Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 13 novembre 2003 - Ricorso n. 44411/98 - R. D. B. contro l'Italia

CONSIGLIO D'EUROPA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
TERZA SEZIONE

Decisione sulla ricevibilita'
del ricorso n° 44411/98
presentato da R. D. B. contro l'Italia

La Corte europea dei Diritti dell'Uomo (terza sezione), riunita il 13 novembre 2003 in una camera composta da:
G. RESS, presidente,
I. CABRAL BARRETO,
L. CAFLISCH,
M. TSATSA-NIKOLOVSKA,
H.S. GREVE,
A.GYULUMYAN, giudici
R. BARATTA, giudice ad hoc
e da S. NIELSEN, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra citato presentato alla Commissione europea dei Diritti dell'Uomo il 15 maggio 1997 e registrato il 13 novembre 1998,
Visto l'articolo 5 § 2 del Protocollo n. 11 alla Convenzione che ha trasferito alla Corte la competenza per l'esame del ricorso,
Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle di risposta presentate dal ricorrente,
 

Dopo averne deliberato, rende la seguente decisione:

IN FATTO

Il ricorrente, R. D. B. è un cittadino italiano nato nel &. e residente a S. S.(Ch).

In un precedente ricorso presentato innanzi alla Commissione (n. 18722/91), il ricorrente si era già lamentato della durata di questo procedimento ed aveva invocato l'articolo 6 § 1 della Convenzione. Nel suo rapporto del 6 settembre 1994, la Commissione aveva ritenuto che nel caso di specie vi era stata violazione di questa disposizione in quanto la causa del ricorrente non era stata esaminata in un tempo ragionevole. Essa aveva preso in considerazione il procedimento fino al 6 settembre 1994.

Il ricorrente ha adito la Commissione del presente ricorso per far constatare una nuova violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

I fatti della causa, come esposti dalle parti, possono essere riassunti come segue.

  1. Procedimento principale

    Il 17 agosto 1985, l'impresa L.E.M. di cui il ricorrente era il proprietario citò M.I. innanzi al tribunale di V. (Ch) al fine di ottenere il pagamento di somme dovute in virtù di un contratto di impresa.
    La causa cominciò il 22 gennaio 1986 e terminò, dopo diciotto udienze, il 23 maggio 1990 con la presentazione delle conclusioni. L'udienza di discussione dinanzi la sezione competente fu fissata al 16 novembre 1990. Con sentenza del 4 giugno 1991, il cui testo fu depositato in cancelleria il 20 luglio 1991, il tribunale di V. rigettò la domanda del ricorrente.
    L'11 ottobre 1991, il ricorrente propose appello innanzi alla corte d'appello di A. Con una sentenza del 14 dicembre 1993, depositata in cancelleria il 10 febbraio 1994, la corte d'appello accolse la domanda del ricorrente.
    Il 24 maggio 1994, il convenuto propose ricorso per cassazione. Secondo la sentenza della Corte di cassazione, il ricorrente presentò una memoria, senza tuttavia costituirsi nel procedimento. Con una sentenza del 15 febbraio 1996, il cui testo fu depositato in cancelleria il 27 novembre 1996, la Corte di cassazione accolse il ricorso di M. I., dichiarò inammissibile il controricorso del ricorrente in ragione del fatto che non era stato firmato da un avvocato patrocinante in cassazione, annullò la sentenza della corte d'appello di A. e rinviò le parti davanti alla corte d'appello di R .
    Da un documento della cancelleria della corte d'appello di R , risulta che al 28 aprile 1998 non era stata riavviato nessun procedimento a seguito della sentenza della Corte di cassazione che aveva rinviato le parti innanzi alla citata autorità giudiziaria.
     
  2. Procedimento di esecuzione

    Nel frattempo, essendo diventata esecutiva la sentenza della corte d'appello di A., il 1° aprile 1994 il ricorrente aveva ottenuto dal tribunale di V. un sequestro immobiliare a carico di M.I. nell'ambito di un procedimento esecutivo. In una data non precisata, il giudice dell'esecuzione nominò un perito al fine di valutare i beni sottoposti a sequestro. Il 15 febbraio 1995, il perito prestò giuramento. Il 28 giugno ed il 6 dicembre 1995, il ricorrente domandò un rinvio nell'attesa che fosse depositato in cancelleria il rapporto peritale. Il 14 febbraio 1996, il perito depositò la sua perizia. Il 17 aprile 1996, il ricorrente domandò la vendita dei beni sequestrati. Il 25 giugno 1996, il giudice dell'esecuzione dichiarò di astenersi in ragione di una lettera offensiva che il ricorrente gli aveva inviato. Con una ordinanza del 29 giugno 1996, un nuovo giudice fissò la data della vendita al 23 ottobre 1996.
    Il 30 settembre 1996, M.I. presentò una domanda con la quale chiedeva di ottenere la conversione del sequestro nel pagamento di una somma e versò un quinto della somma per la quale era stato disposto il sequestro. Con una decisione del 1° ottobre 1996, il giudice sospese l'esecuzione della vendita. Il 13 novembre 1996, il giudice aggiornò la causa al 18 dicembre 1996. Tuttavia, accogliendo la domanda introdotta da M.I. il giorno prima, con una decisione del 10 dicembre 1996, il giudice sospese il procedimento esecutivo in ragione del deposito della sentenza della Corte di cassazione che aveva accolto il ricorso di M.I. e ordinò la comparsa delle parti per il 22 gennaio 1997. Tale giorno, il giudice aggiornò la causa al 12 febbraio 1997. In questa data, il ricorrente domandò un rinvio. Il 26 febbraio 1997, il ricorrente domandò la revoca dell'ordinanza del 10 dicembre 1996. Il 18 marzo 1997, il giudice confermò la sospensione del procedimento esecutivo in ragione del fatto che la sentenza della corte d'appello non era più esecutiva.
     
  3. Procedimento di opposizione all'esecuzione

    Il 9 dicembre 1996, M.I. aveva anche proposto opposizione all'esecuzione davanti al tribunale di V . La prima udienza si tenne il 18 maggio 1997. In questa data il ricorrente domandò un rinvio per nominare un difensore e M.I. domandò la fissazione della data per la presentazione delle conclusioni. Il 24 settembre 1997, il giudice pose la causa in deliberazione.
    Il 20 gennaio 1998, a seguito dell'entrata in vigore della legge n° 353/1990 in virtù della quale i tribunali possono decidere in composizione di giudice unico, il giudice dell'istruzione di V. emise una sentenza il cui testo fu depositato in cancelleria il 21 gennaio 1998. Con questa sentenza, egli dichiarò illegale il sequestro ottenuto dal ricorrente, ordinò la restituzione della somma versata da M.I. al momento della domanda di conversione del sequestro e condannò il ricorrente a pagare le spese legali.

MOTIVI DI RICORSO

  1. Il ricorrente lamenta la durata del procedimento civile. Egli invoca l'articolo 6 § 1 della Convenzione.
  2. Il ricorrente lamenta anche la violazione dell'articolo 6 § 3 c) e d) in quanto la causa non è stata trattata equamente in primo grado e davanti alla Corte di cassazione. Egli sostiene che alcuni testimoni non furono ascoltati, che alcune prove non furono ammesse e che lui non ha avuto la possibilità di difendersi personalmente.
  3. Il ricorrente sostiene di aver subito una violazione del suo diritto alla libertà di espressione, garantito dall'articolo 10 § 1 della Convenzione, in quanto un giudice dell'esecuzione ha sporto querela contro di lui dopo avere ricevuto una lettera che denunciava il suo comportamento.
  4. Il ricorrente denuncia anche la violazione del vecchio articolo 50 della Convenzione (articolo 41), sostenendo di aver subito dei danni.
  5. Infine, il ricorrente invoca il vecchio articolo 48 della Convenzione e domanda che la Corte venga investita della causa.

IN DIRITTO

  1. Il ricorrente lamenta la durata del procedimento civile che lo riguarda. Egli invoca l'articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, è così formulato: "Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata (..) in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale (&) che deciderà (&) in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile (&)"
    Il Governo ritiene che il ricorrente non ha esaurito, conformemente all'articolo 35 § 1 della Convenzione, le vie di ricorso interne, vista l'entrata in vigore della legge n° 89 del 24 marzo 2001, detta "legge Pinto".
    Il ricorrente si oppone a questa tesi.
    La Corte nota che secondo la legge Pinto le persone che hanno subito un danno patrimoniale o non patrimoniale possono investire la corte d'appello competente al fine di far constatare la violazione della Convenzione per quanto riguarda il rispetto del tempo ragionevole previsto dall'articolo 6 § 1, e domandare la concessione di una somma a titolo di equa soddisfazione.
    La Corte ricorda di avere già constatato in altre decisioni sulla ricevibilità (vedere, fra altre, B. c/ Italia (dec.), n° 69789/01, CEDH 2001-IX, e G. e altri c/ Italia (dec.) , n° 34939/97, CEDH 2001-XII) che il rimedio introdotto dalla legge Pinto è un ricorso che il ricorrente deve tentare prima che la Corte si pronunci sulla ricevibilità del ricorso, e ciò qualunque sia la data in cui il ricorso è stato presentato innanzi alla Corte.
    Non denotando nessuna circostanza che induca a decidere in maniera differente nel caso di specie, la Corte ritiene che questa parte del ricorso debba essere rigettato per il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, ai sensi dell'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
  2. Il ricorrente lamenta anche la violazione dell'articolo 6 § 3 c) e d) in quanto la causa non è stata trattata con equità in primo grado e davanti alla Corte di cassazione. Il ricorrente sostiene che alcuni testimoni non sono stati ascoltati, che certe prove non sono state ammesse e che non ha avuto la possibilità di difendersi personalmente davanti al tribunale di V .
    La Corte osserva che il paragrafo 3 dell'articolo 6 della Convenzione riguarda soltanto la procedura penale. Tuttavia, il motivo di ricorso può essere esaminato nell'ottica dell'articolo 6 § 1 in quanto le garanzie enunciate nell'articolo 6 § 3 devono essere interpretate alla luce della nozione generale di processo equo contenuta nell'articolo 6 § 1. La Corte constata che nella fattispecie la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il controricorso del ricorrente per vizio di forma visto che non era stato presentato da un avvocato patrocinante in cassazione. Secondo la giurisprudenza della Corte non vi è stato l'esaurimento delle vie di ricorso interne quando un ricorso interno è stato dichiarato inammissibile per vizi di forma. Pertanto, la Corte non è chiamata a pronunciarsi sulla questione di sapere se i fatti presentati dal ricorrente rivelano una parvenza di violazione dell'articolo 6 per quel che riguarda il carattere iniquo del procedimento nazionale di primo grado dal momento che il ricorrente non ha fatto uso delle vie di ricorso interne in maniera adeguata.
    Inoltre, la Corte constata che non è stato riavviato nessun procedimento in seguito alla sentenza della Corte di cassazione che aveva rinviato le parti davanti alla corte d'appello.
    Di conseguenza, essa ritiene che il ricorrente non abbia esaurito, conformemente all'articolo 35 della Convenzione, le vie di ricorso interne che gli erano aperte nel diritto italiano per quel che riguarda il procedimento di primo grado.
    Per questi motivi, questa parte del ricorso deve essere rigettata conformemente all'articolo 35 § 4 della Convenzione.
    Peraltro, per quel che riguarda il processo davanti alla Corte di cassazione, la Corte constata che il ricorrente non ha esplicitato in che vi sarebbe stata violazione di questo articolo. Pertanto, poiché questa parte del ricorso non è stata sostenuta, la Corte ritiene che non possa essere rilevata nessuna parvenza di violazione di questa disposizione e che questa parte dei motivi di ricorso è manifestamente infondata secondo l'articolo 35 § 3 e deve essere rigettata conformemente all'articolo 35 § 4 della Convenzione.
  3. Il ricorrente sostiene di aver subito una violazione del suo diritto alla libertà di espressione, garantito dall'articolo 10 § 1 della Convenzione, in quanto un giudice dell'esecuzione aveva sporto denuncia contro di lui dopo aver ricevuto una lettera con la quale egli denunciava il suo comportamento. La Corte ritiene che questa affermazione non sia sostenuta e non ha rilevato nessuna parvenza di violazione dei diritti e delle libertà garantite da questo articolo.
    Ne consegue che questo motivo è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e deve essere rigettato conformemente all'articolo 35 § 4 della Convenzione.
  4. Il ricorrente denuncia anche la violazione del vecchio articolo 50 della Convenzione (articolo 41), sostenendo di aver subito dei danni. La Corte rileva che poiché l'articolo 41 è applicabile solo nel caso in cui venga constatata la violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, ne segue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e che deve essere rigettato conformemente all'articolo 35 § 4 della Convenzione.
  5. Infine, il ricorrente invoca il vecchio articolo 48 della Convenzione e domanda che la Corte sia investita del caso.

La Corte constata che in seguito all'entrata in vigore del Protocollo n° 11, essa è stata investita della presente causa. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e deve essere rigettato conformemente all'articolo 35 § 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all'unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Vincent BERGER
Cancelliere

Georg RESS
Presidente