Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 febbraio 2009 - Ricorso n. 246/07 - Ben Khemais c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Rita Carnevali

Abstract
In materia di espulsione di stranieri. La messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il paese di appartenenza costituisce violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, quando vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca in quel paese trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione; è violato anche l’art. 34 CEDU, relativo al diritto al ricorso individuale, se il Governo italiano non sospende in via cautelare l’espulsione richiesta dalla Corte in virtù dell’art. 39 del Regolamento della stessa.

CONSIGLIO D’EUROPA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA BEN KHEMAIS c. ITALIA
(Ricorso n.246/07)
SENTENZA
Strasburgo
24 febbraio 2009


Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Essa può subire modifiche di formali.
Nella causa Ben Khemais c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
    Françoise Tulkens, presidente,
    Ireneu Cabral Barreto,
    Vladimiro Zagrebelsky,
    Danutė Jočienė,
    Dragoljub Popović,
    András Sajó,
    Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 3 febbraio 2009,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All'origine della causa vi è un ricorso (n° 24607) diretto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino di questo Stato, il signor Essid Sami Ben Khemais (« il ricorrente »), il 3 gennaio 2007 ha adito la Corte in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (« la Convenzione »).
  2. Il ricorrente è rappresentato dagli avvocati S. Clemanti e B. Manara, del foro di Milano. Il governo italiano (« il Governo ») è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo coagente aggiunto, N. Lettieri.
  3. Il ricorrente sostiene in particolare che la sua espulsione verso la Tunisia lo ha esposto ad un rischio di morte, di tortura e di flagrante diniego di giustizia. Egli ritiene anche che l'aver dato esecuzione alla decisione di espulsione abbia violato il suo diritto di ricorso individuale.
  4. Il 20 febbraio 2007, la Corte ha dichiarato il ricorso parzialmente ricevibile ed ha deciso di comunicare al Governo i motivi di ricorso basati sugli articoli 2, 3 e 6 della Convenzione. Come consentito dall'articolo 29 §  3 della Convenzione, essa ha inoltre deciso di esaminare contemporaneamente la ricevibilità ed il merito della causa. Il 1º luglio 2008, la Corte ha deciso di trattare il ricorso con priorità (articolo 41 in fine del regolamento della Corte) e di comunicare al Governo un nuovo motivo di ricorso del ricorrente basato sulla messa in esecuzione della decisione di espulsione. Come consente l'articolo 29 § 3 della Convenzione, essa ha inoltre deciso di esaminare contemporaneamente la ricevibilità ed il merito di questo motivo di ricorso.

    IN FATTO

    I.  LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE
     
  5. Il ricorrente è nato nel 1968 e attualmente è detenuto in Tunisia.

    A.  Le condanne del ricorrente in Italia e in Tunisia
  6. In una data non precisata, il ricorrente fu accusato di appartenere ad una associazione per delinquere finalizzata alla ricettazione, falsificazione di documenti e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
  7. Con una sentenza del 22 febbraio 2002, il giudice dell'udienza preliminare (« GUP ») di Milano lo condannò a cinque anni di reclusione ed al pagamento di 9.810 euro (EURO) di multa.
  8. Il ricorrente propose appello, Egli domandò in seguito il patteggiamento della pena (quattro anni e sei mesi di reclusione).
  9. Con una sentenza dell'11 dicembre 2002, la corte d'appello di Milano decise di applicare la pena richiesta dal ricorrente. Quest’ultimo non presentò ricorso per cassazione e la sua condanna divenne definitiva il 29 dicembre 2002.
  10. Il ricorrente scontò interamente la sua pena; poi, in una data non precisata, furono avviati nei suoi confronti nuovi procedimenti penali e fu sottoposto a custodia cautelare in carcere.
  11. A tale proposito il ricorrente ha precisato che l'applicazione della custodia cautelare in carcere avrebbe potuto essere revocata in qualsiasi momento, fatto che lo avrebbe esposto al rischio di una espulsione immediata.
  12. Con una sentenza del 21 marzo 2006, il cui testo fu depositato in cancelleria il 4 aprile 2006, il tribunale di Como condannò il ricorrente a due anni e due mesi di reclusione per lesioni, e precisò che l'interessato avrebbe dovuto essere espulso dal territorio italiano dopo avere scontato la sua pena.
  13. Il ricorrente propose appello avverso questa sentenza. Con una sentenza del 14 dicembre 2006, il cui testo fu depositato in cancelleria il 7 febbraio 2007, la corte d'appello di Milano ridusse la pena inflitta al ricorrente ad un anno e otto mesi di reclusione.
  14. Il ricorrente propose ricorso per cassazione. Non si conosce l'esito di questo ricorso.
  15. Nel frattempo, con una sentenza del 30 gennaio 2002, il tribunale militare di Tunisi aveva condannato in contumacia il ricorrente a 10 anni di reclusione per appartenenza, in tempo di pace, ad una organizzazione terroristica. Questa condanna si baserebbe esclusivamente sulle dichiarazioni di un coimputato.
  16. Il ricorrente avrebbe appreso della sua condanna in Tunisia quando uno dei suoi coaccusati (il signor  Khammoun Mehdi) vi fu espulso. In tale circostanza, i familiari del signor Mehdi avrebbero informato il ricorrente che il suo coaccusato era stato torturato e rinchiuso nel penitenziario di Tunisi e che non aveva avuto la possibilità di contattare un avvocato.
  17. Il ricorrente precisa che le autorità tunisine rifiutano di rinnovargli il suo passaporto.

    B. L'espulsione del ricorrente in Tunisia
  18. Il 29 marzo 2007, la presidente della seconda sezione della Corte ha deciso, su richiesta del ricorrente, di indicare al governo italiano, ai sensi dell'articolo 39 del regolamento della Corte, che nell'interesse delle parti e del buon svolgimento della procedura, era preferibile non espellere il ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. La presidente ha richiamato l'attenzione del Governo sul fatto che l'inosservanza da parte di uno Stato contraente di una misura indicata ai sensi dell'articolo 39 del regolamento può comportare violazione dell'articolo 34 della Convenzione (vedere Mamatkulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDH 2005-I).
  19. Il 28 febbraio 2008, nella causa Saadi c. Italia (no 37201/06), la Grande Camera ha concluso che la messa in esecuzione della decisione di espellere il signor Saadi verso la Tunisia avrebbe costituito una violazione dell'articolo 3 della Convenzione. Con una lettera del 6 marzo 2008, la cancelliera della seconda sezione ha richiamato l'attenzione del Governo sul contenuto di questa sentenza ed ha notato che alcune cause pendenti innanzi alla Corte, fra le quali quella del ricorrente, presentavano forti similitudini con la causa Saadi. Essa ha quindi invitato il Governo ad indicare, entro il 24 aprile 2008, se prevedesse la possibilità di una composizione amichevole e se eventualmente desiderasse fare proposte al riguardo. Il Governo ha domandato una proroga di questo termine, che è stata accordata fino al 19 settembre 2008.
  20. Il 2 giugno 2008, il rappresentante del ricorrente ha informato la cancelleria della Corte che il suo cliente era già stato condotto all'aeroporto di Milano in vista dell'esecuzione della sua espulsione verso la Tunisia.
  21. Lo stesso giorno, la cancelliera aggiunta della seconda sezione ha inviato alla rappresentanza permanente dell'Italia a Strasburgo nonché ai ministeri degli Interni (Ufficio UCARLI  e Dorezione centrale dell'immigrazione e della polizia frontaliera) e della Giustizia (Ufficio dell'estradizione e delle commissioni rogatorie) via fax e per posta il seguente messaggio:
    «  Facendo riferimento alla conversazione telefonica del signor Tamietti [membro della cancelleria] con il signor Lettieri [coagente aggiunto del Governo] concernente il ricorso indicato a margine, vi confermo che in fine mattinata la cancelleria della Corte è stata informata che il ricorrente è stato trasferito oggi all'aeroporto di Milano in vista della sua espulsione verso la Tunisia. In particolare, con una telefonata ricevuta verso le ore 11:55, il rappresentante del ricorrente, l'avvocato Clementi, ha dichiarato che le autorità italiane si apprestavano a dare esecuzione all'espulsione del suo cliente sulla base di un decreto di espulsione emesso recentemente.  L'avvocato Clementi ha in seguito confermato questa circostanza via e-mail. La cancelleria della Corte ha cercato  di mettersi subito in contatto con la rappresentanza italiana a Strasburgo, senza tuttavia riuscirci a causa della chiusura degli uffici in occasione della festa della Repubblica. Il signor Lettieri è stato quindi contattato direttamente.
    Con una lettera del 29 marzo 2007 (che allego),  il vostro Governo era stato informato che la presidente della seconda sezione della Corte aveva deciso di indicargli, in applicazione dell'articolo 39 del regolamento della Corte, che era auspicabile, nell'interesse delle parti e del buon svolgimento della procedura innanzi alla Corte,  non espellere il ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Questa misura provvisoria non è mai stata revocata. La presidente, informata delle nuove  circostanze, ha confermato che questa indicazione era sempre in vigore nonostante il fatto che questa espulsione si baserebbe su un nuovo decreto.
    Richiamo la vostra attenzione sulla sentenza Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008 nella quale la Grande Camera ha ritenuto, in una causa simile che, nell'eventualità della messa in esecuzione della decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia, vi sarebbe stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione. »
  22. Il 4 giugno 2008, il giudice designato come relatore, basandosi sull'articolo 49 § 3 a) del regolamento della Corte ha invitato il Governo ad indicare, entro il termine dell'11 giugno 2008, se il ricorrente era stato espulso verso la Tunisia.
  23. Con un fax dell'11 giugno 2008, il Governo ha informato la Corte che il 31 maggio 2008 era stato disposto un decreto di espulsione a carico del ricorrente a causa del ruolo svolto da quest'ultimo nell'ambito delle attività di alcuni estremisti islamici che nutrivano progetti terroristici e che il tribunale di Milano aveva dato il suo nulla osta all'espulsione osservando che l'interessato rappresentava una minaccia per la sicurezza dello Stato perché era in grado di riannodare contatti finalizzati alla ripresa di attività terroristiche, anche a livello internazionale.
  24. In questo fax, il Governo precisava anche che il decreto del 31 maggio era stato notificato al ricorrente e convalidato dal giudice di pace il 2 giugno, e che l'interessato era stato espulso verso la Tunisia il 3 giugno; e sottolineava « che comunque non si era disinteressato del ricorrente e della necessità che la sua salute e il suo benessere fossero adeguatamente assicurati anche nel paese di destinazione ».
  25. In un fax del 13 giugno 2008, il rappresentante del ricorrente ha ritenuto che il governo italiano avesse mostrato la sua volontà di non rispettare la misura provvisoria indicata dalla presidente della seconda sezione della Corte, e che questa condotta costituisse un ostacolo per il buon svolgimento della procedura innanzi alla Corte e violasse gli articoli 2 e 3 della Convenzione.

    C.  Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
  26. Il 6 agosto 2008, l'Ambasciata d'Italia a Tunisi inviò al ministero tunisino degli Affari esteri la  seguente nota verbale (n° 2911):
    « L'Ambasciata d'Italia presenta i suoi complimenti al ministero degli Affari Esteri e fa riferimento alle proprie note verbali N° 2738 del 21 luglio e n° 2118 dello scorso 5 giugno ed alla visita in Tunisia della delegazione tecnica dei rappresentanti dei ministeri italiani dell'Interno e della Giustizia, svoltasi il 24  luglio scorso, concernenti l'esame delle procedure da seguire in merito ai ricorsi pendenti presso la Corte europea dei diritti dell'uomo, facenti riferimento a cittadini tunisini oggetto di decreti di espulsione.
    Le autorità italiane hanno molto apprezzato il grande spirito di cooperazione che ha animato la citata riunione e la documentazione già fornita in tale occasione. Conformemente a quanto era stato convenuto, esse hanno l'onore di sottoporre per via diplomatica la loro richiesta di specifici elementi addizionali che sono indispensabili nella procedura presso la Corte di Strasburgo riguardante il cittadino tunisino Essid Sami Ben Khemais.
    A tale scopo, l’Ambasciata d'Italia si pregia domandare al ministero degli Affari Esteri di voler adire le autorità tunisine competenti affinché esse possano fornire per via diplomatica le seguenti assicurazioni specifiche, relative al signor Essid Sami Ben Khemais :
    - che la persona sopra citata, detenuta nelle carceri tunisine, non venga sottoposta a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti;
    - che possa essere giudicata da un tribunale indipendente ed imparziale, secondo le procedure che, complessivamente, siano conformi ai principi di un processo equo e pubblico;
    - che durante la sua detenzione, possa ricevere le visite dei suoi avvocati e dell'avvocato italiano che lo rappresenta nel giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo, dei suoi familiari, di un medico nonché della Ambasciatore d'Italia Tunisi o di uno dei suoi collaboratori delegati.
    Tenuto conto che la scadenza per la presentazione delle osservazioni del governo italiano a Strasburgo per il caso del signor Ben Khemais  è il prossimo 1º settembre, l’Ambasciata d'Italia sarebbe grata al ministero degli Affari Esteri se volesse  farle pervenire al più presto gli elementi richiesti e fondamentali per la strategia difensiva del governo italiano e suggerisce che l'avvocato Costantini, Primo segretario dell'ambasciata, possa recarsi al ministero della Giustizia e dei diritti umani per fornire tutti i chiarimenti ritenuti utili.
    L'ambasciata d'Italia sarebbe anche grata al ministero degli Affari Esteri se volesse adire le autorità giudiziarie tunisine competenti in merito alla eventualità che il governo tunisino intervenga innanzi alla Corte di Strasburgo, in quanto parte terza nel ricorso della parte italiana, e questo conformemente agli articoli 36 della Convenzione, 44 del regolamento della Corte, e A1 paragrafo 2 dell’allegato al regolamento. Il governo italiano attribuisce grande importanza a questa partecipazione tunisina.
    L'ambasciata d'Italia ringrazia anticipatamente il ministero degli Affari Esteri e coglie l'occasione per rinnovargli i sensi della sua alta considerazione. »
  27. Il 26 agosto 2008, le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta, firmata dall'avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziari . Nelle sue parti pertinenti, questa risposta è formulata come segue:
    « (...). È opportuno, prima di tutto, ricordare che l'interessato è stato condannato in contumacia, tra l'altro, per aver partecipato, nell'ambito della sua appartenenza, in quanto capo della cellula del ramo europeo della rete del gruppo terrorista El Qaida, al sostegno logistico alla rete legata al citato gruppo soprattutto attraverso il reclutamento e l'addestramento delle persone al fine di commettere atti terroristici.
    Dopo la sua consegna alle autorità tunisine, egli ha esercitato il suo diritto d'opposizione contro le sentenze emesse a suo carico, è inteso che l'opposizione ha come effetto quello di annullare le sentenze emesse in contumacia e di permettergli di essere giudicato nuovamente e di presentare i mezzi difensivi che ritiene utili.
    Le seguenti precisazioni costituiscono una risposta ai diversi punti sopra citati.
    I.  La garanzia del rispetto della dignità del detenuto Sami Essid :
    Il detenuto Sami Ben Khemais Essid non è mai stato sottoposto a nessuna forma di tortura, pena o trattamento inumane o degradante. Il rispetto della dignità di detto detenuto deriva dal principio del rispetto della dignità di qualsiasi persona qualunque sia lo stato nel quale essa si trovi, principio fondamentale riconosciuto dal diritto tunisino e garantito a qualsiasi persona in particolare ai detenuti, e questo in ragione del loro particolare status.
    È utile a tale proposito ricordare che l'articolo 13 della Costituzione tunisina dispone nel suo comma 2 che « un individuo che ha perduto la sua libertà sia trattato umanamente, nel rispetto della sua dignità. »
    La Tunisia ha peraltro ratificato senza alcuna riserva la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Essa ha così riconosciuto la competenza del comitato contro la tortura a ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da o per conto dei cittadini che rientrano nella competenza della sua giurisdizione che dichiarano di essere vittime di violazioni delle disposizioni della Convenzione [ratificata dalla legge 88-79 dell'11 luglio 1988. Gazzetta Ufficiale della Repubblica tunisina n° 48 del 12-15 luglio 1988, pagina 1035 ( allegato 1)].
    Le disposizioni di detta Convenzione sono state trasposte nel diritto interno, l'articolo 101 bis del codice penale definisce la tortura come «  un atto con il quale un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, sono intenzionalmente inflitti ad una persona soprattutto al fine di ottenere da lei o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che lei o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla o di far pressioni su lei o di intimidire o di fare pressioni su una terza persona, o quando il dolore o le sofferenze acute sono inflitte per qualsiasi altro motivo fondato su una forma di discriminazione qualunque essa sia. »
     Il legislatore ha previsto pene severe per questo genere di infrazioni, così il succitato articolo 101 bis dispone che « è punito con otto anni di reclusione  il funzionario o un suo assimilato che, nell'esercizio o in occasione dell'esercizio delle sue funzioni, sottopone una persona a tortura.»
    Occorre segnalare che, secondo l'articolo 12 della Costituzione, si ha fermo di polizia quando si è sottoposti al controllo giudiziario e che la detenzione preventiva può essere disposta soltanto su ordine giurisdizionale, È vietato sottoporre chiunque a fermo di polizia o ad una detenzione arbitraria. La procedura di fermo prevede parecchie garanzie che tendono ad assicurare il rispetto dell'integrità fisica e morale del detenuto fra cui in particolare:
    - Il diritto della persona sottoposta a fermo di polizia di informare i membri della sua famiglia subito dopo il suo arresto.
    - Il diritto di domandare durante il fermo di polizia o alla scadere del suo termine di essere sottoposto a visita medica. Questo diritto può eventualmente essere esercitato dai membri della famiglia.
    - La durata della detenzione preventiva è disciplinata, la sua proroga è eccezionale e deve essere motivata dal giudice.
    Occorre anche notare che l’articolo primo della legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria dispone che essa ha come obiettivo quello di disciplinare «  le condizioni di detenzione nelle carceri per assicurare l'integrità fisica e morale del detenuto, di prepararlo alla vita in libertà e di aiutarlo nel suo reinserimento. »
    Questo dispositivo legislativo è rafforzato dall'attuazione di un sistema di controllo destinato ad assicurare l’effettivo rispetto della dignità dei detenuti. Si tratta di parecchi tipi di controlli effettuati da diversi organi e istituzioni:
    - Vi è dapprima un controllo giudiziario assicurato dal giudice dell'esecuzione delle pene che, secondo la formulazione dell'articolo 342-3 del codice di procedura penale tunisino, è tenuto a visitare l'istituto penitenziario che rientra nella competenza del suo distretto per conoscere le condizioni dei detenuti, queste visite sono in pratica effettuate mediamente due volte a settimana.
    - Vi è poi il controllo effettuato dal comitato superiore dei diritti umani e delle libertà fondamentali, il presidente di questo istituto nazionale indipendente può effettuare visite improvvise negli istituti penitenziari per informarsi sullo stato delle condizioni dei detenuti.
    Vi è anche il controllo amministrativo interno effettuato dai servizi dell'ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei diritti dell'uomo e l'ispettorato generale che appartiene alla direzione generale delle carceri e della rieducazione. È da notare in questo quadro che l'amministrazione penitenziaria fa parte del ministero della Giustizia e che gli ispettori del citato ministero sono magistrati di formazione fatto che costituisce una garanzia supplementare di un controllo rigoroso delle condizioni detentive.
    Occorre infine segnalare che il comitato internazionale della Croce Rossa è abilitato dal 2005 ad effettuare visite nei luoghi di detenzione, nelle prigioni e nei locali della polizia abilitati ad accogliere i detenuti in stato di fermo. Al termine di queste visite sono redatti dei rapporti dettagliati e vengono organizzati incontri con i servizi interessati per mettere in atto le raccomandazioni formulate dal comitato sullo stato dei detenuti.
    Le autorità tunisine ricordano che esse non esitano affatto ad indagare su tutte le allegazioni di tortura ogni qualvolta vi siano ragionevoli motivi che lasciano credere che siano stati commessi maltrattamenti. Si citano due esempi: il primo riguarda tre agenti dell'amministrazione penitenziaria che hanno maltrattato un detenuto, a seguito di un'inchiesta aperta a tale proposito i tre agenti sono stati deferiti in giustizia e sono stati condannati ciascuno a quattro anni di reclusione con una sentenza della corte d'appello di Tunisi emessa il 25 gennaio 2002. Il secondo esempio riguarda un agente di polizia che è stato perseguito per lesioni volontarie ed è stato condannato a 15 anni di reclusione con una sentenza emessa dalla corte d'appello di Tunisi il 2 aprile 2002.
    Alcuni casi di condanna per maltrattamenti che sono stati segnalati nel rapporto presentato dalla Tunisia al Consiglio dei diritti dell'uomo (allegato 2) ed al Comitato dei diritti dell'uomo (allegato 3) denotano così la volontà politica dello Stato nel perseguire e reprimere qualsiasi atto di tortura o di maltrattamenti fatto che permette di respingere qualsiasi allegazione di sistematica violazione dei diritti dell'uomo.
    In conclusione, occorre sottolineare che:
    - Il detenuto Sami Essid beneficia di tutte le garanzie che la legislazione tunisina gli offre e che lo tutelano da forme di tortura o di maltrattamenti.
    - Che dopo aver consultato i registi della procura di Tunisi e quelli del carcere della Mornaguia, luogo in cui è detenuto, risulta che non è stata sporta alcuna denuncia da parte dell'interessato, dai suoi avvocati o dai membri della sua famiglia.
    II. La garanzia di un processo equo per il detenuto Sami Essid :
    Il detenuto Sami Essid è perseguito per aver partecipato, nell'ambito della sua appartenenza, in quanto capo della cellula del ramo europeo della rete del gruppo El Qaida, al sostegno logistico alle reti legate al citato gruppo soprattutto attraverso il reclutamento e l'addestramento delle persone al fine di commettere atti terroristici.
    Le procedure del procedimento penale, dell'istruzione e del giudizio di questi reati comprendono tutte le garanzie necessarie per un processo equo fra cui soprattutto:
    - Il rispetto del principio della separazione tra le autorità richiedenti l’azione penale, dell'istruzione e giudicanti.
    - L’istruzione in materia di crimini è obbligatoria. Essa obbedisce al principio del doppio grado di giurisdizione (giudice istruttore e sezione istruttoria).
    - Le udienze del giudizio sono pubbliche e rispettano il principio del contraddittorio.
    - Ogni persona sospettata di un crimine ha obbligatoriamente diritto all'assistenza di uno o più avvocati. In caso di bisogno le viene nominato un avvocato d'ufficio e le spese sono a carico dello Stato. L'assistenza dell'avvocato prosegue nel corso di tutto il procedimento: istruzione preparatoria e fase di giudizio.
    - L'esame dei crimini è di competenza delle corti criminali che sono formate da cinque magistrati, questa formazione allargata rafforza le garanzie dell'imputato.
    - Il principio del doppio grado di giurisdizione in materia criminale è sancito dal diritto tunisino. Il diritto di proporre appello avverso le sentenze di condanna è quindi un diritto fondamentale per l'imputato.
    - Non può essere emessa nessuna condanna se non sulla base di solide prove che sono state oggetto di dibattimento in contraddittorio innanzi all'autorità giudiziaria competente. La confessione stessa dell'imputato non è considerata come una prova determinante. Questa posizione è stata confermata dalla sentenza della Corte di cassazione tunisina n° 12150 del 26 gennaio 2005 con la quale la Corte ha dichiarato che la confessione estorta con violenza è nulla e ciò in applicazione dell'articolo 152 del codice di procedura penale che dispone che: « la confessione, come qualsiasi elemento di prova, è lasciato alla libera valutazione dei giudici ». Il giudice deve quindi valutare tutte le prove che gli vengono presentate al fine di decidere sulla forza probante da attribuire loro secondo la sua intima convinzione.
        Occorre ricordare che Sami Essid ha beneficiato di tutte le garanzie legali di un processo equo oggetto della prima causa riesaminata a seguito di opposizione presentata dal suo legale contro una delle sentenze emesse a suo carico in contumacia. In effetti la prima udienza innanzi alla sezione criminale del tribunale di primo grado di Tunisi si è svolta il 28 giugno 2008 e, a seguito della domanda della sua difesa, è stata rinviata per due volte (2 luglio 2008 e 5 luglio 2008). Il 22 luglio 2008, la sezione criminale ha condannato l’interessato a otto anni di reclusione nel corso di un'udienza svoltasi pubblicamente alla presenza di giornalisti osservatori nazionali e stranieri.
    III. La garanzia del diritto di ricevere visite:
    La legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione carceraria sancisce il diritto di ogni imputato a ricevere la visita dell'avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente del carcere, nonché la visita dei suoi familiari. Il detenuto  Sami Essid fruisce di questo diritto conformemente alla normativa vigente e senza alcuna restrizione.
    a) Visita dell'avvocato
    Ad oggi, ogni volta che l’avvocato Samir Ben Amor, difensore dell’interessato, ha chiesto l’autorizzazione a visitare il suo cliente, l’autorità competente lo ha autorizzato come dimostra il seguente riquadro:

    Numero di visite Data della visita
    1 09/06/2008
    2 01/07/2008
    3 17/07/2008
    4 30/07/2008

    Sono allegate le fotocopie delle autorizzazioni alla visita (allegato 4).
    b) Visite dei membri della famiglia
    Ad oggi, ogni volta che i membri della famiglia di Sami Essid hanno richiesto l’autorizzazione alla visita, l’autorità competente ha risposto loro favorevolmente secondo quanto riportato nel seguente riquadro:

    Numero di visite Qualità e nome del visitatore Data della visita
    1 La sorella Lilia 07/06/2008
    2 Il padre Khémais
    Il fratello Mounir
    La sorella Samira
    10/06/2008
    3 Il padre Khémais
    Il fratello Souhail
    La sorella Samira
    17/06/2008
    4 La sorella Samira
    La sorella Lilia
    24/06/2008
    5 Il padre Khémais 01/07/2008
    6 La sorella Samira
    La sorella Lilia
    08/07/2008
    7 Il padre Khémais 15/07/2008
    La sorella Samira
    La sorella Lilia
    8 La sorella Samira
    La sorella Lilia
    22/07/2008
    9 La sorella Samira 29/07/2008
    10 La sorella Samira
    La sorella Lilia
    05/08/2008
    11 Il padre Khémais
    La sorella Samira
    La sorella Lilia
    13/08/2008
    12 La sorella Samira
    La sorella Lilia
    20/08/2008

    c)    Visita delle autorità diplomatiche e consolari e degli avvocati esteri
    Le autorità tunisine non possono dar seguito alla domanda di visita al cittadino tunisino Sami Essid formulata da Sua eccellenza l'ambasciatore della Repubblica italiana in Tunisia o dal suo rappresentante in quanto le autorità consolari sono ammesse, in applicazione della legge relativa di carceri, a rendere visita solo ai propri cittadini.
    Allo stesso modo, la domanda di visita di Sami Essid presentata dall'avvocato che lo rappresenta nella procedura pendente innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, non può essere autorizzata in mancanza di convenzione o di quadro legale interno che l'autorizzerebbe.
    In effetti la legge carceraria determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta soprattutto dei membri della famiglia del detenuto e del suo avvocato tunisino.
    La Convenzione di assistenza giudiziaria conclusa tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non prevede la possibilità per gli avvocati italiani di rendere visita ai detenuti tunisini. Tuttavia Sami Essid può, se lo desidera, incaricare un avvocato tunisino di fiducia di rendergli visita e di coordinare, con il suo omologo italiano, la loro azione per preparare gli elementi difensivi dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
    IV. La garanzia del diritto di beneficiare delle cure sanitarie:
    La legge precitata relativa all'organizzazione carceraria dispone che ogni detenuto ha diritto alle cure gratuite ed ai medicinali all'interno del carcere e, eventualmente, nelle strutture ospedaliere. Inoltre, l'articolo 336 del codice di procedura penale autorizza il giudice dell'esecuzione delle pene a sottoporre il condannato a esame medico.
    È in questo ambito che il detenuto Sami Essid è stato sottoposto all'esame medico di primo ingresso nell'unità penitenziaria il 5 giugno 2008, il rapporto del medico non rileva nulla di particolare nei suoi confronti, Detto detenuto ha, peraltro, fruito successivamente di un controllo medico nel quadro di esami periodici (allegata una copia dell'ultimo rapporto medico dell'interessato – allegato 5). In conclusione, l'interessato beneficia di un regolare controllo medico come tutti i detenuti e che quindi non è necessario che un altro medico venga autorizzato ed esaminarlo.
    Le autorità tunisine reiterano la loro volontà di cooperare pienamente con la parte italiana fornendole tutte le informazioni e gli elementi utili alla sua difesa nella procedura in corso innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo e suggerisce alla parte italiana di domandare, se lo ritiene utile, il rinvio della causa a una data successiva per informarsi sull'evoluzione della procedura a carico di Sami Essid pendente innanzi ai tribunali tunisini. »
  28. Il rapporto medico allegato alla risposta delle autorità tunisine (allegato n° 5) riporta quanto segue:
    « Il detenuto Sami Khemais Salah Essid, età 40 anni, matricola n° : 11271 è preso in carico nel dispensario del carcere di Mornaguia dal 04/06/2008. Il detenuto ha consultato l’infermeria tre volte:
    - Il 05/06/2008, ha fruito di una visita di ingresso, non ha particolari precedenti sanitari, non presenta alcuna traccia di violenza.
    - Il 19/06/2008, ha consultato il medico per emicrania, che sotto trattamento medico è regredita.
    - Il 25/08/2008, il detenuto è stato visto nell’ambito di una consultazione periodica, l’esame medico in tale giorno denota un buon stato generale, buon stato di coscienza. Nessuna lagnanza funzionali. »

    D.  Gli altri documenti prodotti dal Governo italiano
  29. Il Governo ha anche prodotto tre messaggi firmati dall'ambasciatore d'Italia a Tunisi. Nelle sue parti pertinenti, il primo messaggio (n° 2483, 3 luglio 2008) recita:
    « (...) Il 2 luglio scorso era prevista la comparizione innanzi al tribunale militare di Tunisi, per connessione con ambienti terroristici, del cittadino tunisino Essid Sami Ben Khemais, alias Saber, espulso dall'Italia il 3 giugno scorso. L'interessato era stato precedentemente condannato in Tunisia a 115 anni di reclusione.
    Il processo (…) innanzi al tribunale militare doveva vertere sul riesame delle pene che la giurisdizione militare tunisina aveva precedentemente inflitto in contumacia, e che ammontavano complessivamente a 100 anni di reclusione. Tuttavia, come hanno riferito le agenzie di stampa internazionali, il processo è stato rinviato al 15 ottobre 2008.
    Secondo Samir Ben Amor, avvocato dell'imputato, quest'ultimo non era presente al tribunale militare perché si trovava lo stesso giorno innanzi ad un tribunale ordinario di Tunisi che doveva decidere su un'altra pena pronunciata in contumacia, ossia 15 anni di reclusione, per due capi di imputazione anch'essi legati alla supposta partecipazione dell'interessato ad attività terroristiche.
    Queste pene erano state pronunciate in contumacia in Tunisia tra il 2000 ed il 2007, periodo durante il quale Saber si trovava in Italia, dove, come si sa, è stato condannato nel 2002 a sei anni e due mesi di reclusione per associazione per delinquere con finalità di terrorismo. Oggi è detenuto nel carcere di Mornaguia (ovest di Tunisi) in attesa dell'esito dei suoi ricorsi contro le sentenze tunisine prima citate.
    E’ opportuno ricordare che nel corso dei giorni successivi all'espulsione, il ministro della Giustizia e dei diritti dell'uomo, Bechir Tekkari, aveva assicurato che l'imputato sarebbe stato giudicato nuovamente nell'ambito di un processo equo e pubblico e aveva respinto i timori di trattamenti inumani.
    Colgo l'occasione per segnalare che la corrispondente dell' [agenzia di stampa] dell'Ansa, la signora Angela Virdò, ha incontrato nel corso delle ultime settimane l'avvocato Ben Amor, il quale le ha riferito che il suo cliente non aveva denunciato maltrattamenti nel corso della detenzione che è seguita alla sua espulsione. »
  30. Il secondo messaggio (no 2652, 15 luglio 2008) contiene, tra l'altro, l'estratto di un comunicato stampa dell'agenzia Ansa che segue:
    « Tunisi, 7 GIUGNO – « L'ho visto questo pomeriggio, sta bene, si trova nel carcere di Moraguia, vicino a Tunisi; è ancora sorpreso e deluso dal fatto che l'Italia, che è uno Stato di diritto, abbia violato le norme europee che ostavano alla sua espulsione ». quello che parla così è Samir Ben Amor, l'avvocato del tunisino Essid Sami Ben Khemais, detto Saber, espulso dall'Italia la sera del 2 giugno dopo avere scontato una pena detentiva di sei anni e mezzo per terrorismo.
    « Gli sono stati dati i suoi effetti personali » riferisce l'avvocato.  « Mentre si sedeva libero, tre agenti lo hanno preso o lo hanno portato dapprima nel centro di permanenza temporanea di Milano, poi all'aeroporto di Malpensa. Da lì, sempre scortati dalla polizia, è partito per Roma, dove è stato imbarcato la sera stessa su un volo con destinazione Tunisi. »
    Secondo Ben Amor, Saber faceva parte del gruppo conosciuto con il nome di «cellula di Milano », un gruppo di musulmani che, verso il 1990, è andato ad addestrarsi in Afganistan ed ha combattuto in Bosnia e in Cecenia. « Ben Khemais  non rischia la pena di morte a Tunisi » ha spiegato l'avvocato « ma il reato per il quale è già stato giudicato in Italia gli è valso lì 115 anni di reclusione, 5 condanne da parte dei tribunali militari e due condanne dai tribunali civili ».
    Il 2 luglio, Saber  comparirà innanzi al tribunale militare a Tunisi, e il ministro della Giustizia ha assicurato oggi nel corso di una conferenza stampa che il processo sarà equo e pubblico. « Questo si svolgerà su sua richiesta » ha spiegato Ben Amor « perché ha presentato un ricorso; in effetti, secondo il codice di procedura penale, la stessa persona non può essere giudicata due volte per lo stesso reato, nel qual caso si avrebbe un nono processo: due in Italia e sette in Tunisia ».
    « No, non è stato torturato » dice l'avvocato « ma tutti sanno che nelle carceri tunisine, la tortura è una prassi corrente: i colpi, l'elettricità, e il « balanco », nel quale il detenuto viene sollevato per le braccia e poi bastonato, Un'altra prassi e quella del « rôti »: un  bastone passato sotto le ginocchia e le braccia tiene il prigioniero sospeso tra due sedie, questo gli fa perdere la sensibilità in tutto il corpo. »
  31. L'ultimo messaggio (no 2767, 25 luglio 2008) riferisce di una riunione che si è svolta il 24 luglio del 1008 presso il ministero tunisino della Giustizia e dei diritti umani ed alla quale hanno partecipato alti funzionari italiani. Nel corso di questa riunione, le autorità tunisine si sono dichiarate disposte a fornire assicurazioni diplomatiche simili a quelle formulate nella missiva pervenuta il 26 agosto 2008 (vedere il precedente paragrafo 27).

    II.  I DIRITTI INTERNI PERTINENTI
     
  32. I ricorsi che è possibile formulare contro un decreto di espulsione in Italia e le regole che disciplinano la riapertura di un processo in contumacia in Tunisia sono descritti in Saadi c. Italia ([GC], no 37201/06, §§ 58-60, 28 febbraio 2008).

    III.  TESTI E DOCUMENTI INTERNAZIONALI
     
  33. Nella sentenza Saadi precitata si trova la descrizione dei seguenti testi, documenti, internazionali, fonti di informazioni: l'accordo di cooperazione in materia di lotta contro la criminalità firmato dall'Italia e dalla Tunisia e l'accordo di collaborazione tra la Tunisia, l’Unione europea ed i suoi Stati membri (§§ 61-62); gli articoli 1, 32 e 33 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo status di rifugiato (§ 63) ; le linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa (§ 64); i rapporti d'Amnesty International (§§ 65-72) e di Human Rights Watch (§§ 73-79) riguardanti la Tunisia; le attività del Comitato internazionale della croce Rossa (§§ 80-81); il rapporto del Dipartimento di Stato americano sui diritti umani in Tunisia (§§ 82-93); le altre fonti di informazioni relative al rispetto dei diritti umani in Tunisia (§ 94).
  34. Dopo l'adozione della sentenza Saadi, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuale 2008. Nelle sue parti pertinenti, la sezione dedicata alla Tunisia recita:
    « I buoni risultati sul piano economico e le positive riforme legislative della Tunisia ne hanno rilanciato la reputazione a livello internazionale. Ciò ha tuttavia mascherato una realtà più cupa in cui le tutele legali sono state spesso violate, i sospetti politici sono stati torturati nell'impunità e i difensori dei diritti umani sono stati oggetto di vessazioni. Le libertà di espressione e di associazione sono rimaste fortemente limitate. Molte persone sono state condannate a lunghe pene detentive al termine di processi iniqui per accuse collegate al terrorismo, anche davanti a corti militari e centinaia di altre, condannate negli anni precedenti al termine di processi iniqui, sono rimaste in carcere, alcune da oltre un decennio. Tra queste figurano possibili prigionieri di coscienza.
    Sviluppi legislativi e istituzionali
    A luglio, un decreto ha emendato la composizione dell'Alto Comitato per i diritti umani e le libertà fondamentali, l'organismo incaricato di accogliere le denunce relative a violazioni dei diritti umani. L'emendamento ne ha ampliato la rappresentanza ma non ha inserito organizzazioni per i diritti umani.
    "Guerra al terrore"
    Abdellah al-Hajji e Lotfi Lagha, due dei 12 tunisini trattenuti dalle autorità statunitensi a Guantánamo Bay, sono stati rimpatriati in Tunisia a giugno. Essi sono stati arrestati al loro arrivo e detenuti presso il Dipartimento per la sicurezza di Stato del ministero dell'Interno, dove hanno accusato di essere stati maltrattati e costretti a firmare delle dichiarazioni. Abdellah al-Hajji ha lamentato di essere stato sottoposto a privazione del sonno, di essere stato schiaffeggiato in faccia e minacciato dello stupro della moglie e delle figlie. A ottobre, Lotfi Lagha è stato giudicato colpevole di associazione con un'organizzazione terroristica operante all'estero e condannato a tre anni di carcere. Abdellah al-Hajji è stato riprocessato davanti a una corte militare a Tunisi dopo che aveva impugnato una sentenza a 10 anni di carcere comminatagli in contumacia nel 1995. A novembre, è stato giudicato colpevole di «appartenenza in tempo di pace a una organizzazione terroristica operante all'estero» e condannato a sette anni di carcere. Nove tunisini sono stati rimpatriati dalle autorità egiziane a gennaio e marzo e, stando alle fonti, detenuti per diverse settimane per essere interrogati. La maggior parte sono stati rilasciati, ma almeno due, Ayman Hkiri e Adam Boukadida, sono rimasti in detenzione in attesa del processo. Tutti e nove erano stati arrestati assieme ad altri studenti stranieri ed egiziani in Egitto nel novembre 2006 e, stando alle fonti, torturati mentre venivano interrogati riguardo a un presunto piano per reclutare persone in Egitto al fine di combattere contro la coalizione guidata dagli Stati Uniti in Iraq.
    Sistema giudiziario
    I processi a carico di persone che dovevano rispondere di accuse collegate al terrorismo, alcuni dei quali tenutisi davanti a corti militari, sono risultati di frequente iniqui e hanno generalmente determinato la condanna degli imputati a lunghe pene detentive. Tra gli accusati vi erano persone arrestate in Tunisia così come tunisini rimpatriati forzatamente dalle autorità di altri Stati, compresa la Francia, l'Italia e gli Stati Uniti, nonostante i timori riguardo al rischio di tortura cui erano esposti. Spesso le condanne si sono basate esclusivamente su "confessioni" rese durante la detenzione pre-processuale e poi ritrattate dagli imputati in tribunale, in quanto, stando alle accuse, ottenute tramite tortura. I giudici e le corti incaricate hanno abitualmente omesso di indagare tali accuse.
    Secondo i rapporti, almeno 16 civili sono stati giudicati colpevoli e condannati a pene detentive fino a 11 anni al termine di processi tenutisi davanti alla corte militare di Tunisi. La maggior parte sono stati giudicati colpevoli di avere legami con organizzazioni terroristiche operanti all'estero. Tali processi non hanno rispettato gli standard internazionali sull'equo processo e il diritto degli imputati a ricorrere in appello è risultato limitato.
    A novembre, 30 uomini sono finiti sotto processo davanti alla Corte di primo grado di Tunisi in quello che è noto come il "Caso Soliman". Essi erano stati accusati di una serie di reati, tra cui cospirazione finalizzata al rovesciamento del governo, impiego di armi da fuoco e appartenenza a una organizzazione terroristica. Tutti erano stati arrestati nel dicembre 2006 e gennaio 2007 in relazione a uno scontro armato tra le forze di sicurezza e presunti membri del gruppo armato Soldati di Assad Ibn al-Fourat. Essi sono rimasti detenuti ben oltre il limite legale di sei giorni della garde à vue (custodia di polizia pre-istruttoria), e hanno accusato di essere stati torturati o altrimenti maltrattati. I loro avvocati hanno chiesto sia al giudice titolare che alla corte di disporre perizie mediche al fine di comprovare la tortura, ma le loro richieste sono state respinte. Il 30 dicembre, la corte ha condannato due degli imputati a morte, otto all'ergastolo e i restanti a pene detentive variabili da cinque a 30 anni.
     Rilascio di prigionieri politici
    Complessivamente sono stati rilasciati 179 prigionieri politici, di cui circa 15, stando alle fonti, erano stati trattenuti in detenzione pre-processuale in quanto sospettati di essere membri del Gruppo salafista, un gruppo armato che, stando alle accuse, sarebbe collegato ad al-Qaeda. La maggior parte degli altri erano incarcerati sin dai primi anni Novanta per appartenenza all'organizzazione islamista al bando Ennahda (Rinascimento).
     Tortura e altri maltrattamenti
    Sono continuate le torture e altri maltrattamenti da parte delle forze di sicurezza, in special modo presso il Dipartimento per la sicurezza di Stato. Particolarmente a rischio sono risultati i detenuti trattenuti in isolamento. Le forze di sicurezza hanno frequentemente infranto il limite dei sei giorni del fermo ed hanno trattenuto i detenuti in isolamento anche per diverse settimane. Nel corso di questo tipo di detenzione, molti hanno accusato di essere stati torturati anche tramite percosse, sospensione in posizioni contorte, scosse elettriche, privazione del sonno, stupro e minaccia di stupro nei confronti delle donne della famiglia. Di fatto, in tutti i casi, le autorità non hanno condotto indagini o assicurato alla giustizia i responsabili.
    Mohamed Amine Jaziri, uno dei coimputati del Caso Soliman (cfr. sopra), fu arrestato nel dicembre 2006 a Sidi Bouzid, a sud di Tunisi, e detenuto segretamente presso la stazione di polizia della città e poi presso il Dipartimento per la sicurezza di Stato di Tunisi fino al 22 gennaio. I suoi familiari hanno ripetutamente avanzato richieste di spiegazioni, ma le autorità hanno negato che fosse detenuto finché non è stato rilasciato. Egli ha accusato che durante la detenzione in isolamento fu picchiato su tutto il corpo, gli furono inflitte scosse elettriche, fu tenuto appeso al soffitto per diverse ore, bagnato con acqua fredda, privato del sonno e che durante gli interrogatori gli veniva posto un cappuccio insudiciato sulla testa. A dicembre, è stato condannato a 30 anni di carcere.
    Condizioni carcerarie
    Molti prigionieri politici hanno, secondo quanto riferito, subito discriminazioni e un trattamento duro. Alcuni hanno intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro i maltrattamenti da parte delle guardie carcerarie, il diniego di cure mediche, l'interruzione delle visite familiari e le dure condizioni, compreso l'isolamento prolungato.
    A ottobre Ousama Abbadi, Ramzi el Aifi, Oualid Layouni e Mahdi Ben Elhaj Ali, stando alle accuse, sono stati presi a pugni, tenuti legati e presi a calci dalle guardie carcerarie nella Prigione di Mornaguia. Ousama Abbadi ha riportato una grave ferita a un occhio e un'altra profonda e aperta a una gamba e quando è stato visto dal suo legale era costretto su una sedia a rotelle, incapace di stare in piedi. Altri reclusi della Prigione di Mornaguia, stando alle fonti, sono stati denudati dalle guardie e trascinati lungo un corridoio davanti alle celle. Sul caso non sono note indagini, malgrado le denunce sporte dagli avvocati dei prigionieri.
    (…)
    Difensori dei diritti umani
    Le autorità hanno ostacolato seriamente le attività delle organizzazioni per i diritti umani. le linee telefoniche e le connessioni a Internet sono state frequentemente interrotte o deviate al fine di ostacolare la comunicazione con altri in Tunisia e all'estero. Singoli difensori dei diritti umani sono stati oggetto di vessazioni e intimidazioni. Le forze di sicurezza hanno mantenuto i difensori dei diritti umani e le loro famiglie sotto costante sorveglianza e in alcuni casi li hanno aggrediti fisicamente.
    *Raouf Ayadi, avvocato e difensore dei diritti umani, è stato aggredito da un agente di polizia ad aprile mentre stava per entrare in un'aula di tribunale per rappresentare un imputato che doveva rispondere di accuse legate al terrorismo. A giugno, l'auto di Raouf Ayadi è stata danneggiata. A novembre, egli è stato insultato, gettato a terra e trascinato da agenti di polizia che cercavano di impedirgli di recare visita a un attivista per i diritti umani e un giornalista che avevano intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro il rifiuto delle autorità di rilasciare loro i passaporti. Nessun provvedimento è stato intrapreso dalle autorità nei confronti dei responsabili delle aggressioni a Raouf Ayadi
    (...). »
  35. Nella sua risoluzione 1433(2005), relativa alla legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantánamo Bay, l’Assembela parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto al governo americano, tra l’altro, « di non rinviare o trasferire i detenuti basandosi sulle « assicurazioni diplomatiche » di paesi che notoriamente ricorrono con sistematicità alla tortura e in tutti i casi in cui la mancanza del rischio di maltrattamenti non sia fermamente provata ».

    IN DIRITTO

    I.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 2 E 3 DELLA CONVENZIONE
     
  36. Il ricorrente lamenta che la sua espulsione verso la Tunisia mette in pericolo la sua vita e lo espone al rischio di essere torturato. Egli invoca gli articoli  2 e 3 della Convenzione.
    Queste norme recitano :
    Articolo 2 § 1
    «1.  Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena.»
    Articolo 3
    «Nessuno può essere sottoposto a tortura nè a pene o trattamenti inumani o degradanti.»
  37. Il Governo si oppone a questa tesi.

    A.  Sulla ricevibilità

    1.  L’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo
  38. Il Governo eccepisce innanzitutto il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto il ricorrente non ha contestato innannzi alle giurisdizioni interne la misura dell’allontanamento dal territorio italiano pronunciata dal tribunale di Como e confermata dalla corte d’appello di Milano (vedere i precedenti paragrafi 12 e 13).
  39. La Corte rileva che l’espulsione del ricorrente non è stata eseguita sulla base della sentenza della corte d’appello di Milano, ma sulla base di un decreto ministeriale adottato il 31 maggio 2008 (vedere i precedenti paragrafi 23 e 24). Il Governo non ha indicato quali vie di ricorso efficaci avrebbero potuto essere esercitate avverso questo decreto emesso il 2 giugno 2008 ed eseguito il giorno successivo.
  40. Ne consegue che l’eccezione preliminare del Governo non può essere presa in considerazione.

    2.  Altri motivi di irricevibilità
  41. La Corte constata che questo motivo non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non contrasta con nessun altro motivo di irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

    B.  Nel merito

    1.  Argomenti delle parti

    a)  Il ricorrente
  42. Il ricorrente sostiene che parecchi tunisini espulsi con il pretesto del terrorismo non hanno più dato segni di vita. Le inchieste condotte da Amnesty International e dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti di America, che dimostrerebbero che in Tunisia è praticata la tortura, confermerebbero questa affermazione. La tesi del Governo secondo la quale si sostiene che la situazione dei diritti umani in Tunisia è migliorata, non si fonderebbe su nessun elemento oggettivo.
  43. La famiglia del ricorrente avrebbe ricevuto più volte la visita della polizia e sarebbe stata oggetto di minacce e di continue provocazioni. Di fronte ai seri rischi ai quali egli ritiene di essere esposto una volta espulso, l’interessato considera che il semplice richiamo dei trattati firmati dalla Tunisia non può essere sufficiente. Egli afferma di aver presentato una domanda di asilo politico in Italia e di non aver ottenuto alcuna risposta.
  44. Il ricorrente qualifica come propaganda le assicurazioni diplomatiche fornite dalla Tunisia e afferma che esse non sono affidabili. Ad ogni modo, il Governo avrebbe avviato trattative per ottenere tali assicurazioni soltanto il 24 luglio 2008, ossia dopo l’espulsione, accettadno così il rischio che il ricorrente venisse torturato.
  45. Le autorità tunisine avrebbero come prassi il fatto di minacciare e maltrattare i prigionieri, le loro famiglie ed i loro avvocati. I familiari dei detenuti temerebbero di essere accusati di non voler cooperare e di subire rappresaglie. Il fatto che la Tunisia non voglia autorizzare le visite dell’avvocato italiano del ricorrente dimostrerebbe che essa desidera evitare la presenza di una persona indipendente che non potrebbe intimidire. Infine, come ha rilevato la Corte nella causa Saadi  succitata, la Croce Rossa non può divulgare quanto constata durante le sue visite nelle carceri.

    b)  Il Governo
  46. Il Governo sottolinea che le allegazioni relative ad un pericolo di morte o al rischio di essere esposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti devono essere sostenute da adeguati elementi di prova, e ritiene che questo non sia avvenuto nel caso di specie. I documenti prodotti dal ricorrente si limiterebbero talvolta a descrivere una situazione decisamente generalizzata in Tunisia, talvolta a citare casi isolati. La situazione in Tunisia non sarebbe diversa da quella che prevale in alcuni Stati parti alla Convenzione. Inoltre, il Governo non vede di buon occhio il valore che potrebbe essere attribuito al rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d'America, paese che non sarebbe « certo un modello per quanto riguarda il trattamento delle persone sospettate di terrorismo ». Le autorità tunisine, che secondo il rapporto americano non si sono mai rese colpevoli di rapimenti o di omicidi, eserciterebbero una efficace sorveglianza sul territorio nazionale. Il Governo sottolinea che la popolazione tunisina conta meno di 10 milioni di abitanti, e ritiene che per questo la presente fattispecie sia diversa dalla causa Chahal c. Regno Unito (Recueil des arrêts et décisions 1996-V, 15 novembre 1996), dove la Corte aveva espresso dubbi sulla capacità del governo indiano di risolvere il problema delle violazioni dei diritti umani perpetrate da centinaia di membri delle forze di sicurezza.
  47. Il Governo ricorda anche che la Corte ha rigettato le allegazioni dei ricorrenti in numerose cause che riguardavano le espulsioni verso paesi (soprattutto l'Algeria) dove le pratiche correnti di maltrattamenti sembrano secondo lui ben più inquietanti che in Tunisia.
  48. Esso nota inoltre che la Tunisia ha ratificato numerosi strumenti internazionali in materia di tutela dei diritti dell'uomo, ivi compreso un accordo di cooperazione con l'Unione europea, organizzazione internazionale che, secondo la giurisprudenza della Corte, si presume offra una protezione dei diritti fondamentali « equivalente » a quella assicurata dalla Convenzione. Le autorità tunisine permetterebbero peraltro alla Croce Rossa internazionale e ad « altri organismi internazionali » di visitare le carceri, le unità di detenzione provvisoria e i locali  per i fermi di polizia. Secondo il parere del Governo, si può presumere che la Tunisia non si discosterà dagli obblighi che le incombono in virtù dei trattati internazionali.
  49. L'interpretazione della Corte secondo la quale l’allontanamento è vietato in caso di rischio di maltrattamenti anche se il ricorrente rappresenta un pericolo per la sicurezza del paese che lo accoglie equivarrebe ad una abrogazione de facto degli altri altri trattati internazionali in materia di diritto di asilo politico e di concessione dello status di rifugiato.
  50. Nella fattispecie, il ricorrente sarebbe stato espulso solo dopo aver ottenuto garanzie ufficiose in merito al fatto che non sarebbe stato sottoposto a trattamenti contrari alla Convenzione, e il suo fascicolo sarebbe stato in seguito formalizzato durante una visita in Tunisia delle autorità italiane. Queste ultime avrebbero ricevuto sufficienti assicurazioni diplomatiche sulla sicurezza e sul benessere del ricorrente; e non accordarvi alcun credito equivarrebbe a dubitare della buona fede delle autorità  tunisine ed a rompere un dialogo intergovernativo e internazionale molto fruttuoso. Sottolineando che nella causa Saadi  prima citata, la Corte stessa ha domandato se tali assicurazioni fossero state richieste e ottenute, il Governo ritiene che, senza che si faccia questione di rimetterli in causa, i principi affermati dalla Grande Camera devono essere adattati alle particolari circostanze fattuali del caso di specie.
  51. Il Governo sottolinea che l'avvocato o i parenti del ricorrente, che gli hanno reso visita in carcere rispettivamente quattro volte in un mese e dodici volte in un mese e mezzo, non hanno denunciato alcun maltrattamento e che l'avvocato, anche se ha affermato che in Tunisia era praticata la tortura, ha pubblicamente riconosciuto che il suo cliente non aveva subito alcuna forma di trattamento contrario all'articolo 3 della Convenzione. Le autorità tunisine, pur smentendo l'esistenza di una sistematica violenza di Stato, non avrebbero escluso la possibilità di isolati casi di maltrattamenti, fatto da cui praticamente nessun paese sarebbe peraltro al riparo. I responsabili di questi maltrattamenti sarebbero stati perseguiti e severamente sanzionati. Il ricorrente avrebbe beneficiato di un regolare accesso alle cure mediche, e il Governo osserva che il rapporto sanitario del 25 agosto 2008 (vedere il precedente paragrafo 28) ha escluso l'esistenza di qualsiasi traccia di violenza.
  52. Infine, le allegazioni formulate dal ricorrente nell’ambito dell'articolo 2 della Convenzione si confonderebbero con quelle sollevate dal punto di vista dell'articolo 3 e dovrebbero quindi essere esaminate unicamente alla luce di questa ultima disposizione.

    2.  Valutazione della Corte
     
  53. I principi generali relativi alla responsabilità degli Stati contraenti in caso di espulsione, agli elementi da tenere in considerazione per valutare il rischio di esposizione a trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione e alla nozione di « tortura » e di « trattamenti inumani e degradanti » sono riassunti nella sentenza Saadi (succitata, §§ 124-136), nella quale la Corte ha anche riaffermato l'impossibilità di mettere sul piatto della bilancia il rischio di maltrattamenti e i motivi invocati per l'espulsione al fine di determinare se esista la responsabilità dello Stato sotto il profilo dell’articolo 3 (§§ 137-141).
  54. La Corte ricorda le conclusioni alle quali è pervenuta nella causa Saadi succitata (§§ 143-146), che erano le seguenti :
    - i testi internazionali pertinenti documentano numerosi e regolari casi di tortura e di maltrattamenti inflitti in Tunisia a persone sospettate o riconosciute colpevoli di atti di terrorismo;
    - questi testi descrivono una situazione preoccupante;
    - le visite del Comitato internazionale della Croce Rossa nei luoghi di detenzione tunisini non possono dissipare il rischio di sottomissione a trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione.
  55. La Corte non vede nella fattispecie alcuna ragione di ritornare su queste conclusioni, che si trovano peraltro confermate nel rapporto 2008 di Amnesty International relativo alla Tunisia (vedere il precedente paragrafo 34). E inoltre nota che il ricorrente è stato condannato in Tunisia a pesanti pene detentive per appartenenza, in tempo di pace, ad una organizzazione terroristica. L’esistenza di queste condanne, pronunciate per contumacia dai tribunali militari, è stata confermata dalle autorità tunisine (vedere il precedente paragrafo 27), dall'ambasciatore d'Italia Tunisi  vedere il precedente paragrafo 29) e dall'avvocato tunisino dell'interessato (vedere il precedente paragrafo 30).
  56. In queste condizioni, la Corte ritiene che nella fattispecie, fatti seri e accertati giustificano la conclusione secondo la quale esiste un reale rischio di vedere il ricorrente subire trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione in Tunisia (vedere, mutatis mutandis, Saadi, succitata, § 146). Resta da verificare se le assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine siano sufficienti a scartare questo rischio e se le informazioni relative alla situazione del ricorrente dopo la sua espulsione hanno confermato il parere del governo convenuto quanto alla fondatezza dei timori del ricorrente.
  57. A tale proposito, la Corte ricorda, prima di tutto, che l'esistenza di testi interni e l'accettazione di trattati internazionali che garantiscono, in linea di principio, il rispetto dei diritti fondamentali non sono sufficienti, da soli, ad assicurare un’adeguata protezione dal il rischio di maltrattamenti quando, come nella fattispecie, fonti affidabili dimostrano pratiche delle autorità - o tollerate da queste ultime - manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (Saadi, succitata, § 147 in fine). In secondo luogo, spetta alla Corte esaminare se le assicurazioni date dallo Stato di destinazione forniscano, nella loro effettiva applicazione, una sufficiente garanzia sulla protezione del ricorrente contro il rischio di trattamenti vietati dalla Convenzione (Chahal, succitata, § 105). Il peso da accordare alle assicurazioni che provengono dallo Stato di destinazione dipende in effetti, in ogni caso, dalle circostanze che prevalgono all'epoca considerata (Saadi, succitata, § 148 in fine).
  58. Nella presente fattispecie, l'avvocato generale della direzione generale dei servizi giudiziari ha assicurato che in Tunisia la dignità umana del ricorrente sarebbe rispettata, che non sarebbe sottoposto a tortura, a trattamenti inumani o degradanti o ad una detenzione arbitraria, che beneficierebbe delle cure mediche appropriate e che potrebbe ricevere visite da parte del suo avvocato e dei membri della sua famiglia. Oltre che sulle leggi tunisine pertinenti ed sui trattati internazionali firmati dalla Tunisia, queste assicurazioni si basano sui seguenti elementi:
    - i controlli eseguiti dal giudice dell'esecuzione delle pene, dal comitato superiore dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (istituzione nazionale indipendente) e dai servizi dell'ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei Diritti umani;
    - due casi di condanna di agenti dell'amministrazione penitenziaria e di un agente di polizia per maltrattamenti;
    - la giurisprudenza interna, ai sensi della quale una confessione estorta con costrizione è nulla e considerata come non avvenuta (vedere il precedente paragrafo 27).
  59. La Corte nota, tuttavia, che non è certo che l'avvocato generale della direzione generale dei servizi giudiziari fosse competente per fornire queste assicurazioni in nome dello Stato (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina, no 2440/07, § 73, 23 ottobre 2008). Inoltre, tenuto conto del fatto che fonti internazionali serie e affidabili abbiano indicato che le allegazioni di maltrattamenti non erano esaminate dall'autorità tunisine competenti (Saadi, succitata, § 143), il semplice richiamo di due casi di condanna di agenti dello Stato per lesioni su detenuti non sarebbe sufficiente a eliminare il rischio di simili trattamenti né a convincere la Corte dell’esistenza di un effettivo sistema di protezione contro la tortura, in mancanza del quale è difficile verificare che le assicurazioni date saranno rispettate. A tale proposito, la Corte ricorda che nel suo rapporto 2008 relativo alla Tunisia, Amnesty International ha precisato soprattutto che, benché numerosi detenuti siano si siano lamentati di essere stati torturati mentre erano sottoposti a fermo di polizia, « le autorità non hanno praticamente mai condotto inchieste né preso misure per portare innanzi alla giustizia i presunti torturatori » » (vedere il precedente paragrafo 34).
  60. Inoltre, nella sentenza Saadi succitata (§ 146), la Corte ha constatato una reticenza delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti che difendono i diritti dell’uomo, quali Human Rights Watch. Nel suo rapporto 2008 prima citato, Amnesty International ha peraltro notato che benché il numero di membri del comitato superiore dei diritti umani sia stato elevato, quest’ultimo « non includerebbe organizzazioni indiendenti di difesa dei diritti fondamentali ». L’impossibilità  per il rappresentante del ricorrente innanzi alla Corte di rendere visita al suo cliente detenuto in Tunisia conferma la difficoltà di accesso dei prigionieri tunisini a legali stranieri indipendenti anche quando essi sono parti nei procedimenti giudiziari pendenti innanzi alle giurisdizioni internazionali. Questi ultimi rischiano dunque, una volta che un ricorrente è espulso in Tunisia, di trovarsi nell’impossibilità di verificare la propria situazione e di conoscere eventuali motivi di ricorso che potrebbero sollevare in merito ai trattamenti ai quali sono sottoposto. Simili controlli sembrano anche impossibili al governo convenuto, il cui ambasciatore non potrà vedere il ricorrente nel luogo in cui è detenuto.
  61. In queste circostanze la Corte non può sottoscrivere la tesi del Governo secondo la quale le assicurazioni fornite nel presente caso di specie offrono una efficace protezione contro il serio rischio che corre il ricorrente di essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko, succitata, §§ 73-74). Essa ricorda invece il principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nella sua risoluzione 1433(2005), secondo il quale le assicurazioni diplomatiche non possono essere sufficienti quando la mancanza di pericolo di maltrattamenti non sia seriamente stabilita (vedere il precedente paragrafo 35).
  62. Infine, in merito alle informazioni fornite dal Governo in merito alla situazione del ricorrente in Tunisia, è opportuno ricordare che se per controllare l’esistenza di un rischio di maltrattamenti occorre prioritariamente fare riferimento alle circostanze che lo Stato in causa aveva o doveva conoscere al momento dell’espulsione, questo non impedisce alla Corte di tener conto di informazioni successive che possono servire a confermare o ad inficiare la maniera in cui la Parte contraente interessata ha giudicato sulla fondatezza dei timori di un ricorrente (Mamatkulov e Askarov, succitata, § 69 ; Vilvarajah e altri c. Regno Unito, 30 ottobre 1991, § 107, serie A no 215 ; Cruz Varas e altri c. Svezia, 20 marzo 1991, §§ 75-76, serie A no 201).
  63. La Corte rileva che le autorità tunisine hanno fatto sapere che il ricorrente aveva ricevuto numerose visite dei membri della sua famiglia e del suo avvocato tunisino. Quest’ultino ha precisato che il suo cliente non aveva lamentato di aver subito maltrattamenti (vedere i precedenti paragrafi 29 e 30), fatto che sembra confermato dal rapporto medico allegato alle assicurazioni diplomatiche (vedere il precedente paragrafo 28).
  64. Secondo la Corte questi elementi possono dimostrare che il ricorrente non ha subito trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione nel corso delle settimante successive alla sua espulsione, ma essi non fanno presagire nulla sulla sorte futura dell’interessato. A tale proposito, la Corte non può che reiterare le sue osservazioni sull’impossibilità per il rappresentante del ricorrente innanzi ad essa e per l’ambasciatore d’Italia a Tunisi di fargli visita in carcere e di verificare l’effettivo rispetto della sua integrtà fisica e della sua dignità umana.
  65. Pertanto, l’esecuzione dell’espulsione del ricorrente verso la Tunisia ha violato l’articolo 3 della Convenzione.
  66. Questa conclusione dispensa la Corte dall’esaminare se l’espulsione abbia anche violato l’articolo 2 della Convenzione.

    II.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
     
  67. Il ricorrente lamenta la mancanza di equità dei procedimenti penali diretti contro di lui in Tunisia ed invoca l’articolo 6 della Convenzione. Il Governo contesta questo motivo di ricorso.
  68. La Corte considera che questo motivo sia ricevibile (Saadi, succitata, § 152). Tuttavia, vista la sua constatazione secondo la quale l’espulsione del ricorrente verso la Tunisia ha costituito violazione dell’articolo 3 della Convenzione (vedere il precedente paragrafo 65), essa non ritiene necessario esaminare se i procedimenti penali diretti contro il ricorente in Tunisia fossero conformi all’articolo 6 della Convenzione e se  costituiscono un flagrante diniego di giustizia (vedere, mutatis mutandis, Saadi, succitata, § 160).

    III.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 34 DELLA CONVENZIONE
     
  69. Nel messaggio inviato per fax il 13 giugno 2008, il rappresentante del ricorrente ha denunciato il mancato rispetto da parte del Governo italiano della misura provvisoria indicata in virtù dell’articolo 39 del regolamento della Corte dalla presidente della seconda sezione (vedere il precedente paragrafo 18).
  70. Le Governo ritiene di non aver mancato ai suoi obblighi.
  71. La Corte ritiene che questo motivo di ricorso si presta ad essere esaminato dal punto di vista dell’articolo 34 della Convenzione, che recita:
     « La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga di essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contrenti dei diritti riconosciuti nella convenzione o nei suoi protocolli. Le alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto. »

    A.  Sulla ricevibilità
     
  72. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Essa rileva peraltro che non contrasta con nessun altro motivo di irricivibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

    B.  Nel merito

    1.  Argomenti delle parti

    a) Il Governo
  73. Il Governo rileva che nell’esposizione dei fatti allegata alla comunicazione del ricorso era indicato che l’espulsione del ricorrente era stata disposta con provvedimento del giudice per l’udienza apreliminare di Milano del 22 febbraio 2002, precisa che questo non è esatto e considera che, di conseguenza, la misura provvisoria indicata dalla presidente della seconda sezione ai sensi dell’articolo 39 del regolamento si fondava su una errata base di fatto.
  74. Pur riconoscendo l’importanza delle misure provvisorie, il Governo sostiene che queste possono essere applicate soltanto quando vi è un imminente pericolo di danno irreparabile e le vie di ricorso interne sono state esaurite, il che non sarebbe avvenuto nella fattispecie, in quanto la sentenza della corte d’appello di Milano del 14 dicembre 2006, che confermava l’espulsione del ricorrente, non era ancora definitiva.
  75. Poichè l’espulsione è stata eseguita sulla base di un decreto ministeriale del 31 maggio 2008 adottato dopo che l’Italia aveva ottenuto garanzie formali e tranquillizzanti da parte delle autorità tunisine in merito al rispetto dei principi enunciati nella sentenza Saadi, l’inosservanza della misura provvisoria non avrebbe leso alcun interesse tutelato dalla Convenzione.
  76. Il rifiuto di dare seguito ad una domanda di applicazione di misure provvisorie non ostacolerebbe inevitabilmente e automaticamente l'esercizio del diritto di ricorso individuale: tale ostacolo si creerebbe soltanto quando la condotta dello Stato impedisse alla Corte di esaminare efficacemente i motivi di ricorso del ricorrente. La violazione dell'articolo 34 della Convenzione, interpretato dal punto di vista dell'articolo 31 della Convenzione di Vienna, vi sarebbe soltanto quando il diritto di ricorso sia stato leso concretamente e non quando sia stato soltanto astrattamente messo in pericolo; e l'analisi della giurisprudenza della Corte in materia confermerebbe questa conclusione (vedere, soprattutto, Olaechea Cahuas c.Spagna, no 24668/03, 10 agosto 2006, Aoulmi c. Francia, no 50278/99, 17 gennaio 2006, Chamaïev e altri contro Georgia e Russia, no 36378/02, CEDH 2005-III, e Mamatkoulov et Askarov, succitata).
  77. Il Governo sottolinea che a differenza delle cause sopra citate, dove l'allontanamento dei ricorrenti ha avuto luogo poco tempo dopo l'introduzione del ricorso o della domanda di misure provvisorie, nella fattispecie l’espulsione dell'interessato è stata eseguita quasi un anno dopo lo scambio di osservazioni, principali e complementari, tra le parti. Così, poichè la causa si trovava in uno stato nel quale poteva essere esaminata, l'esecuzione dell'espulsione non avrebbe ostacolato né l'esercizio da parte del ricorrente del suo diritto di ricorso individuale, né l'esame efficace del ricorso da parte della Corte.

    b)  Il ricorrente
  78. Il ricorrente ritiene che il fatto che la sua espulsione sia basata su una sentenza diversa da quella che aveva inizialmente indicato non ha importanza ai fini del rispetto degli obblighi che incombono al Governo in virtù dell’articolo 34 della Convenzione, e che le autorità italiane non possono sottrarsi al loro dovere di rispettare le misure provvisorie indicate dalla Corte adducendo il pretesto che è stato adottato un nuovo decreto di espulsione e che è stato eseguito quasi immediatamente.
  79. I fatti del caso di specie dimostrerebbero che le garanzie offerte dal sistema italiano non hanno tutelato l’individuo dal rischio di espulsione, e il Governo vorrebbe minimizzare l’importanza delle misure provvisorie indicate in virtù dell’articolo 39 del regolamento. In realtà, ogni caso di mancato rispetto di una misura che mira ad impedire l’espulsione rientrerebbe nella sfera dell’articolo 44B del regolamento della Corte, e il ricorrente sottolinea che ogni Stato firmatario è tenuto a cooperare con la Corte nell’interesse del rispetto dei diritti garantiti dalla Convenzione.

    2.  Valutazione della Corte

    a)  Principi generali
  80. La Corte ricorda che l’articolo 39 del regolamento abilita le camere o, eventualmente, il loro presidente a indicare le misure provvisorie. Tali misure sono state indicate soltanto quando ciò si sia reso strettamente necessario e in limitati ambiti, in linea di principio in presenza di un imminente rischio di danno irreparabile. Nella maggior parte dei casi, si tratta di cause di espulsione e di estradizione. Le cause nelle quali gli Stati non si sono conformati alle misure indicate sono rare (Mamatkulov e Askarov, succitata, §§ 103-105).
  81. Nelle cause come la presente, dove il ricorrente allega in maniera plausibile che esiste un rischio di danno irreparabile al godimento di uno dei diritti che rientrano nel nocciolo duro dei diritti tutelati dalla Convenzione, una misura provvisoria ha lo scopo di mantenere lo  statu quo nell'attesa che la Corte si pronunci sulla giustificazione della misura. Dato che essa mira a prolungare l'esistenza della questione che forma l’oggetto del ricorso, la misura provvisoria riguarda il merito del motivo di ricorso basato sulla Convenzione. Con il suo ricorso, il ricorrente cerca di proteggere da un danno irreparabile il diritto da lui invocato enunciato nella Convenzione. Di conseguenza, il ricorrente domanda una misura provvisoria e la Corte la concede al fine di facilitare « l'esercizio efficace » del diritto di ricorso individuale garantito dall'articolo 34 della Convenzione, ossia di preservare l'oggetto del ricorso quando ritiene che vi sia il rischio che quest'ultimo subisca un danno irreparabile a causa di un'azione o di una omissione dello Stato convenuto (Mamatkulov et Askarov, succitata, § 108).
  82. Nell'ambito del contenzioso internazionale, le misure provvisorie hanno lo scopo di preservare i diritti delle parti, permettendo alla giurisdizione di dare effetto alle conseguenze della responsabilità nel procedimento in contraddittorio. In particolare, nel sistema della Convenzione, le misure provvisorie, così come sono state costantemente applicate nella pratica, risultano essere di fondamentale importanza per evitare situazioni irreversibili che impedirebbero alla Corte di eseguire in buone condizioni un esame del ricorso e, eventualmente, per assicurare al ricorrente il godimento pratico ed effettivo del diritto tutelato dalla Convenzione da lui invocato. Pertanto, in queste condizioni, il fatto che uno Stato convenuto non osservi le misure provvisorie mette in pericolo l'efficacia del diritto di ricorso individuale, come garantito dall'articolo 34, nonché l'impegno formale dello Stato, in virtù dell'articolo 1, di salvaguardare i diritti e le libertà sancite nella Convenzione. Tali misure permettono anche allo Stato interessato di adempiere al suo obbligo di conformarsi alla sentenza definitiva della Corte, la quale è giuridicamente vincolante in virtù dell'articolo 46 della Convenzione (Mamatkulov et Askarov, précité, §§ 113 et 125).
  83. Ne consegue che l'inosservanza di misure provvisorie da parte di uno Stato contraente deve essere considerata come un fatto che impedisce alla Corte di esaminare efficacemente il motivo di ricorso del ricorrente e ostacola l'esercizio efficace del suo diritto e, pertanto, come una violazione dell'articolo 34 (Mamatkulov e Askarov, précité, § 128).

    b)  Applicazione di questi principi al caso di specie
  84. Nel caso specifico, poiché l'Italia ha espulso il ricorrente verso la Tunisia, il livello di protezione dei diritti sanciti negli articoli 2 e 3 della Convenzione che la Corte poteva garantire l'interessato è diminuito in maniera irreversibile. Importa poco se l’espulsione sia stata eseguita dopo lo scambio di osservazioni tra le parti: essa non toglie comunque utilità all’eventuale costatazione di violazione della Convenzione, in quanto il ricorrente è stato allontanato verso un paese che non è parte alla Convenzione, dove sosteneva di rischiare di essere sottoposto a trattamenti contrari a quest'ultima.
  85. Inoltre, l’efficacia dell'esercizio del diritto di ricorso implica anche che la Corte possa, durante la procedura avviata innanzi ad essa, continuare ad esaminare il ricorso secondo la sua abituale procedura. Ora, nella fattispecie, il ricorrente è stato espulso. Avendo così perduto qualsiasi contatto con il suo avvocato, egli è stato privato della possibilità di richiedere, nell'ambito dell'amministrazione delle prove, alcune ricerche idonee a sostenere le sue affermazioni nell’ambito degli articoli 2, 3 e 6 della Convenzione, ricerche che avrebbero potuto essere condotte anche dopo lo scambio di osservazioni. Le autorità tunisine hanno peraltro confermato che il rappresentante del ricorrente innanzi alla Corte non potrà essere autorizzato a visitare il suo cliente in carcere.
  86. Inoltre, la Corte nota che il Governo convenuto, prima di espellere il ricorrente, non ha domandato la revoca della misura provvisoria adottata ai sensi dell'articolo 39 del regolamento della Corte, che sapeva essere ancora in vigore, ed ha proceduto all'espulsione anche prima di ottenere le assicurazioni diplomatiche che gli invoca nelle sue osservazioni.
  87. I fatti della causa, così come sono stati esposti qui sopra, mostrano chiaramente che a causa della sua espulsione verso la Tunisia, il ricorrente non ha potuto sviluppare tutte le argomentazioni pertinenti alla sua difesa e che la sentenza della Corte rischia di essere priva di qualsiasi effetto utile. In particolare, il fatto che il ricorrente sia stato sottratto alla giurisdizione dell'Italia costituisce un serio ostacolo che potrebbe impedire al Governo di adempiere ai suoi obblighi (derivanti dagli articoli 1 e 46 della Convenzione) di salvaguardare i diritti dell'interessato e di cancellare le conseguenze delle violazioni constatate dalla Corte. Questa situazione ha costituito un ostacolo all' effettivo esercizio da parte del ricorrente del suo diritto di ricorso individuale garantito dall'articolo 34 della Convenzione, diritto che la sua espulsione ha ridotto a nulla.

    c)  Conclusione
  88. Tenuto conto degli elementi in suo possesso, la Corte conclude che non conformandosi alla misura provvisoria indicata in virtù dell'articolo 39 del suo regolamento, l'Italia non abbia rispettato gli obblighi che a lei incombevano nella fattispecie riguardo l'articolo 34 della Convenzione.

    IV.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
     
  89. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
    “Se la Corte dichiara che vi è stata una violazione della Convenzione o dei suoi Pro-tocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente interessata non permette che una parziale riparazione della violazione, la Corte, se necessario, accorda alla parte lesa un’equa soddisfazione.”

    A.  Danno
  90. Nella sua domanda di equa soddisfazione del 14 maggio 2007, il ricorrente domanda 50.000 EURO a titolo del danno morale che ritiene  aver Subito. Nella sua domanda del 3 ottobre 2008, formulata dopo l'esecuzione della sua espulsione, egli domanda 500.000 EURO.
  91. Il Governo si oppone alla concessione di qualsiasi somma titolo di equa soddisfazione, ritenendo che il ricorrente avrebbe dovuto sapere che la commissione di crimini connessi con il terrorismo lo esponeva al rischio di essere espulso verso la Tunisia.
  92. La Corte ritiene che il ricorrente abbia subito un torto morale certo a causa della messa in esecuzione della decisione di espellerlo. Decidendo in equità, come vuole l'articolo 41 della Convenzione, gli concede 10.000 EURO a questo titolo.

    B.  Spese legali
  93. Nella sua domanda di equa soddisfazione del 14 maggio 2007, il ricorrente chiede anche 15.266,13 EURO per le spese legali affrontate innanzi alla Corte. Nella sua domanda del 3 ottobre 2008, sollecita la concessione di 8.722,89 EURO per la successiva trattazione della sua causa.
  94. Il Governo ritiene che le spese reclamate siano eccessive.
  95. Secondo costante giurisprudenza della Corte, l’attribuzione delle spese legali affrontate dal ricorrente può intervenire soltanto se ne viene rpovata la realtà, necessità e congruità del loro ammontare (Belziuk c. Polonia, 25 marzo 1998, § 49, Recueil 1998-II).
  96. La Corte ritiene eccessiva la somma richiesta per le spese legali riguardanti la procedura innanzi ad essa e decide di accordare 5.000 EUR a questo titolo.

    C.  Interessi moratori
  97. La Corte giudica appropriato calcolare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse dell’agevolazione del prestito marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.
     

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che la messa in esecuzione della decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia ha violato l’articolo 3 della convenzione;
  3. Dichiara che non sia necessario esaminare se l’esecuzione della decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia abbia anche violato gli articoli 2 e 6 della Convenzione ;
  4. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 34 della Convenzione;
  5. Dichiara
    1. che lo Stato convenunto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà diventata definitiva, conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      i.  10.000 EURO (diecimila euro), maggiorata di qualsiasi somma dovuta a titolo di imposta, per il danno morale ;
      ii.  5.000 EURO (cinquemila euro), maggiorata di qualsiasi somma dovuta a titolo di imposta dal ricorrente per le spese legali ;
    2. che a partire dalla decorrenza di tale termine e fino al versamento, tale somma sarà maggiorata di un interesse semplice a un tasso uguale a quello dell’agevolazione del prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  6. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.
     

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 24 febbraio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
Sally Dollé, Cancelliere
Françoise Tulkens, Presidente

Alla presente sentenza si trova allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata del Giudice Cabral Barreto.


OPINIONE CONCORDANTE DEL JUGE CABRAL BARRETO

Sono pienamente d'accordo con le constatazioni di violazioni.
Desidero soltanto precisare quanto segue.
Nel paragrafo 87 della sentenza, mi sembra che non venga perfettamente operata la distinzione tra gli obblighi dello Stato derivanti dagli articoli 1 e 46 della Convenzione e quelli che sono imposti dall’articolo 34 ; ciò potrebbe far sorgere dubbi sul modo in cui la Corte interpreta queste disposizioni.
Così, restando attinenti alla sentenza Mamatkulov et Askarov, succitata, vorrei che i paragrafi 87 e 88 venissero sostituiti dai seguenti paragrafi :
«87. I fatti della causa, così come sono stati esposti qui sopra, mostrano chiaramente che a causa della sua espulsione verso la Tunisia, la sentenza della Corte rischia di essere priva di qualsiasi effetto utile. In particolare, il fatto che il ricorrente sia stato sottratto alla giurisdizione dell'Italia costituisce un serio ostacolo che potrebbe impedire al Governo di adempiere ai suoi obblighi derivanti dagli articoli 1 e 46 della Convenzione di salvaguardare i diritti dell'interessato e di cancellare le conseguenze delle violazioni constatate dalla Corte.
88. Ed è evidente che la citata espulsione abbia impedito al ricorrente di sviluppare tutte le argomentazioni pertinenti per la sua difesa, fatto che ha costituito un ostacolo per l’effettivo esercizio, da parte del ricorrente, del suo diritto di ricorso individuale garantito dall’articolo 34 della Convenzione, diritto che l’espulsione controversa ha ridotto a nulla.
c)  Conclusione
89. Tenuto conto degli elementi in suo possesso, la Corte conclude che non conformandosi alle misure provvisorie indicate in virtù dell'articolo 39 del suo regolamento, l'Italia non abbia rispettato gli obblighi che a lei incombevano nella fattispecie riguardo l'articolo 34 della Convenzione (Mamatkulov e Askarov, succitata, § 129) ».