Alla luce di queste circostanze, non si può dunque affermare che il ricorrente abbia potuto sostenere personalmente in un qualsiasi momento la domanda volta a ottenere la sua scarcerazione, che era stata presentata dinanzi al tribunale del riesame, giurisdizione competente per esaminare il provvedimento con cui era stata disposta la custodia cautelare. La Corte rammenta che la prima garanzia fondamentale che deriva naturalmente dall’articolo 5 § 4 della Convenzione è il diritto di essere effettivamente sentiti dal giudice investito di un ricorso avverso una detenzione (Svipsta, sopra citata, § 128 e Knebl, sopra citata, § 81).

52. La Corte ribadisce inoltre che la Convenzione ha lo scopo di «tutelare dei diritti non teorici o illusori, ma concreti e effettivi», e che la nomina di un avvocato non garantisce di per sé l’efficacia dell’assistenza che questi può fornire all’imputato (Imbrioscia c. Svizzera, 24 novembre 1993, § 38, serie A n. 275, e Artico c. Italia, 13 maggio 1980, § 33, serie A n. 37 e Sakhnovski c. Russia [GC], n. 21272/03, § 95, 2 novembre 2010). Bisogna inoltre che l’interessato, al quale il sistema italiano accorda la garanzia – supplementare a quelle previste dalla Convenzione – di essere rappresentato da un difensore nominato d’ufficio ancora prima dell’esecuzione della misura cautelare, abbia potuto effettivamente comunicare, in maniera libera e riservata, con il suo avvocato allo scopo di discutere della causa e organizzare la difesa.

53. Inoltre, la Corte rammenta che la rinuncia a difendersi non può essere dedotta dalla semplice qualità di «latitante», fondata su una presunzione priva di base fattuale sufficiente (Colozza c. Italia, 12 febbraio 1985, § 28, serie A n. 89 ; Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 87, CEDU 2006 II). Inoltre, prima che si possa considerare che un imputato abbia implicitamente rinunciato, con il proprio comportamento, a un diritto importante dal punto di vista dell’articolo 6 della Convenzione, è necessario stabilire che egli avrebbe potuto ragionevolmente prevedere le conseguenze del comportamento in questione. Inoltre, è necessario che non sia l’imputato a dover dimostrare che non intendeva sottrarsi alla giustizia, o che la sua assenza era dovuta a un caso di forza maggiore (Sejdovic, sopra citata, § 88). Ora, nella fattispecie, nessun elemento del fascicolo permette di concludere che il ricorrente aveva cercato di sottrarsi alla giustizia o aveva rinunciato in maniera inequivocabile al suo diritto di difesa.

54. La Corte rammenta di avere già avuto l’occasione di affermare, nel contesto delle condanne in contumacia, che non si può, con il pretesto di garantire altri diritti fondamentali del processo, come il diritto al «termine ragionevole» o quello del «ne bis in idem», o, a fortiori, per preoccupazioni legate al carico di lavoro dei tribunali (Huzuneanu c. Italia, n. 36043/08, §§ 22 e 48, 1° settembre 2016), ridurre, al punto di renderli inoperanti, i diritti della difesa di un imputato che non si è sottratto alla giustizia e non ha rinunciato inequivocabilmente alle sue garanzie procedurali. Questo principio, del resto, era stato proclamato dalla Corte costituzionale italiana in una sentenza alla quale fanno riferimento sia il ricorrente che il Governo nelle loro osservazioni (paragrafi 39 e 44 supra; Huzuneanu, sopra citata, § 47).

55. Considerate le conseguenze della privazione della libertà sui diritti fondamentali della persona interessata, la Corte ritiene che qualsiasi procedura ai sensi dell’articolo 5 § 4 debba essere condotta nel rispetto di tale principio e garantire pienamente i diritti della difesa. Essa osserva, a questo proposito, che il Governo non ha escluso che la giurisprudenza nazionale possa evolversi e permettere agli imputati latitanti nei confronti dei quali è stata emessa una misura privativa della libertà di proporre impugnazione anche nell’ipotesi in cui un ricorso sia stato presentato in precedenza, a loro insaputa, da un avvocato nominato d’ufficio (paragrafo 44 supra). La Corte osserva del resto che il legislatore italiano ha riconosciuto che il diritto della difesa prevale sulle necessità dell’amministrazione della giustizia riformando le norme processuali che regolano il processo a carico delle persone irreperibili (si veda il paragrafo 28 supra).

56. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte considera che il rimedio previsto dall’articolo 309 del CPP non abbia offerto al ricorrente delle garanzie adeguate. Resta da esaminare se gli altri ricorsi evocati dal Governo soddisfacessero le condizioni dell’articolo 5 § 4 della Convenzione.

b) Sul ricorso previsto dall’articolo 299 del CPP

57. Per quanto riguarda il ricorso previsto dall’articolo 299 del CPP, che mira a permettere un riesame della regolarità della detenzione in corso e, se del caso, la revoca della misura cautelare e la liberazione, la Corte osserva che esso può essere presentato in qualsiasi momento dinanzi al giudice che in quel momento ha in carico il procedimento.

58. Nella fattispecie, il ricorrente si è avvalso di questo mezzo, dopo che è stato respinto il suo ricorso dal tribunale del riesame, chiedendo la revoca della misura cautelare al giudice per le indagini preliminari di Palermo. La Corte osserva che quest’ultimo ha respinto la domanda dell’interessato senza averlo sentito. L’articolo 299 del CPP non prevede infatti che si tenga un’udienza e il giudice è obbligato a interrogare l’imputato solo se quest’ultimo chiede la sua audizione e solo se adduce fatti nuovi a sostegno della sua richiesta (paragrafo 21 supra).

59. La Corte rammenta che, dal momento che il diritto del detenuto di essere sentito deriva direttamente dall’articolo 5 § 4 della Convenzione e fa parte delle garanzie processuali applicate in materia di privazione della libertà, non si può subordinarne l’esistenza o l’attuazione a una domanda esplicita da parte dell’interessato (Vecek c. Repubblica ceca, n. 3252/09, § 78, 21 febbraio 2013). Per di più, tenuto conto del fatto che, tramite il suo ricorso, il ricorrente cercava di ottenere per la prima volta un controllo sulla legittimità della sua detenzione, non essendo stato presentato alcun fatto nuovo all’esame del giudice per le indagini preliminari, una domanda di audizione del ricorrente non sarebbe stata ammissibile ai sensi della disposizione pertinente (si vedano i paragrafi 17 e 21 supra).

60. In queste condizioni, la Corte ritiene che un appello interposto avverso la decisione del 9 febbraio 2011 non avrebbe permesso al ricorrente di essere sentito sui motivi da lui addotti a sostegno della sua domanda di revoca della misura che aveva disposto la sua incarcerazione. Di conseguenza, il ricorso volto a ottenere la revoca della misura cautelare previsto dall’articolo 299 del CPP non ha costituito, nelle circostanze del caso di specie, un rimedio conforme all’articolo 5 § 4 della Convenzione.

c) Sulla richiesta di restituzione nel termine prevista dall’articolo 175, comma 1, del CPP

61. Per quanto riguarda la possibilità per il ricorrente di avvalersi dell’articolo 175, comma 1, del CPP allo scopo di dimostrare che non si era volontariamente sottratto alla giustizia e ottenere in tal modo la restituzione nel termine per proporre ricorso avverso il provvedimento che disponeva la sua incarcerazione (paragrafo 32 supra), la Corte ha sopra constatato che la giurisprudenza costante della Corte di cassazione che è stata applicata alla causa del ricorrente impedisce proprio la restituzione nel termine per presentare un ricorso contro una misura cautelare qualora un avvocato nominato d’ufficio si sia già avvalso del ricorso offerto dall’articolo 309 del CPP (paragrafi 15 e 48 supra). Peraltro, non sembra che l’impossibilità nella quale si è trovato l’interessato di far esaminare il suo ricorso avverso l’ordinanza di custodia cautelare derivasse dal fatto che era stato ritenuto essersi volontariamente sottratto alla giustizia.

62. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte considera che spettasse al Governo dimostrare che, nonostante la giurisprudenza pertinente nel settore specifico delle misure cautelari, il rimedio generale previsto dal sistema italiano in materia di restituzione nel termine avrebbe permesso al ricorrente, nelle circostanze del caso di specie, di presentare e sostenere una domanda di liberazione dinanzi al tribunale del riesame. Essa rammenta che è il Governo che eccepisce il mancato esaurimento a doverla convincere che il ricorso era effettivo e disponibile sia in teoria che in pratica all’epoca dei fatti (Vučković e altri c. Serbia (eccezione preliminare) [GC], nn. 17153/11 e altri 29, § 77, 25 marzo 2014). A questo proposito, essa osserva che, nel caso di specie, il Governo non ha prodotto alcun esempio che dimostri che una tale azione sarebbe stata intentata con successo in circostanze simili a quelle della causa del ricorrente (si veda, mutatis mutandis, Sardinas Albo c. Italia (dec.), n. 56271/00, 8 gennaio 2004).

d) Conclusione

63. Di conseguenza, la Corte respinge le eccezioni preliminari di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevate dal Governo e conclude che vi è stata violazione dell’articolo 5 § 4 della Convenzione a causa dell’impossibilità, nella quale si è trovato il ricorrente, di essere effettivamente sentito dai giudici competenti per controllare la legittimità della sua detenzione.

II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

64. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

65. Il ricorrente chiede la somma di 5.000 euro (EUR) per il danno morale che ritiene di avere subìto.

66. Il Governo non si è espresso su questo punto.

67. La Corte ritiene che il ricorrente abbia subìto un danno morale certo che non può essere compensato dalla semplice constatazione di violazione. Tuttavia, questa constatazione di violazione dell'articolo 5 § 4 non necessariamente implica che la detenzione del ricorrente sia stata illegittima o comunque contraria alla Convenzione. Alla luce di quanto esposto sopra, e deliberando in via equitativa come richiede l'articolo 41 della Convenzione, la Corte accorda all'interessato la somma di 4.000 EUR.

B. Spese

68. Il ricorrente chiede anche la somma di 21.886,80 EUR per le spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e per quelle sostenute dinanzi alla Corte.

69. Il Governo non ha presentato osservazioni a questo proposito.

70. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute soltanto nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole accordare al ricorrente, per tutte le spese, la somma di 7.000 EUR.

C. Interessi moratori

71. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,

  1. Unisce al merito le eccezioni di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevate dal Governo e le respinge;
  2. Dichiara il ricorso ricevibile;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 5 § 4 della Convenzione;
  4. Dichiara,
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 4.000 EUR (quattromila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
      2. 7.000 EUR (settemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 5 settembre 2019, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Ksenija Turković
Presidente

Abel Campos
Cancelliere