Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 14 febbraio 2019 - Ricorso n. 57433/15 - Causa Narjis contro Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.
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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA NARJIS c. ITALIA

(Ricorso n. 57433/15)
 

SENTENZA

STRASBURGO

14 gennaio 2019

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Narjis c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Linos-Alexandre Sicilianos, presidente,
Ksenija Turković,
Guido Raimondi,
Krzysztof Wojtyczek,
Armen Harutyunyan,
Tim Eicke,
Gilberto Felici, giudici
e da Abel Campos, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 22 gennaio 2019,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi è un ricorso (n. 57433/15) proposto contro la Repubblica italiana da un cittadino marocchino, il sig. Mohamed Narjis («il ricorrente»), che ha adito la Corte l'11 novembre 2015 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2.  Il ricorrente è stato rappresentato dall'avvocato L. Neri, del foro di Milano. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.
3.  Il ricorrente sostiene che la sua espulsione verso il Marocco ha leso il suo diritto al rispetto della vita privata e familiare.
4.  Il 23 febbraio 2017 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

5.  Il ricorrente è nato nel 1979 e risiede in Marocco.
6.  Egli fece ingresso sul territorio italiano nel 1989 a seguito di ricongiungimento familiare. Suo padre aveva ottenuto un permesso di soggiorno come commerciante ambulante. Nel 1995 il ricorrente abbandonò la scuola e iniziò a fare uso di sostanze stupefacenti. Nel 1996 ottenne un permesso di soggiorno personale per motivi familiari. Dopo la morte del padre, nel 2009, l'attività fu rilevata dalla madre, poi da una delle sorelle del ricorrente. La famiglia risiedeva nella provincia di Milano.
7.  Il 16 gennaio 2010, mentre era detenuto a seguito di una condanna a un anno e 10 mesi di reclusione per rapina e lesioni, il ricorrente chiese il rinnovo del permesso di soggiorno come lavoratore subordinato in attesa di occupazione, che aveva ottenuto nel novembre 2000 ed era scaduto nel novembre 2001.
8.  La richiesta fu respinta dal questore di Milano il 17 marzo 2010. Il provvedimento indicava che il ricorrente costituiva una minaccia per la società viste le numerose condanne penali che aveva subito dal 1994 per una serie di reati contro la persona e il patrimonio e le circa quaranta segnalazioni della polizia a suo carico. Nel provvedimento si sottolineava anche che, con ordinanza del 3 novembre 2009, il tribunale di sorveglianza di Milano aveva respinto l'istanza di affidamento terapeutico, in quanto il ricorrente era già stato condannato tre volte per evasione. Infine, nel provvedimento di diniego del rinnovo si segnalava che il ricorrente non aveva provato di aver svolto un qualsiasi lavoro a partire dal 2003.
9.  Dai documenti inseriti nel fascicolo dal ricorrente risulta che quest'ultimo ha beneficiato di alcuni contratti di lavoro temporaneo nel 2001 e nel 2002, sebbene il suo libretto di lavoro, rilasciato nel 1998, non contenga alcuna menzione.
10.  Il 31 maggio 2010 il ricorrente impugnò questa decisione dinanzi al tribunale amministrativo della Regione Lombardia (il «TAR»).
11.  Il 3 luglio 2010 il prefetto di Milano ordinò l'espulsione del ricorrente dal territorio nazionale. Questa decisione fu contestata dal ricorrente dinanzi al giudice di pace di Milano, l'8 luglio 2010.
12.  Nella stessa data, il questore di Milano rilevò l'impossibilità di procedere immediatamente all'espulsione del ricorrente per i seguenti motivi: il ricorrente non era in possesso di un passaporto valido; era necessario effettuare una ulteriore verifica della sua identità; non era disponibile alcun mezzo di trasporto adeguato. Di conseguenza, ordinò il trasferimento del ricorrente presso il Centro di Identificazione ed Espulsione («C.I.E.») di Milano.
13.  Il 6 luglio 2010 il TAR dispose la sospensione della decisione di non rinnovare il permesso di soggiorno del ricorrente e di tutti gli atti connessi, ritenendo che, nell'esame della situazione del ricorrente, le autorità di polizia non avessero tenuto conto dei suoi legami familiari e della durata del suo soggiorno in Italia, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte.
14.  Il 20 luglio 2010 il questore di Milano adottò un nuovo provvedimento con cui negava il rinnovo del permesso di soggiorno dopo un accurato esame della situazione del ricorrente alla luce delle indicazioni del TAR e dell'articolo 8 della Convenzione. Nel provvedimento segnalava che il ricorrente non era sposato e non aveva figli in Italia e che, viste le numerose condanne e la sua propensione a commettere reati gravi, costituiva un pericolo per la società.
La decisione evidenziava, ancora una volta, che non risultavano dei periodi lavorativi tali da consentire il rilascio al ricorrente di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Il fatto che il ricorrente non lavorasse e non disponesse di alcun reddito legittimo non consentiva, inoltre, di ritenere che la sua presenza sul territorio italiano fosse necessaria per provvedere al sostentamento di sua madre e delle sue due sorelle, tutte e tre in possesso di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro, nonché di suo fratello, anch'egli destinatario di un provvedimento di espulsione per traffico di droga, furto e lesioni.
15.  Il 22 luglio 2010 il ricorrente presentò un ricorso per motivi aggiunti al TAR.
16.  In data 23 luglio 2010 il giudice di pace di Milano sospese il procedimento avviato dal ricorrente l'8 luglio 2010, in attesa della definizione del giudizio pendente innanzi al TAR.
17.  Il 10 agosto 2010 il ricorrente poté lasciare il C.I.E. a seguito di una decisione del giudice di pace di Milano del 31 luglio 2010. Fu immediatamente arrestato per rapina e condannato dal tribunale di Milano a quattro mesi di detenzione. Al momento della sua uscita dal carcere di Alba, il 9 dicembre 2010, gli fu notificato un nuovo decreto di espulsione firmato dal prefetto di Cuneo e fu rinviato al C.I.E. di Milano.
18.  Il ricorrente impugnò il nuovo decreto di espulsione dinanzi al giudice di pace di Cuneo. Nel suo ricorso riconobbe la gravità dei reati per i quali era stato condannato, compresi quelli commessi quando era minorenne.
19.  Il 9 maggio 2011 il giudice di pace di Cuneo sospese il procedimento in attesa della decisione del TAR precisando che il decreto di espulsione rimaneva esecutivo. Nel frattempo, il ricorrente aveva lasciato il territorio italiano per recarsi in Marocco.
20.  Il 14 febbraio 2012 il TAR respinse il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti del ricorrente in quanto, a seguito della sua decisione del 6 luglio 2010, la questura si era conformata a quanto prescritto dall'articolo 8 della Convenzione, bilanciando i diversi interessi in gioco e tenendo debitamente conto della durata del soggiorno del ricorrente in Italia, della sua posizione familiare e dei legami sociali da lui stabiliti nel paese.
21.  Il ricorrente impugnò tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato che, dopo aver esso stesso proceduto ad un esame approfondito della situazione del ricorrente e ad una ponderazione dei diversi interessi in gioco, riferendosi esplicitamente all'art. 8 della Convenzione, lo respinse con sentenza del 9 aprile 2015, depositata in cancelleria il 25 maggio dello stesso anno.
22.  La copia del casellario giudiziale del ricorrente, inserita nel fascicolo, contiene 19 iscrizioni. Di conseguenza, risulta che, oltre alle condanne subite quando era minorenne, il ricorrente è stato condannato in età adulta per furto, tentato furto, furto aggravato, rapina, ricettazione, detenzione e porto abusivo di armi, evasione, furto con uso di violenza, furto in abitazione, resistenza a pubblico ufficiale.
23.  Il 20 aprile 2016 fu emesso un nuovo avviso di ricerca nei confronti del ricorrente a seguito di una condanna a quattro anni e sette mesi di detenzione per ricettazione. Il ricorrente si trova ancora in Marocco.

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

24.  Il decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286/98, recante il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (di seguito il «Testo Unico»), come redatto all'epoca dei fatti, recita:
Articolo 4
Ingresso nel territorio dello Stato
«(...)
3. Ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 4, l'Italia, in armonia con gli obblighi assunti con l'adesione a specifici accordi internazionali, consentirà l'ingresso nel proprio territorio allo straniero che dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza.
(...)
Non è ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi tali requisiti o che sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato (…) o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale (…)»
Articolo 5
Permesso di soggiorno
«1.  Possono soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri entrati regolarmente ai sensi dell'articolo 4, che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno rilasciati e in corso di validità a norma del presente testo unico o che siano in possesso di permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all'Unione Europea, nei limiti ed alle condizioni previsti da specifici accordi.
(...)
3-bis.  Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato a seguito della stipula del contratto di soggiorno per lavoro di cui all’articolo 5-bis. La durata del relativo permesso di soggiorno per lavoro è quella prevista dal contratto di soggiorno e comunque non può superare:
(…)
b) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, la durata di un anno;
(...)
4.  Il rinnovo del permesso di soggiorno è richiesto dallo straniero al questore della provincia in cui dimora, almeno sessanta giorni prima della scadenza, ed è sottoposto alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal presente testo unico.
Fatti salvi i diversi termini previsti dal presente testo unico e dal regolamento di attuazione, il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con rilascio iniziale.
(...)
5.  Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili. Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale.
5-bis.  Nel valutare la pericolosità dello straniero per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato (…) ai fini dell'adozione del provvedimento di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, si tiene conto anche di eventuali condanne per i reati previsti dagli articoli 380, commi 1 e 2, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero per i reati di cui all'articolo 12, commi 1 e 3.»
Articolo 13
« 1.  Per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell’Interno può disporre l'espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri.
2.  L’espulsione è disposta dal Prefetto quando lo straniero:
a)  è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera (...);
b)  si è trattenuto nel territorio dello Stato senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo. (...)»

IN DIRITTO

I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

25.  Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente afferma che la sua espulsione verso il Marocco ha comportato la violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e famigliare, in quanto è stato obbligato a lasciare la madre, il fratello e le sorelle residenti in Italia. Tale articolo recita:
«1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (…).
2.  Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

A.  Sulla ricevibilità

26.  Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Le tesi delle parti

a)  Il ricorrente

27.  Il ricorrente rammenta che, avendo passato la maggior parte della sua vita in Italia, è in questo paese, e non in Marocco, che sono stati allacciati tutti i suoi legami famigliari e sociali. Egli considera che le autorità italiane non abbiano tenuto sufficientemente conto di questo elemento nell’esercizio del bilanciamento dei diversi interessi in gioco richiesto dalla giurisprudenza della Corte.
28.  Il ricorrente riferisce, inoltre, che la maggior parte dei reati per i quali è stato condannato sono stati commessi quando era minorenne, sotto l’effetto della cocaina, e che egli non ha mai pregiudicato l’integrità delle persone. Di conseguenza, i delitti dei quali si è reso colpevole, e di cui ammette comunque la gravità, non avrebbero dovuto portare le autorità italiane a far prevalere l’interesse dello Stato alla tutela della sicurezza nazionale sul suo diritto alla tutela della sua vita privata e famigliare.
29.  Infine, il ricorrente sottolinea che non ha subito alcuna condanna per fatti commessi dopo la presentazione del presente ricorso e che l'avviso di ricerca emesso il 20 aprile 2016 (paragrafo 23 supra) si riferisce a un cumulo di condanne per fatti commessi nel 2006 e nel 2008.

b)  Il Governo

30.  Il Governo rammenta che, nelle loro decisioni di non rinnovare il permesso di soggiorno del ricorrente, prima le autorità di polizia e poi i tribunali, hanno attentamente valutato gli interessi in gioco e hanno legittimamente concluso che, visto il numero considerevole di condanne penali del ricorrente e la sua tendenza alla recidiva e a non integrarsi nella società italiana, le considerazioni legate alla tutela dell’ordine pubblico dovevano prevalere su quelle relative alla vita privata e famigliare del ricorrente.
Il Governo sottolinea che il ricorrente è stato arrestato e condannato per reati gravi anche dopo aver presentato il suo ricorso avverso il decreto di espulsione, il che rifletterebbe una «personalità criminale» incapace di ravvedimento.
31.  Inoltre, il Governo non contesta che il ricorrente sembri non avere legami particolari con il suo paese di origine, il Marocco.
32.  Sottolinea infine che il ricorrente ha lasciato l’Italia per sfuggire al carcere e che, se dovesse farvi ritorno, sarebbe immediatamente arrestato e incarcerato in virtù dell'avviso di ricerca del 20 aprile 2016 (paragrafi 23 e 29 supra).

2.  La valutazione della Corte

a)  Ingerenza nel diritto tutelato dall’articolo 8

33. La Corte rammenta che la Convenzione non sancisce alcun diritto per uno straniero di entrare o risiedere sul territorio di uno Stato. Tuttavia, escludere una persona da un paese in cui vivono i suoi parenti può costituire un’ingerenza nel diritto al rispetto della sua vita famigliare, tutelato dall’articolo 8 § 1 della Convenzione (Moustaquim c. Belgio, 18 febbraio 1991, § 16, serie A n. 193).
34.  La Corte osserva inoltre che, nella sua giurisprudenza, essa ha esaminato l’espulsione di residenti di lunga data sia dal punto di vista della «vita privata» che da quello della «vita famigliare», e che su questo piano è accordata una certa importanza al livello di integrazione sociale degli interessati (si veda, ad esempio, la sentenza Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998, §§ 42 45, Recueil des arrêts et décisions 1998-I).
35.  Inoltre, la Corte rammenta che non tutti gli immigrati stabilmente insediati, indipendentemente dalla durata della loro residenza nel paese da cui dovrebbero esser espulsi, hanno necessariamente una «vita famigliare» nel senso dell’articolo 8. Tuttavia, dal momento che l’articolo 8 tutela anche il diritto di allacciare e intrattenere legami con i propri simili e con il mondo esterno, e comprende a volte alcuni aspetti dell’identità sociale di un individuo, si deve accettare che tutti i rapporti sociali tra gli immigrati stabilmente insediati e la comunità nella quale vivono faccia parte integrante della nozione di «vita privata» ai sensi dell’articolo 8. Indipendentemente dall’esistenza o meno di una «vita famigliare», l’espulsione di uno straniero stabilmente insediato si traduce in una violazione del suo diritto al rispetto della sua vita privata. In funzione delle circostanze della causa che deve esaminare, la Corte deciderà se sia opportuno porre l’accento sull’aspetto «vita famigliare» piuttosto che sull’aspetto «vita privata» (Üner c. Paesi Bassi [GC], n. 46410/99, § 59, CEDU 2006-XII).
36.  Nella fattispecie, la Corte ritiene che, a causa della lunghissima durata del soggiorno del ricorrente in Italia (venti anni), il rifiuto di rinnovargli il permesso di soggiorno e la decisione di allontanarlo dal territorio italiano costituiscono una ingerenza nel suo diritto al rispetto della vita «privata» (Hasanbasic c. Svizzera, n. 52166/09, § 49, 11 giugno 2013 e K.M. c. Svizzera, n. 6009/10, § 47, 2 giugno 2015).
37.  Invece, considerato che il ricorrente non è né minorenne né un «giovane adulto» (a contrario, Maslov c. Austria [GC], n. 1638/03, § 62, CEDU 2008), ma un adulto di 39 anni, non sposato, senza figli, e che non ha dimostrato l’esistenza di ulteriori elementi di dipendenza, al di là di normali legami affettivi, rispetto alla madre, alle sorelle e al fratello, tutti adulti, la Corte non esaminerà la sua doglianza dal punto di vista della vita «famigliare» (Slivenko c. Lettonia [GC], n. 48321/99, § 97, CEDU 2003 X).

b)  Giustificazione dell’ingerenza

38.  Tale ingerenza viola la Convenzione se non soddisfa le esigenze di cui al paragrafo 2 dell’articolo 8. Si deve dunque stabilire se essa fosse «prevista dalla legge», giustificata da uno o più scopi legittimi rispetto a detto paragrafo, e «necessaria in una società democratica».

i.  «Prevista dalla legge»

39.  Non viene contestato che il rifiuto di rinnovare il permesso di soggiorno del ricorrente e l’obbligo di lasciare il territorio italiano fossero previsti dalla legge. La Corte osserva inoltre che le disposizioni pertinenti del Testo unico (paragrafo 24 supra) sono sufficientemente chiare e precise.

ii.  Scopo legittimo

40.  Non è nemmeno contestato che l’ingerenza in questione perseguisse degli scopi pienamente compatibili con la Convenzione, ossia in particolare «la difesa dell’ordine» e la «prevenzione dei reati».

iii.  Necessità della misura in una società democratica

α)  Principi generali

41.  La questione fondamentale da definire nel caso di specie è se l’ingerenza fosse «necessaria in una società democratica». I principi fondamentali per quanto riguarda l’espulsione di una persona che ha trascorso un tempo considerevole in un paese ospitante da cui dovrebbe essere espulsa in seguito alla perpetrazione di illeciti penali sono ben consolidati nella giurisprudenza della Corte (si veda in particolare Üner, sopra citata, §§ 54-55 e 57-58; Maslov c. Austria [GC] (n. 1638/03, §§ 68 76, CEDU 2008; e K.M. c. Svizzera, sopra citata). Nella causa Üner, la Corte ha avuto occasione di sintetizzare i criteri che devono guidare i giudici nazionali in tali cause (§§ 57 e segg.):

  • la natura e la gravità del reato commesso dal ricorrente;
  • la durata del soggiorno dell’interessato nel paese da cui deve essere espulso;
  • il tempo trascorso da quando è stato commesso il reato e la condotta del ricorrente durante tale periodo;
  • la nazionalità delle varie persone interessate;
  • la situazione famigliare del ricorrente e, se del caso, la durata del suo matrimonio, e altri fattori che attestano l’effettività di una vita famigliare all’interno della sua unione;
  • la questione se il coniuge fosse a conoscenza del reato all’epoca della creazione del legame famigliare;
  • la questione se dal matrimonio siano nati dei figli e, in tal caso, la loro età;
  • la gravità delle difficoltà che il coniuge rischia di incontrare nel paese verso il quale il ricorrente deve essere espulso;
  • l’interesse e il benessere dei figli, in particolare la gravità delle difficoltà che i figli del ricorrente possono incontrare nel paese verso il quale l’interessato deve essere espulso; e
  • la solidità dei legami sociali, culturali e famigliari con il paese ospitante e con il paese di destinazione.

42.  La Corte rammenta anche che le autorità nazionali godono di un certo margine di apprezzamento per pronunciarsi sulla necessità, in una società democratica, di una ingerenza nell’esercizio di un diritto tutelato dall’articolo 8 e sulla proporzionalità della misura in questione rispetto allo scopo legittimo perseguito (Slivenko, sopra citata, § 113). Tale margine di apprezzamento va di pari passo con un controllo europeo che riguarda nel contempo la legge e le decisioni che la applicano, anche quando queste provengono da un organo indipendente (si veda Maslov, sopra citata, § 76). La Corte è dunque competente per decidere in ultima istanza sulla questione se una misura di allontanamento di una persona possa conciliarsi con l’articolo 8 e, in particolare, se sia necessaria in una società democratica, ossia giustificata da un bisogno sociale imperioso e proporzionata allo scopo legittimo perseguito (Mehemi c. Francia, 26 settembre 1997, § 34, Recueil 1997-VI; Dalia, sopra citata, § 52; Boultif c. Svizzera, n. 54273/00, § 46, CEDU 2001 IX).
43.  Ciò premesso, l’obbligo di un «controllo europeo» non significa che, quando è chiamata a determinare se una misura controversa abbia garantito un giusto equilibrio tra gli interessi coesistenti, la Corte debba necessariamente valutare nuovamente la proporzionalità della violazione dei diritti sanciti dall’articolo 8. Al contrario, nelle cause che trattano l’articolo 8, la Corte considera generalmente che, dal momento che i giudici interni hanno accuratamente esaminato i fatti in maniera assolutamente indipendente e imparziale, che hanno applicato, nel rispetto della Convenzione e della sua giurisprudenza, le norme applicabili in materia di diritti umani e che hanno garantito un giusto equilibrio tra gli interessi personali del ricorrente e l’interesse generale, essa non deve sostituire la propria valutazione del merito della causa (in particolare, la propria valutazione degli elementi di fatto relativi alla questione della proporzionalità) a quella delle autorità nazionali competenti. L’unica eccezione a questa regola è costituita dai casi in cui è dimostrato che sussistono ragioni serie per derogarvi (Ndidi c. Regno Unito, n. 41215/14, § 76, 14 settembre 2017).

β)  Applicazione dei principi sopra menzionati al caso di specie

44.  La Corte osserva che il casellario giudiziale del ricorrente riporta una serie di condanne definitive per fatti gravi quali furto aggravato, furto in abitazione, rapina, furto con uso di violenza, vari fatti di ricettazione, porto abusivo d’armi ed evasione (paragrafo 22, supra), che denotano, come indicano i giudici nazionali e il Governo, una evidente e sempre maggiore tendenza alla recidiva.
Anche dopo essere stato oggetto di un primo provvedimento di espulsione, motivato precisamente dalla sua tendenza alla recidiva, il ricorrente è stato nuovamente arrestato, all'uscita dal C.I.E. di Milano, e ancora una volta condannato per furto aggravato (paragrafo 17, supra).
45.  È vero che il ricorrente ha soggiornato in Italia da molto tempo con la madre, le sue due sorelle e il fratello.
46.  Non viene messo in discussione nemmeno che, all’epoca dei fatti, pur avendo trascorso la maggior parte della sua infanzia in Marocco, prima di raggiungere suo padre in Italia, all’età di dieci anni, il ricorrente non sembrava avere particolari legami con il suo paese, oltre alla sua cultura e nazionalità.
47.  Ciò premesso, la Corte rammenta che il ricorrente è un adulto di 39 anni, non sposato, senza figli e senza particolari legami di dipendenza rispetto alla sua famiglia (paragrafo 38, supra).
48.  Inoltre, alla luce del suo percorso delittuoso, dell’uso corrente di stupefacenti e della sua apparente incapacità di integrarsi nel mondo del lavoro, le autorità italiane potevano legittimamente dubitare della solidità dei suoi legami sociali e culturali nel paese ospitante.
Del resto, la Corte osserva che, come indica il Governo, se il ricorrente dovesse tornare in Italia, sarebbe immediatamente arrestato e incarcerato per scontare una pena di quattro anni e sette mesi di reclusione per il reato di ricettazione (paragrafi 23 e 29 supra).
49.  La Corte osserva che il Consiglio di Stato, in una sentenza abbondantemente motivata, che non rivela alcuna traccia di arbitrarietà e si riferisce espressamente all’articolo 8 della Convenzione, ha tenuto conto di tutte queste circostanze per bilanciare l’interesse del ricorrente alla tutela della sua vita privata con l’interesse dello Stato alla salvaguardia dell’ordine pubblico, in applicazione dei criteri stabiliti dalla Corte (paragrafo 41, supra).
50.  La sentenza suddetta fu pronunciata in seguito a un lungo procedimento nel corso del quale il TAR di Milano, esercitando pienamente il suo ruolo di giudice convenzionale, aveva una prima volta sospeso la decisione di non rinnovare il titolo di soggiorno del ricorrente, considerando che le autorità di polizia non avessero compiuto un esercizio sufficiente di bilanciamento dei diversi interessi in gioco, come esigeva la giurisprudenza della Corte (paragrafo 13, supra).
In un secondo momento, il 14 febbraio 2012, il TAR aveva considerato che le autorità di polizia, in applicazione della sua prima decisione, si fossero conformate alle esigenze dell’articolo 8 della Convenzione, procedendo al bilanciamento dei diversi interessi in gioco e tenendo debitamente conto della durata del soggiorno del ricorrente in Italia, della sua posizione famigliare e dei legami sociali che egli aveva intessuto nel paese (paragrafo 20, supra).
51.  In queste circostanze, la Corte non vede alcun motivo serio che la porti a sostituire la propria opinione a quella dei giudici interni (Ndidi sopra citata, § 81 e Levakovic c. Danimarca, n. 7841/14, § 45, 23 ottobre 2018).
52.  Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte conclude che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

LA CORTE, ALL’UNANIMTÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
     
  2. Dichiara che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 14 febbraio 2019, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Abel Campos  
Cancelliere    

Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente