Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 22 settembre 2009 - Ricorso n.12532/05 - Cimolino c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Rita Pucci

Abstract 

Procedimento civile – rilievo d’ufficio di una questione di diritto dirimente – mancata comunicazione alle parti – violazione del diritto ad un processo equo sotto il profilo del rispetto del principio del contraddittorio – non sussiste.

Nel caso di specie, la Corte ha dichiarato non sussistente la violazione dell’art. 6 par. 1 CEDU, relativo ad un processo equo sotto il profilo del rispetto del principio del contraddittorio, in quanto la Corte di cassazione non ha fondato la propria decisione unicamente sulla base dell’eccezione preliminare sollevata d’ufficio, avendo altresì esaminato e respinto nel merito i motivi a sostegno del ricorso.

Fatto.
Il ricorso in oggetto prende le mosse da un giudizio avente ad oggetto il mancato pagamento di una parcella professionale da parte del comune di Cambiago ad un avvocato, esperto in materia di lavori pubblici, per l’attività di consulenza resa relativamente ai rapporti tra l’amministrazione comunale ed alcune imprese di costruzione. Esauriti tutti i gradi di giudizio, il sig. Cimolino ha proposto ricorso davanti alla Corte EDU, deducendo la violazione dell’art. 6 par. 1 CEDU, relativo al diritto ad un processo equo, relativamente al giudizio svoltosi dinnanzi alla Corte di cassazione, nel corso del quale non sarebbe stato rispettato il principio del contraddittorio. Il ricorrente, infatti, lamentava che il proprio ricorso sarebbe stato deciso sulla base di una questione di diritto – avente ad oggetto la validità del proprio contratto di lavoro con l’amministrazione comunale – sollevata d’ufficio dalla Suprema Corte e mai sottoposta al contraddittorio delle parti. Inoltre tale questione, a detta del ricorrente, aveva ormai acquisito l’autorità di cosa giudicata, non essendo mai stata sollevata nel corso dei precedenti gradi di giudizio.

Diritto.
La Corte ha preliminarmente ricordato che la nozione di “processo equo” comprende il diritto al contraddittorio, ossia il diritto delle parti in causa di fare conoscere gli elementi necessari al successo delle loro pretese, ma anche di prendere cognizione di ogni documento o eccezione sollevata nonché di discuterne in giudizio (in tal senso, Vermeulen c. Belgio, sentenza del 20 febbraio 1996, § 33; Nideröst-Huber c. Svizzera, sentenza del 18 febbraio 1997, § 24). Questo principio vale non solo per le eccezioni e i documenti presentati dalle parti, ma anche da un magistrato indipendente come il commissario del Governo (Kress c. Francia [GC], n. 39594/98,; APBP c. Francia, no 38436/97, 21 marzo 2002) da un’amministrazione (sentenza Krčmář ed altri c. Repubblica Ceca, no 35376/97, § 39, 3 marzo 2000) o dal giudice adito (Nideröst-Huber, cit.). Il giudice stesso, infatti, deve rispettare il principio del contraddittorio, in particolare quando respinge un ricorso o decide in merito a una controversia sulla base di un’eccezione sollevata d’ufficio o di una riqualificazione giuridica dei fatti operata sempre d’ufficio (Skondrianos c. Grecia, nn. 63000/00, 74291/01 e 74292/01, §§ 29-30, 18 dicembre 2003; Clinica delle Acacie ed altri c. Francia, nn. 65399/01, 65406/01, 65405/01 e 65407/01, § 38, 13 ottobre 2005; Prikyan ed Angelova c. Bulgaria, n. 44624/98, § 42, 16 febbraio 2006; Drassich c. Italia, n. 25575/04, §§ 31 e 32, 11 dicembre 2007).

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che la Cassazione ha fatto legittimamente uso del suo potere di decidere la causa sulla base di una questione sollevata d’ufficio. Quanto al rispetto del principio del contraddittorio, i giudici di Strasburgo hanno affermato che la Corte di cassazione non ha deciso la causa unicamente sulla base della eccezione preliminare sollevata d’ufficio. Infatti, sebbene la stessa Cassazione avesse rilevato che la nullità del contratto di lavoro era di per sé sufficiente a fondare la decisione di annullamento, l’alta giurisdizione ha comunque esaminato e respinto nel merito tutti i motivi di ricorso del ricorrente.

Per tali motivi, la Corte ha ritenuto non sussistente la lamentata violazione dell’art. 6, par. 1, CEDU.

CONSIGLIO D’EUROPA
CORTE AUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA CIMOLINO C/ ITALIA
(Ricorso N.  12532/05)
SENTENZA
Strasburgo, 22 settembre 2009  

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire variazioni di forma.

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), costituita in una camera composta da:

Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione, 

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 3 maggio 2007 e il 1° settembre 2009, 

Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale ultima data:

PROCEDIMENTO

  1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 12532/05) nei confronti della Repubblica italiana con cui un cittadino di quello Stato, il sig. Gian Paolo Cimolino (« il ricorrente »), ha adito la Corte il 9 marzo 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (« la Convenzione »).
  2. Il ricorrente è rappresentato dall’Avv. A. Bozzi, del foro di Milano. Il governo italiano (« il Governo ») è rappresentato dal suo agente, sig.ra E. Spatafora, e dal suo co-agente, sig. N. Lettieri.
  3. Il ricorrente adduceva in particolare una violazione del principio del contraddittorio.
  4. Il 3 maggio 2007, la Corte ha dichiarato il ricorso parzialmente inammissibile ed ha deciso di comunicare al Governo il motivo di ricorso relativo all’articolo 6 § 1, per quanto riguarda il rispetto del principio del contraddittorio. Come consentito dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sull’ammissibilità e sul merito. 

    IN FATTO 

    I.    LE CIRCOSTANZE DEL CASO 
     
  5. Il ricorrente è nato nel 1933 e risiede a Milano. E’ un avvocato esperto in materia di lavori pubblici. 
  6. Con decisione dell’8 aprile 1991, il comune di Cambiago decise di assumere il ricorrente come consulente giuridico. Nell’ambito della costruzione di un impianto sportivo pubblico, il ricorrente doveva fornire pareri giuridici per la gestione dei rapporti tra l’amministrazione e l’impresa edile. La decisione fissava in 6.000.000 di lire italiane (ITL), all’incirca 3.000 euro (EUR), l’importo della parcella dovuta al ricorrente. L’importo era stato calcolato dall’interessato in base alle tariffe professionali in vigore all’epoca.
  7. Con decisione del 24 febbraio 1992, il comune, accogliendo la richiesta del ricorrente, concesse a quest’ultimo l’ulteriore somma di 4.000.000 ITL, portando così l’importo della parcella a 10.000.000 ITL, all’incirca 5.000 EUR.
  8. Con nota del 27 ottobre 1992, il ricorrente chiese al comune la somma di 41.899.154 ITL, all’incirca 22.00 EUR, a titolo di parcella e recupero delle spese sostenute nella gestione della pratica da lui curata per conto dell’amministrazione.
  9. Il 16 aprile 1993, poiché l’amministrazione non aveva provveduto al pagamento, il ricorrente inviò la nota di parcella al consiglio dell’Ordine degli avvocati di Milano e ne richiese la liquidazione. 
  10. In una lettera del 23 marzo 1993, il rappresentante del comune rispose che, a prescindere da qualsiasi considerazione relativa all’importo richiesto, la somma non poteva essere pagata in quanto non aveva formato oggetto di approvazione da parte degli organi esecutivi e contabili dell’amministrazione.
  11. Il 29 luglio 1993, il consiglio dell’Ordine degli avvocati di Milano invitò l’amministrazione a liquidare la parcella.
  12. In conseguenza del rifiuto dell’amministrazione di provvedere, il ricorrente presentò un ricorso dinanzi al tribunale di Milano al fine di ottenere l’ingiunzione di pagare 50.321.724 ITL, vale a dire la somma richiesta nella nota di parcella del 27 ottobre 1992 maggiorata delle spese e degli interessi. Il presidente del tribunale accolse la domanda e, con atto notificato il 30 giugno 1994, l’ingiunzione di pagamento fu notificata al comune.
  13. Il 15 luglio 1994, il comune presentò opposizione all’ingiunzione. Affermò che, conformemente all’articolo 23 del decreto legislativo n. 66 del 1989, l’amministrazione può onorare solo le somme il cui pagamento sia stato approvato previamente dagli organi amministrativi competenti. L’amministrazione convenuta aggiunse che, se con il ricorrente erano stati assunti impegni irregolari, questi erano da imputarsi all’allora sindaco di Cambiago e non all’amministrazione comunale.
  14. L’ingiunzione di pagamento aveva forza esecutiva provvisoria, pertanto l’amministrazione pagò al ricorrente la somma da lui richiesta.
  15. Nel frattempo, l’8 giugno 1994, il comune aveva presentato un ricorso dinanzi al tribunale di Milano volto a fare dichiarare l’illegittimità di qualsiasi pretesa del ricorrente successiva alla decisione del 24 febbraio 1992.
  16. Inoltre, il 3 aprile 1996, l’amministrazione presentò un ricorso nei confronti della sig.ra R.M., sindaco di Cambiago all’epoca dell’assunzione del ricorrente, per ottenere la sua condanna a pagare ogni somma che il comune fosse eventualmente tenuto a versare all’interessato.
  17. R.M. si costituì nel procedimento. Sostenne che le prestazioni indicate nella nota di parcella del 27 ottobre 1992 erano state effettivamente eseguite dal ricorrente e dovevano essere considerate come rientranti nelle attività necessarie per la gestione della pratica affidatagli l’8 aprile 1991.
  18. All’udienza del 27 novembre 1996, questi ultimi due ricorsi furono riuniti al procedimento di opposizione all’ingiunzione di pagamento pendente dinanzi al tribunale di Milano.
  19. Il 28 maggio 1997, il ricorrente chiese al tribunale di condannare la sig.ra R.M. a pagare la sua parcella qualora l’amministrazione non fosse ritenuta responsabile.
  20. Con sentenza del 3 dicembre 1998, il tribunale accolse l’opposizione del comune e rigettò tutte le domande del ricorrente. Esso affermò che, ai sensi del decreto legislativo n. 66 del 1989, né l’amministrazione né l’ex sindaco di Cambiago potevano essere ritenuti responsabili per il pagamento della somma richiesta dal ricorrente, in quanto essa non era stata approvata dagli organi amministrativi competenti.
  21. Pertanto, il tribunale revocò l’ingiunzione di pagamento emessa nei confronti dell’amministrazione.
  22. Il ricorrente interpose appello. Con sentenza del 23 maggio 2000, la corte d’appello di Milano modificò parzialmente la sentenza di primo grado, pur confermando la revoca dell’ingiunzione di pagamento nei confronti dell’amministrazione. Essa osservò che le sole somme che l’amministrazione era tenuta a pagare erano quelle approvate dall’organo esecutivo del comune, i giorni 8 aprile 1991 e 24 febbraio 1992, ed espressamente fissate come retribuzione per i pareri giuridici emessi nell’ambito dei rapporti tra l’amministrazione e l’impresa edile, tanto più che la realtà di tali prestazioni non era stata posta in discussione dall’amministrazione.
  23. Per quanto riguardava invece le altre attività professionali esercitate dal ricorrente ed indicate nella nota di parcella del 27 ottobre 1992, la corte d’appello sostenne che esse dovevano essere pagate personalmente dagli agenti dell’amministrazione che le avevano richieste. In particolare, da detta nota risultava che la sig.ra R.M., la quale del resto non aveva mai negato di avere conferito al ricorrente il mandato di fornire ulteriori consulenze giuridiche, era responsabile del pagamento di 4.733.000 ITL. Il resto delle prestazioni non era imputabile né all’amministrazione né all’ex sindaco.
  24. Il ricorrente e la sig.ra R.M. proposero ricorso per cassazione. In particolare, il ricorrente contestò l’interpretazione della corte d’appello secondo la quale la decisione del comune dell’8 aprile 1991 si riferiva soltanto alla fornitura dei pareri giuridici indicati specificamente e non, più in generale, al compimento di qualsiasi attività professionale necessaria per espletare l’incarico.
  25. Con sentenza del 6 maggio 2004, depositata in cancelleria il 30 luglio 2004 e notificata al ricorrente il 14 settembre 2004, la Corte di cassazione rigettò il ricorso del ricorrente. Nonostante che né il tribunale né la corte d’appello avessero considerato la questione, la Corte di cassazione rilevò l’inesistenza di qualsiasi impegno contrattuale dell’amministrazione comunale nei confronti del ricorrente. La Corte di cassazione affermò che, ai sensi degli articoli 16 e 17 del regio decreto n. 2240 del 1923, qualsiasi contratto concluso dalla pubblica amministrazione deve essere imperativamente redatto per iscritto e sottoscritto dalle parti, inoltre deve indicare chiaramente le prestazioni da eseguire e l’importo della retribuzione. Ora, nel caso di specie, la Corte di cassazione osservò che le decisioni dell’8 aprile 1991 e del 24 febbraio 1992, con le quali l’organo esecutivo del comune aveva deciso di assumere il ricorrente, non erano state integrate da documenti conformi ai criteri prescritti dalla legge a pena di nullità. Dette decisioni erano meri atti interni che autorizzavano l’amministrazione ad assumere il ricorrente e non potevano considerarsi dei contratti.
  26. Facendo riferimento alla sua giurisprudenza, la Corte di cassazione affermò che, nelle cause relative all’esecuzione di obblighi contrattuali, ogni questione riguardante la nullità del contratto rientra nel campo delle questioni preliminari della causa, pertanto può essere sollevata dal giudice in tutte le fasi del procedimento, a condizione che il fascicolo contenga i documenti necessari a concludere per l’inesistenza del contratto. Nel caso specifico, la mancanza di un contratto scritto che impegnasse formalmente l’amministrazione e il ricorrente emergeva chiaramente dalla sentenza della corte d’appello nonché dal ricorso per cassazione dell’interessato.
  27. L’alta corte aggiunse che, anche a prescindere dalla questione preliminare relativa alla nullità del contratto, sufficiente da sola a comportare la cassazione, il ricorso doveva comunque essere rigettato.
    Essa affermò in primo luogo che non rientrava tra le sue prerogative censurare e modificare l’interpretazione che i giudici di merito avevano dato alle decisioni del comune datate 8 aprile 1991 e 24 febbraio 1992. Inoltre, uno dei motivi di ricorso del ricorrente non era stato formulato in modo specifico. Infine, la denuncia del ricorrente relativa al difetto di motivazione della sentenza della corte d’appello non era fondata.
  28. Il 19 maggio 2005, il comune di Cambiago intimò al ricorrente di restituire la somma da questi incassata in seguito all’esecuzione dell’ingiunzione.

    II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE 
  29. L’articolo 183 del codice di procedura civile, terzo comma, prevede che, nella prima udienza, il giudice indichi alle parti le questioni rilevabili d’ufficio, delle quali ritiene opportuna la trattazione.

    IN DIRITTO 

    I. SULL’ADDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
  30. Il ricorrente adduce che il procedimento dinanzi alla Corte di cassazione non è stato condotto in contraddittorio. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il quale recita :
    « Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale (...), che deciderà (...) le controversie sui suoi diritti ed obblighi di natura civile (...). »
  31. Il Governo si oppone a questa tesi.

    A. Sull’ammissibilità
  32. La Corte constata che il motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non contrasta con nessun altro motivo d’inammissibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ammissibile

    B. Sul merito

    1.    Argomentazioni delle parti
  33. Il ricorrente sostiene che la questione di diritto alla base della decisione della sua causa, vale a dire la nullità del contratto di lavoro con l’amministrazione, è stata sollevata d’ufficio dalla Corte di cassazione e non è stata sottoposta alle parti nel corso del procedimento.
  34. Egli sostiene di essere stato privato della discussione in contraddittorio su una questione cruciale della causa. L’esistenza del contratto di lavoro costituisce infatti la premessa giuridica e fattuale di tutte le sue pretese.
    Per di più, secondo il ricorrente, la risoluzione di tale questione giuridica aveva acquisito l’autorità di cosa giudicata. I giudici di primo e secondo grado avevano infatti esaminato il merito delle sue domande, con ciò riconoscendo implicitamente la realtà del suo rapporto contrattuale con l’amministrazione. Il ricorrente avrebbe potuto sollevare un’eccezione di decadenza se la Corte di cassazione avesse consentito il contraddittorio sulla questione.
  35. Il ricorrente sostiene inoltre che la Corte di cassazione, andando oltre le sue competenze, ha deciso di ammettere d’ufficio non solo una questione di diritto, ma anche una questione di fatto. Essa avrebbe dovuto chiedere alla corte d’appello, giudice del merito, di accertare se, nel caso di specie, esistesse un atto contrattuale formalmente costituito. Il ricorrente afferma che un tale atto avrebbe potuto essere riconosciuto nella decisione del comune datata 8 aprile 1991, sottoscritta dal sindaco e corredata dalla dichiarazione di accettazione degli oneri, firmata dall’interessato. Al riguardo, egli si duole di non avere avuto la possibilità di discutere l’interpretazione delle disposizioni di legge che disciplinano i contratti tra privati e pubblica amministrazione.
  36. Infine, il ricorrente confuta l’argomentazione del Governo secondo la quale la questione sollevata d’ufficio dalla Corte di cassazione non è stata determinante per l’esito del procedimento. Egli afferma che probabilmente l’argomentazione relativa alla pretesa nullità del contratto di lavoro ha influenzato le osservazioni dell’alta corte in merito agli altri mezzi di ricorso.
  37. Il Governo riconosce che la questione della nullità del contratto di lavoro del ricorrente è stata ammessa d’ufficio dalla Corte di cassazione e non è stata comunicata alle parti durante il procedimento.
  38. In primo luogo, il Governo rivendica il diritto, per un organo giurisdizionale, di decidere una controversia sulla base di una questione sollevata d’ufficio. Il semplice fatto che la Corte di cassazione abbia ammesso la questione della nullità del contratto non può pertanto costituire di per sé un ostacolo al diritto ad un processo equo.
  39. Quanto alla mancata comunicazione alle parti dell’intenzione di utilizzare una questione ammessa d’ufficio, il Governo sostiene innanzitutto che il diritto interno sancisce in linea di principio il rispetto del contraddittorio, imponendo ai giudici l’obbligo di informare le parti di ogni questione ammessa d’ufficio, al fine di consentire loro la discussione sulla stessa prima dell’adozione della decisione.
  40. Tuttavia, esso ritiene che occorra distinguere a seconda della natura della questione. Nella fattispecie, la nullità del contratto di lavoro, derivante dall’applicazione delle disposizioni di legge in materia di contratti con la pubblica amministrazione, era un elemento fattuale e giuridico che non si prestava a controversia. Da un lato, le parti non potevano ignorare l’inesistenza del contratto, dall’altro, si presume che conoscessero le disposizioni di legge pertinenti in materia, di cui non è possibile mettere in dubbio chiarezza e prevedibilità.
  41. Il Governo riconosce che i giudici di primo e secondo grado hanno sbagliato nel non rilevare la questione preliminare relativa alla nullità del contratto. Tuttavia, niente impediva all’alta corte di rimediare all’errore, conformemente alla sua missione di supremo interprete del diritto interno, e di correggere le decisioni pronunciate dai giudici del merito.
  42. Ad ogni modo, la Corte di cassazione non ha fondato il suo giudizio sulla mera questione preliminare sollevata d’ufficio, sufficiente da sola a determinare la cassazione. Infatti, il ricorso per cassazione del ricorrente sarebbe stato comunque rigettato per infondatezza degli altri mezzi sollevati dall’interessato.
    Il Governo si riferisce alla motivazione della sentenza della Corte di cassazione e sostiene che, poiché la questione controversa non è stata determinante e decisiva per la causa, sarebbe impossibile affermare che vi è stata una violazione del diritto ad un processo equo. Esso sottolinea al riguardo che la Convenzione tutela diritti reali ed effettivi, non teorici o illusori.

    2. Valutazione della Corte
  43. Il concetto di processo equo comprende il diritto ad un processo in contraddittorio il quale implica il diritto per le parti di portare a conoscenza dell’avversario gli elementi necessari al successo delle loro pretese, ma anche di prendere visione di ogni atto ed osservazione presentati al giudice per influenzare la sua decisione e di discuterli (Vermeulen c/Belgio, sentenza del 20 febbraio 1996, Raccolta 1996-I, p. 234, § 33; Nideröst-Huber c/Svizzera, sentenza del 18 febbraio 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-I, pp. 107 108, § 24). Il principio vale per le osservazioni e gli atti presentati dalle parti, ma anche da un magistrato indipendente quale il commissario del Governo (Kress c/Francia [GC], n. 39594/98, CEDU 2001-VI; APBP c/Francia, n. 38436/97, 21 marzo 2002), da un’amministrazione (sentenza Krčmář e altri c/Repubblica ceca, n. 35376/97, § 39, 3 marzo 2000) o dal giudice autore della sentenza impugnata (Nideröst-Huber, succitata).
  44. Anche il giudice deve rispettare il principio del contraddittorio, in particolare quando rigetta un ricorso o decide una controversia sulla base di un motivo sollevato d’ufficio o di una riqualificazione giuridica dei fatti operata d’ufficio (Skondrianos c/Grecia, nn. 63000/00, 74291/01 e 74292/01, §§ 29 30, 18 dicembre 2003; Clinique des Acacias e altri c/Francia, nn. 65399/01, 65406/01, 65405/01 e 65407/01, § 38, 13 ottobre 2005; Prikyan e Angelova c/Bulgaria, n. 44624/98, § 42, 16 febbraio 2006; Drassich c/Italia, n. 25575/04, §§ 31 e 32, 11 dicembre 2007).
  45. Innanzitutto, la Corte conviene con il Governo che la Corte di cassazione si è avvalsa del suo potere incontestato di decidere la causa sulla base di una questione sollevata d’ufficio. Solo la mancata comunicazione alle parti dell’intenzione di ammettere d’ufficio detta questione potrebbe porre un problema rispetto alla Convenzione.
  46. Il Governo ritiene che la decisione di non aprire un dibattito in contraddittorio sulla questione controversa sia giustificata nel caso di specie dall’incontrovertibilità della questione e dalla circostanza che essa non è stata decisiva per l’esito del contenzioso.
  47. La Corte osserva di primo acchito che la questione della nullità del contratto non è stata sfiorata in nessuna fase del procedimento. Né l’amministrazione convenuta, né le diverse autorità giudiziarie investite della causa durante tutto il contenzioso hanno posto in discussione l’esistenza stessa di un rapporto contrattuale tra il ricorrente e l’amministrazione.ertanto, la Corte non può sottoscrivere la tesi del Governo secondo la quale la questione ammessa d’ufficio dalla Corte di cassazione era un elemento fattuale e giuridico incontrovertibile e la sua discussione in contraddittorio superflua (Clinique des Acacias e altri c/Francia, succitata, § 41).
  48. Tuttavia, la Corte deve appurare se la mancanza della Corte di cassazione all’obbligo di garantire il contraddittorio nel caso di specie abbia privato il ricorrente della possibilità di presentare le sue argomentazioni su una questione determinante per l’esito del procedimento.
  49. A tale proposito, essa constata che la Corte di cassazione non ha deciso la causa solo sulla base della questione preliminare sollevata d’ufficio. Pur sottolineando che la nullità era sufficiente a comportare la cassazione, l’alta corte ha esaminato e rigettato nel merito tutti i mezzi di ricorso del ricorrente, affermando che il ricorso per cassazione dell’interessato sarebbe stato comunque rigettato tenuto conto del contenuto delle sue doglianze (si veda il precedente paragrafo 27).
    Ora, la Corte non ha motivo di dubitare della legittimità delle affermazioni dell’alta corte italiana sul punto.
  50. Essa rammenta che la Convenzione non mira a tutelare diritti puramente teorici o illusori (si veda, tra le altre, a contrario, Artico c/Italia, sentenza del 13 maggio 1980, serie A n. 37, § 33). Pertanto, nelle circostanze particolari della causa, il ricorrente non può affermare di essere stato privato dell’opportunità di presentare le sue argomentazioni su una questione essenziale e determinante per l’esito del procedimento (a contrario, Prikyan e Angelova c/Bulgaria, succitata, § 52).
  51. In conclusione, non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. 

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il resto del ricorso ammissibile ;
  2. Afferma che non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

Redatta in francese, poi comunicata per iscritto il 22 settembre 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Sally Dollé
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente