Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 19 ottobre 2006 - Ricorso n. 62094/00 - Majadallah c/Italia

CONSIGLIO D'EUROPA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
PRIMA SEZIONE

CASO MAJADALLAH c/ITALIA (Ricorso n. 62094/00)

SENTENZA
Strasburgo, 19 ottobre 2006

La presente sentenza diverrà definitiva alle condizioni stabilite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire variazioni di forma.

Nel caso Majadallah c/Italia,
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Prima Sezione), costituita in una Camera composta da:
C.L. Rozakis, Presidente,
L. Loucaides,
F. Tulkens,
N. Vajic,
A. Kovler,
V. Zagrebelsky,
E. Steiner, giudici,
e da S. Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 28 settembre 2006,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDIMENTO

  1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 62094/00) nei confronti della Repubblica italiana con cui un cittadino marocchino, il sig. Mohamed Majadallah («il ricorrente»), ha adito la Corte il 4 aprile 2000 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali («la Convenzione»).
  2. Il ricorrente è rappresentato dall'Avv. G. Cardillo, del foro di Firenze. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo Agente, sig. I. M. Braguglia, e dal suo Co-Agente, sig. F. Crisafulli.
  3. Il ricorrente adduceva in particolare che un procedimento penale condotto contro di lui non era stato equo, in quanto egli non aveva avuto la possibilità d'interrogare o di fare interrogare alcuni testimoni a carico.
  4. Il ricorso è stato assegnato alla Prima sezione della Corte (articolo 52 § 1 del regolamento). All'interno di questa, la camera incaricata di esaminare il caso (articolo 27 § 1 della Convenzione) è stata costituita conformemente all'articolo 26 § 1 del regolamento.
  5. Con decisione del 19 maggio 2005, la camera ha dichiarato ammissibile il ricorso.
  6. Sia il ricorrente sia il Governo hanno depositato osservazioni scritte complementari (articolo 59 § 1 del regolamento).
  7. Il 1° novembre 2004, la Corte ha modificato la composizione delle sue sezioni (articolo 25 § 1 del regolamento). Il presente ricorso è stato assegnato alla prima sezione così modificata (articolo 52 § 1).

    IN FATTO

    I - LE CIRCOSTANZE DEL CASO
     
  8. Il ricorrente è nato nel 1954 e risiede a Firenze.
  9. Il 21 agosto 1995, fu coinvolto in una rissa in un bar di Firenze. Ferito, fu trasportato al pronto soccorso dell'ospedale della città. Stando alle dichiarazioni raccolte dagli agenti di polizia intervenuti sul posto, la rissa sarebbe scoppiata ai tavolini all'aperto del bar a causa delle avance e dei palpeggiamenti del ricorrente nei confronti della cameriera, che avevano provocato l'intervento del buttafuori e causato le ferite di quest'ultimo e del ricorrente.
  10. Il 23 agosto 1995, il ricorrente fu interrogato dal giudice per le indagini preliminari di Firenze per rispondere dei reati di atti di libidine violenti, atti osceni in luogo pubblico, lesioni personali e stato di ubriachezza.
    Il ricorrente apprese in quell'occasione che la cameriera e il buttafuori del bar, X (cittadina svedese) e Y (cittadino coreano), avevano sporto querela contro di lui rivolgendosi agli agenti di polizia intervenuti sul posto in seguito alla chiamata del proprietario del bar.
  11. Il 6 novembre 1995, il ricorrente sporse querela contro X e Y per aggressione. Dichiarò di avere subito un'aggressione ingiustificata da parte di X e Y sin dal suo ingresso nel bar e affermò di essere stato trasportato all'ospedale in stato d'incoscienza. Il ricorrente afferma di non avere mai ricevuto notizie sul seguito riservato alla sua querela dalle autorità competenti.
  12. Il ricorrente fu rinviato a giudizio dinanzi al tribunale di Firenze e l'udienza fu fissata per l'8 gennaio 1998. Nel frattempo, X e Y, cittadini stranieri, si erano resi irreperibili. Il proprietario del bar, sebbene regolarmente citato a comparire dal pubblico ministero in qualità di testimone a carico, non si presentò all'udienza.
  13. Durante il dibattimento, il tribunale sentì uno degli agenti di polizia intervenuti sul posto. Egli affermò di essere arrivato sul posto nel momento in cui il ricorrente, X e Y stavano litigando verbalmente. In seguito, il ricorrente, che, secondo l'agente di polizia, sarebbe stato cosciente e in evidente stato di ubriachezza, fu trasportato all'ospedale e X e Y espressero l'intenzione di sporgere querela nei suoi confronti per i palpeggiamenti e le lesioni personali subiti. L'agente di polizia affermò inoltre di avere raccolto le dichiarazioni del proprietario del bar, il quale aveva raccontato di essere uscito dal bar e di avere visto il ricorrente dare uno schiaffo al buttafuori. Non aveva invece assistito allo scoppio della rissa.
  14. Durante l'udienza, il legale del ricorrente rinunciò ad interrogare il proprietario del bar, in quanto dalla dichiarazione dell'agente di polizia risultava che egli non aveva assistito ai fatti. Il pubblico ministero, che in un primo tempo aveva chiesto al tribunale di disporre l'accompagnamento coattivo del proprietario del bar in udienza in qualità di testimone a carico, rinunciò a sua volta ad ottenere la sua presenza.
  15. Il tribunale, basandosi sull'articolo 512 del codice di procedura penale, autorizzò la lettura delle dichiarazioni rese da X e Y alla polizia all'epoca dei fatti. Affermò che probabilmente i due querelanti erano tornati nei loro paesi e ritenne che l'impossibilità di ottenere la loro presenza nel pubblico dibattimento non fosse prevedibile ab initio.
  16. Con sentenza in pari data, depositata in cancelleria il 22 gennaio 1998, il tribunale condannò il ricorrente ad un anno e quattro mesi di reclusione con la condizionale. Il tribunale affermò che la testimonianza dell'agente di polizia confermava le dichiarazioni rese da X e Y subito dopo i fatti, dichiarazioni che il tribunale giudicò credibili.
  17. Il 6 aprile 1998, il ricorrente interpose appello dinanzi alla corte d'appello di Firenze. Contestò la descrizione dei fatti fatta da X e Y ed eccepì che le loro dichiarazioni erano state rese in violazione del principio del contraddittorio.
  18. Con sentenza del 18 febbraio 1998, la corte d'appello di Firenze confermò la sentenza di primo grado. Essa affermò che le dichiarazioni di X e Y, confermate dalla testimonianza dell'agente di polizia nonché dalle dichiarazioni del proprietario del bar rese all'epoca dei fatti, erano credibili e costituivano la prova della responsabilità del ricorrente. La corte d'appello sostenne del resto che il ricorrente aveva rinunciato ad interrogare il proprietario del bar.
  19. Il 26 marzo 1999, il ricorrente propose ricorso per cassazione. Contestò il fatto di non avere avuto la possibilità d'interrogare i suoi due accusatori ed aggiunse che il giudice per le indagini preliminari avrebbe dovuto prevedere la scomparsa di X e Y e sentirli nel corso di un'udienza ad hoc con i rappresentanti delle parti («incidente probatorio»).
  20. Con sentenza del 10 dicembre 1999, la Corte di cassazione rigettò il ricorso del ricorrente. Essa affermò che i giudici di primo e di secondo grado avevano basato la condanna del ricorrente su dichiarazioni diverse da quelle di X e Y, vale a dire su quelle rese dall'agente di polizia e dal proprietario del bar.

    II - IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
     
  21. L'articolo 512 del codice di procedura penale vigente all'epoca dei fatti disponeva in particolare:
    «Il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia (e) dal pubblico ministero (&) quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione».
    Mediante lettura, le dichiarazioni e gli atti di cui all'articolo 512 del codice di procedura penale sono acquisiti al fascicolo del giudice e possono essere utilizzati per decidere sulla fondatezza dell'accusa.
  22. Nel 1999, il Parlamento ha deciso d'inserire il principio del giusto processo nella Costituzione (si veda la legge costituzionale n. 2 del 23 novembre 1999). L'articolo 111 della Costituzione, nella nuova formulazione e nelle parti pertinenti, recita:
    «(&) Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato (&) abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico (&). La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.»
  23. Ai sensi dell'articolo 195 § 4 del codice di procedura penale, gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle testimonianze raccolte durante le indagini preliminari.

    IN DIRITTO

    I - SULL'ECCEZIONE DEL GOVERNO
     
  24. Nelle sue osservazioni complementari, il Governo ribadisce che il ricorrente non ha esperito tutti i mezzi d'impugnazione interni. Sostiene che l'interessato ha omesso di avvalersi delle possibilità offerte dal diritto interno al fine di essere messo a confronto con i suoi accusatori durante le indagini preliminari o di ottenere la loro citazione in dibattimento.
  25. Il ricorrente chiede il rigetto dell'eccezione.
  26. Nella decisione sull'ammissibilità del 19 maggio 2005, la Corte aveva rigettato l'eccezione di mancato esperimento di tutti i mezzi d'impugnazione sollevata dal Governo affermando che non è certo compito degli imputati impegnarsi nella ricerca dei testimoni a carico e sottolineando che il comportamento del ricorrente dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali ha dimostrato la sua volontà di rivendicare il diritto riconosciutogli dall'articolo 6 § 3 d) della Convenzione.
  27. La Corte ritiene che il Governo basi la sua eccezione su argomentazioni che non consentono di rimettere in discussione la decisione sull'ammissibilità. Di conseguenza, l'eccezione deve essere rigettata.

    II - SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE

    Argomentazioni delle parti
    Il ricorrente
  28. Il ricorrente ritiene che il procedimento penale condotto nei suoi confronti non sia stato equo. Invoca l'articolo 6 §§ 1 e 3 della Convenzione, che, nelle parti pertinenti, recita:
    «Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente (&) da parte di un tribunale (&) che deciderà (&) sul fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di lei. (&)
    3. Ogni accusato ha diritto soprattutto a:
    (&) d) interrogare o fare interrogare i testimoni a carico ed ottenere la citazione e l'interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni dei testimoni a carico;(&).»
  29. Il ricorrente sostiene che la sua condanna è stata basata esclusivamente sulle dichiarazioni di X e Y, due testimoni resisi irreperibili, la cui scomparsa era del tutto prevedibile e che le autorità non hanno tentato di localizzare adeguatamente. Egli afferma che gli altri elementi a carico non possono essere considerati sufficienti ad accertare la sua colpevolezza.
  30. Il ricorrente ritiene inoltre che l'audizione del proprietario del bar, inizialmente citato dal pubblico ministero in qualità di testimone a carico, non avrebbe consentito di accertare la sua innocenza.

    Il Governo
  31. Il Governo sostiene che il diritto, sancito dalla Convenzione, d'interrogare o fare interrogare i testimoni a carico durante il dibattimento non è assoluto, e osserva che gli organi giurisdizionali nazionali possono derogarvi per privilegiare interessi superiori. Impedire in ogni circostanza al giudice di utilizzare elementi di prova raccolti durante le indagini preliminari costituirebbe un ostacolo sproporzionato alla tutela dell'ordine e della legalità, funzione primaria del potere giudiziario.
  32. Il Governo afferma che le autorità giudiziarie italiane hanno dovuto far fronte ad una situazione oggettiva, la scomparsa imprevedibile delle due vittime, e sono state portate ad utilizzare le dichiarazioni controverse nell'interesse superiore dell'esercizio dell'azione penale.
    Esso aggiunge che l'articolo 512 del CPP assicura un giusto equilibrio tra la tutela dei diritti della difesa e l'esigenza di efficacia della lotta contro la criminalità.
  33. Nella fattispecie, il ricorrente, che è stato debitamente informato del contenuto delle dichiarazioni rese alla polizia, ha avuto la possibilità di rispondere durante il dibattimento alle argomentazioni di X e Y e di contestare così la loro versione dei fatti.
  34. Infine, il Governo sottolinea che la condanna del ricorrente non si è basata esclusivamente sulle dichiarazioni di X e Y, ma si fondava su altri elementi, in particolare sulle dichiarazioni dell'agente di polizia intervenuto sul posto dopo i fatti, il quale aveva raccolto le testimonianze delle due vittime. Inoltre, il ricorrente rinunciò ad ottenere la citazione del proprietario del bar, la cui testimonianza avrebbe potuto fornire elementi utili per la difesa.

    La valutazione della Corte
  35. Poiché le esigenze del paragrafo 3 costituiscono aspetti particolari del diritto ad un processo equo sancito dal paragrafo 1 dell'articolo 6, la Corte esaminerà le doglianze del ricorrente ai sensi del combinato disposto di questi due testi (si veda, tra molte altre, Van Geyseghem c/Belgio [GC], n. 26103/95, CEDU 1999-I, § 27).
  36. La Corte ricorda che non è competente a pronunciarsi sulla questione se le deposizioni di testimoni siano state a buon diritto ammesse come prove o ancora sulla colpevolezza del ricorrente (Lucà c/Italia, n. 33354/96, § 38, CEDU 2001-II, e Khan c/Regno Unito, n. 35394/97, § 34, CEDU 2000-V). Il compito affidato alla Corte dalla Convenzione consiste unicamente nell'accertare se il procedimento considerato nel suo complesso, compresa la modalità di presentazione dei mezzi di prova, abbia avuto carattere equo e se i diritti della difesa siano stati rispettati (De Lorenzo c/Italia (dec.), n. 69264/01, 12 febbraio 2004).
  37. In linea di principio, gli elementi di prova devono essere prodotti di fronte all'imputato in una pubblica udienza, per un dibattimento in contraddittorio. Tale principio non è privo di eccezioni, tuttavia esse possono essere accettate solo con riserva dei diritti della difesa; di norma, i paragrafi 1 e 3 d) dell'articolo 6 impongono di concedere all'imputato un'occasione adeguata e sufficiente per contestare una testimonianza a carico e per interrogarne l'autore, al momento della deposizione o successivamente (Lüdi c/Svizzera, sentenza del 15 giugno 1992, serie A n. 238, p. 21, § 49, e Van Mechelen e altri c/Paesi Bassi, sentenza del 23 aprile 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997 - III, p. 711, § 51).
  38. Al riguardo, come la Corte ha più volte precisato (si vedano, tra le altre, Isgrò c/Italia, sentenza del 19 febbraio 1991, serie A n. 194-A, p. 12, § 34, e Lüdi succitata, p. 21, § 47), in alcune circostanze può rivelarsi necessario, per le autorità giudiziarie, ricorrere a deposizioni risalenti alla fase delle indagini preliminari. Se l'imputato ha avuto un'occasione adeguata e sufficiente per contestare tali deposizioni, nel momento stesso in cui sono rese o successivamente, il loro utilizzo non si oppone di per sé all'articolo 6 §§ 1 e 3 d). Tuttavia, i diritti della difesa sono limitati in modo incompatibile con le garanzie dell'articolo 6 quando una condanna si fonda, unicamente o in misura determinante, su deposizioni rese da una persona che l'imputato non ha potuto interrogare o fare interrogare né nella fase delle indagini preliminari né durante il dibattimento (Lucà succitata, § 40, A.M. c/Italia, n. 37019/76, § 25, CEDU 1999-IX, e Saïdi c/Francia, sentenza del 20 settembre 1993, serie A n. 261-C, pp. 56-57, §§ 43-44).
  39. Nel caso di specie, il ricorrente è stato condannato per i reati di atti di libidine violenti nei confronti di X, lesioni personali nei confronti di Y, atti osceni in luogo pubblico e stato di ubriachezza. I suoi accusatori, X e Y, non si presentarono in dibattimento e le testimonianze da loro rese alla polizia al momento dei fatti furono lette ed utilizzate conformemente all'articolo 512 del CPP per decidere sulla fondatezza dei capi d'imputazione.
    Di conseguenza, la difesa non ha avuto la possibilità di porre domande alle persone che accusavano il ricorrente.
  40. La Corte osserva che la possibilità di utilizzare, per la decisione sulla fondatezza delle accuse, dichiarazioni pronunciate prima del dibattimento da testimoni resisi irreperibili era prevista dal diritto interno dello Stato convenuto, come era in vigore all'epoca dei fatti, vale a dire dall'articolo 512 del CPP (si veda il precedente paragrafo 21). Tuttavia, questa circostanza non può privare l'imputato del diritto, riconosciutogli dall'articolo 6 § 3 d), di esaminare o di fare esaminare in contraddittorio ogni elemento di prova sostanziale a carico (Craxi c/Italia, n. 34896/97, § 87, 5 dicembre 2002).
  41. La Corte osserva che gli organi giurisdizionali nazionali hanno basato la condanna del ricorrente, oltre che sulle dichiarazioni controverse, sulle testimonianze dell'agente di polizia e del proprietario del bar. Tuttavia, non si può non constatare che durante il dibattimento è stato sentito solo il poliziotto che è intervenuto sul posto ed ha raccolto le dichiarazioni di X e Y al momento dei fatti. Ora, questi, non essendo stato testimone diretto dei fatti contestati al ricorrente, non ha potuto fare altro che riferire le dichiarazioni rese dalle due presunte vittime.
    Quanto al proprietario del bar, la Corte constata che la difesa non ha avuto la possibilità di porgli domande durante il dibattimento, in quanto egli non si è presentato in udienza.
  42. Pertanto, non si può concludere che le dichiarazioni di X e Y siano state corroborate da altre prove a carico prodotte nel corso di un dibattimento pubblico e in contraddittorio (si veda, a contrario, Sofri ed altri c/Italia (dec.), n. 37235/97, CEDU 2003-VIII). Al contrario, la Corte ritiene che i giudici nazionali abbiano basato la condanna del ricorrente, in particolare per quanto riguarda i reati di atti di libidine violenti, lesioni personali ed atti osceni in luogo pubblico, esclusivamente sulle dichiarazioni rese alla polizia dai due accusatori (si vedano, mutatis mutandis, Jerinò c/Italia, (dec.), n. 27549/02, 7 giugno 2005 e Bracci c/Italia, n. 36822/02, 13 ottobre 2005, §§ 57 e 58 e, a contrario, Carta c/Italia, n. 4548/02, 20 aprile 2006, § 52).
  43. Alla luce di quanto precede, la Corte conclude che il ricorrente non ha beneficiato di un processo equo; pertanto vi è stata violazione dell'articolo 6 §§ 1 e 3 d) della Convenzione.

    III - SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
  44. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,
    «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette di riparare solo in parte alle conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa.»

    Danni
  45. Il ricorrente afferma di avere subito perdite materiali certe a causa dello svolgimento del processo e della condanna. Sostiene di aver perduto il lavoro per poter far fronte agli obblighi connessi al processo e chiede la somma di 4.000 EUR.
    Il ricorrente afferma altresì di avere subito un danno morale considerevole per essere stato condannato ingiustamente per reati infamanti. Chiede a tale titolo la somma di 120.000 EUR.
  46. Il Governo afferma che il ricorrente non ha dimostrato il nesso di causalità tra la violazione addotta e le perdite economiche subite. Inoltre, ritiene che la semplice constatazione di violazione fornirebbe di per sé un'equa soddisfazione sufficiente.
  47. Nel caso specifico, la Corte non vede alcun nesso di causalità diretto tra la violazione constatata nella presente sentenza e i danni chiesti dal ricorrente. In effetti, essa non è in grado di prevedere l'esito che avrebbe avuto il procedimento controverso se non vi fosse stata la violazione della Convenzione (Lucà, succitata, § 48).
  48. Nel resto, la Corte ritiene che la constatazione della violazione costituisca di per sé un'equa soddisfazione sufficiente (Craxi c/Italia, n. 34896/97, § 112, 5 dicembre 2005).
  49. Quando la Corte conclude che la condanna di un ricorrente è stata pronunciata al termine di un procedimento che non è stato equo, essa ritiene che in linea di principio la riparazione più appropriata consisterebbe nel fare giudicare di nuovo l'interessato tempestivamente e nel rispetto delle esigenze dell'articolo 6 (si vedano, mutatis mutandis, Somogyi c/Italia, n. 67972/01, § 86, 18 maggio 2004, e Gençel c/Turchia, n. 53431/99, § 27, 23 ottobre 2003).

    Spese
  50. Il ricorrente chiede 5.698 EUR per le spese sostenute a livello interno, di cui 1.309 EUR per il procedimento dinanzi al tribunale, 1.287 EUR per il procedimento dinanzi alla corte d'appello e 3.102 EUR per il procedimento in cassazione. Quanto al procedimento dinanzi alla Corte, le spese ammonterebbero a 4.301 EUR.
  51. Il Governo sostiene che le spese relative al procedimento interno sono state causate dal procedimento penale in sé e non hanno alcun rapporto con la violazione dell'articolo 6 della Convenzione. Quanto alle spese del procedimento di Strasburgo, il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
  52. Secondo la giurisprudenza costante della Corte, il rimborso delle spese sostenute dal ricorrente può essere concesso solo se sono accertate la realtà, la necessità ela ragionevolezza del loro tasso (si vedano, tra molte altre, Belziuk c/Polonia, sentenza del 25 marzo 1998, Recueil 1998-II, p. 573, § 49, e Sardinas Albo c/Italia, n. 56271/00, § 110, 17 febbraio 2005).
  53. La Corte osserva che durante il procedimento nazionale il ricorrente ha invocato più volte il diritto d'interrogare i testimoni a carico. Essa ritiene pertanto che le spese sostenute dinanzi agli organi giurisdizionali interni siano state in parte sostenute per riparare alla violazione constatata e debbano essere rimborsate (si veda, a contrario, la sentenza Serre c/Francia, n. 29718/96, § 29, 29 settembre 1999, non pubblicata). E' pertanto opportuno concedergli 3.000 EUR a questo titolo. Inoltre, la Corte ritiene ragionevole concedergli la somma richiesta per il procedimento dinanzi alla Corte. Di conseguenza, deliberando secondo equità, la Corte decide di concedere al ricorrente la somma di 7.300 EUR.

    Interessi moratori
  54. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d'interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITA',

  1. Rigetta l'eccezione del Governo;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 §§ 1 e 3 d) della Convenzione;
  3. Dichiara che la constatazione di una violazione fornisce di per sé un'equa soddisfazione sufficiente per il danno subito dal ricorrente;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44§2 della Convenzione, 7.300 EUR (settemilatrecento euro) a titolo di rimborso delle spese, oltre ad ogni importo che possa essere dovuto a titolo d'imposta;
    2. che a partire dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione nel resto.

Redatto in francese, poi comunicato per iscritto il 19 ottobre 2006 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Soren Nielsen
Cancelliere

Christos Rozakis
Presidente