Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 27 novembre 2018 - Ricorso n. 58428/13 - Causa Silvio Berlusconi contro Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

GRANDE CAMERA

DECISIONE

Ricorso n. 58428/13

Silvio BERLUSCONI
contro l’Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunita il 30 agosto 2018 in una Grande Camera composta da:

  • Angelika Nußberger, presidente,
  • Linos-Alexandre Sicilianos,
  • Ganna Yudkivska,
  • Helena Jäderblom,
  • Robert Spano,
  • Ledi Bianku,
  • Nebojša Vučinić,
  • Paulo Pinto de Albuquerque,
  • Helen Keller,
  • Faris Vehabović,
  • Iulia Antoanella Motoc,
  • Yonko Grozev,
  • Mārtiņš Mits,
  • Gabriele Kucsko-Stadlmayer,
  • Pauliine Koskelo,
  • Jovan Ilievski, giudici,
  • Ida Caracciolo, giudice ad hoc,
  • e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto,

Visto il ricorso sopra menzionato presentato il 10 settembre 2013,
Dopo aver deliberato il 22 novembre 2017 e il 30 agosto 2018, adotta la seguente decisione:

PROCEDURA E FATTI

1.  Il ricorrente, il sig. S. Berlusconi, è un cittadino italiano nato nel 1936 e residente a Roma. Dinanzi alla Corte è stato rappresentato dagli avvocati A. Saccucci, B. Nascimbene, E. Fitzgerald e S. Powles, rispettivamente del foro di Roma, Milano e Londra.
2.  Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dai suoi co-agenti, P. Accardo e M.G. Civinini.
3.  In particolare, il ricorrente sosteneva che l'applicazione del decreto legislativo n. 235/2012, che aveva portato alla dichiarazione di invalidità della sua elezione da parte del Senato conseguente alla incandidabilità alle elezioni sopravvenuta a seguito della sua condanna per frode fiscale, aveva violato gli articoli 7 della Convenzione, 3 del Protocollo n. 1 e 13 della Convenzione.
4.  Il ricorso è stato assegnato alla prima sezione della Corte (articolo 52 § 1 del regolamento).
5.  Il 5 luglio 2016 il ricorso e i quesiti relativi alle doglianze sopra citate sono stati comunicati al Governo.
6.  Il 6 aprile 2017, a seguito dell'astensione del sig. Guido Raimondi, giudice eletto per l'Italia (articolo 28 del regolamento della Corte), il presidente della prima sezione ha nominato la sig.ra Ida Caracciolo in qualità di giudice ad hoc (articolo 29 del regolamento).
7.  Il 6 giugno 2017 una camera della prima sezione composta da Linos-Alexandre Sicilianos, presidente, Kristina Pardalos, Ledi Bianku, Robert Spano, Pauliine Koskelo, Jovan Ilievski e Ida Caracciolo, giudici, nonché da Abel Campos, cancelliere, si è dichiarata incompetente a favore della Grande Camera in quanto nessuna delle parti vi si era opposta (articoli 30 della Convenzione e 72 del regolamento). La composizione della Grande Camera è stata decisa conformemente agli articoli 26 §§ 4 e 5 della Convenzione e 24 del regolamento.
8.  Il ricorrente e il Governo hanno presentato osservazioni sulla ricevibilità e sul merito della causa. Sono pervenute anche alcune osservazioni della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto («la Commissione di Venezia»), che il presidente della Grande Camera aveva invitato a intervenire nella procedura scritta (articolo 44 § 3 a) del regolamento). Le parti hanno risposto per iscritto a queste osservazioni (articolo 44 § 6 del regolamento).
9.  Il 31 agosto 2017 il presidente ha autorizzato l'Associazione Politica Nazionale Lista Marco Pannella a intervenire nella procedura come terza parte e a presentare osservazioni scritte (articolo 44 § 3 a) del regolamento). L'11 ottobre 2017 il presidente ha deciso di non inserire nel fascicolo le osservazioni pervenute alla cancelleria il 21 settembre 2017, in quanto non rispondenti ai requisiti formali e sostanziali (articolo 44 § 5 del regolamento).
10.  Il 22 novembre 2017 si è svolta una udienza pubblica nel Palazzo dei Diritti dell'uomo a Strasburgo (articolo 59 § 3 del regolamento).
Sono comparsi:

per il Governo

Sigg.re
co-agenti

  • M.G. CIVININI,     
  • P. ACCARDO,

assistenti

  • S. FERIOZZI,
  • V. DE MARTIN,

Sig.
assistente

  • G. VEGGI,
     

per il ricorrente

Avv. 
legali

  • A. SACCUCCI,     
  • B. NASCIMBENE,
  • E. FITZGERALD,
  • S. POWLES,

consiglieri

  • F. COPPI,
  • N. GHEDINI,   

assistenti

  • Sig.ra  G. BORGNA,
  • Sig.    F. CIANCIO

La Corte ha sentito le dichiarazioni della sig.ra Civinini, degli avvocati Fitzgerald, Nascimbene e Saccucci nonché le risposte alle domande poste loro dai giudici.

A.  Le circostanze del caso di specie

1.  La legge anticorruzione

11.  Il 28 novembre 2012 entrò in vigore la legge n. 190/2012 (paragrafi 42-44 infra). L'articolo 1, comma 1, della citata legge prevede in particolare, ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (paragrafo 50 infra) adottata a New York il 31 ottobre 2003 (ratificata dall'Italia nell'ottobre 2009), e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale del Consiglio d'Europa sulla corruzione (paragrafo 51 infra), adottata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 (ratificata dall'Italia nel giugno 2013), l'istituzione di una Autorità nazionale anticorruzione e l'elaborazione di un piano d'azione nazionale per assicurare una attività di «controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione». Come precisato nella relazione illustrativa del disegno di legge divenuto poi la legge n. 190/2012, l'introduzione di un piano nazionale anticorruzione era divenuta una esigenza, tenendo conto, da un lato, delle conclusioni della valutazione effettuata nel 2008 e nel 2009 dal Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) (paragrafo 52 infra) e, dall'altro, del fatto che la maggior parte degli Stati europei disponeva già di un tale piano.
12.  Il disegno di legge n. 2156 era stato presentato in Senato nel maggio 2010 dal ministro della Giustizia del «governo Berlusconi IV» poi, all'esito della procedura parlamentare, alla Camera dei Deputati dal ministro della Giustizia del «governo Monti» nell'ottobre 2012.
13.  Il comma 63 dell'articolo 1 della legge n. 190/2012 delegava al governo il potere di adottare, entro un anno, un decreto legislativo che riunisse in un testo unico le disposizioni relative alla incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, e al divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo. Il comma 64 definiva rigorosamente il quadro dei criteri da applicare.

2.  Il decreto legislativo n. 235 del 31 dicembre 2012

14.  Nei limiti dei poteri delegati, il 6 dicembre 2012, su proposta del ministro dell'Interno, il «governo Monti» adottò il decreto legislativo n. 235 («il decreto legislativo n. 235/2012») (paragrafi 46-49 infra).
15.  Ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 235/2012 è fatto divieto, tra l'altro, di presentarsi alle elezioni o di ricoprire la carica di senatore o di deputato in caso di condanna definitiva a una pena superiore a due anni di reclusione per un delitto non colposo per il quale sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. Secondo l'articolo 3, qualora la causa di incandidabilità sopraggiunga o sia accertata nel corso del mandato elettivo, spetta alla camera alla quale il deputato o il senatore condannato appartiene deliberare ai sensi dell'articolo 66 della Costituzione (paragrafo 41 infra). L'incandidabilità prevista dal decreto legislativo n. 235/2012, che ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dai giudici, e in ogni caso non è inferiore a sei anni, si applica anche in assenza di una pena accessoria (articolo 13) e decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza.

3.  La condanna del ricorrente

16.  Il 26 ottobre 2012, nell'ambito del «processo Mediaset», il tribunale di Milano riconobbe il ricorrente colpevole (insieme ad altre tre persone) del reato di frode fiscale per gli anni 2002 e 2003 e lo condannò alla pena di quattro anni di reclusione (pena ridotta a un anno in applicazione di un indulto), unitamente alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni (che comportava, tra l'altro, il divieto di votare e di candidarsi alle elezioni). Tale sentenza fu confermata l'8 maggio 2013 dalla corte d'appello di Milano e poi, il 1° agosto 2013, dalla Corte di cassazione per quanto riguarda la pena principale.
17.  La Suprema Corte rinviò alla corte d'appello di Milano la questione della rideterminazione della pena accessoria.
18.  Il 19 ottobre 2013 la corte d'appello determinò nella misura di due anni la pena accessoria e respinse la richiesta del ricorrente volta a sollevare l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 235/2012 per contrasto con l'articolo 25, comma 2, della Costituzione, che vieta l'applicazione retroattiva delle leggi in materia penale. Secondo la corte d'appello, questo punto non rientrava nell'ambito della causa, che era limitata alla rideterminazione della durata della pena accessoria.
19.  Il 25 novembre 2013 il ricorrente presentò ricorso per cassazione. Con sentenza del 18 marzo 2014 (n. 16206/2014), la Corte di cassazione confermò la sentenza di appello.
20.  Il 2 agosto 2013 la procura della Repubblica aveva notificato al ricorrente l'ordine di esecuzione della pena e, contestualmente, la sospensione dell'esecuzione in attesa della presentazione di un'eventuale domanda volta ad ottenere una misura alternativa alla detenzione.
21.  Il 10 aprile 2014 il tribunale di sorveglianza di Milano concesse al ricorrente una misura alternativa alla detenzione.
22.  Il 9 aprile 2015, al termine dell'esecuzione della misura alternativa, il tribunale di sorveglianza dichiarò estinte la pena principale e la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici. La decisione fu depositata in cancelleria il 14 aprile 2015. In assenza di un ricorso per cassazione entro quindici giorni da parte della procura, la decisione passò in giudicato.

4.  La procedura di decadenza dal mandato di senatore della Repubblica

23.  Il 24 febbraio 2013 si erano svolte le elezioni per il Senato; il termine per la presentazione delle liste di candidati agli organi competenti era stato fissato al 21 gennaio 2013. Il ricorrente aveva presentato la sua candidatura ed era stato eletto senatore. La proclamazione ufficiale aveva avuto luogo il mese successivo.
24.  Ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 235/2012, al ricorrente fu vietato di presentarsi come candidato alle elezioni a partire dal 1° agosto 2013, data in cui la sua condanna divenne definitiva (paragrafo 16 supra), per una durata di sei anni.
25.  Il 2 agosto 2013, ai sensi degli articoli 1 e 3 del decreto legislativo n. 235/2012, la procura della Repubblica trasmise l'estratto della sentenza del tribunale di Milano al Presidente del Senato, il quale lo trasmise nello stesso giorno alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato. Ai sensi dell'articolo 19, comma 4, del regolamento del Senato, questo organo è responsabile della verifica dei documenti di ammissione dei senatori e delle cause di ineleggibilità o incompatibilità che possono sopraggiungere dopo la loro elezione.
26.  L'8 agosto 2013 il presidente della Giunta avviò una procedura che avrebbe potuto portare ad una dichiarazione di contestazione dell'elezione del ricorrente e informò l'interessato che, a seguito del deferimento della questione alla Giunta, aveva facoltà di presentare osservazioni entro venti giorni e di consultare i documenti pertinenti.
27.  In data 28 agosto 2013, il ricorrente fece pervenire alla Giunta le sue osservazioni cui erano allegati sei pareri pro veritate riguardanti, in particolare, l'asserita incostituzionalità del decreto legislativo n. 235/2012.
28.  Il 7 settembre 2013 il ricorrente depositò una copia del ricorso che aveva appena inviato alla Corte europea dei diritti dell'uomo e chiese la sospensione del procedimento in attesa della decisione di quest'ultima.
29.  Il 10 settembre 2013 il relatore della Giunta presentò la sua relazione nella quale proponeva: 1) di confermare la validità dell'elezione del ricorrente, 2) di sottoporre diverse questioni di costituzionalità alla Corte costituzionale e 3) di sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE).
30.  Il 18 settembre 2013 la Giunta respinse, a maggioranza, tutte e tre le proposte e dichiarò che l'elezione del ricorrente era contestata. Poiché l'articolo 11 del regolamento per la verifica dei poteri della Giunta prevede in questi casi la sostituzione del relatore, il presidente della Giunta decise di assumere tale funzione e fissò al 4 ottobre 2013 la data della seduta pubblica dedicata alla discussione sulla contestazione dell'elezione del ricorrente, conformemente all'articolo 14 del regolamento.
31.  Il 28 settembre 2013, in vista dell'udienza, il ricorrente depositò una memoria nella quale ribadiva le proprie argomentazioni.
32.  Il 4 ottobre 2013, al termine della seduta pubblica (trasmessa in diretta sul canale satellitare del Senato e sulla web-TV), alla quale non avevano partecipato né il ricorrente né il suo rappresentante, la Giunta deliberò a porte chiuse e decise, a maggioranza, di proporre al Senato di invalidare l'elezione del ricorrente.
33.  Nella sua relazione presentata al Senato il 15 ottobre 2013, la Giunta illustrava la procedura seguita e i punti che erano stati affrontati e discussi, ossia: 1) la natura della Giunta e delle sue funzioni; 2) la dedotta retroattività del decreto legislativo n. 235/2012 e i problemi di conformità alla Costituzione; 3) il contenuto delle discussioni e i diversi punti di vista dei suoi membri; 4) la legge n. 190/2012; 5) l'origine della incandidabilità; 6) la giurisprudenza pertinente; 7) il ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo; 8) la questione di adire eventualmente la CGUE.
34.  La relazione sottolineava in particolare che, non essendo la Giunta  un organo giudiziario, la procedura seguita innanzi ad essa non era giurisdizionale e non era ispirata dai «diritti elettorali dell'individuo, ma dall'interesse del Parlamento a garantire la presenza al suo interno di componenti che rispettino i requisiti di legalità, compresa l'assenza di condanne definitive». Di conseguenza, tenuto conto della sua natura, la Giunta non poteva adire la Corte costituzionale in merito alla dedotta retroattività del decreto legislativo in questione.
35.  Per quanto riguarda la qualificazione della decadenza, la Giunta rammentava che nella sua sentenza Paksas c. Lituania ([GC], n. 34932/04, CEDU 2011 (estratti), la Corte aveva escluso il carattere penale di questo tipo di misura applicata ad un presidente della Repubblica in quanto, come constatato in altre decisioni della stessa Corte relative alla perdita del diritto di voto, una limitazione come quella in esame perseguiva l'obiettivo del tutto legittimo di proteggere le istituzioni democratiche.
36.  Inoltre, la Giunta osservava che: «[la legge n. 190/2012] è stata strutturata su una serie di previsioni che riferiscono le cause di incandidabilità legandole all'accertamento del fatto e mai al tempus della commissione del fatto. È la condanna a generare, all'interno alla legge, quello spartiacque tra prima e dopo che segna il sopraggiungere di una incompatibilità etica, morale, una sopravvenuta constatazione di inopportunità in ragione del nuovo dato della condanna penale».
37.  Il 27 novembre 2013 il Senato respinse, con voto pubblico, nove mozioni contrarie alla proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, invalidò l'elezione del ricorrente e dichiarò quest'ultimo decaduto dal suo mandato.
38.  Lo stesso giorno, il Senato dichiarò il sig. U.D.G. senatore eletto al posto del ricorrente.

5.  Sviluppi recenti

39.  L'11 maggio 2018, il tribunale di sorveglianza di Milano accolse la domanda di riabilitazione presentata dal ricorrente l'8 marzo 2018. In particolare, nella sua decisione, il tribunale osservava che l'interessato aveva scontato la pena e che, nel periodo successivo alla data in cui era divenuta definitiva la decisione del 9 aprile 2015 (paragrafo 22 supra), non aveva riportato altre condanne, fatto che mostrava la sua buona condotta. Il tribunale sottolineava che, conformemente alla giurisprudenza della Corte di cassazione, il fatto che il ricorrente fosse perseguito in tre procedimenti penali per atti successivi a quelli oggetto del processo per frode fiscale non costituiva «di per sé un ostacolo all'accoglimento della domanda di riabilitazione, tenuto conto della presunzione di innocenza». La decisione divenne definitiva il 29 maggio 2018.
40.  Successivamente, il ricorrente chiese alla Corte di poter depositare i documenti relativi al procedimento di riabilitazione nonché delle osservazioni scritte riguardanti gli effetti del provvedimento sulla ricevibilità e sul merito del ricorso. A suo parere, la riabilitazione dimostrava la natura puramente penale dell'incandidabilità e poteva avere un impatto sul suo status di vittima. Il presidente della Grande Camera autorizzò il deposito di documenti. Per contro, per due volte, il 14 giugno e il 19 luglio 2018, non autorizzò il deposito di osservazioni (articoli 38 § 1 e 71 del regolamento).
Il 27 luglio 2018 il ricorrente informò la Corte che non intendeva più dar seguito al suo ricorso.

B.  Il diritto interno pertinente

1.  Le disposizioni della Costituzione italiana

41.  Le disposizioni pertinenti della Costituzione italiana recitano:
Articolo 25
«(...)
2. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
(...)»
Articolo 65
«1.  La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di deputato o di senatore.
(...)»
Articolo 66
«Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.»

2.  La legge n. 190 del 6 novembre 2012

42.  La legge n. 190/2012 fu adottata dal Senato il 17 ottobre 2012 e dalla Camera dei Deputati il 31 ottobre 2012, fu firmata dal Presidente della Repubblica il 6 novembre 2012 ed entrò in vigore le 28 novembre 2012, quindici giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
43.  L’articolo 1, comma 64, di detta legge definiva i principi e i criteri chiave del decreto legislativo che il governo doveva adottare (ai sensi del comma 63) allo scopo di riunire in un testo le disposizioni relative all’incandidabilità alla carica, in particolare, di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, e all’interdizione dall’esercizio del diritto di elettorato e delle funzioni di governo. Tale decreto doveva:
«a) (...) prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale [in particolare quelli relativi alle associazioni per delinquere di stampo mafioso e al terrorismo];
b) prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori  coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti [contro la pubblica amministrazione] ovvero per altri delitti per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni;
c) prevedere la durata dell'incandidabilità;
d) prevedere che l'incandidabilità operi anche in caso di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale;
e) coordinare le disposizioni relative all'incandidabilità con le vigenti norme in materia di interdizione dai pubblici uffici e di riabilitazione, nonché con le restrizioni all'esercizio del diritto di elettorato attivo;
f) prevedere che le condizioni di incandidabilità alla carica di deputato e di senatore siano applicate altresì all'assunzione delle cariche di governo;
(...)
m) disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all’affidamento della carica.»
44.  Secondo la relazione illustrativa, l’obiettivo della legge era la prevenzione e la repressione del fenomeno della corruzione attraverso un approccio multidisciplinare, nel quale gli strumenti sanzionatori si configuravano solamente come alcuni dei fattori per la lotta alla corruzione e all’illegalità nell’azione amministrativa. Si pongono a sostegno del provvedimento legislativo motivazioni di trasparenza e controllo proveniente dai cittadini e di adeguamento dell’ordinamento giuridico italiano agli standard internazionali. La relazione illustrativa precisava inoltre come la corruzione rechi pregiudizio alla credibilità del paese e disincentivi gli investimenti, anche stranieri, frenando di conseguenza lo sviluppo economico.

3.  Il decreto legislativo n. 235 del 31 dicembre 2012

45.  Adottato il 6 dicembre 2012, il decreto legislativo n. 235 fu firmato dal Presidente della Repubblica il 31 dicembre 2012 ed entrò in vigore il 5 gennaio 2013, il giorno dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
46.  Ai sensi dell’articolo 1 del decreto legislativo,
«1. Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore:
a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti (…) previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;
b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti [contro la pubblica amministrazione];
c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi (…) per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni (...)».
47.  L’articolo 3 recita:
«Qualora una causa di incandidabilità di cui all'articolo 1 sopravvenga o comunque sia accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera ai sensi dell'articolo 66 della Costituzione. A tal fine le sentenze definitive di condanna di cui all'articolo 1, emesse nei confronti di deputati o senatori in carica, sono immediatamente comunicate, a cura del pubblico ministero [competente] alla Camera di rispettiva appartenenza (...)»
48.  Per quanto riguarda la durata della misura, l’articolo 13 prevede che:
«(...) l’incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all'Italia, decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna ed ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice. In ogni caso l'incandidabilità, anche in assenza della pena accessoria, non è inferiore a sei anni.»
49.  Per quanto riguarda la scelta della condanna che giustifica l’incandidabilità, la relazione illustrativa indica che:
«(...) l’esistenza di una condanna per reati chiaramente accertati e relativi a una vasta gamma di interessi giuridici, specificamente e obbligatoriamente individuati e classificati per evitare qualsiasi incertezza o atteggiamento contraddittorio che rischierebbe di pregiudicare la sfera protetta dall’articolo 51 della Costituzione, è stata scelta, sulla base di una valutazione astratta, come condizione per l’incandidabilità; il divieto di accesso alle cariche elettive è una conseguenza automatica per la quale non è prevista né una ponderazione delle situazioni individuali né una valutazione discrezionale. A questo proposito, la Corte di cassazione (sentenza n. 3904 del 2005) ha ritenuto che le condanne per reati da cui consegue l’interdizione dai pubblici uffici implicano una inidoneità funzionale assoluta e irrevocabile dell’interessato, volta a salvaguardare «il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, l’ordine e la sicurezza, la libera determinazione degli organi elettivi» (si veda anche Corte costituzionale, sentenze n. 407 del 1992, n. 197 del 1993 e n. 118 del 1994).»

C.  Il diritto internazionale pertinente

1.  La lotta contro la corruzione

50.  L’articolo 6 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata il 31 ottobre 2003, recita:
«1. Ciascuno Stato Parte assicura, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico, l’esistenza di uno o più organi, secondo quanto necessario, incaricati di prevenire la corruzione mediante mezzi quali:
a) l’applicazione delle politiche di cui all’articolo 5 della presente Convenzione e, se necessario, la supervisione ed il coordinamento di tale applicazione;
b) l’accrescimento e la diffusione delle conoscenze concernenti la prevenzione della corruzione.
(...)»
51.  Gli articoli 20 e 21 della Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione, adottata il 27 gennaio 1999, recitano:
Articolo 20 – Autorità specializzate
«Ciascuna Parte prende le misure che si rivelano necessarie per la specializzazione di persone o enti nella lotta contro la corruzione. Tali persone disporranno dell'indipendenza necessaria, nell'ambito dei principi fondamentali dell'ordinamento della Parte, per esercitare le loro funzioni efficacemente e senza alcuna pressione illecita. Le Parti si accertano che il personale di tali enti disponga di una formazione e di risorse finanziarie adeguate alle funzioni che svolgono.»
Articolo 21 – Cooperazione tra autorità nazionali
«Ciascuna Parte adotta le misure appropriate che si rivelano necessarie per accertarsi che le autorità pubbliche, come pure ogni agente pubblico, cooperino in conformità con il diritto nazionale, con le autorità incaricate di investigare e di svolgere azioni giudiziarie per i reati (...)»
52.  Nell’Addendum al Rapporto di conformità sull’Italia relativo al primo e al secondo ciclo di valutazione congiunti (2008 e 2009 rispettivamente) pubblicato il 1° luglio 2013 (Greco RC-I/II (2011)1F), il Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) ha formulato in particolare le seguenti conclusioni per quanto riguarda la lotta contro la corruzione:
«(...)
76. Va riconosciuto all’Italia il merito di avere adottato delle disposizioni al fine di chiarire la propria politica di lotta contro la corruzione; l'adozione, nel novembre 2012, di una nuova legge-quadro anticorruzione costituisce un segnale chiaro in questa direzione. Inoltre, l'Italia ha ormai ratificato la Convenzione penale sulla corruzione (STE n. 173) nonché la Convenzione civile sulla corruzione (STE n. 174). Sono state introdotte varie misure per aumentare la trasparenza e il controllo all'interno della pubblica amministrazione e circoscrivere meglio questioni preoccupanti per il pubblico, tra le quali la regolamentazione delle gare e degli appalti pubblici, i conflitti di interessi, l'integrità e la deontologia nella funzione pubblica, la responsabilità dei dirigenti e la tutela dei committenti. Parimenti, è stato realizzato un quadro istituzionale per adottare, attuare, controllare e valutare le politiche anticorruzione. La Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità della pubblica amministrazione [divenuta successivamente l’ANAC] è stata designata in qualità di autorità nazionale per la lotta contro la corruzione allo scopo di adempiere agli obblighi derivanti dall'articolo 6 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, nonché dagli articoli 20 e 21 dello STE n. 173; alle amministrazioni a livello nazionale e locale sono stati affidati compiti fondamentali in materia di elaborazione di piani contro la corruzione e per l'integrità nei loro rispettivi settori di attività. Il tempo e l'esperienza diranno se il nuovo dispositivo risponda efficacemente agli obiettivi di prevenire e scoraggiare la corruzione. Sarà fondamentale far sì che per tutte le nuove disposizioni legislative siano previsti meccanismi di applicazione efficaci, compresi consigli orientativi rivolti a coloro che devono conformarsi alla legge e sanzioni adeguate in caso di abuso. Questo richiede un impegno politico costante. (...)»

2.  Le restrizioni al diritto di voto (elemento passivo)

53.  Gli strumenti europei e internazionali pertinenti in materia di decadenza da un mandato parlamentare prevedono tutti la possibilità di limitare il diritto di essere eletti e quello di esercitare il mandato, a condizione che la restrizione soddisfi alcuni requisiti, quantomeno di legalità, necessità e proporzionalità.
54.  In particolare, nel suo rapporto sull’esclusione dei delinquenti dal parlamento (Parere n. 807/2015, CDL-AD (2015)036), la Commissione di Venezia ha sottolineato l’obiettivo legittimo di preservare la democrazia che perseguono le misure restrittive come la decadenza. Per la Commissione di Venezia, «ineleggibilità» e decadenza sono strettamente legate in quanto devono rispondere alle stesse esigenze: essere fondate su norme di diritto precise, perseguire uno scopo legittimo e rispettare il principio di proporzionalità.
55.  I passaggi pertinenti del rapporto sono i seguenti:
«(...)
139. La legalità costituisce il primo elemento dello Stato di diritto e presuppone che la legislazione sia rispettata dagli individui e dalle autorità. L'esercizio del potere politico da parte di persone che hanno gravemente violato la legge compromette l'attuazione di tale principio, che costituisce a sua volta una condizione della democrazia e può dunque mettere a rischio il carattere democratico dello Stato: una persona che non è incline a riconoscere le regole di condotta in una società democratica rischia di non essere disposta a rispettare le norme costituzionali e internazionali della democrazia e dello Stato di diritto. In tal caso, la restrizione del diritto di elettorato passivo o del diritto di ricoprire una carica in Parlamento si basa soprattutto sulla violazione accertata del diritto penale adottato democraticamente, ossia delle regole di condotta generalmente ammesse.
140. In virtù della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo relativa all'articolo 3 del Protocollo n. 1, (...) le restrizioni al diritto di elettorato devono limitarsi alle misure necessarie per garantire il buon andamento e il mantenimento del regime democratico. Tale andamento è minacciato più gravemente quando l'interessato può esercitare una funzione elettiva rispetto a quando esercita dei diritti elettorali attivi in qualità di semplice elettore. Le restrizioni esaminate non devono essere considerate come una minaccia per la democrazia, ma piuttosto come un modo di preservarla.
141. Un’ampia maggioranza, se non la totalità, degli Stati esaminati nel presente rapporto riconosce l'interesse pubblico che rappresenta l'esclusione dei delinquenti dal Parlamento, e la maggior parte di tali paesi hanno adottato misure legislative a tale scopo.
(...)
164. La Commissione di Venezia ritiene che la perdita da parte di un parlamentare del suo mandato in ragione di una condanna divenuta definitiva dopo le elezioni sia giustificata se il reato commesso costituisce una causa di ineleggibilità. (...)
(...)
174. La Commissione di Venezia ritiene che, se il semplice funzionamento dei meccanismi elettorali non permette l'esclusione dei delinquenti dalle assemblee elette, l'intervento legislativo si rende necessario.
(...)
179. Infine, la Commissione ritiene appropriato che la Costituzione regoli almeno gli aspetti più importanti delle restrizioni del diritto di eleggibilità e la perdita del mandato parlamentare. Così avviene, del resto, in numerosi Stati.»

MOTIVI DI RICORSO

56.  Invocando l’articolo 7 della Convenzione, il ricorrente sosteneva che l’applicazione del decreto legislativo n. 235/2012, da cui derivavano il divieto di candidarsi alle elezioni e la decadenza dal suo mandato di senatore in seguito alla sua condanna definitiva per frode fiscale, aveva contravvenuto ai principi di legalità, prevedibilità, proporzionalità e irretroattività delle sanzioni penali.
57.  Basandosi sull’articolo 3 del Protocollo n. 1, il ricorrente sosteneva, inoltre, che il divieto previsto da detto decreto legislativo non rispettava i principi di legalità e proporzionalità allo scopo perseguito, violando in tal modo il suo diritto di esercitare il mandato elettivo e ignorando la legittima aspettativa del corpo elettorale che egli porti a termine il mandato di senatore.
58.  Inoltre, il ricorrente considerava che l’assenza, nel diritto interno, di un ricorso accessibile ed effettivo che permetta di contestare la compatibilità del decreto legislativo n. 235/2012 con la Convenzione, nonché la decisione del Senato del 27 novembre 2013 era contraria all’articolo 13 della Convenzione.
59.  Il ricorrente deduceva anche una violazione dell’articolo 3 del Protocollo n. 1 in combinato disposto con l’articolo 14, senza spiegarne i motivi nel suo ricorso introduttivo. Successivamente, nella sua memoria del 31 luglio 2017, il ricorrente ha indicato che doveva subire l'incandidabilità per sei anni allo stesso titolo di un individuo al quale fosse stata inflitta l'interdizione dai pubblici uffici più grave della sua, ad esempio definitiva o per una durata di tre anni. Da ciò egli deduceva che il decreto legislativo in questione violava l'articolo 3 del Protocollo n. 1 in combinato disposto con l'articolo 14 della Convenzione.
60.  In una lettera datata 7 maggio 2014, a seguito del deposito, avvenuto il 18 marzo 2014, della sentenza con la quale la Corte di cassazione aveva confermato la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici, il ricorrente ha sollevato due nuove doglianze dal punto di vista dell'articolo 4 del Protocollo n. 7 e dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

IN DIRITTO

Sulla domanda di cancellazione dal ruolo

61.  Il 27 luglio 2018, il ricorrente ha informato la Corte della sua intenzione di non mantenere il suo ricorso e ha chiesto a quest'ultima di cancellarlo dal ruolo. Egli afferma in particolare che a causa della sua riabilitazione (paragrafo 40 supra), la decisione della Corte sul suo ricorso non produrrebbe alcun effetto utile tenuto conto della revoca dell'incandidabilità e del fatto che non potrebbe essere ottenuta alcuna riparazione adeguata, né per l’incandidabilità né per la perdita del mandato di senatore. Egli chiede alla Corte di cancellare la causa dal ruolo in applicazione dell'articolo 37 § 1 a) e b) della Convenzione.
62.  Il 10 agosto 2018 il Governo ha indicato che si rimetteva alla decisione della Corte.
63.  L’articolo 37 § 1 della Convenzione recita:
«In ogni momento della procedura, la Corte può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze permettono di concludere:
(a) che il ricorrente non intende più mantenerlo; oppure
(b) che la controversia è stata risolta; oppure
(c) che, per ogni altro motivo di cui la Corte accerta l’esistenza, la prosecuzione dell’esame del ricorso non sia più giustificata.
Tuttavia, la Corte prosegue l’esame del ricorso qualora il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli lo imponga.»
64.  La Corte osserva che il ricorrente ha espressamente dichiarato di non voler mantenere il suo ricorso, ai sensi dell'articolo 37 § 1 a) della Convenzione.
65.  Essa ritiene che l'intenzione del ricorrente di rinunciare al procedimento avviato dinanzi alla Corte sia accertata in maniera inequivocabile (Association SOS Attentats e de Boëry c. Francia [GC], (dec.), n. 76642/01, § 30, CEDU 2006 XIV). Conformemente all'articolo 37 § 1 a) della Convenzione, la Corte conclude che il ricorrente non intende più mantenere il suo ricorso.
66.  Di conseguenza, non è necessario verificare se la controversia sia stata risolta ai sensi dell'articolo 37 § 1 b) della Convenzione.
67.  Rimane da determinare se esistano circostanze speciali inerenti al rispetto dei diritti dell'uomo sanciti dalla Convenzione dei suoi Protocolli che richiedono di proseguire l'esame del ricorso (articolo 37 § 1 in fine).
68.  Per determinare se sia opportuno proseguire l'esame di un ricorso conformemente all'articolo 37 § 1 in fine, la Corte cerca di stabilire, tra l'altro, se la causa sollevi questioni importanti che permetterebbero di chiarire, salvaguardare e sviluppare le norme di tutela previste dalla Convenzione (Konstantin Markin c. Russia [GC], n. 30078/06, §§ 89-90, CEDU 2012 (estratti)) o se la causa, per il suo impatto, vada oltre la situazione specifica del ricorrente (F.G. c. Svezia [GC], n. 43611/11, §§ 81-82, 23 marzo 2016, e, a contrario, Khan c. Germania [GC] (cancellazione), n. 38030/12, § 40, 21 settembre 2016).
69.  Tenuto conto di tutti i fatti di causa, in particolare della riabilitazione del ricorrente intervenuta l’11 maggio 2018 (paragrafo 39 supra) e della chiara intenzione di quest’ultimo di revocare il proprio ricorso, la Corte conclude che non vi sono circostanze speciali inerenti al rispetto dei diritti dell’uomo che esigano la prosecuzione dell’esame del presente ricorso ai sensi dell’articolo 37 § 1 in fine.
70.  Il ricorso deve pertanto essere cancellato dal ruolo.

Per questi motivi, la Corte, a maggioranza,

Decide di cancellare il ricorso dal ruolo.

Fatta in francese e in inglese, poi comunicata per iscritto il 27 novembre 2018.

Françoise Elens-Passos   
Cancelliere aggiunto    

Angelika Nußberger
Presidente