Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell'11 luglio 2006 - Ricorso n. 17640/02 - ... e altri contro l'Italia

CONSIGLIO D'EUROPA - CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO - TERZA SEZIONE

DECISIONE SULL'AMMISSIBILITA' del ricorso n. 17640/02 presentato da (...) e altri contro l'Italia La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Terza Sezione), costituita l'11 luglio 2006 in una Camera composta da:

B.M. Zupančič, Presidente,
C. Bîrsan,
V. Zagrebelsky,
A. Gyulumyan,
E. Myjer,
David Thor Björgvinsson,
I. Ziemele, giudici,
e da V. Berger, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso summenzionato presentato il 17 luglio 2001,
Vista la decisione della Corte di avvalersi dell'articolo 29 § 3 della Convenzione e di esaminare congiuntamente l'ammissibilità e il merito della causa,
Viste le osservazioni presentate dal governo convenuto e quelle di replica presentate dai ricorrenti,
Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

I ricorrenti (...) sono cittadini italiani, nati rispettivamente nel 1925, nel 1938 e nel 1944 e residenti a (...). Il primo ricorrente è rappresentato dinanzi alla Corte dagli Avv. G. M. e G. S., il secondo e il terzo ricorrente sono rappresentati dagli Avv. F. B. e S. P. I rappresentanti sono avvocati del foro di (...). Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo Agente, I.M. Braguglia, dal suo Co-Agente, F. Crisafulli, nonché dal suo Co-Agente aggiunto, N. Lettieri.

Le circostanze del caso

I fatti della causa, così come esposti dalle parti, possono riassumersi come segue.
In data imprecisata, A.M., A.V., A.C. e L.G. presentarono dinanzi al tribunale di (...) una domanda di fallimento nei confronti del primo ricorrente, motivando che quest'ultimo avrebbe esercitato, accanto all'attività di natura pubblica di agente di cambio, anche un'attività privata di amministrazione e di gestione fiduciarie di titoli e patrimoni altrui. Con decisione del 23 febbraio 1993, il tribunale rigettò la domanda in quanto il primo ricorrente non risultava insolvente.
In data imprecisata, gli stessi attori presentarono un reclamo dinanzi alla corte d'appello di (...).
Con decisione del 17 marzo 1993, la corte d'appello osservò che la domanda di fallimento era stata proposta oltre un anno dopo la cessazione dell'esercizio dell'impresa da parte del ricorrente (articolo 10 del regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942, "legge sul fallimento") e rigettò il reclamo.
In data imprecisata, fu presentata una nuova domanda di fallimento, questa volta nei confronti di tutti i ricorrenti.
Con sentenza depositata il 29 ottobre 1994, il tribunale, riconoscendo l'esistenza di una società di fatto tra i ricorrenti, osservò che l'articolo 10 della legge sul fallimento (riguardante le imprese individuali e non le società) non era applicabile al caso di specie e pronunciò il fallimento della società dei ricorrenti nonché il loro fallimento personale.
Il 22 e il 25 novembre 1994, il sig.(...), da un lato, e i sigg. (...), dall'altro, fecero opposizione. Essi osservarono che lo studio del sig. (...) non aveva esercitato attività d'impresa; osservarono altresì che, essendo i sigg. (...) dipendenti del sig. (...), non esisteva alcuna società di fatto e che, comunque, lo stato d'insolvenza non era stato provato. I sigg. (...) chiesero anche la condanna dei creditori al risarcimento dei danni.
Con decisione della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob) del 2 dicembre 1994, i nomi dei sigg. (...) furono cancellati dall'albo dei promotori finanziari in quanto tali ricorrenti erano stati messi in fallimento.
Il 12 giugno 1996, i due ricorsi furono riuniti, le parti depositarono documenti e i ricorrenti chiesero l'audizione di alcuni testimoni. Con ordinanza del 13 ottobre 1995, il giudice rigettò ogni domanda d'istruttoria supplementare e fissò l'udienza per il 6 novembre 1995 per la presentazione delle conclusioni. L'udienza conclusiva fu fissata per il 18 settembre 1997.
Il 15 novembre 1997, i ricorrenti presentarono una domanda di concordato dinanzi al tribunale di (...).
Con sentenza depositata il 10 aprile 1997, il tribunale omologò la proposta di concordato e, il 18 aprile 1997, la sentenza fu affissa in tribunale. Stando alle informazioni fornite dal Governo, il 21 aprile 1998, i ricorrenti assolsero gli obblighi derivanti dal concordato e la procedura fu quindi chiusa. Con missiva del 2 maggio 2006, i ricorrenti hanno informato la Corte che la percentuale del concordato per i creditori chirografari era superiore al venticinque per cento, ai sensi dell'articolo 143 comma 2 della legge sul fallimento.
Nel frattempo, con sentenza depositata il 10 novembre 1997, il tribunale rigettò l'opposizione. Ritenne innanzitutto che l'attività svolta dai ricorrenti fosse un'attività d'impresa, secondariamente che quest'ultima fosse svolta collettivamente dai ricorrenti, costituendo pertanto una società di fatto in seno alla quale i sigg. (...) operavano per conto dello studio e svolgevano un'attività di gestione nonché di partecipazione agli utili e, infine, che detta attività si trovava in stato d'insolvenza.
In data imprecisata, i ricorrenti proposero appello dinanzi alla corte d'appello di (...) e chiesero che fosse dichiarata l'inesistenza delle condizioni necessarie per la dichiarazione di fallimento, nonché la revoca della sentenza e l'audizione di alcuni testimoni. I ricorrenti chiesero anche la condanna della parte convenuta al risarcimento dei danni che ritenevano di aver subito a causa della dichiarazione di fallimento e si riservarono di quantificarli in un successivo procedimento.
Con sentenza depositata il 26 gennaio 2001, la corte d'appello di (...) revocò la sentenza di fallimento. Inoltre, dichiarò inammissibile la domanda di condanna della parte convenuta al risarcimento dei danni in quanto, secondo una giurisprudenza costante in materia di responsabilità aggravata della parte attrice (articolo 96 del codice di procedura civile), tale domanda non avrebbe potuto formare oggetto di un successivo procedimento, contrariamente a quanto chiesto dai ricorrenti.
I ricorrenti non hanno proposto ricorso per cassazione.
 

Il diritto interno pertinente

Il diritto interno pertinente è descritto nelle sentenze Campagnano c/Italia (n.77955/01, §§ 19-22, 23marzo 2006), Albanese c/Italia (n.77924/01, §§23-26, 23 marzo 2006) e Vitiello c/Italia (n.77962/01, §§17-20, 23marzo2006).
L'articolo 1, comma 1 a), del decreto ministeriale n. 472 del 1998, in materia di requisiti di onorabilità dei promotori finanziari dispone: "Non possono essere iscritti all'albo dei promotori finanziari, coloro che si trovano in una delle condizioni di ineleggibilità (...) previste dall'articolo 2382 del codice civile."
L'articolo 2382 del codice civile è così redatto: "Non può essere nominato amministratore (...) il fallito (...)."
L'articolo 131 della legge sul fallimento è così redatto: "Contro la sentenza che omologa la proposta di concordato possono appellare gli opponenti e il fallito entro quindici giorni dall'affissione."
L'articolo 143 della legge sul fallimento dispone: "La riabilitazione può essere concessa al fallito:
1. che ha pagato interamente i crediti ammessi nel fallimento, compresi gli interessi e le spese;
2. che ha regolarmente adempiuto il concordato, quando il tribunale lo ritiene meritevole del beneficio, tenuto conto delle cause e delle circostanze del fallimento, delle condizioni del concordato e della misura della percentuale. La riabilitazione non può essere concessa se la percentuale stabilita per i creditori chirografari è inferiore al venticinque per cento (...);
3. che ha dato prove effettive e costanti di buona condotta per un periodo di almeno cinque anni dalla chiusura del fallimento."
L'articolo 96 del codice di procedura civile è così redatto:
"Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice (...) la condanna al risarcimento dei danni, che liquida nella sentenza."

MOTIVI DI RICORSO

  1. Invocando l'articolo 8 della Convenzione, i ricorrenti lamentano la violazione del loro diritto al rispetto della corrispondenza. Invocando l'articolo 6 della Convenzione, essi denunciano il fatto di non poter stare in giudizio a causa della dichiarazione di fallimento. Invocando l'articolo 1 del Protocollo n. 1, essi lamentano anche di essere stati privati dei loro beni in seguito alla messa in fallimento. Invocando l'articolo 2 del Protocollo n. 4, essi lamentano l'obbligo di residenza loro imposto.
  2. Invocando l'articolo 3 del Protocollo n. 1, i ricorrenti lamentano la privazione dei loro diritti elettorali.
  3. Invocando l'articolo 8 della Convenzione, i ricorrenti lamentano la violazione del loro diritto al rispetto della vita privata. I sigg. (...) adducono di non aver potuto svolgere la loro attività professionale a causa della cancellazione del loro nome dall'albo dei promotori finanziari e il sig. (...) denuncia il fatto di aver subito una violazione del diritto all'immagine e alla salute a causa della dichiarazione di fallimento.

IN DIRITTO

Invocando l'articolo 8 della Convenzione, i ricorrenti lamentano la violazione del loro diritto al rispetto della corrispondenza. Invocando l'articolo 6 della Convenzione, essi denunciano il fatto di non poter stare in giudizio a causa della dichiarazione di fallimento. Invocando l'articolo 1 del Protocollo n. 1, essi lamentano anche di essere stati privati dei loro beni in seguito alla messa in fallimento. Invocando l'articolo 2 del Protocollo n. 4, essi lamentano l'obbligo di residenza loro imposto. Tali articoli sono così redatti:
Articolo 8 della Convenzione
"1.Ogni persona ha diritto al rispetto della sua (...) corrispondenza.
Non può aversi interferenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto a meno che questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la sicurezza pubblica, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà degli altri."
Articolo 6 della Convenzione
"1. Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata (...) da parte di un tribunale (...) che deciderà sia in ordine alle controversie sui suoi diritti ed obbligazioni di natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di lei. (...)"
Articolo 1 del Protocollo n. 1
"Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non ledono il diritto degli Stati di applicare quelle leggi che giudicano necessarie per disciplinare l'uso dei beni in relazione all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi o ammende."

Articolo 2 del Protocollo n. 4
"1. Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliervi liberamente la propria residenza.
2.Ogni persona è libera di lasciare qualsiasi paese, ivi compreso il proprio.
3.L'esercizio di questi diritti non può essere soggetto ad altre restrizioni che non siano quelle che, previste dalla legge, costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per la sicurezza pubblica, per il mantenimento dell'ordine pubblico, per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la salvaguardia dei diritti e delle libertà altrui."

Il Governo osserva innanzitutto che la procedura fallimentare è stata chiusa da un concordato e che le limitazioni derivanti dalla messa in fallimento sono pertanto venute meno il 21 aprile 1998, data in cui i ricorrenti hanno assolto gli obblighi derivanti dal concordato.
Il Governo sostiene inoltre che i ricorrenti avrebbero potuto lamentare le limitazioni prolungate derivanti dalla loro messa in fallimento dinanzi alla corte d'appello competente conformemente alla legge Pinto. Fa riferimento, tra l'altro, alla sentenza della Corte di cassazione n. 362 del 2003.
Il sig. (...) sostiene che le limitazioni derivanti dalla messa in fallimento non terminano con il concordato e osserva che la legge Pinto non costituisce un mezzo d'impugnazione efficace per lamentare il protrarsi delle limitazioni derivanti dalla messa in fallimento.
La Corte osserva che la sentenza di omologazione della proposta di concordato ha acquisito efficacia di cosa giudicata il 2 maggio 1997, vale a dire quindici giorni dopo la sua affissione in tribunale, conformemente all'articolo 131 della legge sul fallimento.
A partire da tale data, sono venute meno le limitazioni derivanti dalla messa in fallimento lamentate dai ricorrenti, cioè la limitazione del diritto di disporre dei beni, del diritto di stare in giudizio, il controllo della corrispondenza e la limitazione della libertà di circolazione (previsti rispettivamente dagli articoli 42, 43, 48 e 49 della legge sul fallimento). Infatti, "tali limitazioni, funzionali alla procedura fallimentare, iniziano con la sentenza di dichiarazione di fallimento e terminano con la chiusura di detta procedura" (S. Bonfatti e P. F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Cedam, 2004, p. 72).
La Corte ritiene pertanto che i ricorrenti avrebbero dovuto presentare il loro motivo di ricorso al più tardi il 2 novembre 1997. Dato che il presente ricorso è stato presentato il 17 luglio 2001, questi motivi devono essere rigettati per superamento del termine di sei mesi ai sensi dell'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

Invocando l'articolo 3 del Protocollo n. 1, i ricorrenti lamentano la privazione dei loro diritti elettorali. Tale articolo è così redatto:
"Le Alte Parti contraenti si impegnano ad indire, a intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni che assicurino la libera manifestazione dell'opinione pubblica sulla scelta del corpo legislativo."

La Corte osserva che la privazione dei diritti elettorali in seguito alla messa in fallimento non può eccedere i cinque anni a partire dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento. Ora, dato che tale sentenza risale al 29 ottobre 1994, i ricorrenti avrebbero dovuto presentare il motivo di ricorso al più tardi il 29 aprile 2000. Poiché il ricorso è stato presentato il 17 luglio 2001, la Corte constata che il motivo è tardivo e deve essere rigettato conformemente all'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

Invocando l'articolo 8 della Convenzione, i ricorrenti lamentano la violazione del loro diritto al rispetto della vita privata. I sigg. (...) adducono di non aver potuto svolgere la loro attività professionale a causa della cancellazione del loro nome dall'albo dei promotori finanziari e il sig. (...) denuncia il fatto di aver subito una violazione del diritto all'immagine e alla salute a causa della dichiarazione di fallimento. L'articolo recita:
"1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata (...).
2. Non può aversi interferenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto a meno che questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la sicurezza pubblica, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà degli altri."
 

Il Governo osserva che, in seguito al concordato fallimentare, i ricorrenti avrebbero potuto chiedere la riabilitazione.
I ricorrenti ritengono di avere a torto formato oggetto di una procedura fallimentare e osservano di avere "scelto di chiedere la revoca della sentenza dichiarativa del loro fallimento e non la riabilitazione, la quale implica che la sentenza sia pronunciata legittimamente".
Quanto al motivo di ricorso sollevato dai sigg. (...), la Corte osserva innanzitutto che, a differenza delle limitazioni endoprocedimentali quali la limitazione del diritto al rispetto dei beni, della corrispondenza o della libertà di circolazione dei ricorrenti, che sono iniziate con la dichiarazione di fallimento e sono terminate con la chiusura della procedura, le incapacità derivanti dall'iscrizione del nome del fallito nel registro vengono meno solo una volta ottenuta la cancellazione di tale iscrizione.
La cancellazione avviene con la riabilitazione civile, la quale, nel caso dei ricorrenti, avrebbe potuto essere chiesta a partire dalla regolare esecuzione del concordato fallimentare.
Essa osserva poi che la situazione lamentata dai ricorrenti è una situazione continua iniziata con l'iscrizione del loro nome nel registro dei falliti.


La Corte constata che i ricorrenti avrebbero potuto interrompere tale situazione chiedendo la riabilitazione a partire dal 21 aprile 1998, data della regolare esecuzione del concordato fallimentare. Essa ritiene pertanto che, nel caso di specie, il termine di sei mesi previsto dall'articolo 35 § 1 della Convenzione decorra da tale data. Dato che il presente ricorso è stato presentato il 17 luglio 2001, questo motivo di ricorso è tardivo e deve essere rigettato conformemente all'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
Per quanto riguarda il "diritto all'immagine" invocato dal sig. (...), la Corte osserva che il ricorrente avrebbe potuto sollevare questo motivo di ricorso dinanzi alle autorità interne, in particolare in occasione di una domanda di risarcimento. Essa rileva che, al momento dell'appello avverso la sentenza che rigettava la domanda di revoca, i ricorrenti si sono riservati di quantificare i danni che ritenevano di aver subito a causa della dichiarazione di fallimento in un successivo procedimento.
La Corte osserva poi che, con sentenza depositata il 26 gennaio 2001, la corte d'appello di (...) ha dichiarato inammissibile la domanda di condanna della parte convenuta al risarcimento dei danni in quanto, secondo una giurisprudenza costante, tale domanda non avrebbe potuto formare oggetto di un successivo procedimento, contrariamente a quanto chiesto dai ricorrenti.
La Corte ritiene quindi che questa parte del ricorso debba essere rigettata per mancato esperimento dei mezzi d'impugnazione interni, ai sensi dell'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
Infine, quanto alla parte del motivo di ricorso relativa al "diritto alla salute", la Corte osserva che questo diritto non rientra tra i diritti sanciti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli (si veda, tra molte altre, Fiorenza c/Italia, dec., n.44393/98, 28 novembre 2000). Ne consegue che questa parte del ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione e deve essere rigettata, in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4.

 

Per questi motivi, la Corte, all'unanimità,

Dichiara il ricorso inammissibile.

Vincent Berger, Cancelliere
Boatjan M. Zupančič, Presidente