Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 6 novembre 2003 - Ricorso n. 60851/00 - ... contro l'Italia

CONSIGLIO D'EUROPA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE
CAUSA P. c/ ITALIA (Ricorso n° 60851/00)
SENTENZA
STRASBURGO 6 NOVEMBRE 2003

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Essa può subire modifiche formali.

Nella causa P. c. l'Italia,

La Corte europea dei Diritti dell'Uomo (prima sezione), riunita il 16 ottobre 2003 in una camera composta da:
P. LORENZEN, presidente,
G. BONELLO,
E. LEVITS,
A. KOVLER,
V. ZAGREBELSKY,
E. STEINER,
K. HAJIYEV, giudici
e da S. NIELSEN, cancelliere aggiunto

Dopo averne deliberato in camera di consiglio il 16 maggio 2002 ed il 16 ottobre 2003,
Emette la seguente sentenza, adottata in quest'ultima data:

PROCEDIMENTO

  1. All'origine della causa vi è un ricorso (n° 60851/00) diretto contro la Repubblica Italiana con il quale un cittadino di questo Stato, il signor G. P. ("il ricorrente"), aveva adito la Commissione europea dei Diritti dell'Uomo ("la Commissione") il 16 settembre 1998 ai sensi dell'articolo 25 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
  2. Il ricorrente è rappresentato davanti alla Corte dall'avvocato F. T. del foro di Palermo. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, I.M. Braguglia e dal suo coagente F. Crisafulli.
  3. Il ricorrente sosteneva in particolare che la durata della sua custodia cautelare in carcere era irragionevole (articolo 5 § 3 della Convenzione).
  4. Il ricorso è stato trasmesso alla Corte il 1° novembre 1998, data di entrata in vigore del Protocollo n° 11 alla Convenzione (articolo 5 § 2 del Protocollo n° 11).
  5. Il ricorso è stato assegnato alla seconda sezione della Corte (articolo 52 § 1 del regolamento). In seno a quest'ultima, la camera incaricata dell'esame della causa (articolo 27 § 1 della Convenzione) è stata costituita conformemente all'articolo 26 § 1 del regolamento.
  6. Il 1° novembre 2001, la Corte ha modificato la composizione delle sue sezioni (articolo 25 § 1 del regolamento). Il presente ricorso è stato assegnato alla prima sezione così modificata (articolo 52 § 1).
  7. Con una decisione del 16 maggio 2002, la Corte ha dichiarato il ricorso parzialmente ricevibile.
  8. Poiché la camera, dopo aver consultato le parti, ha deciso che non era il caso di dedicare un'udienza al merito della causa (articolo 59 § 3 in fine del regolamento), ciascuna delle parti ha presentato delle osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 del regolamento).

    IN FATTO

    I - LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE
     
  9. Il ricorrente è nato nel &. e risiede a V. (En).

    A. L'avvio dell'azione penale e le decisioni riguardanti l'applicazione della custodia cautelare in carcere del ricorrente.
  10. Il 5 giugno .........., furono avviate delle azioni penali nei confronti del ricorrente, accusato di far parte di un'associazione per delinquere di stampo mafioso radicata nella provincia di E.(articolo 416 bis del codice penale, di seguito "CP").
  11. Con ordinanza dell'11 luglio 1996, il giudice delle indagini preliminari (qui di seguito "GIP") di C., ritenendo che a carico del ricorrente sussistessero "gravi indizi di colpevolezza", ordinò l'applicazione della custodia cautelare in carcere. Questa decisione si basava sulle dichiarazioni di tre mafiosi pentiti X, Y e Z. Gli ultimi due avevano dichiarato, in particolare, che il ricorrente era un imprenditore protetto dalla mafia. Il giudice ritenne Y e Z credibili. Egli osservò che il loro pentimento, manifestatosi subito dopo l'assassinio di uno dei loro fratelli, sembrava sincero, tenuto conto anche del fatto che gli interessati avevano confessato la loro partecipazione ad una serie di crimini di cui essi non erano accusati. Le loro dichiarazioni erano peraltro precise, non contraddittorie e corroborate da altri elementi. Inoltre, X aveva dichiarato che il ricorrente faceva parte di un'associazione di stampo mafioso nella quale egli era stato introdotto secondo un classico rituale di affiliazione.
  12. Trattandosi dell'esistenza di esigenze specifiche ("esigenze cautelari") che rendono necessaria la custodia cautelare ai sensi dell'articolo 274 del codice di procedura penale (qui di seguito "CPP"), il giudice osservò che, grazie al suo inserimento in seno ad un'organizzazione criminale, il ricorrente disponeva di contatti che gli avrebbero permesso di commettere altri reati, di darsi alla fuga o di nuocere all'autenticità degli elementi di prova.
  13. Il 12 luglio 1996, il ricorrente fu arrestato. Il 16 luglio 1996, fu interrogato dal GIP. Egli si dichiarò innocente e sostenne che X mirava ad una vendetta personale.
  14. In una data non precisata, il ricorrente propose appello avverso l'ordinanza dell'11 luglio 1996.
  15. Con ordinanza del 29 luglio 1996, la sezione del tribunale di C. incaricata di riesaminare le misura cautelari, ritenendo che il GIP aveva valutato correttamente gli indizi a carico, rigettò l'appello del ricorrente. Essa osservò in particolare che le dichiarazioni di X erano state valutate nell'ambito di numerosi altri procedimenti penali e avevano fornito una enorme massa di informazioni riguardanti la struttura della mafia siciliana. Nella misura in cui queste riguardavano il ricorrente, queste dichiarazioni erano confermate dalle affermazioni di Y e Z. Peraltro, visto che il ricorrente era accusato del reato di cui all'articolo 416 bis CP, l'esistenza delle esigenze elencate nell'articolo 274 CPP doveva essere presunta, salvo prova contraria (articolo 275 § 3 CPP).
  16. Il ricorrente propose ricorso per cassazione. Egli contestò soprattutto la credibilità dei pentiti e la coerenza delle loro dichiarazioni, osservando in particolare che nel 1993 era stato aperto un altro procedimento penale a suo carico in base alle affermazioni di X; tuttavia, il 20 ottobre 1993, il GIP di C. aveva archiviato questi procedimenti, ritenendo le affermazioni in questione insufficienti per giustificare il rinvio a giudizio dell'accusato.
  17. Con sentenza del 7 gennaio 1997, il cui testo fu depositato in cancelleria il 13 marzo 1997, la Corte di cassazione, ritenendo la decisione impugnata motivata in maniera logica e corretta, respinse il ricorso del ricorrente.
  18. Nel frattempo, il 16 settembre 1996, il ricorrente aveva domandato la sua immediata scarcerazione. Egli contestava la credibilità di X e sottolineava che Y e Z riportavano episodi di cui lui aveva avuto una conoscenza indiretta basata sulle affermazioni di un certo V. Ora, quest'ultimo, che aveva fornito informazioni sulle famiglie mafiose di E., non aveva mai fatto riferimento al ricorrente.
  19. Con ordinanza del 27 settembre 1996, il GIP di C. aveva rigettato questa domanda, confermando essenzialmente la sua ordinanza dell'11 luglio 1996 e quella del tribunale di C. del 29 luglio 1996.
  20. Il 21 ottobre 1996, il ricorrente aveva proposto appello avverso questa decisione.
  21. Con ordinanza dell'8 novembre 1996, il cui testo era stato depositato in cancelleria l'11 novembre 1996, la sezione del tribunale di C. incaricata di riesaminare le misure cautelari aveva rigettato questo appello. Essa aveva osservato che, dopo la pronuncia dell'ordinanza del 29 luglio 1996, il ricorrente non aveva prodotto nessun nuovo elemento a discolpa e che, di conseguenza, questa ordinanza doveva essere confermata dal momento che verteva sull'esistenza di gravi indizi di colpevolezza. Peraltro, ai sensi dell'articolo 275 § 3 CPP, il giudice era tenuto a presumere l'esistenza di esigenze che imponevano l'applicazione della custodia cautelare in carcere. In ogni caso, in ragione del legame tra il ricorrente e l'organizzazione criminale alla quale era sospettato di essere affiliato, vi era il rischio di reiterazione dei reati.
  22. Il 13 marzo 1997, il ricorrente domandò di nuovo la sua immediata scarcerazione ai sensi dell'articolo 299 CPP. Con ordinanza del 24 marzo 1997, il GIP di C. respinse questa domanda ritenendo che il ricorrente non avesse prodotto nessun elemento nuovo dopo la pronuncia dell'ordinanza dell'11 luglio 1996 e che bisognasse attendere l'udienza preliminare al fine di decidere su una eventuale domanda di revoca della carcerazione. Avverso questa decisione il ricorrente non ha proposto ricorso.

    B. Il rinvio a giudizio del ricorrente e la sospensione dei termini massimi della sua custodia cautelare in carcere

  23. L'udienza preliminare si tenne il 16 aprile 1997.
  24. Lo stesso giorno, il ricorrente e altre quarantatre persone furono rinviate a giudizio davanti alla corte d'assise di C. . Il dibattimento fu fissato all'8 ottobre 1997.
  25. Tale giorno, la corte d'assise rilevò che gli atti procedurali non era stati regolarmente notificati a tre coimputati e rinviò il processo al 10 dicembre 1997. In questa data, due dei magistrati che componevano la camera della corte d'assise dichiararono di astenersi. Il processo fu rinviato dapprima al 17 gennaio 1998 per permettere la designazione di giudici sostituti, poi, in ragione di uno sciopero degli avvocati, al 9 febbraio 1998. In effetti, gli accusati dichiararono di non voler essere rappresentati da avvocati d'ufficio e di preferire attendere la fine dello sciopero. In seguito, il processo fu rinviato dapprima al 9, poi al 16 marzo in ragione degli impedimenti di natura familiare di uno dei giudici sostituti. Il 16 marzo 1998, la procura domandò la riunione del procedimento con un altro processo e le parti domandarono l'ammissione dei mezzi di prova. Dopo aver accolto la domanda della procura e aver deliberato sulle domande dei mezzi di prova, la corte d'assise rinviò il processo al giorno successivo.
  26. Il 17 marzo 1998, la procura domandò la sospensione dei termini massimi di custodia cautelare ai sensi del paragrafo 2 dell'articolo 304 CPP. Con ordinanza dello stesso giorno, la corte d'assise accolse questa domanda. Essa osservò che il processo era particolarmente complesso a causa del numero degli imputati, della natura delle accuse, del fatto che dovevano essere ascoltati parecchi testimoni e che doveva essere eseguita una perizia riguardante la trascrizione di alcune intercettazioni telefoniche. Il procedimento fu rinviato al 31 marzo 1998.
  27. Il ricorrente ha successivamente indicato che il processo si svolse regolarmente, al ritmo di circa una udienza a settimana fino al 26 marzo 1999.
  28. Nel frattempo, il 27 marzo 1998, il ricorrente aveva proposto appello avverso l'ordinanza del 17 marzo 1998. Egli sosteneva che la corte d'assise non aveva debitamente motivato la sua affermazione secondo la quale il processo era complesso e osservava che i ritardi accumulati nel procedimento erano dovuti per la maggior parte alla mancanza di organizzazione del sistema giudiziario che non poteva giustificare una compressione del diritto alla libertà degli accusati.
  29. Con ordinanza del 17 aprile 1998, la sezione riesame del tribunale di C. aveva rigettato l'appello del ricorrente. Essa aveva ritenuto che la corte d'assise aveva chiaramente indicato le circostanze che rendevano complesso il processo e aveva rilevato che le difficoltà incontrate nella prima fase del dibattimento non avevano saputo cancellare le esigenze che imponevano una sospensione dei termini massimi della custodia cautelare.
  30. Il 9 maggio 1998, il ricorrente aveva proposto ricorso per cassazione. Con sentenza del 1° ottobre 1998, il cui testo fu depositato in cancelleria il 29 ottobre 1998, ritenendo che la decisione impugnata fosse motivata in maniera logica e corretta, la Corte di cassazione aveva respinto il ricorso del ricorrente.

    C. Le decisioni sulla fondatezza delle accuse a carico del ricorrente

  31. Con sentenza del 26 marzo 1999, il cui testo fu depositato in cancelleria il 22 maggio 1999, la corte d'assise di C. condannò il ricorrente alla pena di nove anni di reclusione. A carico degli altri coimputati furono pronunciate pene severe.
  32. Il 22 settembre 1999, il ricorrente propose appello.
  33. In una data non precisata, il ricorrente domandò l'applicazione di una pena di quattro anni e sei mesi di reclusione da lui patteggiata con la procura. Al tempo stesso rinunciò a tutti i suoi mezzi di appello.
  34. Con sentenza del 4 ottobre 2000, il cui testo fu depositato in cancelleria il 19 ottobre 2000, la corte d'assise d'appello di C. inflisse la pena richiesta.
  35. Il 17 novembre 2000, il ricorrente propose ricorso per cassazione.
  36. Nel frattempo, con ordinanza del 20 ottobre 2000, la corte d'assise d'appello di C., osservando che il ricorrente aveva quasi scontato la pena che gli era stata inflitta, aveva sostituito la custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari. Il 12 gennaio 2001, la stessa corte aveva ordinato la scarcerazione del ricorrente.
  37. In una data non precisata, il ricorrente (ai sensi della legge n. 14 del 19 gennaio 1999) domandò l'applicazione di una pena pattuita con il procuratore generale presso la Corte di cassazione. Egli rinunciò allo stesso tempo a tutti i suoi mezzi di ricorso. In data imprecisata, la Corte di cassazione ridusse la pena del ricorrente. La misura definitiva di questa non è conosciuta.

    II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

    A. Le condizioni di applicazione di una misura cautelare privativa della libertà

  38. Le condizioni di applicazione di una misura cautelare nell'ambito di un procedimento penale sono elencate negli articoli 272 e seguenti del CPP.

    1. Esistenza di "gravi indizi di colpevolezza"

  39. Ai sensi dell'articolo 273 § 1 CPP, "nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza". Questi indizi devono riguardare un reato punito con l'ergastolo o con la reclusione superiore a tre anni.
  40. La Corte di cassazione ha precisato che per "gravi indizi di colpevolezza", bisogna intendere tutti gli elementi a carico che, senza essere di natura tale da provare al di là di qualsiasi ragionevole dubbio la responsabilità del sospettato, permettono tuttavia di presupporre che una tale responsabilità potrà essere accertata in seguito, cosa che crea, nella fase dell'istruzione, una probabilità di colpevolezza rafforzata (vedere Corte di cassazione, sezioni unite sentenza del 21 aprile 1995, C. , pubblicata in Giust. pen. 1996, III, 321, e Corte di cassazione, sentenza del 10 marzo 1999, C., pubblicata in C.E.D. Cass., n° 212998).

    2. Le esigenze cautelari: il rischio della recidiva

  41. L'articolo 274 CPP espone le circostanze che giustificano l'adozione di una misura cautelare. L'esistenza di almeno una di queste circostanze, che si aggiunge ai "gravi indizi di colpevolezza" menzionati nell'articolo 273 § 1 CPP, costituisce una condizione sine qua non per adottare una misura privativa della libertà.
  42. L'articolo 274 dispone soprattutto che le misure cautelari possono essere disposte per impedire che il corso della giustizia venga ostacolato (articolo 274 a)), in caso di pericolo di fuga (articolo 274 b)) e per prevenire i reati penali (articolo 274 c)). Ai sensi dell'articolo 274 c), le misura cautelari sono disposte
    "quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell'imputato, vi è il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede".

    3. La motivazione delle decisioni che dispongono le misure cautelari

  43. L'articolo 292 CPP dispone che l'ordinanza con la quale viene applicata la misura cautelare debba essere motivata; in particolare essa deve contenere i motivi che la originano e gli indizi di colpevolezza, ivi compresi i fatti sui quali questi indizi si fondano e le ragioni per le quali essi sono pertinenti. Essa deve anche tenere conto del tempo che è trascorso dal momento in cui il reato è stato commesso.
  44. Secondo la Corte di cassazione, la motivazione in questione non può basarsi su formule standard, ma, al contrario, deve spiegare le ragioni concrete prese in considerazione dal giudice nel caso di specie (vedere, in particolare, Corte di cassazione, sentenza del 5 luglio 1990, R. , pubblicata in Arch. n. proc. pen., 1991, 124, che ha annullato una decisione in cui la pericolosità era stata presa in considerazione soltanto in base alla gravità del reato e alla personalità del sospettato, come emergeva dai precedenti di quest'ultimo).

    4. La presunzione dell'esistenza delle esigenze cautelari

  45. Secondo l'articolo 275 § 3 CPP, come modificato dai decreti-legge n. 152 del 1991 (convertito nella legge n. 203 del 1991) e 292 del 1991 (convertito nella legge n. 356 del 1991), quando la procedura nazionale riguarda certi delitti particolarmente gravi, fra i quali figura quello attribuito al ricorrente, l'esistenza delle esigenze cautelari indicate nell'articolo 274 CPP è presunta a meno che elementi inseriti nel fascicolo dimostrino il contrario.

    B. Termini di durata massima della custodia cautelare

  46. L'articolo 303 CPP prevede i termini di durata massima della custodia cautelare in funzione dello stato del procedimento. Se il delitto ascritto è quello previsto dall'articolo 416 bis CP, i termini applicabili nel corso del procedimento di primo grado sono i seguenti:
    un anno dall'inizio della custodia fino al rinvio a giudizio;
    un anno dall'inizio del dibattimento fino alla sentenza di primo grado.
  47. L'articolo 303 CPP dispone in particolare che se prima della scadenza di questi termini non è stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio o non è stata pronunciata la sentenza di condanna in primo grado, la custodia cautelare perde efficacia e l'accusato deve essere rimesso in libertà.
  48. Ai sensi del paragrafo 2 dell'articolo 304, i termini prescritti dall'articolo 303 possono essere sospesi durante il processo, trattandosi di alcuni delitti fra i quali figura quello previsto dall'articolo 416 bis CP, se il dibattimento non si rivela particolarmente complesso. L'articolo 304 dispone inoltre che la durata della custodia cautelare non può in ogni caso superare i due terzi del massimo della pena prevista per il reato ascritto.

    C. Le vie di ricorso per contestare l'applicazione di una misura cautelare

  49. Ai sensi dell'articolo 309 CPP, la decisione che dispone una misura cautelare può essere oggetto di ricorso davanti al tribunale competente ("richiesta di riesame").
  50. L'interessato può formulare un ricorso per cassazione (articolo 311 CPP) avverso una decisione sfavorevole del tribunale. In effetti, l'articolo 111 della Costituzione prevede che "contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge". Traendo tutte le conseguenze dall'articolo 111 della Costituzione, il secondo paragrafo dell'articolo 311 CPP prevede che l'interessato può anche adire direttamente la Corte di cassazione contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva, ma in questo caso diventa inammissibile il ricorso proposto parallelamente davanti al tribunale.
  51. Per il resto, l'interessato può domandare in qualsiasi momento la revoca della misura coercitiva e la sua remissione in libertà. Questa domanda viene inviata al giudice che in quel momento conduce il processo (articolo 299 CPP) L'interessato può in seguito proporre appello davanti al tribunale competente avverso una decisione negativa del giudice, ai sensi dell'articolo 310 CPP. Ai sensi dello stesso articolo 311 CPP prima citato, la decisione del tribunale appellato può a sua volta essere oggetto di un ricorso per cassazione.
  52. La legge italiana non prevede nessun controllo automatico e/o periodico delle condizioni che giustificano il mantenimento della custodia cautelare, spetta alla persona privata della libertà proporre, se lo desidera, un ricorso per chiedere il riesame delle citate condizioni.

    D. Altre disposizioni pertinenti

  53. L'articolo 477 CPP prevede che se non è possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il presidente dispone che esso venga proseguito nel giorno seguente non festivo. Inoltre, il giudice può sospendere il dibattimento soltanto per ragioni di assoluta necessità e per un termine massimo che non oltrepassi i dieci giorni esclusi i festivi.
  54. A tal proposito, la Corte di cassazione ha ritenuto che il termine di dieci giorni prescritto dall'articolo 477 § 2 costituisce un termine di natura ordinatoria, il cui superamento non comporta nessuna nullità e non può avere ripercussioni sulla sospensione dei termini di custodia cautelare ai sensi dell'articolo 304 § 1 CPP: in effetti, se il giudice è tenuto a rispettare i termini prescritti dall'articolo 477, soprattutto nei casi in cui la durata del processo si ripercuote sulla durata della carcerazione, lo svolgimento del processo deve tenere conto del carico di lavoro del tribunale interessato (vedere Corte di cassazione, sentenza del 18 febbraio 1994, B.).

    IN DIRITTO

    I. SULLA PRETESA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 5 § 3 DELLA CONVENZIONE
     
  55. Il ricorrente considera che la durata della sua custodia cautelare in carcere è stata eccessiva. Egli invoca l'articolo 5 § 3 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, è così formulato:
    "Ogni persona arrestata o detenuta alle condizioni previste dal paragrafo 1 c) del presente articolo (&) ha il diritto di essere giudicato in un tempo congruo o liberata durante il corso del procedimento. La concessione della libertà può essere subordinata ad una garanzia che assicuri la comparizione dell'interessato all'udienza."

    A. Il periodo da prendere in considerazione

  56. Il periodo da considerare è iniziato il 12 luglio 1996, data in cui il ricorrente è stato arrestato, ed è terminato il 26 marzo 1999, data in cui la corte d'assise di C. ha condannato l'accusato alla pena di 9 anni di reclusione. Esso si sviluppa quindi su due anni, otto mesi e quattordici giorni.

    B. Gli argomenti delle parti

    1. Il Governo

  57. Il Governo sostiene innanzitutto che la detenzione del ricorrente era fondata su seri indizi. I giudici avrebbero anche tenuto conto dei rischi di fuga e di inquinamento delle prove. Inoltre, nella sua ordinanza del 29 luglio 1996, la corte di assise di C. ha esaminato, su domanda della difesa, gli elementi che giustificavano il mantenimento in carcere. Per quel che riguarda le decisioni successive, le autorità italiane hanno confermato la persistenza degli elementi che avevano portato il GIP ad adottare la misura restrittiva della libertà personale.
  58. Quanto alla sospensione dei termini di durata massima di custodia cautelare disposta il 17 marzo 1998, il Governo sostiene che nel diritto italiano tale misura può essere adottata quando il giudice constata che il dibattimento presenta una particolare complessità.
  59. Il Governo sottolinea che, nella fattispecie, l'inchiesta era effettivamente molto complessa come accade in ogni procedimento in materia di mafia. Sarebbero state incontrate difficoltà nella ricerca delle prove a carico dei quarantaquattro imputati, accusati complessivamente di più di sessanta reati.
  60. Peraltro, la complessità della causa e la difficoltà a terminare rapidamente il processo spiegherebbero la durata della custodia cautelare in carcere durante il dibattimento. Nonostante il sovraccarico del ruolo, la corte d'assise avrebbe eseguito un lavoro consistente. Il Governo rileva che all'epoca del dibattimento sono state interrogate più di duecento persone e che i periti nominati d'ufficio hanno dovuto dedicare un tempo considerevole alla trascrizione del contenuto delle intercettazioni telefoniche.
  61. Per quel che concerne i rinvii delle prime quattro udienze, il Governo ritiene che sono imputabili soltanto in parte a motivi di organizzazione e che non sembra che il processo si sia protratto al di là del tempo ragionevole. In particolare, esso segnala che l'udienza dell'8 ottobre 1997 è stata aggiornata al fine di permettere la notificazione degli atti procedurali a tre coimputati. L'udienza successiva, fissata al 10 dicembre 1997, è stata rinviata al fine di designare i giudici sostituti. Le udienze del 17 gennaio, 9 febbraio e 9 marzo 1998 sono state rinviate per lo sciopero degli avvocati.
  62. Il Governo ricorda che la Corte ha già considerato compatibili con la Convenzione alcune disposizioni interne pertinenti nella causa C. c/ Italia.

    2. Il ricorrente

  63. Il ricorrente si oppone alle tesi del Governo. Egli sostiene che nel processo in questione il ritardo deve essere imputato alle autorità giudiziarie e sottolinea che tra il suo arresto (il 12 luglio 1996) e l'inizio del dibattimento (31 marzo 1998) è trascorso un intervallo di un anno e otto mesi. Secondo il ricorrente, le prime tre udienze sarebbero state rinviate rispettivamente a causa di un errore di notificazione da parte dell'ufficiale giudiziario, dell'astensione di due giudici della corte d'assise e di uno sciopero degli avvocati.
  64. Il ricorrente fa notare che, contrariamente a quanto afferma il Governo, soltanto l'udienza del 17 gennaio 1998 è stata rinviata a causa dello sciopero degli avvocati e che le udienze del 9 febbraio e del 9 marzo 1998 sono state rinviate per impedimenti di uno dei giudici sostituti. Inoltre, l'udienza successiva, fissata al 16 marzo 1998, è stata aggiornata dapprima al 17 marzo, poi al 31 marzo 1998.
  65. Il ricorrente rileva che ha finito di scontare la sua pena il 12 gennaio 2001 e che, di conseguenza, la corte d'assise d'appello è stata costretta a disporre la sua immediata scarcerazione.

    C. La valutazione della Corte

    1. Principi generali

  66. La Corte ricorda i seguenti principi fondamentali in materia:
    2. Applicazione dei principi sopra menzionati nella fattispecie

    1. Il carattere ragionevole della durata di una detenzione non si presta ad una valutazione astratta. La legittimità del mantenimento in carcere di un accusato deve essere valutata in ogni caso secondo le particolarità della causa. La prosecuzione della carcerazione in una data fattispecie si giustifica solo se indizi concreti rivelano una vera esigenza dell'interesse pubblico che, nonostante la presunzione di innocenza, prevalga sulla norma del rispetto della libertà individuale stabilito dall'articolo 5 della Convenzione.
    2. Spetta prima di tutto alle autorità giudiziarie nazionali controllare che in un dato processo la custodia cautelare patita da un accusato non ecceda la durata ragionevole. A tal fine, tenendo debitamente in conto il principio della presunzione di innocenza, occorre che esse esaminino tutte le circostanze tali da manifestare o scartare l'esistenza dell'esigenza di un interesse pubblico che giustifichi una deroga alla norma stabilita dall'articolo 5 e di renderne conto nelle loro decisioni relative alle domande di scarcerazione. La Corte deve determinare se vi sia stata o no la violazione dell'articolo 5 § 3 essenzialmente alla luce dei motivi che figurano in queste decisioni e in base ai fatti non contestati indicati dall'interessato nei suoi mezzi.
    3. La persistenza di ragioni plausibili per sospettare che la persona arrestata abbia commesso un reato è una condizione sine qua non della regolarità del mantenimento in carcere, ma alla fine di un certo tempo questa non è più sufficiente. La Corte deve quindi stabilire se gli altri motivi adottati dalle autorità giudiziarie continuano a legittimare la privazione di libertà. Quando essi si rivelano "pertinenti" e "sufficienti", la Corte ricerca per di più se le autorità nazionali competenti hanno apportato una "particolare diligenza" nel proseguire il procedimento; (vedere Ilijkov c. Bulgaria, n° 33977/96, § 77, 26 luglio 2001; Kudla c. Polonia [GC], n° 30210/96, §§ 110-111, CEDH 2000-XI; L. c/ Italia [GC], n° 26772/95, § 152 CEDH 2000-IV; vedere anche C. c/ Italia, sentenza del 24 agosto 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998-V, § 54 e I.A. c. Francia, sentenza del 23 settembre 1998, Recueil 1998-VII, p. 2978, § 102).
       
  67. La Corte nota che le autorità competenti hanno esaminato cinque volte la questione del mantenimento in carcere del ricorrente a seguito delle sue domande di rimessione in libertà (il 29 luglio, il 27 settembre e l'8 novembre 1996, il 7 gennaio ed il 24 marzo 1997). Inoltre, il 17 aprile ed il 9 maggio 1998, esse hanno esaminato la questione della proroga dei termini massimi di custodia cautelare (precedenti paragrafi 26-30). Queste decisioni hanno giustificato il mantenimento della custodia cautelare in carcere prima di tutto per la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari connesse al rischio di fuga e di alterazione delle prove nonché al pericolo di recidiva, poi, essenzialmente in base alla presunzione stabilita all'articolo 275 § 3 CPP, secondo la quale l'esistenza delle esigenze cautelari è presunta per certi reati gravi come quelli attribuiti al ricorrente salvo il caso in cui elementi inseriti nel fascicolo dimostrino il contrario. I giudici hanno fatto riferimento al pericolo di reiterazione del reato solo nell'ordinanza dell'8 novembre 1996, in ragione del legame tra il ricorrente e l'organizzazione criminale alla quale era sospettato di essere affiliato. Per sospendere i termini di durata massima della custodia cautelare essi hanno invocato la complessità del processo e la necessità dell'istruzione.

    a. Il rischio di inquinamento delle prove, il pericolo di fuga e di recidiva

  68. La Corte rileva che, conformemente al CPP, la decisione di mantenere la misura della custodia cautelare in carcere si fondava, almeno all'inizio, sulle esigenze cautelari previste dall'articolo 274 CPP. Durante la carcerazione, le autorità interne si sono anche fondate sulla presunzione stabilita dall'articolo 275 § 3 CPP. La Corte deve in questi casi stabilire se gli altri motivi adottati dalle autorità giudiziarie continuano a legittimare la privazione della libertà.
  69. La Corte rileva che in mancanza di elementi che inducano a credere che l'accusato non avrebbe posto nessun reale pericolo, una presunzione come quella prevista dall'articolo 275 § 3 CPP rischia di impedire al giudice di adattare al misura cautelare alle esigenze di ogni caso di specie e potrebbe quindi apparire eccessivamente rigida (vedere la sentenza V. c/ Italia n° 41852/98, § 38, 16 novembre 2000). Tuttavia, la Corte ritiene che bisogna tenere conto del fatto che il procedimento a carico del ricorrente riguardava delitti legati alla criminalità di stampo mafioso. Ora, la lotta contro questo flagello può, in certi casi, portare all'adozione di misure che giustificano una deroga alla norma fissata dall'articolo 5, che mira a tutelare, prima di tutto, la sicurezza e l'ordine pubblico, nonché a prevenire la commissione di altri reati penali gravi. In questo contesto, una presunzione legale di pericolosità può essere giustificata, in particolare quando non è assoluta, ma si presta ad essere contraddetta dalla prova contraria.
  70. In effetti, la carcerazione provvisoria delle persone accusate del delitto previsto dall'articolo 416 bis in Italia tende a tagliare i legami esistenti tra le persone interessate ed il loro ambito criminale di origine, al fine di minimizzare il rischio che esse mantengano contatti personali con le strutture delle organizzazioni criminali e possano commettere nel frattempo delitti simili. In questo contesto, la Corte tiene conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata e soprattutto di quella di stampo mafioso, e considera che il legislatore italiano poteva ragionevolmente ritenere, a fronte delle condizioni molto critiche delle inchieste sulla mafia condotte dalle autorità italiane, come quella condotta contro il ricorrente, che le misure cautelari si imponevano per una vera esigenza di interesse pubblico, soprattutto per la difesa dell'ordine pubblico e della sicurezza, nonché per la prevenzione dei reati penali (vedere mutatis mutandis, nell'ambito dell'articolo 8 della Convenzione la sentenza M. c/ Italia (n° 2), n° 25498/94, § 66, CEDH 2000-X).
  71. In conclusione, la Corte ritiene che le decisioni adottate dalle autorità giudiziarie interne per prorogare la custodia cautelare del ricorrente non erano irragionevoli e ritiene che nella fattispecie non possa essere denotata nessuna parvenza di arbitrio.

    b. La conduzione del processo

  72. La Corte rileva che il dibattimento davanti alla corte d'assise di C. è realmente iniziato il 17 marzo 1998, ossia circa un anno e otto mesi dopo l'arresto del ricorrente. Secondo la Corte, le autorità italiane hanno provocato alcuni ritardi nella conduzione del processo. Questi sarebbero particolarmente sorprendenti a partire dall'8 ottobre 1997, data fissata per l'inizio del dibattimento, fino al 16 marzo 1998, data in cui il dibattimento è cominciato realmente. In particolare, la prima udienza, fissata per l'8 ottobre 1997, è stata rinviata al 10 dicembre 1997 a causa di alcuni errori di notificazione a tre coimputati. Inoltre, c'è stato bisogno di un mese per sostituire i giudici che si erano astenuti all'udienza del 10 dicembre 1997. Infine, per quel che riguarda i rinvii delle due udienze del 9 febbraio e del 9 marzo 1998, il ritardo era dovuto agli impedimenti di natura familiare di uno dei due giudici. Tuttavia, la Corte ritiene che il ritardo che può essere imputato alle autorità giudiziarie - derivante soprattutto dagli errori nelle notificazioni, dalla sostituzione dei giudici della corte incaricati del processo e dagli intervalli tra l'udienza del 9 febbraio e quella del 16 marzo dovuti agli impedimenti di uno dei giudici - non oltrepassa, nelle circostanze della fattispecie, quello che può essere considerato come "ragionevole", essendo il ritardo complessivo di circa cinque mesi e ventotto giorni. Invece, per quanto riguarda l'udienza del 17 gennaio 1998 aggiornata al 9 febbraio 1998, in ragione di uno sciopero degli avvocati, la Corte ricorda che un simile evento non può da solo coinvolgere la responsabilità di uno Stato contraente (vedere mutatis mutandis per quel che riguarda l'articolo 6 § 1 della Convenzione Papageorgiou c. Grecia, sentenza del 22 ottobre 1997, Recueil 1997-VI, fasc. 54, § 47). Inoltre, il ricorrente ha dichiarato di non voler essere rappresentato da avvocati d'ufficio e di preferire attendere la fine dello sciopero.
  73. La Corte nota inoltre che dopo questo periodo, il processo si è svolto regolarmente, al ritmo di circa una udienza a settimana.
  74. La Corte ricorda che la particolare celerità alla quale un accusato detenuto ha diritto nell'esame della sua causa non deve recare pregiudizio agli sforzi dei magistrati nel compiere il loro compito con la cura voluta (vedere le sentenze C. prima citata, § 67 e Erdem c. Germania, n° 38321/97, § 46). In seguito e soprattutto, i ritardi dovuti al funzionamento di un sistema giudiziario che garantisce i diritti della difesa ed il principio di imparzialità dei tribunali, non sono da soli sufficienti perché possa trovare fondamento una constatazione di violazione dell'articolo 5 § 3 della Convenzione. In effetti, nella fattispecie, la durata totale della custodia cautelare in carcere - due anni, otto mesi e quattordici giorni - non sembra eccessiva, tenuto conto della gravità dei fatti all'origine della causa, della innegabile complessità di questa che riguardava un procedimento in materia di mafia contro quarantaquattro persone accusate complessivamente di più di sessanta crimini e che ha richiesto il compimento di un gran numero di atti istruttori (vedere mutatis mutandis la sentenza C. prima citata, dove la Corte ha ritenuto non eccessiva una custodia cautelare in carcere durata due anni, sette mesi e sette giorni).
  75. In conclusione, non vi è stata violazione dell'articolo 5 § 3 della Convenzione.
     

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITA',

Dichiara che non vi è stata violazione dell'articolo 5 § 3 della convenzione.

Fatto in francese, poi trasmesso per iscritto il 6 novembre 2003 in applicazione dell'articolo 77 § 2 e 3 del regolamento.

Soren NIELSEN
Cancelliere aggiunto

Peer LORENZEN
Presidente