Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 14 marzo 2019 - Ricorso n. 43422/07 - Causa Arnaboldi contro Italia

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA ARNABOLDI c. ITALIA

(Ricorso n. 43422/07)

SENTENZA

STRASBURGO

14 marzo 2019

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Arnaboldi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Linos-Alexandre Sicilianos, presidente,
Ksenija Turković,
Guido Raimondi,
Armen Harutyunyan,
Pauliine Koskelo,
Tim Eicke,
Gilberto Felici, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 5 febbraio 2019,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 43422/07) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino di questo Stato, il sig. Franco Arnaboldi («il ricorrente»), che ha adito la Corte il 3 ottobre 2007 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. Il ricorrente è stato rappresentato dall'avvocato M. De Stefano, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora e dai suoi ex co-agenti, N. Lettieri e P. Accardo, e dal suo co-agente, M. L. Aversano.
3. In particolare, il ricorrente lamentava l'impossibilità di ottenere il pagamento dell'indennità di espropriazione che gli era stata riconosciuta.
4. Il 26 gennaio 2009 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5. Il ricorrente è nato nel 1941 e risiede a Cecina.

A. Fatti anteriori alla comunicazione del ricorso

6. Il ricorrente era proprietario di un terreno e titolare di una impresa agricola. Sul suddetto terreno aveva costruito la sua abitazione principale e un magazzino.

7. Con decreto del 18 ottobre 1980, il Ministero dei Lavori Pubblici approvò il progetto di costruzione di una strada sul terreno del ricorrente.

8. Con decreto del 12 dicembre 1980, il prefetto di Livorno autorizzò l'Azienda Nazionale Autonoma delle Strade («l’ANAS») a occupare d'urgenza una parte del terreno del ricorrente, ossia 23.840 m2, per un periodo massimo di cinque anni e, con un secondo decreto del 25 marzo 1981, autorizzò l'occupazione d'urgenza di un'altra parte del terreno del ricorrente, corrispondente a 120 m2.

9. Con gli stessi decreti, la società CIR S.p.A. fu delegata ad agire in nome e per conto dell'ANAS per occupare il terreno, costruire la strada e portare a termine la procedura di espropriazione.

10. La suddetta società procedette all'occupazione materiale del terreno il 18 maggio 1981 e avviò i lavori di costruzione il 17 febbraio 1983. In data imprecisata si fuse con l'Impresa Rizzi S.p.A., la quale completò i lavori di costruzione della strada il 7 luglio 1984.

11. Il 26 giugno 1989 l'Impresa Rizzi S.p.A. fissò in 98.000.000 di lire italiane (ITL) (50.612,77 euro (EUR)) l'importo dell'indennità provvisoria da accordare al proprietario del terreno. Il ricorrente rifiutò l'offerta di acconto, il cui importo fu quindi versato alla Cassa Depositi e Prestiti. Il 6 luglio 1989 il terreno del ricorrente fu espropriato.

12. Nel luglio 1989 il ricorrente adì il tribunale di Livorno e avviò un'azione di risarcimento danni contro l'Impresa Rizzi S.p.A. Egli sosteneva che l'occupazione del suo terreno era senza titolo e chiedeva un risarcimento per la perdita dello stesso a seguito della costruzione della strada, nonché una indennità di occupazione. Inoltre, sosteneva che il decreto di espropriazione era tardivo e reclamava un risarcimento per i danni subiti dal suo terreno a seguito dei lavori di costruzione.

13. Nel corso del procedimento l'Impresa Rizzi S.p.A. chiese di estinguere la procedura in quanto, il 27 febbraio 1990, si era fusa con la società SIPA S.r.l. Il tribunale accolse la domanda dell'Impresa Rizzi S.p.A.

14. Il 18 luglio 1992 il ricorrente intentò dinanzi al tribunale di Livorno una nuova azione di risarcimento danni contro la società SIPA S.r.l. Nel corso del procedimento, in data 7 novembre 2000, la società convenuta chiese di sospendere la procedura in quanto, nel 1995, si era fusa con la società immobiliare Padana Appalti S.p.A. Il tribunale respinse tale richiesta.

15. Con sentenza del 22 marzo 2001, il tribunale di Livorno dichiarò che il terreno era stato irreversibilmente trasformato dalla costruzione della strada prima dell'emanazione del decreto di espropriazione. Osserva che, di conseguenza, conformemente al principio dell'occupazione acquisitiva, il ricorrente era stato privato della sua proprietà a seguito della trasformazione irreversibile del terreno. Alla luce di tali considerazioni, il giudice rilevò che una parte del terreno, pari a 17.940 m2, era passata all'amministrazione per effetto dell'espropriazione indiretta, e condannò la SIPA S.r.l. a pagare al ricorrente la somma di 579.053.735 ITL (299.056 EUR) più interessi e rivalutazione a partire dal 1° gennaio 1982.

16. Il 20 giugno 2001 la società immobiliare Padana Appalti S.p.A. interpose appello avverso tale sentenza, sostenendo, tra l'altro, di non essere legittimata ad agire. La corte d'appello ordinò una perizia volta a stabilire il valore del terreno del ricorrente alla luce della legge n. 662 del 1996, che nel frattempo era entrata in vigore.

17. L'8 ottobre 2004 la società immobiliare Padana Appalti S.p.A. informò la corte d'appello che, in data 14 giugno 2004, era stata posta in «amministrazione straordinaria» ai sensi del decreto legislativo n. 270 dell'8 luglio 1999, e chiese la sospensione del procedimento. La corte d'appello accolse quest'ultima richiesta. In una data non precisata, i commissari liquidatori della società ripresero il procedimento.

18. Con sentenza del 13 novembre 2007, facendo riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 22 ottobre 2007, che aveva dichiarato incostituzionale l'articolo 5 bis del decreto legge n. 333 dell'11 luglio 1992, come modificato dalla legge n. 662 del 1996, la corte d'appello di Firenze dichiarò che il ricorrente aveva diritto ad un risarcimento corrispondente al valore commerciale del terreno illegittimamente espropriato, stabilito dal perito, maggiorato di rivalutazione e interessi a partire dalla data di trasformazione irreversibile del terreno. In particolare, condannò la società immobiliare Padana Appalti S.p.A. a pagare all'interessato 87.676,23 EUR a titolo di indennità di espropriazione, 532.995,80 EUR per la perdita di valore della restante parte della proprietà e 348,51 EUR a titolo di indennità di occupazione, per un importo totale di 621.020,54 EUR. La corte d'appello condannò inoltre la suddetta società immobiliare a pagare al ricorrente la somma di 32.801 EUR per spese processuali, vale a dire una somma complessiva di 653.821,54 EUR.

19. Per quanto riguarda la responsabilità della società convenuta, la corte d'appello affermò che, poiché quest'ultima era stata delegata dall'amministrazione ad agire in suo nome e per suo conto nella procedura di espropriazione, essa aveva la legittimazione passiva ed era quindi responsabile del pagamento delle indennità di espropriazione e di occupazione, conformemente alla giurisprudenza della Corte di cassazione.

B. Fatti posteriori alla comunicazione del ricorso

20. In una data non precisata nel fascicolo, il ricorrente propose ricorso per cassazione avverso la sentenza del 13 novembre 2007. In particolare, contestava i criteri utilizzati dall'esperto per stimare il valore della sua proprietà. Con sentenza del 13 febbraio 2014, la Corte di cassazione respinse il ricorso del ricorrente in quanto quest'ultimo non aveva sufficientemente documentato le sue doglianze e confermò le conclusioni della corte d'appello di Firenze.

21. Il 21 luglio 2008, il ricorrente richiese il pagamento del suo credito ai commissari liquidatori della società Padana Appalti S.p.A. Il 30 luglio 2008 costoro lo invitarono a costituirsi nella procedura di amministrazione straordinaria, precisando che il patrimonio della suddetta società era costituito da un immobile di un valore di circa 169.000 EUR e che la massa dei crediti privilegiati già registrati ammontava a circa 278.000 EUR.

22. Nel 2010 e nel 2011, rispettivamente, il ricorrente presentò dei ricorsi dinanzi al tribunale civile di Livorno e al tribunale amministrativo regionale della Toscana, chiedendo la restituzione del suo terreno e/o un risarcimento da parte dell'amministrazione. Egli lamentava l'impossibilità di ottenere il pagamento dell'indennità di espropriazione da parte della società Padana Appalti S.p.A. Questi ricorsi furono respinti rispettivamente con sentenze del 30 maggio 2012 e del 5 luglio 2014, in quanto il riconoscimento, da parte della corte d'appello di Firenze, di un diritto al risarcimento per la perdita della proprietà del terreno non consentiva di accogliere una richiesta di restituzione della proprietà e, inoltre, la condanna al pagamento, che era stata emessa nei confronti di Padana Appalti S.p.A., non poteva essere posta a carico dell'amministrazione. Il ricorrente fu condannato alle spese del procedimento.

23. La procedura di amministrazione straordinaria della società immobiliare Padana Appalti S.p.A. si concluse il 28 settembre 2015 con la ripartizione del suo attivo, ovvero la somma complessiva di 54.341,82 EUR, tra una parte dei creditori privilegiati.

24. Nel frattempo, tenuto conto che la società immobiliare Padana Appalti S.p.A. era stata messa in liquidazione, il perito nominato dal tribunale di Livorno, non avendo potuto ottenere il pagamento dei suoi onorari da parte di detta società, ossia la somma di 11.928,44 EUR, in data 9 dicembre 2005 avviò un procedimento esecutivo nei confronti del ricorrente, che era responsabile in solido per il pagamento delle spese processuali. Il ricorrente vi si oppose più volte.

25. Nell'ambito di questo procedimento esecutivo, l'abitazione principale del ricorrente fu oggetto di un sequestro immobiliare e fu venduta all'asta il 28 marzo 2018.

II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

26. Con sentenza n. 10922 del 20 ottobre 1995, la Corte di cassazione, pronunciandosi a sezioni unite, affermò che in caso di delega dei poteri relativi all'espropriazione e alla realizzazione di un'opera pubblica, l'ente pubblico delegante è corresponsabile con l'ente delegato dei danni subiti dal proprietario espropriato. Infatti, l'espropriazione viene effettuata dall'ente delegato non solo in nome e per conto della pubblica autorità delegante, ma anche d'intesa con quest’ultima, che detiene un «potere di controllo e di stimolo» sullo svolgimento della procedura.

IN DIRITTO

I. SULLE DEDOTTE VIOLAZIONI DEGLI ARTICOLI 6 § 1 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE IN RAGIONE DELLA MANCATA ESECUZIONE DELLA SENTENZA

27. Il ricorrente lamenta l'impossibilità di ottenere il pagamento della somma assegnatagli a titolo di risarcimento danni dalla corte d'appello di Firenze. Lamenta una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, così formulati nelle loro parti pertinenti al caso di specie:

Articolo 6 § 1
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»
Articolo 1 del Protocollo n. 1
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

28. Il ricorrente sostiene che l'impossibilità di ottenere l'esecuzione della sentenza pronunciata a suo favore dalla corte d'appello di Firenze ha comportato violazione del suo diritto di accesso a un tribunale e ha leso il suo diritto al rispetto dei beni.

A. Sulla ricevibilità

1. Le osservazioni delle parti

a) Il Governo

29. Il Governo eccepisce in primo luogo il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto il ricorrente ha scelto di citare dinanzi ai giudici nazionali soltanto la società privata che era stata delegata dall'ANAS ad occupare il terreno. Sostiene che il ricorrente ha sbagliato a non formulare la sua domanda di risarcimento anche nei confronti di questo ente pubblico, visto che quest'ultimo avrebbe potuto essere considerato responsabile in solido della società in questione e garantire il pagamento effettivo della somma liquidata dai tribunali.

30. Il Governo dichiara che il fatto di delegare la società CIR S.p.A. a svolgere le attività connesse alla realizzazione dell'opera pubblica non sollevava l'ANAS da tutte le sue responsabilità. Il Governo sostiene che l'amministrazione delegante resta responsabile del corretto svolgimento della procedura di espropriazione e, se del caso, del pagamento dell'importo dovuto a titolo di indennizzo o di risarcimento. A tale riguardo, afferma che, sebbene in maniera non univoca, una certa giurisprudenza in materia riconosceva già all'epoca della presentazione della domanda di risarcimento del ricorrente la responsabilità congiunta, in questo tipo di situazioni, dell'organo delegante e dell'impresa delegata. Aggiunge che questa giurisprudenza è stata successivamente confermata dalla sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 10922 del 1995. Ne consegue, a suo avviso, che un ricorso contro l'amministrazione avrebbe potuto consentire al ricorrente di ottenere un rimedio adeguato per la sua doglianza.

31. Il Governo ritiene che il mancato pagamento della somma riconosciuta al ricorrente dalla corte d'appello sia dovuto esclusivamente alla mancanza di risorse economiche del debitore privato, che non può essere attribuita allo Stato. Inoltre, a suo parere, il ricorrente ha omesso di far valere le sue pretese nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria della società. Il Governo ne deduce che lo Stato non è in alcun modo responsabile nel caso di specie e solleva a questo riguardo un'eccezione di incompatibilità ratione personae.

b) Il ricorrente

32. Il ricorrente sostiene che la giurisprudenza interna citata dal Governo, che stabilisce il principio della responsabilità solidale tra l'amministrazione e l'ente privato da quest'ultima delegato ad effettuare l'espropriazione, si è consolidata solo nel 1995, vale a dire dopo la presentazione del suo ricorso ai tribunali civili nazionali. Egli sostiene che, prima di tale data, la giurisprudenza maggioritaria della Corte di cassazione considerava l'impresa o l'organo delegato dall'amministrazione come l'unico responsabile nei confronti del soggetto espropriato e l'unico legittimato ad agire nella procedura di espropriazione. Alla luce di ciò, egli ritiene di essersi correttamente avvalso dei mezzi offerti dal diritto nazionale per ottenere un risarcimento per la dedotta violazione del suo diritto di proprietà.

33. Il ricorrente ritiene che lo Stato debba essere ritenuto responsabile delle violazioni da lui denunciate, e sostiene di aver perso ogni speranza di ottenere il pagamento dell'indennità di espropriazione a causa del fallimento della società Padana Appalti S.p.A. e, inoltre, di aver dovuto sopportare le considerevoli conseguenze nefaste dell'insolvenza di quest'ultima, fatto che, a suo avviso, ha portato al suo indebitamento e alla vendita all'asta della sua abitazione principale.

34. Infine, il ricorrente sostiene che la procedura di amministrazione straordinaria della società Padana Appalti S.p.A. non avrebbe costituito un rimedio effettivo in quanto il patrimonio di questa società era manifestamente insufficiente per soddisfare il suo credito, che peraltro non era privilegiato. La prova di ciò è, a suo avviso, che solo una parte dei creditori privilegiati della società in questione ha beneficiato della ripartizione dell'attivo di quest'ultima.

35. Il ricorrente sostiene che il suo terreno è stato acquisito al patrimonio pubblico nel 1981 senza ricevere alcun risarcimento dallo Stato per il danno che avrebbe subito.

2. La valutazione della Corte

a) Sull'eccezione relativa alla compatibilità ratione personae

36. La Corte osserva anzitutto che non viene contestato il fatto che il ricorrente sia stato privato del suo terreno a causa dell'espropriazione indiretta. Rammenta, poi, di aver già stabilito che il meccanismo dell'espropriazione indiretta consente all'amministrazione di occupare un terreno e di trasformarlo irreversibilmente, in modo che sia considerato acquisito al patrimonio pubblico, senza che parallelamente venga adottato un atto formale che dichiari il trasferimento di proprietà e senza pagare allo stesso tempo una indennità (si vedano, tra molte altre, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000-VI, Guiso-Gallisay c. Italia, n. 58858/00, 8 dicembre 2005, e Immobiliare Cerro S.A.S. c. Italia, n. 35638/03, 23 febbraio 2006).

37. La Corte rileva che, nel caso di specie, l'amministrazione ha delegato una società privata, la CIR S.p.A., ad eseguire i lavori di costruzione dell'opera pubblica e ad agire nella procedura di espropriazione. È a carico di tale società - che nel frattempo si era fusa con l'Impresa Rizzi S.p.A. - e, in un secondo tempo, a carico della nuova società, la Padana Appalti S.p.A., che il ricorrente ha chiesto ed ottenuto il riconoscimento di un indennizzo. Tuttavia, quest'ultimo non gli è mai stato pagato a causa della messa in liquidazione della sopra citata società.

38. Il Governo ritiene che la presente causa rientri in un contenzioso tra il ricorrente e una società privata insolvente e che non comporti alcuna responsabilità da parte dello Stato italiano.

39. La Corte rammenta che, se è vero che l'insolvenza di una società privata non può comportare una responsabilità dello Stato riguardo alla Convenzione e ai suoi Protocolli (Shestakov c. Russia (dec.), n. 48757/99, 18 giugno 2002), lo Stato non può sottrarsi alla sua responsabilità delegando i propri obblighi ad enti privati o a persone fisiche. In altre parole, il fatto che lo Stato scelga una forma di delega in base alla quale alcuni dei suoi poteri sono esercitati da un altro organo non è sufficiente a risolvere la questione della sua responsabilità. Secondo la Corte, l'esercizio di poteri statali che hanno un'influenza sui diritti e sulle libertà sanciti dalla Convenzione può far sorgere la responsabilità dello Stato, indipendentemente dalla forma in cui tali poteri si trovano ad essere esercitati, fosse anche da parte di un ente di diritto privato (Costello-Roberts c. Regno Unito, 25 marzo 1993, § 27, serie A n. 247 C, Wos c. Polonia (dec.), n. 22860/02, § 72, CEDU 2005 IV, Sychev c. Ucraina, n. 4773/02, § 54, 11 ottobre 2005, e Kotov c. Russia [GC], n. 54522/00, § 92, 3 aprile 2012).

40. Nel caso di specie, la Corte ritiene che non vi sia alcun dubbio che la società Padana Appalti SPA - come pure le società che l'hanno preceduta nella presente causa - sia stata incaricata di una missione di servizio pubblico essendo delegata di tutti i poteri connessi all'espropriazione di un terreno ai fini della sua acquisizione al patrimonio pubblico e della costruzione di un'opera pubblica. Secondo la Corte, la scelta di avvalersi della delega di tali poteri non può sollevare lo Stato italiano da quelle che sarebbero state le sue responsabilità se avesse preferito adempiere lui stesso a tali obblighi, come sarebbe stato in suo potere fare. La Corte osserva peraltro che il Governo riconosce incidentalmente che la delega amministrativa, nel caso in esame, non era tale da sollevare la pubblica amministrazione dalle sue responsabilità nei confronti del proprietario espropriato (paragrafo 30 supra). Inoltre, la Corte rileva con interesse che le sezioni unite della Corte di cassazione hanno espressamente affermato il principio della corresponsabilità dell'amministrazione delegante nella sentenza n. 10922 del 20 ottobre 1995 (si veda paragrafo 26 supra).

41. Ne consegue che lo Stato italiano rimane tenuto ad esercitare una vigilanza e un controllo per tutta la durata della procedura di espropriazione, fino al pagamento del relativo indennizzo, cosicché è responsabile per non aver adottato le misure necessarie a garantire che le somme accordate a titolo di indennità per l'espropriazione fossero effettivamente versate al ricorrente. A questo proposito, è opportuno rammentare che la Convenzione mira a garantire diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi (si veda, tra molte altre, Matthews c. Regno Unito, n. 24833/94, § 34, CEDU 1999-I).

42. Ne consegue che questa parte del ricorso non può essere dichiarata incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione e che l'eccezione sollevata dal Governo per questo motivo deve essere esclusa.

b) Sull’esaurimento delle vie di ricorso interne

43. La Corte non è convinta dall’argomento del Governo secondo il quale il ricorrente non avrebbe esaurito correttamente le vie di ricorso interne a lui disponibili in quanto non ha citato a giudizio l’ANAS. Essa osserva a questo proposito che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione indicata dal ricorrente come maggioritaria all’epoca della presentazione delle sue richieste di risarcimento – il che non è stato contestato dal Governo – l’ente delegato dall’amministrazione per portare a buon fine una espropriazione era legittimato ad agire ed era investito, per effetto della delega amministrativa, di tutti i poteri e gli obblighi inerenti alla procedura di espropriazione.

44. La Corte dunque può solo partire dall’ipotesi che, benché l’impresa Padana Appalti S.p.A. avesse adempiuto ai propri obblighi per conto dell’ANAS, era nei confronti della stessa impresa che il ricorrente avrebbe dovuto adire la giustizia per far valere il suo diritto a essere indennizzato. Questo principio è stato del resto affermato dalla corte d’appello di Firenze che, basandosi sulla giurisprudenza della Corte di cassazione, ha escluso l’eccezione relativa alla mancanza della legittimazione ad agire sollevata dalla Padana Appalti S.p.A. (paragrafo 19 supra).

45. Ciò sarebbe sufficiente per concludere che non si può rimproverare al ricorrente di non aver reiterato le proprie domande di risarcimento indirizzandole anche nei confronti dell’ANAS.

46. Per quanto riguarda l’argomento secondo il quale il ricorrente avrebbe omesso di prendere parte alla procedura di amministrazione straordinaria della società Padana Appalti S.p.A., la Corte osserva che il Governo non ha dimostrato in che modo tale procedura avrebbe costituito un rimedio efficace nel caso di specie, permettendo al ricorrente di riscuotere quanto a lui dovuto, tenuto conto soprattutto del fatto che l’importo dell’attivo della società era ampiamente insufficiente per soddisfare il credito dell’interessato (paragrafi 21 e 23 supra) (si veda, mutatis mutandis, Boyadzhieva e Gloria International Limited EOOD c. Bulgaria, nn. 41299/09 e 11132/10, § 46, 5 luglio 2018).

47. La Corte osserva inoltre che il ricorrente non è rimasto inattivo. In effetti, ha continuamente affermato dinanzi alle autorità nazionali l’impossibilità di ottenere il pagamento del suo credito da parte della società Padana Appalti S.p.A., il cui stato di insolvenza era del resto noto alle autorità dal 2004, e chiesto invano l’intervento dell’amministrazione nel suo caso (paragrafi 17, 21 e 22 supra). La Corte considera che, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, l’obbligo di agire pesava sulle autorità, le quali avrebbero dovuto adottare le misure necessarie per permettere il versamento della somma accordata al ricorrente a titolo di indennità di espropriazione.

48. Alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, l’eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne deve essere respinta. Constatando inoltre che questa parte del ricorso non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte la dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Sulla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione

49. La Corte rammenta che l’articolo 6 § 1 della Convenzione garantisce a ciascuno il diritto all’esame da parte di un tribunale di qualsiasi controversia relativa ai suoi diritti e doveri di carattere civile presentata dinanzi a un giudice o a un tribunale. Tale articolo sancisce così il «diritto a un tribunale» di cui il diritto di accesso, ossia il diritto di adire un tribunale in materia civile, costituisce un aspetto. Tuttavia tale diritto sarebbe illusorio se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse che una decisione giudiziaria definitiva e vincolante rimanga inoperante ai danni di una parte. Non si comprenderebbe come l’articolo 6 § 1 descriva in dettaglio le garanzie procedurali – equità, pubblicità e celerità – accordate alle parti e non protegga l’attuazione delle decisioni giudiziarie. Se sembrasse che tale articolo riguardi esclusivamente l’accesso al giudice e lo svolgimento del procedimento, ciò rischierebbe di creare situazioni incompatibili con il principio della preminenza del diritto che gli Stati contraenti si sono impegnati a rispettare ratificando la Convenzione. L’esecuzione di una sentenza, da qualsiasi autorità giudiziaria sia emessa, deve essere considerata come parte integrante del «processo» ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione (Bourdov c. Russia, n. 59498/00, § 34, CEDU 2002-III).

50. Nella fattispecie, il ricorrente lamenta l’impossibilità di ottenere il pagamento dell’indennità accordata con la sentenza della corte d’appello di Firenze. La Corte osserva che non vi sono dubbi sul fatto che tale sentenza fosse passata in giudicato e che il ricorrente ha ormai perso ogni speranza di ottenerne l’esecuzione a causa, in particolare, della liquidazione della società condannata al pagamento dell’indennità che gli è stata accordata.

51. Certamente, la corte d’appello ha emesso la propria sentenza nei confronti dell’impresa Padana Appalti S.p.A., che aveva la qualità per agire in quanto organismo delegato dall’ANAS. Tuttavia, considerata la natura della delega amministrativa messa a punto nel caso di specie, resta comunque il fatto che la sentenza in questione riguardava un dovere esercitato in nome e per conto dell’ANAS, che – come si evince dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione ed è stato riconosciuto dal Governo – rimarrebbe responsabile nei confronti del proprietario espropriato per il pagamento dell’indennizzo (si vedano i paragrafi 26 e 30 supra).

52. La Corte richiama la propria giurisprudenza secondo la quale una persona che ha ottenuto una sentenza contro lo Stato non è tenuta ad intentare in seguito un procedimento distinto per ottenerne l’esecuzione (Sharxhi e altri c. Albania, n. 10613/16, § 93, 11 gennaio 2018). Essa considera, nelle circostanze del caso di specie, doversi applicare un principio simile. In effetti, secondo la Corte, non si può accettare che lo Stato possa rifiutare di conformarsi a una sentenza definitiva pronunciata nei confronti di un’azienda delegata in stato di insolvenza, nella misura in cui tale sentenza riguarda un debito per il quale è responsabile, in definitiva, l’amministratore delegante.

53. Di conseguenza, tenuto conto della constatazione relativa alla responsabilità dello Stato per quanto riguarda le somme dovute al ricorrente nel caso di specie (paragrafo 41 supra), la Corte considera che il rifiuto delle autorità di adottare le misure necessarie per conformarsi alla sentenza della corte d’appello di Firenze abbia leso il diritto dell’interessato a una protezione giudiziaria effettiva sancito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione e abbia privato le disposizioni di detto articolo di ogni effetto utile.

54. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

2. Sulla violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione

55. La Corte rammenta che un «credito» può costituire un «bene» ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 se è sufficientemente provato per essere esigibile (Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, serie A n. 301-B, p. 84, § 59).

56. Essa ritiene che, sottraendosi alla responsabilità che avevano di adottare le misure necessarie per permettere il versamento effettivo di un credito definitivo ed esigibile, le autorità abbiano leso il diritto al rispetto dei beni del ricorrente nel senso del primo capoverso del primo comma dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. A suo parere, tale ingerenza non era basata su alcuna giustificazione valida; essa era dunque arbitraria e ha comportato una violazione del principio della legalità.

57. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE IN RAGIONE DELL’ESPROPRIAZIONE DEL TERRENO

58. Sempre dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, il ricorrente afferma anche di essere stato privato del suo terreno in maniera incompatibile con il suo diritto al rispetto dei suoi beni. Lamenta in particolare l’inadeguatezza del risarcimento accordato dalla corte d’appello di Firenze per riparare il danno che ritiene di avere subìto.

59. Il Governo afferma che i giudici nazionali hanno riconosciuto al ricorrente un risarcimento compatibile con la Convenzione, calcolato sulla base del valore commerciale del terreno in questione.

60. La Corte osserva che questa doglianza riguarda l’importo asseritamente insufficiente dell’indennità di espropriazione calcolata dai giudici nazionali. A questo proposito, essa rileva che, con le sentenze nn. 348 e 349, la Corte costituzionale italiana ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5 bis del decreto legge n. 333 dell’11 luglio 1992, modificato dalla legge n. 662 del 1996, in quanto contrario all’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione come interpretato dalla giurisprudenza della Corte. In seguito, è stato stabilito che i proprietari espropriati devono ottenere un risarcimento corrispondente all’intero valore del bene, non essendo ammessa alcuna riduzione (per quanto riguarda il cambiamento legislativo intervenuto a seguito delle sentenze della Corte costituzionale, si veda Armando Iannelli c. Italia, §§ 23-27, n. 24818/03, 12 febbraio 2013).

61. Applicando questi principi, la corte d’appello di Firenze ha ritenuto che il ricorrente avesse subito una violazione del suo diritto di proprietà a causa dell’espropriazione indiretta del suo terreno e ha considerato che quest’ultimo avesse diritto a una indennità corrispondente al valore commerciale del bene illegittimamente espropriato, stabilito dalla perizia ordinata dal giudice competente nel corso del procedimento interno, maggiorato di rivalutazione e interessi a partire dalla data della perdita della proprietà, nonché un risarcimento per la perdita di valore della parte restante della sua proprietà e una indennità di occupazione per il periodo di occupazione autorizzata.

62. La Corte considera che l’importo dell’indennità calcolato dalla corte d’appello di Firenze sia conforme ai criteri di calcolo da essa stabiliti nella sentenza Guiso-Gallisay (sopra citata, § 105). Di conseguenza, questa doglianza, nella parte in cui riguarda l’importo dell’indennizzo, è manifestamente infondata e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE

63. Il ricorrente lamenta anche di non disporre di un ricorso effettivo che gli permetta di riscuotere il suo credito, e invoca l’articolo 13 della Convenzione

64. La Corte osserva che questa doglianza è collegata a quella esaminata sotto il profilo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e deve dunque essere dichiarata anch’essa ricevibile. Considerata la constatazione relativa all’articolo 6 § 1 (paragrafo 54 supra), la Corte ritiene tuttavia non doversi esaminare se vi sia stata, nella fattispecie, violazione di tale disposizione.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

65. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

66. Nelle sue domande di equa soddisfazione del 13 luglio 2009, il ricorrente chiede anzitutto una riparazione adeguata per l’espropriazione del suo terreno. A questo proposito, chiede la restituzione del terreno o, se così non fosse, il rimborso del valore commerciale indicizzato di quest’ultimo, ivi compreso il valore dell’azienda agricola che ne faceva parte, ossia un importo di 12.300.000 EUR. Egli basa la sua domanda sui risultati di una perizia effettuata su sua richiesta nel 2008.

67. In subordine, il ricorrente chiede alla Corte il versamento dell’indennità di espropriazione riconosciuta dalla corte d’appello di Firenze, maggiorata di interessi legali e rivalutazione a decorrere dal 13 novembre 2007, data in cui il suo credito è stato dichiarato esecutivo.

68. Il ricorrente chiede inoltre 200.000 EUR per il danno morale.

69. Il 12 giugno 2018, a seguito degli sviluppi del procedimento nazionale, il ricorrente ha integrato le sue domande di equa soddisfazione chiedendo inoltre alla Corte di accordargli la somma di 465.836 EUR a titolo di risarcimento del danno materiale per la vendita all’asta della sua abitazione principale, nonché una somma supplementare per il danno morale.

70. Il Governo contesta le richieste del ricorrente, che considera sproporzionate e ingiustificate.

71. La Corte rammenta che una sentenza che constata una violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico rispetto alla Convenzione di porre fine alla violazione e di eliminarne le conseguenze in modo da ripristinare per quanto possibile la situazione precedente (Metaxas, sopra citata, § 35, e Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI).

72. Nella fattispecie, essa ha concluso che vi è stata violazione degli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione in ragione del rifiuto delle autorità nazionali di adottare le misure necessarie per garantire il pagamento del credito del ricorrente.

73. Di conseguenza, qualsiasi pretesa del ricorrente riguardante il calcolo dell’importo dell’indennità di espropriazione del suo terreno (paragrafo 63 supra), non viene presa in considerazione per quanto riguarda il riconoscimento di un’equa soddisfazione nel caso di specie e deve essere pertanto scartata. Inoltre, la Corte non vede alcun nesso di causalità diretto tra le violazioni constatate e la vendita all’asta dell’abitazione del ricorrente. Essa respinge dunque anche le domande presentate dall’interessato a questo titolo.

74. Invece, la Corte ritiene che il ricorrente abbia subito un danno materiale certo a causa del mancato versamento della somma riconosciuta dalla corte d’appello di Firenze, e stabilisce che si debba accordare all’interessato tale somma per intero, ossia 653.821,54 EUR (paragrafo 18 supra). Dato che l’adeguatezza di un risarcimento diminuirebbe se il pagamento dello stesso non tenesse conto di elementi che possono ridurne il valore, come lo scorrere di un tempo che non è possibile definire ragionevole (Akkuş c. Turchia, 9 luglio 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-IV, pp. 1309-1310, § 29), tale somma dovrà essere indicizzata e maggiorata di interessi tali da compensare, almeno in parte, il lasso di tempo trascorso da novembre 2007, data in cui il credito è divenuto esecutivo.

75. La Corte ritiene inoltre che il ricorrente abbia subito anche un danno morale certo, a causa dei sentimenti di impotenza e frustrazione provocati dall’impossibilità di ottenere l’esecuzione della decisione resa in suo favore e che tale danno non sia sufficientemente compensato da una constatazione di violazione.

76. Tenuto conto di tutti gli elementi esposti e deliberando in via equitativa, la Corte ritiene ragionevole accordare al ricorrente la somma complessiva di 880.000 EUR, per tutti i danni subiti, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma.

B. Spese

77. Il ricorrente chiede inoltre la somma di 85.274 EUR per le spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e una somma equa per quelle sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.

78. Il Governo considera che la domanda del ricorrente relativa alle spese che quest’ultimo afferma di avere sostenuto per i procedimenti nazionali sia sproporzionata e ingiustificata.

79. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte considera ragionevole la somma di 8.000 EUR per tutte le spese e la accorda al ricorrente.

C. Interessi moratori

80. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

  1. Dichiara, a maggioranza, il ricorso ricevibile per quanto riguarda la doglianza relativa all’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  2. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile per quanto riguarda le doglianze relative agli articoli 13 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, a causa dell’impossibilità di ottenere il versamento della somma accordata dalla corte d’appello di Firenze, e irricevibile per il resto;
  3. Dichiara, con cinque voti contro due, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  4. Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  5. Dichiara, all’unanimità, non doversi esaminare la doglianza relativa all’articolo 13 della Convenzione;
  6. Dichiara, all’unanimità,
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 880.000 EUR (ottocentoottantamila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno materiale e morale;
      2. 8.000 EUR (ottomila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  7. Respinge, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 14 marzo 2019, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente

Abel Campos
Cancelliere

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata dei giudici Eicke e Felici.

L.A.S

A.C

OPINIONE PARZIALMENTE CONCORDANTE E PARZIALMENTE DISSENZIENTE DEI GIUDICI EICKE E FELICI

A. Introduzione

1. Pur condividendo la conclusione della maggioranza nel constatare che vi è stata una evidente violazione dei diritti del ricorrente, ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e dell’articolo 13 della Convenzione, in relazione al mancato pagamento dell’indennità di espropriazione della sua proprietà, non possiamo purtroppo condividere né l’opinione che vi sia stata nel caso in esame una violazione dell’articolo 6 della Convenzione, né le motivazioni che basano la constatazione della violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Inoltre, condividiamo l’opinione secondo la quale non vi è stata una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 in relazione alla presunta inadeguatezza dell’importo dell’indennità stabilita dalla corte di appello di Firenze.

2. Prima di esporre brevemente i motivi del nostro dissenso, è importante sottolineare che è particolarmente frustrante che il ricorrente, ad oggi, non abbia ricevuto alcun indennizzo per il riconosciuto esproprio, eseguito in nome e per conto dello Stato (anche se in definitiva eseguito da una società privata espressamente delegata dallo Stato a eseguire tali azioni), che è avvenuto materialmente il 18 maggio 1981 (paragrafo 10) e formalmente il 6 luglio 1989 (paragrafo 11) e che è stato per la prima volta riconosciuto come tale dai giudici nazionali del tribunale di primo grado di Livorno il 22 marzo 2001. Tuttavia, bisogna anche riconoscere che questa Corte non ha agito tanto celermente come sarebbe stato auspicabile nella risoluzione di questo caso né nello stabilire la responsabilità internazionale dello Stato italiano per la palese violazione dei diritti del ricorrente ai sensi della Convenzione.

B. Articolo 6

3. Nel paragrafo 52 della sentenza, la maggioranza richiama la costante giurisprudenza della Corte secondo la quale una persona che ha ottenuto una sentenza contro lo Stato al termine di un procedimento giudiziario non è tenuta ad avviare successivamente un procedimento separato per ottenere l’esecuzione della stessa (si vedano, ad esempio Metaxas c. Grecia, n. 8415/02, § 19, 27 maggio 2004, Bourdov c. Russia (n. 2), n. 33509/04, § 68, CEDU 2009 e Sharxhi e altri c. Albania, n. 10613/16, § 93, 11 gennaio 2018). Questo è, ovviamente, giusto e siamo totalmente d’accordo ma, ed è questo il punto su cui dissentiamo dalla maggioranza, è applicabile solo laddove vi è stata una «sentenza contro lo Stato» emessa da un tribunale nazionale.

4. Nell’ambito dell’esecuzione delle sentenze contro lo Stato, la giurisprudenza della Corte, naturalmente, conferma anche che il requisito della cooperazione del creditore non deve andare oltre ciò che è strettamente necessario e, in ogni caso, non solleva le autorità dal loro obbligo, ai sensi della Convenzione, di adottare tempestivamente azioni di propria iniziativa, sulla base delle informazioni di cui dispongono, al fine di dare esecuzione alla sentenza contro lo Stato (si veda Akashev c. Russia, n. 30616/05, § 22, 12 giugno 2008). La Corte ritiene pertanto che l’onere di garantire il rispetto della sentenza contro lo Stato ricada prima di tutto sulle autorità statali a partire dalla data in cui la sentenza è diventata irrevocabile ed esecutiva (Bourdov c. Russia (n. 2), sopra citata, § 69).

5. Infine, in questo ambito, la Corte ha confermato che non è consentito a una autorità statale addure la mancanza di fondi o di altre risorse per giustificare il mancato pagamento di un risarcimento (si veda Bourdov c. Russia, n. 59498/00, § 35, CEDU 2002-II, Kukalo c. Russia, n. 63995/00, § 49, 3 novembre 2005 e Bourdov c. Russia (n. 2), sopra citata, § 70).

6. Come sopra indicato, la necessità che vi fosse una «sentenza contro lo Stato» emessa da un tribunale nazionale, tuttavia, è determinante in questo ambito, perché l’approccio della Corte, ai sensi dell’articolo 6, all’esecuzione delle sentenze nei confronti di società private risulta essere molto diverso (si veda mutatis mutandis, Bozza c. Italia, n. 17739/09, § 44, 14 settembre 2017).

7. In quest’ultimo ambito, la Corte ha coerentemente ritenuto che la responsabilità dello Stato nell’esecuzione di una sentenza contro una società privata non vada oltre la partecipazione degli enti statali nei procedimenti di esecuzione (Fuklev c. Ucraina, n. 71186/01, § 67 e §§ 90-11, 7 giugno 2005 e Ciocodeică c. Romania, n. 27413/09, § 85, 16 gennaio 2018). La responsabilità dello Stato termina una volta che i procedimenti di esecuzione sono stati conclusi da un tribunale ai sensi della legislazione nazionale, (Shestakov c. Russia (dec), n. 48757/99, 18 giugno 2002).

8. Inoltre, e di particolare importanza nel caso di specie, la Corte ha ribadito che, laddove il debitore è un soggetto privato, lo Stato non può essere ritenuto responsabile a causa del mancato pagamento di un debito esecutivo causato dall’insolvenza di tale debitore «privato» (Sanglier c. Francia, n. 50342/99, § 39, 27 maggio 2003; Ciprová c. Repubblica Ceca (dec.), n. 33273/03, 22 marzo 2005; Cubanit c. Romania (dec.), n. 31510/02, 4 gennaio 2007; e Bozza c. Italia, sopra citate).

9. Applicando tali principi ai fatti della causa di specie, arriviamo alla conclusione che, in effetti, non è stata emessa alcuna «sentenza» contro lo Stato dai tribunali nazionali italiani. Sulla base della prove presentate dinanzi alla Corte, risulta evidente che è stato nei procedimenti contro la società privata, allora Padana Appalti S.p.A., che il tribunale di primo grado di Livorno (paragrafo 15), e successivamente la corte di appello di Firenze (paragrafo 18), ha stabilito che la società privata era responsabile del pagamento al ricorrente dell’indennizzo ammontante a un totale di 621,020.54 EUR (“in accoglimento della domanda proposta da Franco Arnaboldi, condanna l’appellante al pagamento della somma di € 87,676.23 a titolo di risarcimento del danno per l’illegittima privazione del diritto di proprietà, € 532,995.80 a titolo di risarcimento del danno arrecato alla residua proprietà dell’Arnaboldi, € 348.51 a titolo di indennizzo per l’espropriazione e per il periodo di occupazione legittima”).

10. In effetti, come indicato nella sentenza (paragrafo 22), quando, nel 2011, il ricorrente ha presentato ricorso al tribunale amministrativo della Toscana per ricevere l’indennizzo dallo Stato, tale ricorso è stato rigettato con la motivazione che l’ordinanza che imponeva a Padana Appalti S.p.A. di pagare un indennizzo non poteva gravare sullo Stato. Non risulta che il ricorrente abbia proposto un appello contro tale decisione; né che egli avesse precedentemente chiesto di unirsi allo Stato nel procedimento civile nei confronti di Padana Appalti S.p.A. al fine di ottenere una sentenza o una ordinanza (ugualmente) esecutiva contro lo Stato.
11. Tale decisione, tuttavia, mina in modo sostanziale i principi sui quali la maggioranza cerca di costruire la constatazione di una violazione dell’articolo 6, visto che conferma che (anche se poteva esserci stata, in punto di diritto, un’astratta e concorrente responsabilità dello Stato) non vi era, in punto di diritto interno, alcuna «sentenza» contro lo Stato italiano (in una qualunque sua emanazione) in relazione alla quale tale Stato poteva essere ritenuto responsabile della sua mancata esecuzione.

12. Era il fatto che la società privata, nei confronti della quale vi era una sentenza definitiva, fosse in amministrazione controllata e non avesse fondi sufficienti ad onorare il debito che aveva nei confronti del ricorrente che ha portato alla mancata esecuzione della sentenza della corte di appello di Firenze. Applicando la costante giurisprudenza della Corte, lo Stato italiano, pertanto, non può essere ritenuto responsabile ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione, di tale mancato pagamento di un debito esecutivo causato dall’insolvenza di quel debitore «privato».

C. Articolo 1 del Protocollo n. 1

13. Ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, con riferimento alla sentenza Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 59, Serie A n. 301 B, la maggioranza identifica la relativa «proprietà» ai fini dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 nel risarcimento derivante dalla sentenza della corte di appello di Firenze.

14. Tuttavia, nel paragrafo 59 della sentenza Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis, la Corte chiarisce che, al fine di determinare se il ricorrente abbia una «proprietà» ai fini dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, occorre accertare se la sentenza interna abbia fatto sorgere un debito in capo allo Stato e a favore del ricorrente che sia sufficientemente fondato per essere esecutivo.

15. Per i motivi sopra esposti, appare evidente che non vi era un tale risarcimento esecutivo in capo allo Stato capace di equivalere a una «proprietà» ai fini dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

16. Ciò detto, è anche evidente che il terreno del ricorrente in questione equivaleva a una «proprietà» e che, come ratificato dai giudici nazionali, il ricorrente è stato privato della stessa (paragrafo 15). Di conseguenza, l’articolo 1 del Protocollo n. 1 è chiaramente applicabile.

17. In base a una giurisprudenza costante, la Corte ha ritenuto che una interferenza con il rispetto dei beni deve trovare un «giusto equilibrio» tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e i requisiti della tutela dei diritti fondamentali della persona. La preoccupazione di raggiungere tale equilibrio è riflessa nella struttura stessa dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, compreso pertanto il secondo paragrafo, che deve essere letto alla luce del principio generale enunciato nel primo. In particolare, vi deve essere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito da ogni misura che priva una persona della sua proprietà. I termini di indennizzo sono l’oggetto della valutazione sul rispetto del requisito del giusto equilibrio della misura contestata e, in particolare, sulla proporzionalità dell’onere imposto ai ricorrenti. A tale proposito, l’occupazione di una proprietà senza il pagamento di un importo ragionevolmente collegato al suo valore costituirebbe normalmente una interferenza sproporzionata e, solo in circostanze eccezionali, una totale mancanza di indennizzo potrebbe essere considerata giustificabile ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (I santi monasteri c. Grecia, sentenza del 9 dicembre 1994, serie A n. 301-A, pp. 34-35, §§ 70-71; Pressos Compania Naviera S.A. e altri c. Belgio, sentenza del 20 novembre 1995, Series A n. 332, p. 23, § 38; e Pincová e Pinc c. Repubblica Ceca, n. 36548/97, § 52, CEDU 2002 VIII).

18. Nel caso di specie, i giudici nazionali hanno determinato chiaramente l’importo dell’indennizzo che il ricorrente avrebbe dovuto ricevere e, per i motivi esposti nei paragrafi 58-62 della sentenza, non spetta a noi andare oltre tali determinazioni. Inoltre, né loro né il governo italiano dinanzi a questa Corte hanno identificato circostanze eccezionali che giustificherebbero che il ricorrente venisse lasciato senza l’indennizzo disposto e ancor meno senza alcun indennizzo. Il ricorrente era pertanto evidentemente lasciato a sostenere un onere individuale ed eccessivo che ha perturbato il giusto equilibrio che avrebbe dovuto essere mantenuto tra le esigenze dell’interesse generale da un lato e la tutela del diritto al rispetto dei suoi beni dall’altro.

19. È su questa base che concordiamo con la maggioranza nel rilevare la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.