Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 13 dicembre 2018 - Ricorso nn. 67944/13 - Causa Casa di cura Valle fiorita s.r.l. contro Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.
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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA CASA DI CURA VALLE FIORITA S.R.L. c. ITALIA

(Ricorso n. 67944/13)

SENTENZA

STRASBURGO

13 dicembre 2018

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Casa di Cura Valle Fiorita S.r.l. c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:

  • Linos-Alexandre Sicilianos, presidente,
  • Ksenija Turković,
  • Guido Raimondi,
  • Krzysztof Wojtyczek,
  • Armen Harutyunyan,
  • Pauliine Koskelo,
  • Jovan Ilievski, giudici,
  • e da Abel Campos, cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 20 novembre 2018,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 67944/13) presentato contro la Repubblica italiana con cui una società di diritto italiano, la Casa di Cura Valle Fiorita S.r.l. («la ricorrente»), ha adito la Corte il 21 ottobre 2013 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
  2. La ricorrente è stata rappresentata dall'avvocato N. Paoletti, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.
  3. Dinanzi alla Corte la ricorrente lamentava l'impossibilità di riprendere possesso del suo immobile occupato arbitrariamente da terzi.
  4. Il 4 gennaio 2017 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

  1. La ricorrente è una società a responsabilità limitata di diritto italiano con sede a Roma.
  2. È proprietaria di un fabbricato di circa 8.000 m2 situato a Roma che, tra il 1971 e il 2011, è stato utilizzato come clinica in virtù di rapporti convenzionali che si sono succeduti con l'ospedale pubblico San Filippo Neri.
  3. L'ultima convenzione con l'ospedale si concluse il 16 novembre 2011. L'edificio rimase quindi vuoto, ad eccezione di un appartamento abitato da una terza persona in base ad un contratto di comodato.
  4. Il 6 dicembre 2012 un centinaio di persone entrarono con la forza nell'immobile della ricorrente e si appropriarono dei locali. Lo stesso giorno, la ricorrente presentò una prima denuncia al procuratore della Repubblica segnalando la violazione del suo diritto di proprietà e chiedendo lo sgombero dei locali.
  5. Tra il 7 dicembre 2012 e il 1° luglio 2013 la ricorrente presentò altre undici denunce, allegando diversi documenti a riprova di quanto sostenuto. Il 12 giugno 2013 chiese anche il sequestro preventivo dell'immobile.
  6. In data 9 agosto 2013, il giudice per le indagini preliminari di Roma accolse la richiesta della procura in tal senso e dispose il sequestro preventivo dell'immobile rilevando che, dalle indagini eseguite a seguito della denuncia sporta dalla ricorrente, risultava che il bene era occupato da circa 150 persone e che la gestione dell'occupazione, che sarebbe rientrata nell'azione del movimento lotta per la casa, era organizzata e diretta da un gruppo ristretto di individui che agivano a scopi di lucro. Il giudice aggiunse che peraltro dall'inchiesta risultava che gli occupanti avevano cominciato a modificare i locali subito dopo l'occupazione installando tra l'altro cancellate volte a limitare l'accesso all'immobile. Di conseguenza il giudice ritenne che nel caso di specie fosse ipotizzabile il reato di occupazione abusiva di immobile sanzionato dall'articolo 633 del codice penale e che la prosecuzione dell'occupazione comportasse un rischio di degrado dell’edificio e un pregiudizio rilevante per la parte lesa.
  7. Il procuratore delegò alla Divisione Investigazioni generali e Operazioni speciali (Digos) l'esecuzione del sequestro. La Digos delegò poi questo compito al Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica (CPOSP) istituito presso ogni prefettura.
  8. Il 18 settembre 2014 la Digos presentò al procuratore della Repubblica una relazione sulla situazione dell'immobile della ricorrente. In tale rapporto indicava che, nel corso degli anni precedenti, nel dipartimento di Roma, avevano avuto luogo numerose occupazioni abusive di immobili, organizzate da diversi movimenti di difesa del diritto alla casa, che spesso avevano coinvolto centinaia di persone. La Digos argomentava che, tenuto conto di questa situazione, era fondamentale pianificare scrupolosamente gli fratti degli occupanti al fine di preservare l’ordine pubblico e garantire l’assistenza necessaria alle persone vulnerabili coinvolte. La Digos precisava che, per quanto riguardava in particolare l'immobile della ricorrente, la questione dello sfratto era stata affrontata nel settembre 2013, ma si era deciso di rinunciare a questa soluzione, tenuto conto soprattutto della situazione economica del Comune di Roma, che non avrebbe consentito di trovare nuovi alloggi per gli occupanti dopo lo sfratto.
  9. Il 23 settembre 2013 la ricorrente chiese alla procura della Repubblica di Roma di essere autorizzata ad accedere ai dati dei soggetti coinvolti nell'occupazione abusiva nel suo immobile per poter intentare un'azione giudiziaria nei confronti di queste persone. La procura respinse tale domanda l'8 ottobre 2013.
  10. Il 3 marzo 2015 la ricorrente intimò all'amministrazione di dare esecuzione alla decisione del 9 agosto 2013. Poiché quest'ultima non diede seguito alla richiesta, il 21 maggio 2015 la ricorrente adì il tribunale amministrativo del Lazio lamentando l'inerzia dell'amministrazione.
  11. Il prefetto di Roma, con nota del 17 giugno, rispose che la situazione del bene della ricorrente era simile a quella di un centinaio di altri immobili occupati abusivamente nella città di Roma. Riteneva che, per quanto riguardava le procedure di sfratto, era prima necessario ottenere dal comune garanzie di soluzioni alternative di alloggio per le persone sgomberate. Secondo il prefetto, in assenza di tali garanzie, gli era impossibile, date le sue prerogative, effettuare gli sfratti. Il prefetto aggiungeva che, per quanto riguardava l'uso della forza pubblica, la legge lo autorizzava solo nel caso di sfratti di disposti da un tribunale.
  12. Nel frattempo, in data 15 settembre 2014, alla ricorrente era stata notificata dal tribunale di Roma una ingiunzione di pagamento di circa 30.000 euro per il consumo di energia elettrica relativa agli anni 2013 e 2014. Avverso questa ingiunzione la ricorrente presentò opposizione al tribunale di Roma. L'esito di questa procedura non è conosciuto.
  13. Secondo una nota del Comune di Roma del 9 agosto 2013, la ricorrente continua ad essere debitrice nei confronti del comune dell'imposta sull’immobile occupato, dal momento che è proprietaria del bene e titolare del diritto di possesso su di esso.
  14. Dal fascicolo risulta che, con nota del 30 marzo 2016, il prefetto ha invitato il Comune di Roma a trovare soluzioni alternative di alloggio per gli occupanti al fine di permettere lo sgombero dell'edificio.
  15. Il procedimento avviato a seguito della denuncia presentata dalla ricorrente il 6 dicembre 2012 è tuttora pendente nella fase delle indagini preliminari.

II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

  1. Il decreto-legge n. 14 del 20 febbraio 2017 contiene norme in materia di sicurezza delle città. L'articolo 11 riguarda in particolare le occupazioni arbitrarie di immobili. Il primo paragrafo conferisce al prefetto il potere di eseguire le decisioni giudiziarie relative alle occupazioni abusive, anche ricorrendo alla forza pubblica, e di determinare le modalità degli sfratti, garantendo l'ordine pubblico e gli interessi delle persone vulnerabili coinvolte. In caso di annullamento da parte dell'autorità giudiziaria delle disposizioni adottate dal prefetto ai sensi del primo comma, l'amministrazione è tenuta ad adottare le misure necessarie per garantire la cessazione dell'occupazione abusiva. In caso di dolo o colpa grave del prefetto è previsto un risarcimento per il proprietario dell'immobile.

IN DIRITTO

I. SULLE DEDOTTE VIOLAZIONI DELL'ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE E DELL'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE

  1. La ricorrente lamenta la mancata esecuzione della decisione del giudice per le indagini preliminari del 9 agosto 2013 che ordinava il sequestro e - di conseguenza - lo sgombero del suo immobile. Essa invoca il suo diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva garantita dall'articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
    «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)»
  2. La ricorrente sostiene, inoltre, che il fatto di continuare a renderle impossibile il reintegro nel possesso del suo immobile occupato arbitrariamente da terzi costituisce una violazione del diritto al rispetto dei suoi beni, come previsto dall'art. 1 del Protocollo n. 1. Tale disposizione è così formulata:
    «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

A. Sulla ricevibilità

  1. Il Governo sostiene che la ricorrente non ha fatto valere dinanzi al giudice civile il suo diritto al rispetto della proprietà e che, inoltre, non ha dimostrato l’intenzione di utilizzare il suo immobile dopo la cessazione dei rapporti contrattuali con l'Ospedale San Filippo Neri.
  2. Il Governo rileva anche che la ricorrente ha aspettato due anni prima di presentare, il 25 maggio 2015, un ricorso dinanzi al tribunale amministrativo per denunciare l'inerzia dell'amministrazione, e da ciò deduce che, prima di adire la Corte, la ricorrente non si è avvalsa pienamente e correttamente delle vie di ricorso messe a sua disposizione dal diritto interno.
  3. Infine, il Governo fa riferimento al decreto-legge n. 14 del 20 febbraio 2017 e alla tutela giurisdizionale offerta ai proprietari dei beni occupati.
  4. La ricorrente respinge gli argomenti del Governo. In primo luogo, sostiene di aver prontamente fatto valere i suoi diritti di proprietà sull'immobile dal momento che avrebbe sporto denuncia contro l'occupazione abusiva del suo bene il giorno stesso degli eventi, vale a dire il 6 dicembre 2012. Precisa, poi, che nel maggio 2015 è stata costretta ad adire il tribunale amministrativo regionale a causa dell'inerzia dell'amministrazione, nonostante le numerose richieste volte ad ottenere l'esecuzione del sequestro preventivo dell'immobile, disposto nell'agosto 2013 dal giudice per le indagini preliminari di Roma.
  5. La ricorrente ribadisce che il diritto interno non le ha offerto ricorsi effettivi per consentirle di far valere i suoi diritti. Prova ne è che soltanto il 30 marzo 2016, ossia dopo più di tre anni dall'inizio dell'occupazione dei locali, le autorità avrebbero cercato attivamente soluzioni alternative di alloggio per poter procedere allo sgombero dell'edificio. Per quanto riguarda il rimedio civile, la ricorrente ritiene che, tenuto conto delle circostanze, un'azione di questo tipo contro gli occupanti non avrebbe avuto alcuna possibilità di successo. Infatti, la ricorrente precisa che l'identità degli occupanti non è mai stata accertata dalle autorità e che non vede come un ufficiale giudiziario nominato dal giudice civile avrebbe potuto entrare in contatto con le persone interessate quando le autorità non sono riuscite a far eseguire il sequestro anche se ne erano state investite dal giudice penale.
  6. Peraltro, la ricorrente afferma che le operazioni di chiusura dell'attività della clinica e di smantellamento delle apparecchiature mediche erano ancora in corso alla data in cui è iniziata l'occupazione dell'immobile. Pertanto, essa ritiene che non sia pertinente l'argomentazione del Governo con la quale sostiene che la ricorrente non intendeva utilizzare la proprietà.
  7. Infine, la ricorrente asserisce che il decreto-legge n. 14 del 2017, entrato in vigore dopo la presentazione del suo ricorso, non fa che limitare ulteriormente i diritti dei proprietari degli immobili occupati dal momento che conferirebbe al prefetto i pieni poteri per consentirgli di garantire la salvaguardia dei diritti degli occupanti e prevedrebbe un risarcimento per i proprietari solo in caso di dolo o colpa grave del prefetto.
  8. La Corte ritiene anzitutto che gli argomenti del Governo sollevino in sostanza un'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e che sia quindi necessario esaminare la questione della ricevibilità del ricorso.
  9. Rammenta, poi, che l'obbligo di esaurire le vie di ricorso interne, previsto dall'articolo 35 § 1 della Convenzione, riguarda le vie di ricorso che sono accessibili al ricorrente e che possono porre rimedio alla situazione lamentata da quest'ultimo. Questi ricorsi devono esistere con un sufficiente grado di certezza, in pratica come in teoria, altrimenti mancherebbero della necessaria accessibilità ed effettività; spetta allo Stato convenuto dimostrare che questi requisiti sono soddisfatti. Inoltre, un ricorrente che ha utilizzato un rimedio giuridico apparentemente effettivo e sufficiente non può essere accusato di non aver cercato di utilizzarne altri che erano disponibili, ma che non presentavano maggiori probabilità di successo (Aquilina c. Malta [GC], n. 25642/94, § 39, CEDU 1999-III).
  10. Per decidere se la ricorrente, nelle particolari circostanze del caso di specie, abbia soddisfatto l'esigenza dell'esaurimento delle vie di ricorso interne, è necessario determinare quale atto delle autorità dello Stato convenuto arrechi pregiudizio alla ricorrente. La Corte osserva a questo riguardo che la ricorrente contesta alle autorità competenti di aver rifiutato di eseguire il sequestro preventivo del suo immobile, disposto il 9 agosto 2013 dal giudice per le indagini preliminari, e quindi di far sgomberare i locali, visto che il sequestro del suo immobile era stato disposto per preservare il suo diritto di proprietà in quanto parte lesa nel procedimento e per consentirle di rientrare in possesso del suo bene (paragrafo 10 supra).
  11. La Corte rileva innanzitutto che il Governo non ha indicato quale tipo di ricorso dinanzi al giudice civile avrebbe potuto portare direttamente a una esecuzione analoga e allo sgombero dei locali. Peraltro, osserva che il tentativo con il quale la ricorrente ha cercato di identificare gli occupanti al fine di citarli in giudizio non ha avuto successo a causa del rifiuto delle autorità di divulgare i dati che li riguardavano (paragrafo 13 supra). La Corte rammenta, in via incidentale, che un'azione di risarcimento danni non sarebbe di natura tale da compensare l'inerzia delle autorità di fronte all'occupazione della proprietà della ricorrente (si vedano, mutatis mutandis, Matheus c. Francia, n. 62740/00, § 71, 31 marzo 2005, e Sud Est Réalisations c. Francia, n. 6722/05, § 59, 2 dicembre 2010).
  12. In ogni caso, dal momento che la ricorrente lamenta una violazione del suo diritto di proprietà, la Corte rileva che la denuncia da lei presentata il giorno in cui l'edificio ha iniziato ad essere occupato, che è stata ripetuta più volte in seguito e che ha dato luogo al sequestro preventivo dell'immobile, riguardava precisamente il riconoscimento del diritto di proprietà della ricorrente e lo sgombero dei locali.
  13. Peraltro, la Corte nota che sono le autorità a dover prestare il loro apporto all'esecuzione della decisione del giudice per le indagini preliminari affinché la ricorrente possa ottenere che il suo immobile sia liberato. Pertanto, l'obbligo di agire grava sulle autorità e non sulla ricorrente. Esigere che l'interessata prenda altre iniziative i cui risultati non potrebbero che essere identici, tenuto conto del fatto che gli occupanti risiedono illegalmente nell'edificio senza essere stati identificati né fermati dalla polizia, non corrisponderebbe all'esigenza dell'articolo 35 § 1 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Matheus c. Francia (dec.) n. 62740/00, 18 maggio 2004, e Barret e Sirjean c. Francia (dec.), n. 13829/03, 3 luglio 2007).
  14. Per questi stessi motivi, la Corte ritiene che la ricorrente non possa essere rimproverata per non essersi rivolta prima al tribunale amministrativo per contestare l'inerzia delle autorità di fronte all'ordine del giudice per le indagini preliminari. Tanto più che quest'ultimo rimedio, esperito dalla ricorrente il 25 maggio 2015, è stato in questo caso privato di qualsiasi efficacia in quanto il tribunale amministrativo non vi ha dato seguito e l'interessata non ha ancora riacquistato il godimento del suo diritto di proprietà. La Corte rammenta che, secondo la sua giurisprudenza, un rimedio deve esistere con un grado sufficiente di certezza, in pratica come in teoria, altrimenti mancherebbe della necessaria accessibilità ed effettività richieste dalla Convenzione. (Sakık e altri c. Turchia, 26 novembre 1997, § 53, Recueil des arrêts et décisions 1997 VII, Vernillo c. Francia, 20 febbraio 1991, § 27, serie A n. 198, Johnston e altri c. Irlanda, 18 dicembre 1986, § 45, serie A n. 112, e Veysel Şahin c. Turchia, n. 4631/05, § 21, 27 settembre 2011).
  15. Infine, per quanto riguarda le disposizioni del decreto-legge n. 14 del 2017 alle quali il Governo fa riferimento nelle sue osservazioni, quest'ultimo non ha indicato in che misura esse offrirebbero alla ricorrente un'effettiva e concreta tutela dei diritti che le derivano dalla Convenzione.
  16. Pertanto, l'eccezione del Governo relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne non può essere presa in considerazione.
  17. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

1. Argomenti delle parti

  1. La ricorrente denuncia l’inerzia delle autorità di fronte all’occupazione abusiva del suo immobile malgrado l’ordine dato in suo favore dal giudice per le indagini preliminari. La stessa indica che la situazione permane nonostante le numerose sollecitazioni e iniziative da lei intraprese per ottenere l’esecuzione del suddetto ordine e l’evacuazione del suo immobile, il che dimostra a suo parere l’assenza di tutela dei suoi diritti nel sistema nazionale.
  2. La ricorrente afferma inoltre che l’occupazione del suo immobile costituisce un motivo di orgoglio per il «movimento lotta per la casa», che organizzerebbe regolarmente, all’interno della sua proprietà, feste e manifestazioni pubbliche in favore della lotta per la casa senza essere mai disturbato dalle autorità. La stessa considera inaccettabile che gli occupanti abusivi utilizzino il suo immobile nell’assoluta impunità da più di cinque anni, mentre lei stessa rimarrebbe debitrice delle spese di consumo di acqua ed elettricità.
  3. Il Governo non contesta che l’immobile della ricorrente sia occupato abusivamente da terzi, e replica tuttavia che le autorità competenti, ossia il prefetto e il CPSOP sono determinati a dare esecuzione alla decisione del 9 agosto 2013 per garantire il diritto di proprietà della ricorrente, ma anche per assicurare il rispetto dei diritti fondamentali degli occupanti e l’esigenza di salvaguardare l’ordine pubblico. Perciò, il Governo afferma che l’esecuzione del sequestro preventivo dell’immobile è stata semplicemente sospesa tenuto conto della complessità della situazione e dei diversi interessi in gioco.
  4. Il Governo precisa che la ricorrente, del resto, è già stata personalmente informata dalle autorità delle circostanze inerenti all’esecuzione del sequestro del suo immobile, in particolare con la nota del 17 giugno 2015 (paragrafo 15 supra).
  5. Il Governo afferma anche che la situazione della ricorrente è considerata una priorità dalle autorità, e che ciò sarebbe dimostrato dal fatto che, il 30 marzo 2016, queste ultime hanno ufficialmente invitato il comune di Roma a fare quanto necessario per trovare soluzioni alternative di alloggio per gli occupanti dell’immobile.
  6. Il Governo ritiene che non vi sia stata violazione della proprietà della ricorrente e che, ben al contrario, il provvedimento di sequestro disposto in suo favore dall’autorità giudiziaria costituisca la prova di un riconoscimento del diritto di quest’ultima al rispetto della sua proprietà.

2. Valutazione della Corte

a) Sulla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione

  1. La Corte ha di recente sintetizzato i principi della sua giurisprudenza in materia di diritto di accesso a un tribunale nella sentenza Parrocchia greco-cattolica Lupeni e altri c. Romania ([GC], n. 76943/11, §§ 84-90, 29 novembre 2016). Pertanto, la Corte rammenta che il diritto all’esecuzione di una decisione giudiziaria costituisce uno degli aspetti del diritto di accesso a un tribunale. Come la Corte ha già affermato, il diritto a un tribunale sarebbe illusorio se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse che una decisione giudiziaria definitiva e vincolante rimanesse inoperante a scapito di una delle parti. Infatti, non si comprenderebbe come l’articolo 6 § 1 descriva in dettaglio le garanzie procedurali – equità, pubblicità e celerità – accordate alle parti e non tuteli l’attuazione delle decisioni giudiziarie; se dovesse sembrare che tale articolo riguardi esclusivamente l’accesso alla giustizia e lo svolgimento del procedimento, questo rischierebbe di creare situazioni incompatibili con il principio dello Stato di diritto che gli Stati contraenti si sono impegnati a rispettare ratificando la Convenzione. L’esecuzione di una sentenza, indipendentemente da quale giudice l’abbia pronunciata, deve essere dunque considerata come facente parte integrante del «processo» ai sensi dell’articolo 6 (si vedano, tra le altre, Hornsby c. Grecia, 19 marzo 1997, § 40, Recueil 1997-II).
  2. Inoltre, la Corte rammenta che, se si può ammettere che gli Stati intervengano in un procedimento di esecuzione di una decisione giudiziaria, tale intervento non può avere come conseguenza quella di impedire, invalidare o ancora ritardare in maniera eccessiva l’esecuzione, e ancor meno di rimettere in discussione il merito di tale decisione (Immobiliare Saffi c. Italia [GC], n. 22774/93, §§ 63 e 66, CEDU 1999 V). Una sospensione dell’esecuzione di una decisione giudiziaria per il tempo strettamente necessario per trovare una soluzione soddisfacente ai problemi di ordine pubblico si può giustificare in circostanze eccezionali (ibidem, § 69).
  3. Spetta a ciascuno Stato contraente dotarsi di un arsenale giuridico adeguato e sufficiente per assicurare il rispetto degli obblighi positivi posti a suo carico. La Corte ha il compito di esaminare se, nella fattispecie, le misure adottate dalle autorità nazionali siano state adeguate e sufficienti (si veda, mutatis mutandis, Ignaccolo-Zenide c. Romania [GC], n. 31679/96, § 108, CEDU 2000-I).
  4. Nel caso di specie, la Corte osserva anzitutto che la decisione del giudice per le indagini preliminari di Roma del 9 agosto 2013 riguardava la tutela di un diritto di natura civile della ricorrente, ossia il suo diritto di proprietà. Peraltro, detta decisione di sequestro, per la sua stessa natura, ricopriva un carattere di urgenza, nella misura in cui era destinata a impedire il proseguimento di un reato allo scopo di preservare l’integrità del bene della parte lesa (paragrafo 10 supra). Inoltre, non viene più contestato che la decisione controversa avesse un carattere definitivo ed esecutivo.
  5. Ora, è giocoforza constatare che il sequestro dell’immobile rimane oggi ancora non eseguito nonostante la ricorrente si sia regolarmente adoperata in molte occasioni per ottenere l’esecuzione di tale provvedimento. Per di più, la Corte osserva che non sono stati effettuati tentativi di esecuzione da parte delle autorità da quando il giudice ha ordinato il sequestro in questione.
  6. Certamente, il Governo ha giustificato il ritardo nell’esecuzione adducendo ragioni di ordine pubblico e motivazioni di ordine sociale. La Corte osserva a questo proposito che i motivi avanzati dalle autorità per giustificare la mancata esecuzione del sequestro riguardano principalmente l’assenza di soluzioni alternative di alloggio per gli occupanti, dovuta soprattutto a difficoltà economiche del comune (paragrafo 18 supra), dal momento che i motivi legati al rischio di problemi di ordine pubblico sono stati evocati in maniera generica e non circostanziata. Tuttavia, la Corte è pronta ad ammettere che le autorità interne possano avere avuto anche la preoccupazione di ovviare al rischio serio di problemi di ordine pubblico legato allo sfratto di varie decine di persone, tanto più che l’occupazione dell’immobile rientrava nell’ambito di una azione militante a forte impatto mediatico.
  7. Tuttavia, si deve constatare che il Governo non ha fornito alcuna informazione per quanto riguarda gli atti compiuti dall’amministrazione per trovare soluzioni alternative di alloggio fin dall’inizio dell’occupazione o, almeno, dalla nota ufficiale inviata dal prefetto il 30 marzo 2016. Peraltro, non vi sono elementi nel fascicolo che richiamino una qualsiasi disposizione che sarebbe stata adottata in tal senso (si veda, a contrario, Société Cofinco c. Francia (dec.), n. 23516/08, 12 ottobre 2010).
  8. Pertanto, se la Corte riconosce che le motivazioni di ordine sociale e i timori relativi al rischio di problemi di ordine pubblico potessero giustificare nel caso di specie delle difficoltà di esecuzione e un ritardo nella liberazione dei locali, essa considera nondimeno ingiustificata l’inerzia totale e prolungata delle autorità italiane nel caso di specie. Peraltro, è opportuno ricordare che una mancanza di risorse non può costituire di per sé una giustificazione accettabile per la mancata esecuzione di una decisione giudiziaria (si vedano, mutatis mutandis, Bourdov c. Russia, n. 59498/00, § 35, CEDU 2002-III, e Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, § 90, CEDU 2006-V), e nemmeno per l’assenza di nuovi alloggi (Prodan c. Moldavia, n. 49806/99, § 53, CEDU 2004 III (estratti)).
  9. La Corte è del parere che, astenendosi, per più di cinque anni, dall’adottare tutte le misure necessarie per conformarsi a una decisione giudiziaria definitiva ed esecutiva, le autorità nazionali hanno privato, nel caso di specie, le disposizioni dell’articolo 6 § 1 della Convenzione di qualsiasi effetto utile e hanno pregiudicato lo Stato di diritto, fondato sulla preminenza del diritto e sulla sicurezza dei rapporti giuridici. Pertanto, vi è stata violazione di tale disposizione.

b) Sulla violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione

  1. La Corte considera nella fattispecie che, come ha constatato nella sentenza Matheus (sopra citata) e a differenza di quanto concluso nella sentenza Immobiliare Saffi (sopra citata, § 46), il rifiuto delle autorità di procedere allo sgombero dell'immobile della ricorrente non si traduca in una misura di regolamentazione dell'uso dei beni ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n. 1. Nella presente causa, e benché si sia tenuto conto della questione di trovare un nuovo alloggio per gli occupanti, il rifiuto di procedere allo sfratto di questi ultimi non deriva direttamente dall'applicazione di una legge che rientra in una politica sociale ed economica in materia, ad esempio, di alloggio o di accompagnamento sociale di proprietari in difficoltà, ma da un rifiuto delle autorità competenti, in circostanze particolari, e per parecchi anni, di procedere allo sgombero dell’immobile della ricorrente. Secondo la Corte, la mancata esecuzione della decisione del giudice per le indagini preliminari del 9 agosto 2013 deve pertanto essere esaminata alla luce della norma generale contenuta nel primo capoverso del primo comma dell'articolo 1 del Protocollo n. 1, che prevede il diritto al rispetto della proprietà (si veda, mutatis mutandis, Matheus, sentenza sopra citata, § 68).
  2. La Corte rammenta, inoltre, che l'esercizio reale ed effettivo del diritto che l'articolo 1 del Protocollo n. 1 garantisce non può dipendere unicamente dal dovere dello Stato di astenersi da qualsiasi ingerenza, e può esigere delle misure positive di tutela, in particolare laddove sussista un legame diretto tra le misure che un ricorrente potrebbe legittimamente attendersi dalle autorità e il godimento effettivo da parte di quest'ultimo dei suoi beni (Öneryildiz c. Turchia [GC], n. 48939/99, § 134, CEDU 2004-XII).
  3. Inoltre, combinata con il primo capoverso dell'articolo 1 del Protocollo n. 1, la preminenza del diritto, che è uno dei principi fondamentali di una società democratica e che è inerente a tutti gli articoli della Convenzione, giustifica che sia sanzionato uno Stato che si sia rifiutato di eseguire o di far eseguire una decisione giudiziaria (Matheus, sentenza sopra citata, § 70).
  4. Nella fattispecie, la Corte ribadisce che, per più di cinque anni, le autorità sono rimaste inerti di fronte alla decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari aveva ordinato lo sgombero dell'immobile della ricorrente.
    La Corte ha appena riconosciuto che motivi di ordine sociale e necessità di ordine pubblico, che essa non sottovaluta, avrebbero potuto giustificare un ritardo di esecuzione nella presente causa. Tuttavia, essa non può considerare accettabile la durata della mancata esecuzione nel caso di specie, che persiste tutt'oggi, unita all'assenza totale di informazioni relative agli atti compiuti o previsti dalle autorità per porre fine alla situazione denunciata. Peraltro, la Corte non perde di vista il fatto che la ricorrente, nell'attesa, continua ad essere tenuta a pagare le spese relative al consumo energetico degli occupanti dell'immobile.
  5. Considerati gli interessi individuali della ricorrente, le autorità avrebbero dovuto, dopo aver dedicato un tempo ragionevole alla ricerca di una soluzione soddisfacente, adottare le misure necessarie al rispetto della decisione giudiziaria.
  6. Per motivi simili a quelli esposti con riguardo alla dedotta violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione, la Corte considera, tenuto conto di quanto sopra esposto, che vi sia stata nella fattispecie una violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE

  1. La ricorrente denuncia anche una violazione dell'articolo 13 della Convenzione. La stessa lamenta di non aver potuto disporre nel diritto interno di un ricorso effettivo che permettesse di far eseguire il provvedimento che disponeva lo sgombero del suo immobile, e ribadisce i motivi che aveva proposto sotto il profilo dell'articolo 6 § 1 della Convenzione per quanto riguarda il diritto di accesso a un tribunale.
  2. La Corte osserva che questa doglianza è legata a quella esaminata dal punto di vista dell'articolo 6 § 1 e, pertanto, deve essere dichiarata anch'essa ricevibile. Tenuto conto delle conclusioni alle quali è giunta dal punto di vista dell'articolo 6 § 1 della Convenzione (paragrafo 54 supra), la Corte ritiene tuttavia che la doglianza relativa all'articolo 13 non sollevi una questione separata.
  3. Di conseguenza, essa conclude non doversi esaminare separatamente la doglianza relativa all'articolo 13.

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  1. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
    «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

  1. La ricorrente chiede la somma di 9.517.500 euro (EUR) per il danno materiale, e indica che tale somma corrisponde all’affitto che avrebbe percepito, ossia 2.115.000 EUR l’anno, se tale affitto le fosse stato versato dall’inizio dell’occupazione controversa. Inoltre, chiede la somma di 100.000 EUR per il danno morale.
  2. Il Governo ritiene che alla ricorrente non dovrebbe essere attribuita alcuna somma a titolo di equa soddisfazione, tenuto conto in particolare della possibilità che l’interessata avrebbe di ottenere un risarcimento a livello nazionale.
  3. La Corte osserva che la base di cui tener conto per accordare una somma a titolo di equa soddisfazione risiede, nel caso di specie, nella constatazione di violazione dell’articolo 6 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione a causa della mancata esecuzione di un provvedimento giudiziario che ordinava lo sgombero dell’immobile della ricorrente.
  4. La ricorrente chiede a titolo di danno materiale l'importo corrispondente all'affitto che avrebbe potuto percepire se avesse disposto del suo immobile. La Corte ritiene che, se la ricorrente ha innegabilmente e necessariamente subito un danno materiale a causa dell'inerzia persistente delle autorità di fronte all'occupazione abusiva, non si possa in ogni caso prevedere quali sarebbero stati i redditi da locazione che la ricorrente avrebbe potuto percepire sfruttando il proprio immobile, che del resto non era affittato all'epoca dei fatti. Nemmeno il rapporto di perizia effettuato su richiesta dell'interessata permette alla Corte di calcolare con precisione il danno subito a questo titolo.
    La Corte osserva infine, come il Governo, che la ricorrente potrà ottenere un risarcimento dinanzi ai giudici nazionali, che si trovano in una posizione migliore per valutare il danno materiale subito dall'interessata a causa dell'occupazione.
  5. Inoltre, per quanto riguarda i costi che la ricorrente avrebbe dovuto sostenere, ossia il pagamento delle spese per il consumo energetico degli occupanti e delle imposte sulla proprietà, la Corte osserva che questi ultimi non sono stati né quantificati né richiesti dall'interessata nelle sue domande di equa soddisfazione.
  6. In queste condizioni, non sarà accolta la domanda della ricorrente relativa al danno materiale (Barret e Sirjean, sopra citata, § 54).
  7. Invece, la Corte ritiene che la ricorrente abbia subito un danno morale certo che le semplici constatazioni di violazione non possono compensare. Deliberando in via equitativa ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione, la Corte accorda all'interessata la somma di 20.000 EUR.

B. Interessi moratori

  1. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  3. Dichiara non doversi esaminare la doglianza relativa all'articolo 13 Convenzione;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve essere, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 20.000 EUR (ventimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 13 dicembre 2018, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Abel Campos
Cancelliere

Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente