Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 marzo 2009 - Ricorso n. 38128/06 - Ben Salah c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Martina Scantamburlo

Abstract

Fatto.
In tutte le cause in titolo i ricorrenti, di nazionalità tunisina, erano stati colpiti da provvedimenti di espulsione basati sulla loro pretesa appartenenza ad organizzazioni di stampo terroristico.
Dopo aver esaurito le vie di ricorso interne, i ricorrenti adivano la Corte europea dei diritti dell’uomo chiedendo preliminarmente, ex art. 39 Regolamento CEDU, la sospensione degli effetti dei rispettivi provvedimenti di espulsione e lamentando che l’eventuale messa in esecuzione da parte dell’Italia dei suddetti provvedimenti li avrebbe esposti al rischio di essere sottoposti, una volta giunti nel paese di destinazione (la Tunisia), a trattamenti inumani e degradanti contrari all’art. 3 CEDU.
Alcuni ricorrenti invocavano altresì gli articoli 2 (diritto alla vita), 6 (diritto ad un processo equo) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) CEDU. In particolare nei ricorsi Abdelhed e Soltana, i ricorrenti lamentavano anche la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 7, affermando che la misura dell’espulsione era stata adottata in violazione delle garanzie procedurali prescritte in caso di espulsioni di stranieri.
Nel corso del procedimento dinanzi alla Corte di Strasburgo, le autorità italiane ricevevano rassicurazioni da parte delle corrispondenti autorità tunisine circa le garanzie inerenti al rispetto della dignità, dell’equo processo, del diritto di ricevere visite nonché del diritto di beneficiare di cure mediche.
Nelle more del procedimento, la Corte, in accoglimento delle istanze dei ricorrenti, ha richiesto al Governo italiano di sospendere la procedura di espulsione fino a nuovo ordine, nell’interesse delle parti e del buon esito del procedimento pendente davanti ad essa.

Diritto.
Le sentenze in titolo seguono il filone giurisprudenziale in materia di espulsione di stranieri, inaugurato dalla Corte EDU con la sentenza della Grande Camera pronunciata nella causa Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008 .
La Corte, richiamando le considerazioni esposte nel caso Saadi, ha affermato che il recepimento da parte di uno Stato di trattati internazionali volti a garantire il rispetto dei diritti fondamentali non è di per sé sufficiente ad assicurare una protezione adeguata contro il rischio di torture quando, come nei casi de quibus, fonti affidabili confermino l’esistenza di pratiche delle autorità - o da queste tollerate - contrarie ai principi della Convenzione.
Relativamente alle rassicurazioni a tal fine offerte dallo Stato di destinazione, la Corte ha precisato che è suo compito accertare se le stesse rappresentino, nella loro applicazione concreta, una sufficiente garanzia per i ricorrenti contro il rischio di subire trattamenti vietati dalla Convenzione. Il peso da attribuire alle suddette rassicurazioni varia a seconda delle circostanze che si presentano all’epoca considerata.
A tal riguardo, la Corte richiamando il principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa con la risoluzione n. 1433 del 2005, ha affermato che le rassicurazioni diplomatiche non rappresentano un sufficiente strumento di garanzia quando l’assenza di pericolo di subire torture non è dalle stesse fermamente escluso.
Per ritenere reali e comprovati, nelle fattispecie sottoposte al suo esame, i rischi connessi all’esposizione dei ricorrenti a trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione, la Corte ha fatto riferimento ai rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch concernenti la Tunisia. In tali rapporti si denunciano ripetute pratiche di violazioni di diritti fondamentali, casi di tortura nei confronti di persone anche solo sospettate di terrorismo, mentre le autorità tunisine non sono solite punire i responsabili dei trattamenti disumani verso i detenuti e sono poco inclini a cooperare con le organizzazioni internazionali che operano in difesa dei diritti umani.
Tanto premesso, la Corte ha quindi constatato che l’eventuale messa in esecuzione da parte dell’Italia dei provvedimenti di espulsione nei confronti dei ricorrenti verso la Tunisia comporterebbe violazione dell’art. 3 CEDU. Per quanto riguarda le altre norme della Convenzione invocate da alcuni ricorrenti, la Corte non ha ritenuto di affrontarne l’esame.
Infine, nei casi in cui i ricorrenti avevano chiesto il ristoro dei danni morali subiti ex art. 41 della Convenzione, la Corte ha respinto tali richieste di riparazione, considerando la mera constatazione della eventuale violazione dell’art. 3 della Convenzione un’equa soddisfazione.

CONSIGLIO D’EUROPA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA BEN SALAH c. ITALIA
(Ricorso n. 38128/06)
SENTENZA
STRASBURGO
24 marzo 2009

Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrà subire alcune lievi modifiche formali.
 
Nella causa Ben Salah c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
    Françoise Tulkens, presidente,
    Ireneu Cabral Barreto,
    Vladimiro Zagrebelsky,
    Danutė Jočienė,
    Dragoljub Popović,
    András Sajó,
    Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 3 marzo 2009,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in questa data:

IL PROCEDIMENTO

  1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 38128/06) presentato contro la Repubblica italiana e con cui un cittadino tunisino, il sig. Ben Salah («il ricorrente»), ha adito la Corte il 25 settembre 2006 in applicazione dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
  2. Il ricorrente è rappresentato dagli avv. S. Clementi e B. Manara, del foro di Milano. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo agente, la sig.ra E. Spatafora, e dal suo co-agente aggiunto, il sig. N. Lettieri.
  3. Il ricorrente sostiene in particolare che l’esecuzione della decisione con cui è stata disposta la sua espulsione verso la Tunisia violerebbe gli articoli 2 e 3 della Convenzione e che tale decisione non si basava su motivi di sicurezza nazionale.
  4. Il 15 novembre 2006 il presidente della terza sezione ha deciso di informare il Governo del ricorso. Come consente l’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha inoltre deciso che la Camera si sarebbe pronunciata nel contempo sulla ricevibilità e sul merito della causa.

    IN FATTO


    I.    LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

  5. Il ricorrente è nato nel 1976 ed è residente a Bologna.

    A.    Il procedimento e il decreto di espulsione nei confronti del ricorrente
  6. Il ricorrente è entrato regolarmente in Italia nel 2003.
  7. Nel febbraio 2006 fu arrestato con altre diciassette persone nell’ambito di un’indagine di polizia relativa ad un’associazione di tipo terroristico. L’11 aprile 2006 il giudice per le indagini preliminari di Bologna rigettò la richiesta della procura di sottoporre gli imputati a custodia cautelare, poiché non risultava provato che avessero formato un’associazione finalizzata a commettere atti terroristici. Il 27 giugno 2006 il tribunale della libertà e del riesame di Bologna rigettò l’appello della procura.
  8. Il 1° settembre 2006 il ministro dell’Interno ordinò l’espulsione del ricorrente verso la Tunisia ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 144 del 2005 (intitolata «Misure urgenti per combattere il terrorismo internazionale»). Osservando che dal fascicolo risultava che l’interessato aveva svolto un ruolo significativo in seno ad organizzazioni implicate nella ideazione di progetti sovversivi e che aveva agito allo scopo di raggiungere gli obiettivi di dette organizzazioni, il ministro concluse che questo comportamento, con il quale il ricorrente prestava assistenza al terrorismo islamico, costituiva un disordine per l’ordine pubblico e un pericolo per la sicurezza nazionale.
  9. L’11 settembre 2006 il Questore di Bologna, notando che era stato adottato un decreto di espulsione contro il ricorrente per motivi di sicurezza nazionale e tutela dell’ordine pubblico, revocò il permesso di soggiorno di quest’ultimo.
  10. Il 12 settembre 2006 il ricorrente fu fermato da agenti di polizia e trasportato al Centro di Permanenza Temporanea di Ponte Galeria, a Roma.
  11. Il 15 settembre 2006 la decisione del ministro dell’Interno fu convalidata dal giudice di pace di Roma, previo esame della legalità dello stesso.
  12. Su richiesta del ricorrente, il 23 ottobre 2006, la terza sezione ha deciso di indicare al governo italiano, in applicazione dell’articolo 39 del regolamento della Corte, che era auspicabile, nell’interesse delle parti e di un buono svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte, non espellere il ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Essa ha richiamato l’attenzione del Governo affermando che il fatto che uno Stato contraente non si adegui ad una misura indicata in applicazione dell’articolo 39 del regolamento può comportare una violazione dell’articolo 34 della Convenzione (v. Mamatkoulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDU 2005-I).

    B. Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
  13. Il 29 agosto 2008 l’Ambasciata d’Italia a Tunisi inviò al ministero tunisino degli Affari esteri la seguente nota verbale(n. 3124):
    «L'Ambasciata d'Italia presenta i suoi complimenti al ministero degli Affari Esteri e fa riferimento alle proprie note verbali n. 2738 del 21 luglio scorso e n. 2911 del 6 agosto scorso ed alla visita in Tunisia della delegazione tecnica dei rappresentanti dei ministeri italiani dell'Interno e della Giustizia, svoltasi il 24  luglio scorso, concernenti l'esame delle procedure da seguire in merito ai ricorsi pendenti innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, presentati da cittadini tunisini, nei cui confronti sono stati emessi o potrebbero essere emessi dei decreti di espulsione.
    L’Ambasciata d’Italia ringrazia il ministero degli Affari Esteri per la nota verbale DGAC n. 011998 del 26 agosto scorso e per il suo tramite il ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo per la concreta collaborazione manifestata nel caso del signor Essid Sami Ben Khemais.
    Conformemente a quanto convenuto nella riunione del 24 luglio, le autorità italiane si pregiano di sottoporre per via diplomatica la loro richiesta di elementi supplementari specifici, che risultano necessari nel contenzioso pendente innanzi alla Corte di Strasburgo tra l’Italia e i cittadini tunisini qui di seguito citati (…) (…)
    A tale scopo, l’Ambasciata d'Italia si pregia di chiedere al ministero degli Affari Esteri di voler adire le autorità tunisine competenti affinché esse possano fornire per via diplomatica le seguenti assicurazioni specifiche su ciascuno di questi ricorrenti in relazione ai seguenti argomenti:
    - che, in caso di espulsione verso la Tunisia, la persona le cui generalità saranno specificate non venga sottoposta a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti ;
    - che essa possa essere giudicata da un tribunale indipendente ed imparziale, secondo procedure che, nel complesso, siano conformi ai principi di un processo equo e pubblico;
    - che durante la sua detenzione, possa ricevere le visite dei suoi avvocati, compreso quello italiano che la rappresenta nel giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo, dei suoi familiari e di un medico.
    Tenuto conto che la scadenza per la presentazione delle osservazioni del governo italiano a Strasburgo per i suddetti casi è fissata al prossimo 19 settembre, l’Ambasciata d'Italia sarebbe grata al ministero degli Affari Esteri se volesse farle pervenire al più presto gli elementi che sono stati richiesti e che risultano fondamentali per la strategia difensiva del governo italiano, e suggerisce che la sig.ra Costantini, Primo segretario dell'ambasciata, possa recarsi al ministero della Giustizia e dei diritti umani per fornire tutti i chiarimenti ritenuti utili.
    L’Ambasciata d’Italia sarebbe grata inoltre al ministero degli Affari Esteri se volesse verificare se le autorità tunisine competenti ritengono opportuno che il governo tunisino partecipi, per i citati ricorsi, alle procedure innanzi alla Corte di Strasburgo, in quanto terzo, e ciò conformemente agli articoli 36 [della Convenzione], 44 del regolamento della Corte, [e] A1 paragrafo 2 dell’allegato al regolamento.
    L'ambasciata d'Italia ringrazia anticipatamente il ministero degli Affari Esteri per l’attenzione che vorrà riservare alla presente nota e coglie l’occasione per rinnovarle i sensi della sua alta considerazione.»
  14. Il 5 novembre 2008 le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta, firmata dall’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziari. Nelle sue parti pertinenti, tale risposta è cosi formulata:
    «Nella sua nota verbale del 29 agosto 2008, come completata dalla sua nota verbale del 4 settembre 2008, l’ambasciata d’Italia a Tunisi ha richiesto alle autorità tunisine le assicurazioni qui di seguito riportate, riguardanti i cittadini tunisini Maher BEN SALAH [e altri] qualora essi dovessero essere espulsi verso la Tunisia.
    I. Le autorità tunisine sottolineano, anzitutto, che Maher BEN SALAH [e altri] non sono attualmente sottoposti a procedimenti giudiziari in Tunisia. I giudici tunisini, non essendo venuti a conoscenza di una loro eventuale implicazione in fatti delittuosi, non hanno avviato nei l loro confronti alcuna azione penale.
    Non essendo soggetti ad alcuna condanna o azione penale, gli interessati beneficiano, come ogni cittadino tunisino, e sullo stesso piede di parità, di tutti i diritti ad essi riconosciuti dalla Costituzione tunisina, il cui articolo 6 dispone che «tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Sono uguali davanti alla legge». L’articolo 7 della Costituzione aggiunge che essi «esercitano la pienezza dei loro diritti nelle forme e alle condizioni previste dalla legge». (...)
    1. La garanzia del rispetto della dignità degli interessati:
    Il rispetto della dignità degli interessati è garantito e trae origine dal principio del rispetto della dignità della persona, in qualunque stato si trovi, principio fondamentale riconosciuto dal diritto tunisino e garantito a tutte le persone, e più particolarmente ai detenuti il cui status è minuziosamente disciplinato.
    È utile a tale proposito ricordare che l'articolo 13, comma 2, della Costituzione tunisina dispone che «ogni individuo che ha perduto la sua libertà è trattato umanamente, nel rispetto della sua dignità».
    La Tunisia ha peraltro ratificato senza alcuna riserva la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Essa ha così riconosciuto la competenza del comitato contro la tortura a ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da o per conto dei cittadini sottoposti alla sua giurisdizione che sostengono di essere vittime di violazioni delle disposizioni della Convenzione (ratificata dalla legge n. 88-79 dell'11 luglio 1988. Gazzetta Ufficiale della Repubblica tunisina n. 48 del 12-15 luglio 1988, pagina 1035).
    Le disposizioni di detta Convenzione sono state trasposte nel diritto interno, l'articolo 101 bis del codice penale definisce la tortura come «un atto con il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, al fine di ottenere dalla medesima o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che lei o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla o far pressioni su una terza persona, o quando il dolore o le sofferenze acute sono inflitte per qualsiasi altro motivo fondato su una forma qualunque di discriminazione.»
    Il legislatore ha previsto pene severe per questo genere di violazioni, così il succitato articolo 101 bis dispone che «è punito con otto anni di reclusione il funzionario o un suo assimilato che, nell'esercizio o in occasione dell'esercizio delle sue funzioni, sottopone una persona a tortura.»
    Occorre segnalare che, secondo l'articolo 12 della Costituzione, la misura del fermo di polizia è soggetta al controllo giudiziario e che la detenzione preventiva può essere disposta soltanto con provvedimento giudiziario. È vietato sottoporre una persona a detenzione arbitraria. La procedura di fermo prevede parecchie garanzie che tendono ad assicurare il rispetto dell'integrità fisica e morale del detenuto, fra cui in particolare:
    - Il diritto della persona sottoposta a fermo di informare, al momento del suo arresto, i suoi famigliari.
    - Il diritto di chiedere durante il fermo di polizia o allo scadere del suo termine di essere sottoposto a visita medica. Questo diritto può eventualmente essere esercitato dai famigliari.
    - La durata della detenzione preventiva è regolamentata, la sua proroga è eccezionale e deve essere motivata dal giudice.
    Occorre anche notare che la legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria all’articolo primo sancisce che l’obiettivo della medesima legge è la disciplina delle «condizioni detentive nelle carceri al fine di assicurare l'integrità fisica e morale del detenuto, di prepararlo alla vita in libertà e di aiutarlo nel suo reinserimento.»
    Questa disposizione legislativa è rafforzata dall'attuazione di un sistema di controllo destinato ad assicurare l’effettivo rispetto della dignità dei detenuti. Si tratta di vari tipi di controlli eseguiti da diversi organi e istituzioni:
    - Vi è dapprima un controllo giudiziario assicurato dal giudice dell'esecuzione delle pene che, secondo la formulazione dell'articolo 342-3 del codice di procedura penale tunisino, è tenuto a visitare l'istituto penitenziario sito nel distretto di sua competenza, per conoscere le condizioni dei detenuti; dette visite sono in pratica effettuate mediamente due volte a settimana.
    - Vi è poi il controllo effettuato dal comitato superiore dei diritti umani e delle libertà fondamentali; il presidente di questo istituto nazionale indipendente può effettuare visite improvvise negli istituti penitenziari per informarsi sullo stato e le condizioni dei detenuti.
    - Vi è anche il controllo amministrativo interno effettuato dai servizi dell'ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei diritti dell'uomo e dell'ispettorato generale che dipende dalla direzione generale delle carceri e della rieducazione. È da notare in questo quadro che l'amministrazione penitenziaria fa parte del ministero della Giustizia e che gli ispettori del citato ministero sono magistrati di carriera, fatto che costituisce una garanzia supplementare ai fini di un controllo rigoroso delle condizioni detentive.
    - Occorre infine segnalare che il comitato internazionale della Croce Rossa è abilitato dal 2005 ad effettuare visite nei luoghi di detenzione, nelle carceri e nei locali della polizia abilitati ad accogliere i detenuti in stato di fermo. Al termine di queste visite sono redatti dei rapporti dettagliati e vengono organizzati incontri con i servizi interessati per mettere in atto le raccomandazioni formulate dal comitato sullo stato dei detenuti.
    Le autorità tunisine ricordano che esse non esitano affatto ad indagare su tutte le allegazioni di tortura ogni qualvolta vi siano ragionevoli motivi per credere che siano stati commessi maltrattamenti. Si citano due esempi:
    - il primo riguarda tre agenti dell'amministrazione penitenziaria perseguiti per maltrattamenti su un detenuto; l'inchiesta aperta a tale proposito ha portato alla condanna dei tre agenti carcerari alla pena di quattro anni di reclusione ciascuno (sentenza della corte d'appello di Tunisi emessa il 25 gennaio 2002).
    - Il secondo esempio riguarda un agente di polizia che è stato condannato a 15 anni di reclusione per lesioni volontarie che hanno preterintenzionalmente provocato la morte (sentenza emessa dalla corte d'appello di Tunisi il 2 aprile 2002).
    Questi due esempi dimostrano come le autorità tunisine non tollerino alcun maltrattamento e non esitino ad intraprendere le azioni necessarie contro i pubblici ufficiali ogni qualvolta vi siano motivi ragionevoli per ritenere che siano stati commessi atti di tale natura.
    I pochi casi di condanna per maltrattamenti segnalati nel rapporto presentato dalla Tunisia al Consiglio dei diritti dell'uomo ed al Comitato dei diritti dell'uomo denotano così la volontà politica dello Stato nel perseguire e reprimere qualsiasi tortura o  maltrattamento, e questo permette di respingere qualsiasi allegazione di violazione sistematica dei diritti dell'uomo.
    (...)
    2. La garanzia di un processo equo agli interessati:
    Se verranno espulsi in Tunisia, gli interessati beneficeranno di procedure di azione penale, istruzione e giudizio che offrono tutte le garanzie necessarie ad un processo equo, e in particolare:
    - Il rispetto del principio della separazione tra le autorità dell'accusa, dell'istruzione e del giudizio.
    - L'istruzione in materia di crimini è obbligatoria. Obbedisce al principio del doppio grado di giurisdizione (giudice istruttore e sezione istruttoria),
    - Le udienze sono pubbliche e rispettano il principio del contraddittorio.
    - Ogni persona sospettata di un crimine ha diritto all'assistenza di uno o più avvocati. Se necessario le viene nominato un avvocato di ufficio e le spese sono a carico dello Stato. L'assistenza dell'avvocato prosegue per tutte le fasi del procedimento: istruzione preparatoria e fase di giudizio.
    - L'esame dei crimini è di competenza delle corti criminali che sono formate da cinque magistrati; questa formazione allargata rafforza le garanzie dell'imputato.
    - Il principio del doppio grado di giurisdizione in materia criminale è sancito dal diritto tunisino. Il diritto di proporre appello avverso le sentenze di condanna è quindi un diritto fondamentale per l'imputato.
    - La condanna può essere resa soltanto sulla base di prove solide che sono state oggetto di dibattimento in contraddittorio innanzi alla autorità giudiziaria competente. Anche la confessione dell'imputato non è considerata prova determinante. Questa posizione sarà confermata dalla sentenza della Corte di cassazione tunisina n. 12150 del 26 gennaio 2005, con la quale la Corte ha affermato che la confessione estorta con violenza è nulla ed è considerata come non avvenuta, e questo in applicazione dell'articolo 152 del codice di procedura penale che dispone che: «la confessione, come qualsiasi elemento di prova, è lasciata alla libera valutazione dei giudici ». Il giudice deve quindi valutare tutte le prove che gli sono presentare al fine di decidere la forza probante da conferire a dette prove secondo la sua intima convinzione.
    3. La garanzia del diritto di ricevere visite:
    Se l'arresto delle persone interessate viene deciso dall'autorità giudiziaria competente, esse beneficeranno dei diritti garantiti ai detenuti previsti dalla legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria. Questa legge sancisce il diritto di ogni imputato di ricevere la visita dell'avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente carcerario, nonché la visita dei familiari. Se viene deciso il loro arresto, gli interessati godranno di questo diritto conformemente alla legislazione vigente e senza alcuna restrizione.
    Per quanto riguarda la richiesta di visita degli interessati da parte degli avvocati che li rappresentano nel procedimento in corso innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, le autorità tunisine osservano che tale visita non può essere autorizzata in mancanza di una convenzione o di un quadro legale interno che l'autorizzi.
    In effetti la legge sull’ordinamento carcerario determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta soprattutto dei familiari del detenuto e del suo avvocato tunisino.
    La Convenzione di assistenza giudiziaria conclusa tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non prevede la possibilità per gli avvocati italiani di visitare i detenuti tunisini. Tuttavia gli interessati potranno, se lo desiderano, incaricare avvocati di fiducia tunisini di rendere loro visita e di coordinare, con i loro omologhi italiani, le loro azioni nella preparazione degli elementi difensivi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
    4. La garanzia del diritto di beneficiare di cure mediche:
    La legge precitata relativa all'organizzazione carceraria dispone che ogni detenuto ha diritto gratuitamente a cure e medicinali all'interno delle carceri e, in mancanza, nelle strutture ospedaliere. Inoltre, l'articolo 336 del codice di procedura penale autorizza il giudice dell'esecuzione delle pene a sottoporre il condannato a esame medico.
    Se viene deciso l'arresto delle persone interessate, esse saranno sottoposte a esame medico non appena entrate nell’istituto penitenziario. Potranno, peraltro, fruire successivamente di un controllo medico nell'ambito di esami periodici. In conclusione gli interessati fruiranno di un regolare controllo medico come ogni detenuto e di conseguenza non occorre autorizzare un altro medico a visitarli.
    Le autorità tunisine ribadiscono la loro volontà di cooperare pienamente con la parte italiana fornendole tutte le informazioni e i dati utili alla sua difesa nella procedura in corso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo».

    II.    IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

  15. I ricorsi che è possibile presentare contro un decreto di espulsione in Italia e le norme che regolano la riapertura di un processo in contumacia sono descritti in Saadi c. Italia ([GC], n. 37201/06, §§ 58-60, 28 febbraio 2008).

    III.    TESTI E DOCUMENTI INTERNAZIONALI

  16. Nella sentenza Saadi sopra citata vi è una descrizione dei seguenti testi, documenti internazionali e fonti di informazioni: l’accordo di cooperazione in materia di lotta contro la criminalità firmato dall’Italia e dalla Tunisia e l’accordo di associazione tra la Tunisia, l’Unione europea e i suoi Stati membri (§§ 61-62); gli articoli 1, 32 e 33 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo status dei rifugiati (§ 63); le linee direttrici del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (§ 64); i rapporti relativi alla Tunisia di Amnesty International (§§ 65-72) e di Human Rights Watch (§§ 73-79); le attività del Comitato internazionale della Croce Rossa (§§ 80-81); il rapporto del Dipartimento di Stato americano relativo ai diritti dell’uomo in Tunisia (§§ 82-93); le altre fonti di informazioni relative al rispetto dei diritti dell’uomo in Tunisia (§ 94).
  17. Dopo l’adozione della sentenza Saadi, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuale 2008. Le parti pertinenti della sezione di tale rapporto dedicata alla Tunisia sono riportate in Ben Khemais c. Italia, n. 246/07, § 34, ... 2009).
  18. Nella sua risoluzione 1433(2005), relativa alla legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantanamo Bay, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto al governo americano, tra l’altro, «di non rinviare o trasferire i detenuti basandosi su «garanzie diplomatiche» di Paesi conosciuti per ricorrere sistematicamente alla tortura, e in ogni caso se l’assenza di rischio di maltrattamenti non è fermamente accertata».

    IN DIRITTO

    I.    SULLA PRETESA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 2 E 3 DELLA CONVENZIONE

  19. Il ricorrente considera che l’esecuzione della sua espulsione lo esporrebbe a un rischio di trattamenti contrari agli articoli 2 e 3 della Convenzione. Tali disposizioni recitano:
    Articolo 2
    «1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena.
    2. La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:
    1. a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;
    2. b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta;
    3. c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione»
    Articolo 3
    «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»
  20. Il Governo si oppone a questa tesi.

    A.    Sulla ricevibilità
  21. La Corte osserva che questo motivo non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non si scontra con nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

    B.    Sul merito

    1.    Argomenti delle parti
  22. Il ricorrente rinvia alle inchieste condotte da Amnesty International e dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, che dimostrerebbero che la tortura è praticata in Tunisia e che alcune persone sospettate di terrorismo ed espulse verso tale Stato sono puramente e semplicemente scomparse.
  23. Secondo il ricorrente, il semplice richiamo dei trattati internazionali firmati dalla Tunisia non può bastare a scartare ogni possibile rischio di violazione dei diritti convenzionali.
  24. Il Governo sottolinea che le allegazioni relative ad un pericolo di morte o al rischio di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti devono essere suffragate da elementi di prova adeguati, e ritiene che ciò non sia avvenuto nella fattispecie, poiché il ricorrente si è limitato a descrivere una situazione ipoteticamente generalizzata in Tunisia.
  25. Il Governo osserva anche che la Tunisia ha ratificato vari strumenti internazionali in materia di tutela dei diritti dell’uomo, ivi compreso un accordo di associazione con l’Unione europea, organizzazione internazionale che, secondo la giurisprudenza della Corte, si presume offra una tutela dei diritti fondamentali «equivalente» a quella assicurata dalla Convenzione. Esso sottolinea peraltro che le autorità tunisine permettono alla Croce Rossa internazionale di visitare le carceri.
  26. Secondo il Governo, si può presumere che la Tunisia non si sottrarrà agli obblighi che le derivano in virtù dei trattati internazionali. Inoltre, il sistema giuridico italiano prevedrebbe delle garanzie per l’individuo – ivi compresa la possibilità di ottenere lo status di rifugiato – che renderebbero un allontanamento contrario alle esigenze della Convenzione «praticamente impossibile».
  27. Il Governo rinvia alle assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine, nelle quali vede il risultato di un dialogo intergovernativo molto fruttuoso. Tali assicurazioni garantirebbero una protezione adeguata del ricorrente contro il rischio di subire, in Tunisia, dei trattamenti vietati dalla Convenzione.
  28. Esso sottolinea che le autorità tunisine hanno accompagnato tali assicurazioni con una «spiegazione lunga e rassicurante, in fatto e in diritto, delle ragioni per cui bisogna crederci», e ritiene che la loro buona fede non dovrebbe essere messa in discussione. Aggiunge che il rispetto effettivo di tali assicurazioni potrà essere verificato in occasione dei controlli del Comitato superiore dei diritti dell’uomo e della Croce Rossa, nonché delle visite degli avvocati e dei parenti del ricorrente.
  29. Secondo il Governo, l’impossibilità per il rappresentante del ricorrente dinanzi alla Corte di visitare il suo cliente se questi fosse incarcerato in Tunisia si spiega con il fatto che questo Stato non ha aderito alla Convenzione. Pertanto sarebbe ragionevole non permettere le visite di avvocati stranieri che operano fuori dall’ambito nazionale e internazionale nel quale rientra la Tunisia. A tale riguardo, il Governo osserva che l’interessato potrà, se lo desidera, dare mandato ad avvocati tunisini di sua scelta affinché procedano, in collaborazione con i loro omologhi italiani, alla preparazione della sua difesa dinanzi alla Corte.
  30. Secondo il parere del Governo, le assicurazioni date dalla Tunisia sono tranquillizzanti per quanto riguarda la sicurezza e il benessere del ricorrente e il rispetto del suo diritto ad un processo equo. Sottolineando che nella causa Saadi precitata la Corte stessa ha chiesto se tali assicurazioni fossero state chieste e ottenute, il Governo ritiene che, senza bisogno di rimetterli in discussione, i principi affermati dalla Grande Camera devono essere adattati alle particolari circostanze fattuali del caso di specie.

    2.    Valutazione della Corte
  31. I principi generali relativi alla responsabilità degli Stati contraenti in caso di espulsione, agli elementi da tenere in considerazione al fine di valutare il rischio di sottoposizione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione e alla nozione di «tortura» e di «trattamenti inumani e degradanti» sono riassunti nella sentenza Saadi (già cit., §§ 124-136), in cui la Corte ha anche riaffermato l’impossibilità di bilanciare il rischio di maltrattamenti e i motivi invocati per l’espulsione allo scopo di determinare se la responsabilità di uno Stato debba essere chiamata in causa sotto il profilo dell’articolo 3 (§§ 137-141).
  32. La Corte ricorda le conclusioni a cui è giunta nella causa Saadi sopra citata (§§ 143-146), che erano le seguenti:
    - i testi internazionali pertinenti riportano casi numerosi e regolari di torture e maltrattamenti inflitti in Tunisia a persone sospettate o riconosciute colpevoli di terrorismo;
    - tali testi descrivono una situazione preoccupante;
    - le visite del Comitato internazionale della Croce Rossa nei luoghi di detenzione tunisini non possono allontanare il rischio di sottoposizione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione.
  33. La Corte non vede nella fattispecie alcun motivo per ritornare su tali conclusioni, che sono del resto confermate dal rapporto 2008 di Amnesty International relativo alla Tunisia (v. il paragrafo 16 supra). Per di più, essa osserva che in Italia il ricorrente è stato accusato di appartenere a un’organizzazione terroristica integralista (v. il paragrafo 7 supra).
  34. In queste condizioni, la Corte ritiene che, nella fattispecie, fatti seri e accertati giustifichino il fatto di concludere per l’esistenza di un rischio reale di vedere il ricorrente subire dei trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione se fosse espulso verso la Tunisia (v., mutatis mutandis, Saadi, già cit., § 146). Resta da verificare se le assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine siano sufficienti per escludere tale rischio.
  35. Al riguardo la Corte ricorda, in primo luogo, che l’esistenza di testi interni e l’accettazione di trattati internazionali che garantiscano, in linea di principio, il rispetto dei diritti fondamentali non bastano, da sole, ad assicurare una protezione adeguata contro il rischio di maltrattamenti quando, come nella fattispecie, delle fonti affidabili riportano delle pratiche da parte delle autorità – o tollerate da queste ultime – manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (Saadi, già cit., § 147 in fine). In secondo luogo, spetta alla Corte esaminare se le assicurazioni date dallo Stato di destinazione forniscono, nella loro applicazione effettiva, una garanzia sufficiente per quanto riguarda la protezione del ricorrente contro il rischio di trattamenti vietati dalla Convenzione (Chahal c. Regno Unito, Recueil des arrêts et décisions 1996 V, § 105, 15 novembre 1996). L’importanza da attribuire alle assicurazioni provenienti dallo Stato di destinazione dipende, in effetti, in ogni singolo caso, dalle circostanze prevalenti nel momento considerato (Saadi, già cit., § 148 in fine).
  36. Nel presente caso di specie, l’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziari ha assicurato che la dignità umana del ricorrente sarebbe rispettata in Tunisia, che egli non sarebbe sottoposto alla tortura, a trattamenti inumani o degradanti o a una detenzione arbitraria, che beneficerebbe di cure mediche adeguate e potrebbe ricevere visite da parte del suo avvocato e dei suoi famigliari. Oltre alle leggi tunisine pertinenti e ai trattati internazionali firmati dalla Tunisia, tali assicurazioni si basano sui seguenti elementi:
    - i controlli praticati dal giudice dell’esecuzione delle pene, dal comitato superiore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (istituzione nazionale indipendente) e dai servizi dell’ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei Diritti dell’Uomo;
    - due casi di condanna di agenti dell’amministrazione penitenziaria e di un agente di polizia per maltrattamenti;
    - la giurisprudenza interna, ai sensi della quale una confessione estorta sotto costrizione si considera nulla e non avvenuta.
  37. La Corte osserva, tuttavia, che non è accertato che l’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziari fosse competente per dare tali assicurazioni in nome dello Stato (v., mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina, n. 2440/07, § 73, 23 ottobre 2008).Inoltre, tenuto conto del fatto che delle fonti internazionali serie e affidabili hanno indicato che le accuse di maltrattamenti non venivano esaminate dalle autorità tunisine competenti (Saadi, già cit., § 143), il semplice richiamo di due casi di condanna di agenti dello Stato per lesioni personali su alcuni detenuti non può bastare per escludere il rischio di trattamenti di questo tipo né per convincere la Corte dell’esistenza di un sistema effettivo di protezione contro la tortura, in assenza del quale è difficile verificare che le assicurazioni date saranno rispettate. Al riguardo, la Corte ricorda che, nel suo rapporto 2008 relativo alla Tunisia, Amnesty International ha precisato in particolare che, benché numerosi detenuti si siano lamentati per essere stati torturati durante il fermo, «le autorità non hanno praticamente mai condotto alcuna inchiesta né adottato una qualsiasi misura per citare in giudizio i presunti torturatori».
  38. Inoltre, nella sentenza Saadi sopra citata (§ 146), la Corte ha constatato una reticenza delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti dell’uomo, come Human Rights Watch. Nel suo rapporto 2008 sopra citato, Amnesty International ha peraltro osservato che, benché il numero di membri del comitato superiore dei diritti dell’uomo sia stato aumentato, quest’ultimo «non includeva organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti fondamentali». L’impossibilità per il rappresentante del ricorrente dinanzi alla Corte di fare visita al suo cliente se egli venisse incarcerato in Tunisia conferma la difficoltà di accesso dei detenuti tunisini ad avvocati stranieri indipendenti anche quando essi sono parte a procedimenti giudiziari dinanzi a giurisdizioni internazionali. Queste ultime rischiano dunque, una volta che un ricorrente viene espulso in Tunisia, di trovarsi nell’impossibilità di verificare la sua situazione e di conoscere eventuali doglianze che potrebbe sollevare per quanto riguarda i trattamenti ai quali è sottoposto (Ben Khemais, già cit., § 63).
  39. In queste circostanze, la Corte non può sottoscrivere alla tesi del Governo secondo cui le assicurazioni date nella fattispecie offrono una protezione efficace contro il rischio serio che corre il ricorrente di essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione (v., mutatis mutandis, Soldatenko già cit., §§ 73-74). Essa ricorda, invece, il principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nella sua risoluzione 1433(2005), secondo il quale le assicurazioni diplomatiche non possono bastare quando l’assenza di pericolo di maltrattamento non è fermamente stabilita.
  40. Pertanto, se fosse eseguita, la decisione di espellere l’interessato verso la Tunisia violerebbe l’articolo 3 della Convenzione.
  41. Questa conclusione dispensa la Corte dall’esaminare la questione di stabilire se l’esecuzione dell’espulsione violerebbe anche l’articolo 2 della Convenzione.

    II.    SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE

  42. Il ricorrente sostiene che il ricorso dinanzi al giudice di pace di Roma non ha costituito un rimedio effettivo che permetta di ottenere la sospensione del decreto di espulsione e di far valere le proprie ragioni. Egli invoca l’articolo 6 della Convenzione, che recita:
     «1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sia sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (…)
    3. In particolare, ogni accusato ha diritto di: (…)
    b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;
    c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta (...)»
  43. La Corte osserva che la procedura controversa verteva sulla convalida del decreto ministeriale che dispone l’espulsione del ricorrente. Orbene, secondo la giurisprudenza consolidata degli organi della Convenzione, le decisioni riguardanti l’entrata, il soggiorno e l’allontanamento degli stranieri non comportano una contestazione sui diritti o gli obblighi di carattere civile di un ricorrente né riguardano la fondatezza di un’accusa in materia penale formulata nei suoi confronti, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (Mamatkoulov e Askarov, già cit., § 82; Sardinas Albo c. Italia (dec.), n. 56271/00, CEDU 2004-I; Penafiel Salgado c. Spagna (dec.), n. 65964/01, 16 aprile 2002; Maaouia c. Francia [GC], n. 39652/98, § 40, CEDU 2000-X).
  44. Pertanto, l’articolo 6 § 1 della Convenzione non trova applicazione nel caso di specie.
  45. Ne consegue che questo motivo di ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 § 4.

    III.    SULLA PRETESA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 1 DEL PROTOCOLLO N. 7 E 13 DELLA CONVENZIONE

  46. Il ricorrente sostiene che la decisione di espellerlo non era basata su esigenze di tutela della sicurezza nazionale e che l’esecuzione di detta decisione violerebbe l’articolo 1 del Protocollo n. 7. Invocando anche l’articolo 13 della Convenzione, egli considera di non avere beneficiato della possibilità di far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione. Tali disposizioni recitano:

    Articolo 1 del Protocollo n. 7
    «1. Uno straniero regolarmente residente sul territorio di uno Stato non può essere espulso, se non in esecuzione di una decisione presa conformemente alla legge e deve poter:
    1. a) far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione;
    2. b) far esaminare il suo caso; e
    3. c) farsi rappresentare a tali fini davanti all’autorità competente o ad una o più persone designate da tale autorità.
    2. Uno straniero può essere espulso prima dell’esercizio dei diritti enunciati al paragrafo 1 a), b) e c) del presente articolo, qualora tale espulsione sia necessaria nell’interesse dell’ordine pubblico o sia motivata da ragioni di sicurezza nazionale.»
    Articolo 13
    «Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»
     
  47. Il Governo contesta questa tesi. Esso sostiene che il ricorrente ha beneficiato delle garanzie processuali richieste dal Protocollo n. 7 nella misura in cui è stato rappresentato da un avvocato di fiducia che ha potuto far valere dinanzi al giudice di pace le ragioni che si oppongono alla sua espulsione, e aggiunge che l’espulsione in questione si basava su motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico.
  48. La Corte osserva che l’espulsione del ricorrente, disposta dal Ministro dell’Interno, è stata esaminata dal giudice di pace di Roma, che poteva sia annullarla che confermarla (v. il paragrafo 11 supra). Dinanzi a tale giurisdizione, l’interessato ha beneficiato di garanzie processuali sufficienti ed ha avuto la possibilità di presentare tutti gli argomenti che riteneva si oppongano alla sua espulsione.
  49. Inoltre, la Corte ricorda che il diritto a un ricorso efficace ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione non può essere interpretato nel senso di dare diritto a che una domanda sia accolta nel senso in cui lo intende l’interessato (Surmeli c. Germania [GC], n. 75529/01, § 98, 8 giugno 2006).
  50. In queste circostanze, non si rilevano elementi che rivelino un’apparente violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 7 e 13 della Convenzione.
  51. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    IV.    SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 2 DEL PROTOCOLLO N. 4

  52. Il ricorrente si lamenta anche del fatto che la revoca del suo permesso di soggiorno avrebbe ostacolato il suo diritto di circolare liberamente sancito dall’articolo 2 del Protocollo n. 4, ai sensi del quale:
    «1. Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di fissarvi liberamente la sua residenza.
    (...)
    3. L’esercizio di tali diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono previste dalla legge e che costituiscono, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui (...)»
  53. La Corte ricorda che l’articolo 2 § 1 è applicabile solo a una persona che si trova regolarmente sul territorio di uno Stato, e i criteri e le esigenze di regolarità del soggiorno dipendono in primo luogo dal diritto interno. Essa ricorda anche che tale disposizione riguarda solo il diritto di circolare all’interno di uno Stato e non regola in alcun modo le condizioni in cui una persona ha il diritto di risiedere in uno Stato (Szyszkowski c. San Marino (dec.), n. 76966/01, 6 marzo 2003; Sisojeva e altri c. Lettonia (dec.), n. 60654/00, 28 febbraio 2002).
  54. Pertanto l’articolo 2 del Protocollo n. 4 non trova applicazione nel caso di specie.
  55. Ne consegue che questo motivo di ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 § 4.

    V.    SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

  56. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
    «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
    A.    Danno
  57. Il ricorrente chiede un risarcimento per il danno morale che ritiene di avere subito a causa delle violazioni allegate, senza tuttavia quantificare le sue pretese.
  58. Il Governo si oppone a tale richiesta.
  59. La corte ritiene che la constatazione che l’espulsione, se fosse eseguita, costituirebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione, rappresenti un’equa soddisfazione sufficiente (Saadi già cit., § 188).
    B.    Spese
  60. Il ricorrente non ha presentato alcuna domanda di rimborso delle spese sostenute. Pertanto la Corte non ritiene opportuno accordargli somme a questo titolo.


PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
 

  1. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda i motivi relativi agli articoli 2 e 3 e della Convenzione e irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che, qualora la decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia fosse eseguita, vi sarebbe violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
  3. Dichiara che non è necessario esaminare se l’esecuzione della decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia violerebbe anche l’articolo 2 della Convenzione;
  4. Dichiara che la constatazione di una violazione costituisce un’equa soddisfazione sufficiente per il danno morale subito dal ricorrente;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 24 marzo 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Sally Dollé        
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente