Sentenza Corte Europea dei Diritti dell'Uomo 12 gennaio 2010 - Ricorso n. 24421/03 - Mole c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Martina Scantamburlo  

Abstract
EQUO PROCESSO - RICORSI PROMOSSI DAVANTI ALLE AUTORITA' GIUDIZIARIE AVVERSO I PROVVEDIMENTI ADOTTATI AI SENSI DELL'ART. 41-BIS DELLA L. N. 354/1975 - INAMMISSIBILITA' PER MANCANZA DI INTERESSE 

La Corte, dopo avere respinto, perché manifestamente infondati, i motivi di ricorso relativi alla violazione degli artt. 3 e 8 della Convenzione, ha ribadito che la mancanza di qualsiasi decisione sul merito dei ricorsi promossi avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 41-bis della l. n. 354/1975, annullando l’effetto del controllo giurisdizionale sui provvedimenti medesimi, costituisce violazione del diritto ad un equo processo, sotto il profilo del diritto all’esame del merito dei ricorsi, tutelato dall’art. 6, par. 1, della Convenzione (analogamente, v. Enea c. Italia [GC], n. 74912/01, 17 settembre 2009). Nella fattispecie, la violazione dell’articolo 6, par. 1, è scaturita da una decisione di rigetto per perdita di interesse all’esame del reclamo, a causa dello scadere del termine di validità del decreto ministeriale impugnato. Il Governo aveva affermato che il fatto di aver superato il termine di dieci giorni previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario non poteva essere considerato un’omissione al dovere di controllo giurisdizionale. Il tribunale di sorveglianza avrebbe comunque deliberato entro termini ragionevoli, tenuto conto del tempo necessario per l’istruzione delle cause, ed il ritardo nella risposta non avrebbe causato un diniego di accesso ad un tribunale. La Corte ha tuttavia ritenuto di non doversi discostare dal suo precedente orientamento giurisprudenziale, osservando che il 19 giugno 2002 il ricorrente aveva presentato un reclamo avverso il decreto del 17 giugno 2002 e che con decisione in data 21 marzo 2003 il tribunale di sorveglianza aveva respinto il reclamo in quanto il decreto in questione era scaduto. In occasione del precedente su menzionato, infatti, la Corte aveva osservato che se il semplice superamento di un termine legale certamente non costituisce una violazione del diritto garantito, tuttavia il tempo necessario per l'esame di un ricorso può minarne l'efficacia, e........”se la legge applicabile prevede per la decisione un termine di soli dieci giorni, da una parte è per la gravità degli effetti del regime speciale sui diritti del detenuto e, dall'altra parte, per la limitata validità temporale della decisione impugnata” (v. i §§ 82 e 83 della pronuncia Enea c. Italia, nonché la sentenza Viola c. Italia, n. 8316/02, § 55, 29 giugno 2006).


CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA MOLE c. ITALIA
(Ricorso n. 24421/03)
SENTENZA
STRASBURGO - 12 gennaio 2010

Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrà subire alcune lievi modifiche formali.
 
Nella causa Mole c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nona Tsotsoria,
Kristina Pardalos, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio l’8 dicembre 2009, Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

IL PROCEDIMENTO

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 24421/03) presentato contro la Repubblica italiana e con cui un cittadino di tale Stato, il sig. Girolamo Mole («il ricorrente»), ha adito la Corte il 20 giugno 2003 in applicazione dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. Il ricorrente è rappresentato dall’avv. C. De Filippi del foro di Parma. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, N. Lettieri.
3. Il 9 ottobre 2007 il presidente della seconda sezione ha deciso di informare il Governo del ricorso. Come consente l’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato inoltre deciso di esaminare nel contempo la ricevibilità e il merito della causa.

IN FATTO

I.    LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. Il ricorrente è nato nel 1961 ed è residente a Parma.

1.    Il regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis della legge sull’ordinamento penitenziario.

5. Il ricorrente sta scontando una pena dell’ergastolo per omicidio e altri reati legati alle attività di un’associazione per delinquere di tipo mafioso.
6. Il 16 dicembre 1997 il ministro della Giustizia adottò un decreto che imponeva al ricorrente – considerato estremamente pericoloso –, per un periodo di un anno, il regime di detenzione speciale previsto dall’articolo 41bis, comma 2, della legge sull’ordinamento penitenziario – n. 354 del 26 luglio 1975 («la legge n. 354/1975»). Modificata dalla legge n. 356 del 7 agosto 1992, tale disposizione permetteva la sospensione totale o parziale dell’applicazione del regime normale di detenzione per motivi di ordine e sicurezza pubblici. Il decreto imponeva le seguenti restrizioni:

  • limitazione delle visite dei famigliari (al massimo uno al mese della durata di un’ora);
  • divieto di incontrare terze persone;
  • divieto di utilizzare il telefono, ad eccezione di una chiamata al mese alla famiglia, ascoltata e registrata, qualora la visita mensile dei famigliari non abbia avuto luogo;
  • divieto di ricevere o di inviare all’esterno somme di denaro superiori ad un determinato importo;
  • divieto di ricevere più di due pacchi al mese ma possibilità di riceverne due all’anno contenenti biancheria;
  • divieto di eleggere rappresentanti dei detenuti e di essere eletto come rappresentante;
  • divieto di esercitare attività artigianali;
  • divieto di organizzare attività culturali, ricreative e sportive;
  • limitazione della passeggiata a due ore al giorno.

7. Inoltre, tutta la corrispondenza del ricorrente doveva essere sottoposta a controllo previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
8. L’applicazione del regime speciale di detenzione fu in seguito prorogata per periodi di sei mesi fino al mese di dicembre 2004. Tuttavia, con decreto in data 17 dicembre 1998, fu soppressa la limitazione della passeggiata.
9. Il ministro della Giustizia considerò che le restrizioni imposte fossero necessarie tenuto conto delle informazioni raccolte, che facevano presumere che il ricorrente avesse mantenuto contatti con l’ambiente criminale da cui proveniva, contatti che avrebbe potuto utilizzare per dare istruzioni o creare legami con il mondo esterno tali da turbare l’ordine pubblico e la sicurezza degli istituti penitenziari.
10. Il 19 giugno 2002 e il 30 dicembre 2002 il ricorrente propose reclamo avverso i decreti ministeriali rispettivamente del 17 giugno 2002 e del 28 dicembre 2002 dinanzi al tribunale di sorveglianza di Bologna. Egli contestava l’applicazione del regime speciale e chiedeva che fossero soppresse le relative restrizioni.
11. Con decisione in data 21 marzo 2003 il magistrato di sorveglianza dichiarò inammissibile il reclamo avverso il decreto del 17 giugno 2002, in quanto il periodo di applicazione dello stesso era scaduto, e respinse il reclamo avverso il decreto del 28 dicembre 2002 in quanto sussistevano le condizioni per l’applicazione del regime 41bis alla luce delle informazioni raccolte dalla polizia e dalle autorità giudiziarie sul conto del ricorrente. Il ricorrente non presentò ricorso per cassazione.

2.    Il controllo della corrispondenza del ricorrente

12. Dai decreti ministeriali risulta che la corrispondenza del ricorrente fu sottoposta al controllo delle autorità penitenziarie a partire dall’applicazione del regime previsto dall’articolo 41bis, previa autorizzazione dei magistrati di sorveglianza.
Il ricorrente ha prodotto varie note dell’amministrazione penitenziaria attestanti l’avvenuto controllo della corrispondenza con la sua famiglia e il suo avvocato. Le date di tali note sono comprese tra il 5 gennaio 2001 e il 2 ottobre 2002.

II.    IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

13. La Corte ha riassunto il diritto e la prassi interni pertinenti per quanto riguarda il regime speciale di detenzione applicato nel caso di specie e il controllo della corrispondenza nella sua sentenza Enea c. Italia ([GC], n. 74912/01, §§ 30-42, 17 settembre 2009). Essa ha anche menzionato le modifiche introdotte dalla legge n. 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge n. 95 dell’8 aprile 2004 (ibidem).
Tenuto conto di questa riforma e delle decisioni della Corte, la Corte di cassazione si è discostata dalla propria giurisprudenza e ha affermato che un detenuto ha interesse a ottenere una decisione, anche se il periodo di validità del decreto impugnato è scaduto, e ciò a causa degli effetti diretti della decisione sui decreti posteriori a quello impugnato (Corte di cassazione, prima sezione, sentenza del 26 gennaio 2004, depositata il 5 febbraio 2004, n. 4599, Zara).

IN DIRITTO

I.    SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

14. Il ricorrente adduce che l’applicazione nei suoi confronti del regime di detenzione speciale, previsto dall’articolo 41bis della legge sull’ordinamento penitenziario, si traduce in un trattamento inumano e degradante contrario all’articolo 3 della Convenzione. Tale disposizione recita:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»
15. La Corte ricorda che, per ricadere nelle previsioni dell’articolo 3 della Convenzione, un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è per definizione relativa; essa dipende da tutti i dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento, dai suoi effetti fisici e mentali nonché, a volte, dal sesso, dall’età, dallo stato di salute della vittima, ecc. (Irlanda c. Regno Unito, sentenza del 18 gennaio 1978, serie A n. 25, p. 65, § 162).
16. In quest’ottica, la Corte deve cercare di stabilire se l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis – che, peraltro, dopo la riforma del 2002, è divenuta una disposizione permanente della legge sull’ordinamento penitenziario – per più di sette anni nel caso del ricorrente costituisca una violazione dell’articolo 3. Tuttavia, essa deve prescindere dalla natura del reato contestato al ricorrente, poiché il «divieto della tortura o delle pene o trattamenti inumani o degradanti è assoluto, quali che siano state le azioni della vittima» (Labita c. Italia [GC], n. 26772/95, § 119, CEDU 2000-IV).
17. La Corte ammette che, in generale, l’applicazione prolungata di alcune restrizioni può porre un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 3. Tuttavia, essa non può considerare una durata precisa come il momento a partire dal quale viene raggiunta la soglia minima di gravità per ricadere nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione. Invece, essa ha il dovere di controllare se, in un determinato caso, il rinnovo e la proroga delle restrizioni siano giustificati.
18. La Corte constata anzitutto che in tutti i casi il ministro della Giustizia ha fatto riferimento, per giustificare la proroga delle restrizioni, al persistere delle condizioni che avevano motivato la prima applicazione; inoltre, il tribunale di sorveglianza ha verificato la realtà di tali constatazioni (v. paragrafi 9 e 11).
Da parte sua, la Corte ritiene che questi argomenti non fossero arbitrari.
19. Infine, il ricorrente non ha fornito alla Corte elementi che le permettano di concludere che l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis gli abbia provocato effetti fisici o psichici che ricadono nelle previsioni dell’articolo 3. Pertanto, la sofferenza o l’umiliazione che il ricorrente ha potuto provare non sono andate oltre quelle che una determinata forma di trattamento – in questo caso prolungato – o di pena legittima inevitabilmente comportano (Labita, già cit., § 120, e Bastone c. Italia, (dec), n. 59638/00, 18 gennaio 2005).
20. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che il trattamento di cui il ricorrente è stato oggetto non abbia superato il livello inevitabile di sofferenza inerente la detenzione. Poiché non è stata raggiunta la soglia minima di gravità per ricadere nelle previsioni dell’articolo 3 della Convenzione, tale disposizione non è stata violata nella fattispecie.
21. Di conseguenza questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 § 4 della Convenzione.

II.    SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE PER QUANTO RIGUARDA LE RESTRIZIONI AL DIRITTO DI VISITA

22.    Il ricorrente si lamenta per la violazione del suo diritto al rispetto della sua vita famigliare a causa delle restrizioni alle quali è sottoposto. Egli invoca l’articolo 8 della Convenzione, ai sensi del quale:
«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (…) e della propria corrispondenza.
2. «Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (…) alla pubblica sicurezza, (…) alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, (…).»
23. La Corte ricorda che ha già dovuto esaminare la questione di stabilire se le restrizioni previste dall’applicazione dell’articolo 41bis in materia di vita privata e famigliare di alcuni detenuti costituiscano un’ingerenza giustificata dal paragrafo 2 dell’articolo 8 (v., tra le altre, la sentenza Enea, già cit., § 125).
24. Queste restrizioni mirano a troncare i legami esistenti tra l’interessato e il suo ambiente criminale di origine, al fine di minimizzare il rischio di veder utilizzare i contatti personali di questi detenuti con le strutture delle organizzazioni criminali di detto ambiente.
25. Prima dell’introduzione del regime speciale, molti detenuti pericolosi riuscivano a mantenere la loro posizione in seno all’organizzazione criminale alla quale appartenevano, a scambiare informazioni con gli altri detenuti e con l’esterno, e ad organizzare e far eseguire dei reati. In questo contesto, la Corte ritiene che, tenuto conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata, in particolare di tipo mafioso, e del fatto che spesso le visite famigliari hanno costituito il mezzo di trasmissione di ordini e istruzioni all’esterno, le restrizioni, sicuramente importanti, alle visite e i controlli che ne accompagnano lo svolgimento non possono essere considerate sproporzionate rispetto agli scopi legittimi perseguiti (ibidem, § 126).
26. In conclusione, la Corte ritiene che le restrizioni al diritto del ricorrente al rispetto della sua vita famigliare non sono andate oltre a ciò che, ai sensi dell’articolo 8 § 2, è necessario, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati. Pertanto, questo motivo di ricorso deve essere rigettato in quanto manifestamente infondato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

III.    SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE PER QUANTO RIGUARDA LE RESTRIZIONI AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA

27. Sempre ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, il ricorrente considera che l’ingerenza nel suo diritto al rispetto della sua corrispondenza non era prevista dalla legge.
28. Il Governo si oppone a questa tesi. Esso ricorda che il controllo della corrispondenza del ricorrente è stato ordinato in applicazione dell’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario. La Corte ha già ritenuto che questa disposizione non costituisse una base giuridica sufficiente ai sensi della Convenzione, poiché non indicava né la durata del controllo, né i motivi che potevano giustificarlo, né la portata e le modalità di esercizio del potere discrezionale delle autorità competenti.
29. Tuttavia, secondo il Governo, nelle circostanze particolari della presente causa, la Corte dovrebbe discostarsi dalla propria giurisprudenza. In effetti, le decisioni del magistrato di sorveglianza relative alla causa del ricorrente contenevano tutti gli elementi richiesti dai giudici europei e, benché fondate su una «legge non perfetta», non possono essere giudicate contrarie alla Convenzione.
30. La Corte considera che non è necessario esaminare la questione di stabilire se vi sia stata «ingerenza di una pubblica autorità» nell’esercizio del diritto del ricorrente al rispetto della sua corrispondenza e se tale ingerenza fosse «prevista dalla legge» poiché, in ogni caso, questa parte del ricorso è irricevibile per il seguente motivo.
31. Essa ricorda che i ricorrenti che adducono una violazione del loro diritto al rispetto della corrispondenza devono dimostrare le loro affermazioni fornendo la prova del fatto che la loro corrispondenza è stata effettivamente aperta dalle autorità (v., Gelsomino c. Italia (dec.), n. 2005/03, 3 maggio 2006; Enea, già cit., § 145). Nella fattispecie in esame, il ricorrente ha prodotto delle note emesse dall’amministrazione penitenziaria al più tardi il 2 ottobre 2002 (v. paragrafo 12 supra).
Poiché il ricorso è stato presentato il 20 giugno 2003, la Corte osserva che l’interessato non ha rispettato il termine di sei mesi fissato dalla Convenzione.
32. Di conseguenza questo motivo di ricorso è tardivo e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 §§ 1, 3 e 4 della Convenzione.

IV.    SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

33. Il ricorrente si lamenta per una restrizione subita nell’esercizio del suo diritto a un tribunale in quanto il suo reclamo avverso il decreto del 17 giugno 2002 non è stato esaminato nel merito dal tribunale di sorveglianza. Egli invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, la cui parte pertinente recita:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sia sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (…)».
34. Il Governo si oppone a questa tesi.

A.    Sulla ricevibilità

35. Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto il ricorrente non ha presentato ricorso per cassazione contro la decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna.
36. Il ricorrente contesta l'eccezione sollevata dal Governo.
37. La Corte constata, alla luce di tutti gli argomenti delle parti, che l’eccezione è strettamente legata al merito del ricorso e decide di unirla a quest’ultimo. La Corte constata che questa parte del ricorso non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non ricorre nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararla ricevibile.

B.    Sul merito

38. Secondo il ricorrente, la violazione dell’articolo 6 § 1 deriverebbe dalla decisione di rigetto per perdita di interesse all’esame del reclamo a causa dello scadere del termine di validità del decreto ministeriale impugnato.
39. Il Governo afferma che il fatto di aver superato il termine di dieci giorni previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario non può essere considerato un’omissione al dovere di controllo giurisdizionale. Il tribunale di sorveglianza avrebbe comunque deliberato entro termini ragionevoli, tenuto conto del tempo necessario per l’istruzione delle cause. Nella fattispecie, il ritardo nella risposta non avrebbe causato un diniego di accesso a un tribunale.
40. La Corte osserva che, il 19 giugno 2002, il ricorrente ha presentato un reclamo avverso il decreto del 17 giugno 2002. Con decisione in data 21 marzo 2003 il tribunale di sorveglianza Bologna ha respinto il reclamo in quanto il decreto in questione era scaduto (v. paragrafo 11 supra).
41. La Corte ha già giudicato più volte che l’assenza di decisioni sul merito svuota della sua sostanza il controllo esercitato dal giudice sui decreti del ministro della Giustizia (v., tra le altre, la sentenza Enea, già cit., § 82). Essa non vede motivi per discostarsi da questa giurisprudenza nel caso di specie.
42. Pertanto, l’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne non può essere accolta e vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

V.    SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

43. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
44. Il ricorrente non ha presentato domande di equa soddisfazione. Pertanto, la Corte non ritiene opportuno accordargli alcuna somma a questo titolo.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

1.    Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda il motivo relativo all’articolo 6 § 1 della Convenzione e irricevibile per il resto;

2.    Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 12 gennaio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise Elens-Passos   
CANCELLIERE

Françoise Tulkens
PRESIDENTE