Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 24 ottobre 2002 - Ricorso n. 37703/97 - ... contro l'Italia

[traduzione non ufficiale]
CONSIGLIO D'EUROPA

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
Sentenza 24 ottobre 2002 X c/Italia

Articolo 2 CEDU - Diritto alla vita

CAUSA X c/ITALIA
(Ricorso n° 37703/97)
SENTENZA
STRASBURGO
24 ottobre 2002

La presente sentenza è definitiva, ma può essere sottoposta a revisione editoriale.

Nella causa X c/ l'Italia

La Corte Europea dei Diritti dell'uomo, costituita in una Grande Camera composta dai seguenti giudici:

MrL. WILDHABER, Presidente,
MrC.L. ROZAKIS,
MrJ.-P. COSTA,
MrG. RESS,
Sir Nicolas BRATZA,
MrB. CONFORTI,
MrGAUKUR JÖRUNDSSON,
MrG. BONELLO,
MrsV. STRÁZNICKÁ,
MrC. BÎRSAN,
MrM. FISCHBACH,
MrV. BUTKEVYCH,
MrB. ZUPANCIC,
MrM. PELLONPÄÄ,
MrsM. TSATSA-NIKOLOVSKA,
MrE. LEVITS,
MrS. PAVLOVSCHI,
ed inoltre da Mr P.J. MAHONEY, Cancelliere,

dopo avere deliberato in Camera di Consiglio il 13 marzo, il 5 giugno ed il 25 settembre 2002,
emette la seguente sentenza, la quale è stata adottata alla data suddetta:

PROCEDURA

------------------------------------O M I S S I S------------------------------------

IN FATTO

I. CIRCOSTANZE DELLA CAUSA

A. - OMISSIS -
B. - OMISSIS -
C. - OMISSIS -
D. - OMISSIS -

II.- DIRITTO E PRATICA INTERNA PERTINENTI

A. - OMISSIS -
B. - OMISSIS -
C. - OMISSIS -
D. - OMISSIS -

IN DIRITTO

I.SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 2 DELLA CONVENZIONE

------------------------------------ O M I S S I S ---------------------------------------
A. - OMISSIS -

1.Argomentazioni delle parti
a) Il ricorrente
------------------------------------ O M I S S I S --------------------------------------
b) Il Governo
-------------------------------- O M I S S I S ------------------------------------

2.Valutazione della Corte

(a) Principi Generali

67. La Corte ribadisce all'inizio che l'Articolo 2 consacra uno dei valori fondamentali delle società democratiche che formano il Consiglio di Europa (sentenza .................................e altri del 22 settembre 1995, serie A n° 324, p. 45, § 147).
La prima frase dell'articolo 2 § 1 impone allo Stato non solo di astenersi dal provocare in modo intenzionale e illecito la morte, ma anche di adottare le misure idonee a proteggere le vite di coloro che rientrano nella sua giurisdizione (Osman c/ Regno Unito, sentenza del 28 ottobre 1998, Rapporti relativi a Sentenze e Decisioni 1998-VIII, p. 3159, § 115; vedi anche Tanribilir c/ Turchia, ricorso n° 21422/93, decisone della Commissione del 16 novembre 2000, § 70, non comunicata; e L.C.B. c/ Regno Unito, sentenza del 9 giugno 1998, Rapporti 1998-III, p. 1403, § 36).
L'obbligo dello Stato va al di là del suo dovere primario di garantire il diritto alla vita, introducendo efficaci disposizioni di diritto penale per dissuadere la commissione di reati contro la persona e poggiando su di un meccanismo di applicazione della legge diretto alla prevenzione, alla repressione ed al sanzionamento delle violazioni di tali disposizioni. L'articolo 2 può inoltre implicare, in certe circostanze ben determinate, l'obbligo positivo a carico delle autorità di adottare delle misure operative preventive dirette a proteggere l'individuo la cui vita è a rischio per le manovre criminali di un altro individuo.

68. Tuttavia ciò non significa che da tale disposizione si possa dedurre l'obbligo positivo di prevenire ogni possibilità di violenza (vedere, inter alia, Tanribilir, succitato, § 71, e ricorso n° 16734/90, decisione della Commissione del 2 settembre 1991, Decisioni e Rapporti 72, a pag. 243). Un tale obbligo deve essere interpretato in modo da non imporre alle autorità un onere impossibile o sproporzionato, tenendo conto delle difficoltà insite nel presidiare le società moderne, l'imprevedibilità del comportamento umano e delle scelte operative che debbono essere effettuate in termini di priorità e di risorse (Osman, succitato, p. 3159, § 116).
Di conseguenza, non tutti i presunti rischi di vita possono comportare a carico delle autorità, per quanto riguarda la Convenzione, l'obbligo di adottare misure operative dirette ad impedire che tale eventualità si materializzi. La Corte ha sostenuto che sorge l'obbligo positivo ove sia stato stabilito che le autorità sapevano o avrebbero all'epoca dovuto sapere che, a causa delle azioni criminali di un terzo, esisteva un rischio reale ed immediato per la vita di uno o più determinati individui dalle azioni criminali di un terzo e che esse non sono riuscite, nell'ambito dei propri poteri, ad adottare le misure nell'ambito dei propri poteri che, secondo un giudizio ragionevole, avrebbero presumibilmente allontanato quel rischio (Osman, succitato, p. 3159, § 116; ... c/ Regno Unito, n° 46477/99, § 55, 14 marzo 2002, non comunicato; e ... c/ Regno Unito (dec.), n 33747/96, 23 novembre 1999, non comunicato).

(b) Applicazione al caso in specie

69. La situazione esaminata nelle cause ... e ... riguardava l'esigenza della protezione personale di uno o più individui identificabili in anticipo come potenziali bersagli di un atto letale.
Il caso in specie si distingue da quei casi in quanto qui non si tratta di determinare se ci fosse la responsabilità da parte delle autorità per non essere riuscite a fornire la protezione personale ad Y ; ciò che è in questione è l'obbligo di offrire una protezione generale alla società contro le potenziali azioni di una o più persone che scontano una pena detentiva per un reato violento e di definirne l'estensione.

70. La Corte deve prima determinare se il sistema di misure alternative alla reclusione faccia sorgere di per sé la responsabilità dello Stato ai sensi dell'articolo 2 della Convenzione per la morte di un passante, che sia stata cagionata da detenuti che scontavano pene per reati violenti ed ai quali, in base a quel sistema, era stato accordato un permesso di uscita.

71. La Corte osserva che l'omicidio di Y è stato commesso da .........................., aiutato e istigato da ................................ e da ............................. - Soltanto .......... e .............. erano detenuti, il primo era in permesso di uscita ed il secondo beneficiava del regime di semi-libertà. Di conseguenza, solo il comportamento di quei due criminali può potenzialmente implicare la responsabilità dello Stato di avere mancato al dovere di proteggere la vita.

72. Una delle funzioni essenziali di una pena detentiva è quella di proteggere la società, per esempio impedendo ad un criminale di essere recidivo e così di causare ulteriori danni. Allo stesso tempo la Corte riconosce il fine legittimo di una politica di progressiva reintegrazione sociale delle persone condannate a pene detentive. In quest'ottica essa riconosce il merito di misure - come per esempio i permessi temporanei di uscita - che permettono la reintegrazione sociale dei detenuti, anche nel caso in cui essi fossero stati condannati per reati violenti.
La Corte osserva a tale riguardo che nel sistema italiano prima che un detenuto possa beneficiare di un permesso di uscita, deve avere scontato un periodo minimo di reclusione, la cui durata dipende dalla gravità del reato per il quale è stato condannato. Inoltre, ai sensi dell'articolo 30ter (8) della Legge penitenziaria, il permesso carcerario può essere accordato ad un detenuto solo se egli ha tenuto una buona condotta in carcere e se il suo rilascio non rappresenta un pericolo per la società. A tale riguardo, la semplice assenza di provvedimenti disciplinari non è sufficiente a giustificare la concessione di misure che ne facilitino la reintegrazione, in quanto al detenuto è richiesto di mostrare una volontà sincera di partecipare al programma di reintegrazione e di riabilitazione. La valutazione della pericolosità di un detenuto per la società è lasciata al giudice responsabile dell'esecuzione della pena, il quale è obbligato a consultare le autorità penitenziarie. Una tale valutazione deve essere basata non solo sulle informazioni fornite dalle autorità penitenziarie, ma anche sulle informazioni disponibili presso la polizia quando il giudice ritenga che ciò sia necessario.
Inoltre, la Legge n° 356, la quale introduce disposizioni speciali nel caso di reati commessi da membri di un'associazione a delinquere, esclude la possibilità di permessi di uscita o di altre misure alternative alla reclusione nel caso di reati particolarmente gravi, per lo meno nei casi in cui il reo non ha cooperato con le autorità giudiziarie. Inoltre, se un detenuto è stato condannato per rapina a mano armata, il permesso di uscita non può essere concesso se c'è la prova di un collegamento fra il detenuto e la criminalità organizzata. Al giudice responsabile dell'esecuzione delle pene viene richiesto di chiedere informazioni alla polizia e, in ogni caso, di prendere la sua decisione nei trenta giorni successivi a tale richiesta (vedere paragrafi 44-48 di cui sopra).
La Corte ritiene che questo sistema vigente in Italia preveda sufficienti misure di protezione per la società. Essa è confortata in questa opinione dalle statistiche fornite dallo Stato convenuto, le quali mostrano che la percentuale di reati commessi da detenuti in regime di semilibertà è molto bassa, come lo è la percentuale dei detenuti che si danno alla latitanza mentre sono in permesso di uscita (vedere paragrafo 49 di cui sopra).

73. Di conseguenza, non c'è nulla che indichi che il sistema delle misure dirette alla reintegrazione applicabile in Italia all'epoca dei fatti debba essere chiamato in causa ai sensi dell'articolo 2.

74. Resta da vedersi se l'adozione e l'attuazione delle decisioni che accordano a ................................... il permesso di uscita e a .................................. il trattamento di semilibertà rivelino una mancanza al dovere di diligenza, previsto in questo campo dall'Articolo 2 della Convenzione.
A questo riguardo è chiaro che se ................................... e .................................. fossero stati in carcere l'8 novembre 1989, Y non sarebbe stato da loro assassinato. Tuttavia, una semplice condizione sine qua non non è sufficiente a far sorgere la responsabilità dello Stato secondo la Convenzione; si deve dimostrare che la morte di Y è risultata dal fallimento da parte delle autorità nazionali di "fare tutto ciò che poteva ragionevolmente essere fatto per evitare un reale ed immediato rischio per la vita, del quale essi dovevano o avrebbero dovuto essere a conoscenza" (Osman, succitato, paragrafo 116), in quanto il rischio inerente al presente caso è un rischio verso la vita dei membri della società in generale, piuttosto che di uno o più determinati individui.

75. A questo riguardo la Corte osserva che il giudice di ....................................................................., responsabile per l'esecuzione delle pene, ha preso la sua decisione nei confronti di ................................... sulla base dei rapporti delle autorità penitenziarie, le quali erano soddisfatte del comportamento di ..................................., del suo riadattamento e della sua volontà di reintegrarsi (vedere paragrafo 15 di cui sopra).
Nel caso di ..................................., il Tribunale di .................................... responsabile per l'esecuzione delle pene si è appoggiato sia sui rapporti delle autorità penitenziarie, le quali erano state soddisfatte del comportamento e del modo di riadattarsi del detenuto, sia sul modo positivo di come si erano svolti i precedenti permessi di uscita, sia sul parere favorevole da parte della polizia, relativamente all'attività professionale che ................................... esercitava (vedere paragrafo 20 di cui sopra).
76. La Corte ritiene che non ci fosse nulla fra gli elementi in possesso delle autorità nazionali che li allertasse del fatto che il rilascio di .................................. o di ................................... avrebbe costituito una reale ed immediata minaccia alla vita, e ancor meno che potesse condurre alla tragica morte di Y come risultato del susseguirsi fortuito degli eventi che si sono verificati nel presente caso. Né c'era nulla che le allertasse della necessità di adottare misure addizionali per garantire che, una volta rilasciati, i due non avrebbero rappresentato un pericolo per la società.
È evidente che a ................................... è stato accordato un permesso di uscita dopo che il suo ex-complice, ..................................., aveva approfittato del permesso di uscita accordato dallo stesso giudice per darsi alla latitanza. Comunque, questo singolo fatto non può, secondo la Corte, essere sufficiente a determinare una particolare necessità di cautela quando si è deciso di rilasciare ...................................., in assenza di materiale che dimostri che le autorità avrebbero dovuto ragionevolmente prevedere che i due avrebbero cospirato insieme per commettere un reato che avrebbe condotto ad una morte.

77. In queste circostanze la Corte non ritiene sia accertato il fatto che il permesso di uscita accordato a ................................... ed a ................................... avrebbe dato luogo ad una mancanza, da parte delle autorità giudiziarie, relativamente alla protezione del diritto di Y alla vita.

78. Per quanto riguarda la presunta condotta negligente della polizia, le prove mostrano che .................................. è stato sottoposto al tipo di sorveglianza normalmente previsto quando viene accordato il permesso di uscita (vedere paragrafo 16 di cui sopra).
Dopo che ................................... e ................................... si erano dati alla latitanza, sono stati diffusi degli avvisi con la scritta "ricercato", secondo il metodo generalmente utilizzato in tali casi (vedi paragrafo 17 di cui sopra).
Anche supponendo che le autorità avrebbero potuto prendere delle misure più efficaci per trovare i latitanti, la Corte non vede alcuna ragione per ritenerle responsabili di alcuna mancanza verso il dovere di diligenza previsto dall'articolo 2 della Convenzione.

79. Alla luce di queste considerazioni, la Corte ritiene che non ci sia stata alcuna violazione dell'articolo 2 della Convenzione a questo riguardo.


B. Sulla presunta violazione degli obblighi procedurali di cui all'articolo 2

1. Le argomentazioni delle parti

(a) Il ricorrente
------------------------------- O M I S S I S --------------------------------

(b) Il Governo
---------------------------------- O M I S S I S ---------------------------------

2. Valutazione della Corte

88. La Corte ritiene che il ricorrente si è lamentato essenzialmente per non avere ricevuto dallo Stato il risarcimento dallo Stato per la morte di suo figlio, vittima di un reato violento.
Dato che il ricorrente non ha fondato la sua rimostranza sull'articolo 13 della Convenzione, la Corte la esaminerà dal punto di vista degli obblighi procedurali ai sensi dell'articolo 2.

(a) Principi generali

89. La Corte ribadisce che gli obblighi positivi stabiliti nella prima frase dell'articolo 2 della Convenzione esigono implicitamente anche il fatto che si debba creare un sistema giudiziario efficiente ed indipendente che consenta di stabilire la causa di un omicidio e di punire i colpevoli [vedere, mutatis mutandis, && e && c/ Italia, (GC), n° 32967/96, ECHR 2002, § 51]. Lo scopo principale di tale indagine è quello di assicurare l'effettiva attuazione delle disposizioni normative interne che proteggono il diritto alla vita e, nei casi in cui sia messo in causa il comportamento di agenti o di organismi di Stato, quello di assicurare che essi rispondano per le morti sopravvenute per loro responsabilità (vedere &&&, succitati, §§ 69 e 71).

90. La forma dell'indagine può variare a seconda delle circostanze. Quando si tratta di mettere in causa la negligenza, può essere sufficiente un rimedio civile o disciplinare (vedere &&&, succitati, § 51).

91. In un'indagine su di un decesso per il quale siano presumibilmente responsabili agenti o autorità dello Stato, è necessario che le persone responsabili dell'indagine siano indipendenti da quelle implicate nei fatti. Ciò presuppone una indipendenza gerarchica o istituzionale, oltre ad una indipendenza pratica (&&&, succitati, § 70).

(b) Applicazione al caso in specie

92. Nel presente caso la Corte ritiene che esistesse un obbligo procedurale per determinare le circostanze relative alla morte di Y. Infatti due degli assassini erano detenuti ed affidati alla custodia dello Stato al momento dei fatti.

93. La Corte osserva che le autorità italiane hanno avviato e completato un'indagine che risponde ai suddetti criteri, che & e & sono stati condannati per l'omicidio di Y e che sono state inflitte loro delle pene pesanti. Inoltre, a &. ed a & è stato ordinato di risarcire il ricorrente, il quale aveva nell'ambito del procedimento presentato una richiesta di risarcimento danni; è stato cioè loro ingiunto di versargli immediatamente un acconto sulla somma che i Tribunali civili avrebbero successivamente determinato a richiesta del ricorrente.
In tali circostanze la Corte ritiene che lo Stato italiano abbia soddisfatto l'obbligo, previsto dall'articolo 2 della Convenzione, di garantire un'indagine penale.

94. La questione che si pone nel presente caso è se, oltre a punire gli assassini, gli obblighi procedurali previsti dall'articolo 2 della Convenzione si estendano fino al punto di esigere un rimedio con il quale possa essere avanzata una rivendicazione nei confronti dello Stato.

95. La Corte osserva che il ricorrente ha richiesto un risarcimento legato alla natura del reato commesso dai criminali e che la sua rivendicazione è stata respinta con la motivazione che la legge che prevede un aiuto alle vittime dei reati di tipo mafioso o terroristico non era applicabile al caso (vedere paragrafi 36-43 di cui sopra).
Comunque il ricorrente avrebbe potuto citare le autorità per negligenza. A tale proposito la Corte osserva che, secondo la legislazione italiana, due rimedi erano disponibili per presentare una richiesta di risarcimento danni contro le autorità: un'azione contro lo Stato ai sensi dell'articolo 2043 del Codice Civile ed un'azione contro i giudici responsabili dell'esecuzione delle pene ai sensi della Legge sulla Responsabilità dei Giudici n° 117 del 1988 (vedere paragrafi 50-51 di cui sopra).
È vero che tali rimedi sono disponibili solo su prova di una responsabilità da parte delle autorità competenti. Tuttavia, la Corte osserva che l'articolo 2 della Convenzione non impone agli Stati l'obbligo di prevedere un risarcimento sulla base della stretta responsabilità e il fatto che il rimedio fondato sulla Legge n° 117 del 1988, sia subordinato alla prova del dolo o della colpa grave da parte del giudice in questione non è tale da rendere inefficace la protezione offerta dalla legislazione interna. Ciò è ancor più vero in quanto nel presente caso l'efficacia concreta dei due rimedi non può essere valutata perché il ricorrente non ha utilizzato alcuno dei due strumenti.

96. Alla luce di queste considerazioni la Corte ritiene che i requisiti procedurali previsti dall'articolo 2 della Convenzione siano stati soddisfatti.

97. In conclusione, non c'è stata alcuna violazione dell'articolo 2 della Convenzione neanche secondo tale punto.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE
Ritiene, all'unanimità, che non ci sia stata violazione dell'articolo 2 della Convenzione per quanto riguarda le misure preventive;
Ritiene, per sedici voti ad uno, che non ci sia stata violazione dell'articolo 2 della Convenzione per quanto riguarda le garanzie procedurali.
Fatto in francese ed in inglese, e pronunciato in udienza pubblica nel Palazzo dei Diritti dell'uomo, a Strasburgo, il 24 ottobre 2002.

F.to: Luzius WILDHABER
Presidente

F.to Paul MAHONEY
Cancelliere