Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 19 ottobre 2006 - Ricorso n. 68610/01 - Gautieri e altri c/Italia

Diritto alla protezione della proprietà - Espropriazione indiretta - Diritto alla durata ragionevole del procedimento - Ristoro ex legge Pinto - Violazione art. 1 Protocollo n. 1 e art. 6, §1, della Cedu.

L'espropriazione indiretta viola il principio di legalità in quanto non in grado di garantire un livello sufficiente di sicurezza giuridica e poiché permette in generale all'amministrazione di eludere le norme fissate in materia di espropriazione, essendo finalizzata a convalidare una situazione di fatto derivante dagli illeciti commessi dall'amministrazione, e disciplinando le conseguenze per il privato e per l'amministrazione a beneficio di quest'ultima. Per essere compatibile con l'articolo n. 1 del Protocollo n. 1, l'ingerenza delle pubbliche autorità deve mantenere un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e gli obblighi di tutela dei diritti fondamentali dell'individuo. Incongruità della somma accordata ex legge Pinto rispetto ai parametri giurisprudenziali elaborati dalla Corte.

SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA
TERZA SEZIONE
CAUSA GAUTIERI E ALTRI c. ITALIA (Ricorso n. 68610/01)

SENTENZA
STRASBURGO, 19 ottobre 2006
 
La presente sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrà subire delle modifiche nella forma.

Nella causa Gautieri e altri c. Italia,
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (terza sezione), riunita in una camera composta da:

B.M.Zupančič, presidente,
J.Hedigan,
V.Zagrebelsky,
A.Gyulumyan,
E.Myjer,
I.Ziemele,
I.Berro-Lefevre,giudici,
e da V.Berger,cancelliere di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 28 settembre 2006,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in quest'ultima data:

PROCEDURA
  1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 68610/01) presentato contro la Repubblica italiana e con cui cinque cittadini di tale Stato, la sig.ra Antonia Gautieri, la sig.ra Maria Gautieri, il sig. Donato Gautieri, il sig. Giuseppe Gautieri e la sig.ra Rosa Gautieri («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 2 aprile 2001 ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali («la Convenzione»).
  2. I ricorrenti sono rappresentati dall'avv. G. Romano del foro di Benevento. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo agente, I. M. Braguglia, dal suo coagente, F. Crisafulli, e dal suo coagente aggiunto, N. Lettieri.
  3. Il 19 febbraio 2004, la Corte (prima sezione) ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Avvalendosi dell'articolo 29 § 3, essa ha deciso che sarebbero stati esaminati contemporaneamente l'ammissibilità e la fondatezza della causa.
  4. Il 1° novembre 2004 la Corte ha modificato la composizione delle sue sezioni (articolo 25 § 1 del regolamento). Il presente ricorso è stato assegnato alla terza sezione nella sua nuova composizione (articolo 52 § 1).

    IN FATTO

    I - LE CIRCOSTANZE DELLA CAUSA
     
  5. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1930, 1928, 1933, 1924 e 1915 e sono residenti rispettivamente a Calitri (Avellino) e Rome.
  6. I ricorrenti erano comproprietari di un terreno edificabile situato a Calitri e iscritto al catasto, foglio 61, parcelle 334 e 526.
  7. Con decreto ministeriale in data 3 febbraio 1983, un gruppo di imprese fu autorizzato a occupare d'urgenza una parte di tale terreno, ossia 3.220 metri quadrati, ai fini della sua espropriazione per causa di pubblica utilità, per costruirvi edifici industriali. Ai sensi di tale decreto, l'occupazione doveva iniziare entro due mesi a decorrere dalla notifica del decreto stesso.
  8. Il 17 luglio 1984 il gruppo di imprese precedette all'occupazione materiale del terreno e iniziò i lavori di costruzione.

    Il procedimento avviato a seguito dell'occupazione del terreno
     
  9. Con atto di citazione notificato il 20 settembre 1984 i ricorrenti presentarono un'azione di risarcimento contro il gruppo di imprese dinanzi al tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi. Essi affermarono che l'occupazione era illegale, dato che era stata effettuata oltre il termine autorizzato senza che si fosse proceduto all'espropriazione formale e al pagamento di una indennità, e chiedevano un risarcimento per la perdita del terreno.
  10. Durante il processo, fu depositata in cancelleria una prima perizia. Secondo il perito, il valore commerciale del terreno il 17 luglio 1984, ossia al momento della sua occupazione, era di 50.000 ITL il metro quadrato.
  11. Una seconda perizia fu depositata in cancelleria durante il processo. Secondo il perito, il valore commerciale del terreno occupato era di 15.000 ITL il metro quadrato nel 1983 e di 25.000 ITL il metro quadrato nel 1989.
  12. Con sentenza in data 6 aprile 1993, depositata in cancelleria il 21 aprile 1993, il tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi dichiarò che l'occupazione del terreno era stata illegale fin dall'inizio, poiché aveva avuto luogo dopo la scadenza del termine fissato dal decreto ministeriale. Tuttavia, i ricorrenti dovevano considerarsi privati del loro terreno per effetto della costruzione degli edifici industriali, in virtù del principio dell'espropriazione indiretta.
  13. Alla luce di queste considerazioni, il tribunale condannò il gruppo di imprese a versare ai ricorrenti un risarcimento pari al valore commerciale del terreno nel 1984, che il tribunale stimò in 32.200.000 ITL, più la rivalutazione e gli interessi
  14. Con atto notificato il 21 aprile 1994 i ricorrenti interposero appello avverso detta sentenza dinanzi alla corte d'appello di Napoli, contestando in particolare la stima del valore commerciale del terreno da parte del tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi.
  15. Con sentenza depositata in cancelleria il 16 novembre 1998 la corte d'appello di Napoli rigettò l'appello dei ricorrenti, confermando in particolare la stima del valore commerciale del terreno effettuata dal tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi.
  16. Con atto notificato il 30 dicembre 1999, i ricorrenti presentarono ricorso per cassazione.
  17. Con sentenza depositata in cancelleria il 19 aprile 2002 la Corte di cassazione respinse il ricorso dei ricorrenti.

    Il ricorso Pinto
  18. Con ricorso depositato in cancelleria il 10 luglio 2001 i ricorrenti adirono la corte d'appello di Roma ai sensi della legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto», lamentandosi per la durata del procedimento sopra descritto. Essi chiesero alla corte d'appello di affermare che vi era stata una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare lo Stato italiano a versare 30.000.000 ITL a ciascuno dei ricorrenti, a titolo di risarcimento per i danni materiali e morali subiti.
  19. Con decisione depositata in cancelleria il 22 novembre 2001 la corte d'appello di Roma constatò che era stata superata la durata ragionevole. La corte rigettò la richiesta relativa al danno materiale in assenza di elementi a sostegno della stessa, e accordò la somma di 6.000.000 ITL (ossia circa 3.098 EUR) a ciascuno dei ricorrenti a titolo di riparazione del danno morale e 4.000.000 ITL (ossia circa 2.065 EUR) per le spese.
  20. Con atto notificato il 28 marzo 2002 i ricorrenti presentarono ricorso per cassazione, contestando in particolare l'importo del risarcimento accordato dalla corte d'appello.
  21. Con sentenza depositata in cancelleria il 17 ottobre 2003 la Corte di cassazione respinse il ricorso dei ricorrenti.
  22. Dal fascicolo risulta che il 2 dicembre 2004 i ricorrenti hanno ottenuto il versamento dell'indennità.

    II - IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
     
  23. Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza Serrao c. Italia (n. 67198/01, 13 ottobre 2005).

    IN DIRITTO

    I - SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1
  24. I ricorrenti affermano di essere stati privati del loro terreno in circostanze incompatibili con l'articolo 1 del Protocollo n. 1, che recita:
    «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

    Sull'ammissibilità
  25. Il Governo solleva un'eccezione di superamento dei termini basata su due elementi.
  26. In primo luogo, esso sostiene che la sentenza del tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi è passata in giudicato per quanto riguarda la constatazione del trasferimento della proprietà del terreno in base al principio dell'espropriazione indiretta. Il termine di sei mesi previsto dall'articolo 35 della Convenzione è iniziato a decorrere dal momento del trasferimento della proprietà, che deve necessariamente essere anteriore al 6 aprile 1993, data in cui il tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi ha pronunciato la sentenza in questione.
  27. In Secondo luogo il Governo sostiene che, qualora si ritenesse che è necessaria una decisione delle giurisdizioni interne per garantire l'applicazione del principio dell'espropriazione indiretta, sono trascorsi più di sei mesi dalla sentenza del 6 aprile 1993, con la quale il tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi ha dichiarato il trasferimento di proprietà.
  28. I ricorrenti si oppongono all'eccezione del Governo.
  29. La Corte ricorda che ha rigettato eccezioni simili nelle cause La Rosa e altri c. Italia (n. 2), ((dec.), n. 58274/00, 1° aprile 2004), La Rosa e altri c. Italia (n. 3), ((dec.), n. 58386/00, 1° aprile 2004), Carletta c. Italia, ((dec.), n. 63861/00, 1° aprile 2004), Donati c. Italia, ((dec.), n. 63242/00, 13 maggio 2004), Maselli c. Italia (n. 2) ((dec.), n. 61211/00, 27 maggio 2004) e Chirò c. Italia (n. 2) ((dec.), n. 65137/01, 27 maggio 2004). Essa non vede alcun motivo per derogare alle sue precedenti conclusioni e rigetta pertanto i due elementi dell'eccezione in questione.
  30. LaCorte constata che il motivo non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Essa rileva inoltre che tale motivo non si scontra con nessun altra causa di inammissibilità. È pertanto opportuno dichiararlo ammissibile.

    Sul merito
    Argomenti delle parti
    Il Governo
  31. Il Governo fa notare che, nella fattispecie, si tratta di una occupazione di terreno effettuata nell'ambito di un procedimento amministrativo basato su una dichiarazione di pubblica utilità. Esso ammette che la procedura di espropriazione non è stata realizzata nei termini previsti dalla legge, non essendo stato adottato alcun decreto di espropriazione.
  32. In primo luogo, vi sarebbe pubblica utilità, il che non è stato rimesso in discussione dalle giurisdizioni nazionali.
  33. In secondo luogo, la privazione del bene che deriva dall'espropriazione indiretta sarebbe «prevista dalla legge». Secondo il Governo, il principio dell'espropriazione indiretta deve essere considerato parte del diritto positivo già a partire dalla sentenza della Corte di cassazione n. 1464 del 1983. La giurisprudenza successiva avrebbe confermato questo principio e precisato alcuni aspetti della sua applicazione e, inoltre, tale principio sarebbe stato riconosciuto dalla legge n. 458 del 27 ottobre 1988 e dalla legge finanziaria n. 662 del 1996.
  34. Secondo il Governo, di conseguenza, a partire dal 1983 le norme in materia di espropriazione indiretta erano perfettamente prevedibili, chiare e accessibili a tutti i proprietari di terreni.
  35. A tale riguardo, il Governo ricorda che la giurisprudenza della Corte ha riconosciuto che la nozione di legge comprende i principi generali dalla stessa enunciati o sottintesi (Maestri c. Italia, n. 39748/98, 17 febbraio 2004, e N. F. c. Italia, 37119/97, 2 agosto 2001).
  36. Di conseguenza, la giurisprudenza della Corte di cassazione non può essere esclusa dalla nozione di legge ai sensi della Convenzione.
  37. Per quanto riguarda la qualità della legge, il Governo ammette che il fatto che non sia stato pronunciato un decreto di espropriazione costituisce di per sé un'inosservanza delle norme che regolano il procedimento amministrativo.
  38. Tuttavia, considerato che il terreno è stato trasformato in maniera irreversibile con la costruzione di un'opera di pubblica utilità, la restituzione del terreno non è più possibile.
  39. Il Governo definisce l'espropriazione indiretta come il risultato di una interpretazione sistematica da parte dei giudici di principi esistenti, volti a garantire che l'interesse generale prevalga sull'interesse dei privati quando l'opera pubblica è stata realizzata (trasformazione del terreno) e risponde alla pubblica utilità.
  40. Per quanto riguarda l'esigenza di garantire un giusto equilibrio tra il sacrificio imposto ai privati e la compensazione accordata a questi ultimi, il Governo riconosce che l'amministrazione è tenuta a risarcire gli interessati.
  41. Considerato che l'espropriazione indiretta risponde a un interesse collettivo e che l'illecito commesso dall'amministrazione riguarda solo la forma, ossia una inosservanza delle norme che regolano il procedimento amministrativo, il risarcimento può essere inferiore al danno subito.
  42. La fissazione dell'importo del risarcimento in questione rientra nel margine discrezionale lasciato agli Stati per stabilire un indennizzo che sia ragionevolmente collegato al valore del bene. Il Governo sostiene in ogni caso che i criteri di valutazione del risarcimento fissati dalla legge finanziaria n. 662 del 1996 non sono stati applicati nella fattispecie.
  43. Alla luce di queste considerazioni, il Governo conclude che il giusto equilibrio è stato rispettato e che la situazione denunciata è compatibile sotto tutti i punti vista con l'articolo I del Protocollo n. 1.

    I ricorrenti
  44. I ricorrenti si oppongono alla tesi del Governo.
  45. Essi fanno notare che l'espropriazione indiretta è un meccanismo che permette all'autorità pubblica di acquisire un bene in modo assolutamente illegale.
  46. Gli stessi denunciano una mancanza di chiarezza, prevedibilità e precisione nei principi e nelle disposizioni applicate alla loro causa, in quanto un principio giurisprudenziale, come quello dell'espropriazione indiretta, non basta a soddisfare il principio di legalità.

    Valutazione della Corte
    Sull'esistenza di un'ingerenza
  47. La Corte ricorda che, per determinare se vi è stata «privazione di beni», bisogna non solo esaminare se vi siano stati spossessamento o espropriazione formale, ma anche guardare oltre le apparenze e analizzare la realtà della situazione controversa. Poiché la Convenzione mira a tutelare diritti «concreti ed effettivi», è importante analizzare se la situazione in questione equivalesse ad una espropriazione di fatto (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, sentenza del 23 settembre 1982, serie A n. 52, pp. 24-25, § 63).
  48. La Corte osserva che, applicando il principio dell'espropriazione indiretta, le giurisdizioni interne hanno considerato i ricorrenti privati del loro bene a causa della trasformazione irreversibile di quest'ultimo. In assenza di un atto formale di espropriazione, la constatazione di illegalità da parte del giudice è l'elemento che rende valido il trasferimento al patrimonio pubblico del bene occupato. In queste circostanze, la Corte conclude che la sentenza della Corte di cassazione ha avuto l'effetto di privare i ricorrenti del loro bene ai sensi del secondo paragrafo del l'articolo 1 del Protocollo n. 1 (Carbonara e Ventura già cit. § 61, e Brum?rescu c. Romania (GC), n. 28342/95, § 7, CEDU 1999-VII).
  49. Per essere compatibile con l'articolo 1 del Protocollo n. 1, una ingerenza deve essere operata «per causa di pubblica utilità» e «nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali di diritto internazionale». L'ingerenza deve mantenere un «giusto equilibrio» tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e gli obblighi di tutela dei diritti fondamentali dell'individuo (Sporrong e Lönnroth, già cit., p. 26, § 69). Inoltre, la necessità di esaminare la questione del giusto equilibrio «può sorgere solo quando è stato accertato che l'ingerenza in questione ha rispettato il principio di legalità e non era arbitraria» (Iatridis c. Grecia (GC), n. 31107/96, § 58, CEDU 1999?II, e Beyeler c. Italia (GC), n. 33202/96, § 107, CEDU 2000-I).
  50. Pertanto, la Corte non ritiene opportuno basare il suo ragionamento sulla semplice valutazione dell'importo del risarcimento accordato ai ricorrenti (Carbonara e Ventura, già cit., § 62).

    Sul rispetto del principio di legalità
  51. La Corte rinvia alla sua giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000?VI, eCarbonara e Ventura c. Italia, n. 24638/94, CEDU 2000?VI; tra le sentenze più recenti, v. Acciardi e Campagna c. Italia, n. 41040/98, 19 maggio 2005, Pasculli c. Italia, n. 36818/97, 17 maggio 2005, Scordino c. Italia (n. 3), n. 43662/98, 17 maggio 2005, Serrao c. Italia, n. 67198/01, 13 ottobre 2005, La Rosa e Alba c. Italia (n. 1), n. 58119/00, 11 ottobre 2005, e Chirò c. Italia (n. 4), n. 67196/01, 11 ottobre 2005), secondo la quale l'espropriazione indiretta viola il principio di legalità in quanto non in grado di garantire un livello sufficiente di sicurezza giuridica e poiché permette in generale all'amministrazione di eludere le norme fissate in materia di espropriazione. In effetti, in tutti i casi, l'espropriazione indiretta mira a convalidare una situazione di fatto derivante dagli illeciti commessi dall'amministrazione, a disciplinare le conseguenze per il privato e per l'amministrazione a beneficio di quest'ultima.
  52. Nella presente causa la Corte osserva che, nell'applicare il principio dell'espropriazione indiretta, le giurisdizioni italiane hanno considerato i ricorrenti come privati del loro bene a causa della trasformazione irreversibile di quest'ultimo, dato che sussistevano le condizioni di illegalità dell'occupazione e di interesse pubblico dell'opera. In assenza di un atto formale di espropriazione, la Corte ritiene che tale situazione non può essere considerata «prevedibile», poiché solo in presenza della decisione giudiziaria definitiva si può considerare che il principio dell'espropriazione indiretta è stato effettivamente applicato e che l'acquisizione del terreno al patrimonio pubblico è stata convalidata. Di conseguenza, i ricorrenti hanno avuto la «sicurezza giuridica» riguardo alla privazione del terreno solo il 19 aprile 2002, data in cui la sentenza della Corte di cassazione è stata depositata in cancelleria.
  53. La Corte osserva poi che la situazione in questione ha permesso all'amministrazione di trarre vantaggio da un'occupazione di terreno illegale. In altri termini, l'amministrazione ha potuto appropriarsi il terreno a scapito delle norme che regolano l'espropriazione effettuata in buona e debita forma e, tra l'altro, senza che fosse parallelamente messo a disposizione degli interessati un risarcimento.
  54. Alla luce di queste considerazioni, la Corte ritiene che l'ingerenza in questione non è compatibile con il principio di legalità e che, pertanto, essa ha violato il diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti.
  55. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1.
     
    II - SULLE PRESUNTE VIOLAZIONI DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
    Equità della procedura
  56. I ricorrenti si lamentano in sostanza per la mancanza di equità del procedimento dinanzi alle giurisdizioni interne, sostenendo che la stima del valore commerciale del terreno effettuata da queste ultime non corrisponderebbe al valore effettivo dello stesso. Considerato il contenuto di questo motivo di ricorso, la Corte ritiene che esso debba essere analizzato sotto il profilo dell'articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, recita:
    «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (&) da un tribunale (&) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (&)»
  57. La Corte ricorda che essa non ha il compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne. Sono anzitutto le autorità nazionali, in particolare le corti e i tribunali, a dover interpretare la legislazione interna e giudicare i fatti (v., tra molte altre, le sentenze Brualla Gómez de la Torre c. Spagna, sentenza del 19 dicembre 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997?VIII, p. 2955, § 31, e Edificaciones March Gallego S.A. c. Spagna, sentenza del 19 febbraio 1998, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998?I, p. 290, § 33). Il compito della Corte consiste nello stabilire se il procedimento considerato nel suo insieme abbia rivestito un carattere di equità (v., tra le altre, la sentenza Van Mechelen e altri c. Olanda del 23 aprile 1997, Raccolta 1997-III, p. 711, § 50).
  58. Nella fattispecie, la Corte osserva che le giurisdizioni interne hanno stimato il valore commerciale del terreno in seguito a un procedimento in contraddittorio e sulla base di perizie depositate in cancelleria nel corso del processo. Inoltre, nelle decisioni giudiziarie messe in discussione dai ricorrenti tutti i punti controversi sono stati ampiamente motivati, il che permette di scartare qualsiasi rischio di arbitrarietà.
  59. Di conseguenza, questo motivo deve essere rigettato in quanto manifestamente infondato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    Durata del procedimento
  60. I ricorrenti sostengono che il procedimento avviato al fine di ottenere un risarcimento per la perdita del terreno ha violato il principio del «termine ragionevole» enunciato all'articolo 6 § 1 della Convenzione, che recita:
    «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (&) entro un termine ragionevole, da un tribunale (&) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (&)»
  61. I ricorrenti si lamentano per l'importo del risarcimento accordato nell'ambito del ricorso «Pinto» che essi hanno intentato a livello nazionale, e chiedono alla Corte di concludere che vi è stata violazione della disposizione citata.
  62. Il Governo sostiene anzitutto che la recente giurisprudenza della Corte di cassazione ha definitivamente uniformato la giurisprudenza interna ai principi derivanti dalla giurisprudenza di Strasburgo.
  63. Inoltre, il Governo sostiene che la somma accordata ai ricorrenti dalla corte d'appello di Roma sarebbe adeguata alla violazione subita e che, in ogni caso, anche ammettendo che tale somma non sia conforme ai criteri indicati dalla giurisprudenza di Strasburgo, si tratterebbe di un errore legato alla valutazione della presente causa, che non avrebbe alcun impatto sull'effettività di questo mezzo di ricorso.
  64. Riferendosi ai principi in materia di «vittima» nell'ambito delle durate eccessive dei procedimenti (Scordino c. Italia(n.1), (GC), n. 36813/97, §§178-207, CEDU 2006-), la Corte osserva che la somma accordata dalla corte d'appello nella fattispecie rappresenta circa il 31 % di quanto viene generalmente accordato dalla Corte in cause italiane analoghe. Questo elemento di per sé porta ad un risultato manifestamente non ragionevole rispetto alla sua giurisprudenza e ai principi sui quali quest'ultima è basata. Inoltre, la Corte ritiene inammissibile che i ricorrenti abbiano dovuto attendere più di tre anni dopo il deposito della decisione in cancelleria per ricevere il loro risarcimento.
  65. La Corte ritiene che il periodo da considerare è iniziato il 20 settembre 1984, con la notifica da parte dei ricorrenti dell'atto di citazione dinanzi al tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi, e si è concluso il 19 aprile 2002, data del deposito in cancelleria della sentenza della Corte di cassazione. Pertanto, esso è durato più di diciassette anni per tre gradi di giudizio.
  66. La Corte ricorda di aver concluso in quattro sentenze pronunciate contro l'Italia il 28 luglio 1999 (Bottazzi c. Italia (GC), n. 34884/97, § 22, CEDU 1999-V, Ferrari c. Italia (GC), n. 33440/96, § 21, 28 luglio 1999, A.P. c. Italia (GC), n. 35265/97, § 18, 28 luglio 1999, e Di Mauro c. Italia (GC), n. 34256/96, § 23, CEDU 1999-V) che esiste una prassi in Italia incompatibile con la Convenzione.
  67. Essa ricorda inoltre di avere affermato in nove sentenze pronunciate contro l'Italia il 29 marzo 2006 (Scordino (n. 1), già cit., § 224, Cocchiarella c. Italia (GC), n. 64886/01, § 119, CEDU 2006-..., Musci c. Italia (GC), n. 64699/01, § 119, CEDU 2006-..., Riccardi Pizzati c. Italia (GC), n. 62361/00, § 116, 29 marzo 2006, Giuseppe Mostacciuolo c. Italia (n. 1) (GC), n. 64705/01, § 117, 29 marzo 2006, Giuseppe Mostacciuolo c. Italia(n. 2) (GC), n. 65102/01, § 116, 29 marzo 2006, Apicella c. Italia (GC), n. 64890/01, § 116, 29 marzo 2006, Ernestina Zullo c. Italia (GC), n. 64897/01, § 121, 29 marzo 2006, e Giuseppina e Orestina Procaccini c.Italia (GC), n. 65075/01, § 117, 29 marzo 2006) che la situazione dell'Italia per quanto riguarda i ritardi nell'amministrazione della giustizia non è cambiata in misura sufficiente per rimettere in discussione il giudizio secondo cui l'accumulo di violazioni è costitutivo di una prassi incompatibile con la Convenzione.
  68. Alla luce di queste considerazioni, la Corte ritiene che questo motivo debba essere dichiarato ammissibile.
  69. Il fatto che il procedimento «Pinto» esaminato nel suo insieme non abbia fatto perdere ai ricorrenti la loro qualità di «vittime» costituisce una circostanza aggravante in un contesto di violazione dell'articolo 6 § 1 per superamento del termine ragionevole. La Corte sarà dunque portata a ritornare sulla questione sotto il profilo dell'articolo 41.
  70. Dopo aver esaminato i fatti alla luce delle informazioni fornite dalle parti e della prassi sopra citata, e tenuto conto della propria giurisprudenza inmateria, la Corte ritiene che, nella fattispecie, la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all'esigenza del «termine ragionevole».
  71. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1.

    III - SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
  72. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,
    «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa»

    Sul risarcimento chiesto per la privazione del terreno
  73. A titolo di danno materiale, i ricorrenti chiedono in via principale la restituzione del terreno. Inoltre, essi chiedono il versamento di una indennità per il mancato godimento del terreno, senza tuttavia quantificarla.
  74. In via subordinata, qualora la restituzione non fosse possibile, essi chiedono il versamento di 60.420 EUR ciascuno, somma corrispondente al valore del terreno al momento dell'occupazione, più gli interessi e la rivalutazione. In ogni caso, essi chiedono alla Corte di disporre una perizia qualora fosse messa in discussione la loro valutazione del risarcimento.
  75. Per quanto riguarda il danno morale, i ricorrenti chiedono la somma di 30.000 EUR ciascuno.
  76. Infine, i ricorrenti chiedono il rimborso delle spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte, per un importo totale di 13.958,35 EUR, che include la tassa sul valore aggiunto (TVA) e i contributi alla cassa di previdenza degli avvocati (CPA).
  77. Quanto al danno materiale, il Governo contesta le modalità di calcolo del danno materiale utilizzate nelle sentenze sopra citate Carbonara e Ventura c. Italia e Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia e ritiene che in ogni caso la somma richiesta dai ricorrenti è eccessiva, dato che il tribunale ha accordato agli stessi una somma equivalente al valore commerciale del terreno nel 1984.
  78. Per quanto riguarda il danno morale, il Governo sostiene che la somma richiesta dai ricorrenti è eccessiva.
  79. Quanto alle spese processuali, il Governo afferma che i ricorrenti non hanno fornito elementi a sostegno della loro richiesta, e che in ogni caso la somma richiesta è eccessiva.
  80. La Corte ritiene che la questione dell'applicazione dell'articolo 41 per quanto riguarda la constatazione di violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 non è risolta. Di conseguenza, si riserva di trattare questo punto e fisserà l'udienza successiva, tenuto conto della possibilità che il Governo e i ricorrenti giungano a un accordo.

    Sul risarcimento chiesto per la durata del procedimento
  81. I ricorrenti stimano in 23.757 EUR la riparazione del danno morale subito da ciascuno di essi a causa della durata del procedimento.
  82. Quanto alle spese processuali, i ricorrenti rinviano alla somma richiesta a questo titolo nell'ambito della domanda di riparazione della violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1.
  83. Il Governo fa sapere che le giurisdizioni interne hanno riconosciuto ai ricorrenti un risarcimento conforme ai criteri fissati dalla giurisprudenza della Corte.
  84. Per quanto riguarda la riparazione del danno morale, considerati gli elementi della presente causa (paragrafi 65-71 supra), la Corte ritiene che, in mancanza di vie di ricorso interne, essa avrebbe accordato la somma di 10.000 EUR. Poiché a ciascuno dei ricorrenti sono stati accordati circa 3.098 EUR, considerate le caratteristiche della via di ricorso scelta dall'Italia e tenuto conto che essa è giunta ad una constatazione di violazione, la Corte, deliberando equamente, ritiene che ai ricorrenti dovrebbero essere accordati 1.400 EUR ciascuno. Inoltre, la Corte accorda 3.000 EUR a ciascuno dei ricorrenti per l'ulteriore frustrazione derivante dal ritardo nel versamento della somma dovuta dallo Stato.
  85. Pertanto i ricorrenti hanno diritto, a titolo di riparazione del danno morale, alla somma di 4.400 EUR ciascuno, ossia 22.000 EUR in totale, più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma.
  86. Quanto alle spese sostenute nell'ambito della constatazione di violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione, la Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza consolidata, l'attribuzione delle spese a titolo dell'articolo 41 presuppone che ne siano accertate la realtà, la necessità e l'importo ragionevole. Inoltre, le spese di giustizia sono recuperabili solo nella misura in cui esse si riferiscono alla violazione constatata (v., ad esempio, Beyeler c. Italie (equa soddisfazione) (GC), n. 33202/96, § 27, 28 maggio 2002, e Sahin c. Germania (GC), n. 30943/96, § 105, CEDU 2003?VIII).
  87. Se la Corte non dubita della necessità delle spese reclamate, né che esse siano state effettivamente sostenute a questo titolo, essa ritiene nondimeno eccessivi gli onorari rivendicati per il procedimento a Strasburgo, e considera pertanto che sia opportuno rimborsarli solo in parte. Tenuto conto delle circostanze della causa, essa accorda ai ricorrenti la somma di 1.500 EUR in totale, più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma.

    Interessi moratori
  88. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.



PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ

  1. Dichiara ammissibili i motivi di ricorso relativi alla privazione della proprietà e alla durata eccessiva del procedimento e inammissibile il resto del ricorso;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione a causa della durata del procedimento;
  4. Dichiara, per quanto riguarda la violazione del Protocollo n. 1, che la questione dell'applicazione dell'articolo 41 della Convenzione non è risolta; di conseguenza,
    1. se la riserva per intero;
    2. invita il Governo e i ricorrenti a rivolgerle per iscritto, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza diventerà definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, le loro osservazioni su questa questione e in particolare a informarla di ogni eventuale accordo a cui gli stessi possano giungere;
    3. si riserva il successivo procedimento e delega al presidente della camera l'incarico di fissarlo all'occorrenza;
  5. Dichiara, per quanto riguarda la violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione,
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza diventerà definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 22.000 EUR (ventiduemila euro) per il danno morale;
      2. 1.500 EUR (millecinquecento euro) per le spese;
      3. l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su dette somme;
    2. che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento tali somme dovranno essere maggiorate di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali; 
  6. Rigetta, per quanto riguarda la constatazione di violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatto in francese e poi comunicato per iscritto il 19 ottobre 2006 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Vincent Berger
Cancelliere

Boatjan M. Zupančič
Presidente

Il caso trae origine da un ricorso presentato da cinque cittadini italiani, i quali erano comproprietari di un terreno edificabile una cui consistente parte fu occupata d'urgenza da un gruppo di imprese all'uopo autorizzato, ai fini della sua espropriazione per pubblica utilità e nella fattispecie per la costruzione di edifici industriali.
I ricorrenti presentarono un'azione di risarcimento per la perdita del terreno, affermando che l'occupazione era illegale, poiché era stata effettuata oltre il termine autorizzato senza che si fosse proceduto all'espropriazione formale e al pagamento di una indennità. Essi percorsero tutti i gradi di giudizio e, nella pendenza del ricorso in Cassazione, adirono altresì la Corte d'Appello competente ai sensi della "legge Pinto", a causa della eccessiva durata del procedimento che, in tutto, durò diciassette anni per tre gradi di giudizio.
Trattasi di un caso di espropriazione indiretta, anche definita accessione invertita, in cui la Corte EDU ha ritenuto esservi stata una violazione dell'art. 1 Protocollo n. 1 della CEDU in base alla sua consolidata giurisprudenza in materia, secondo la quale l'espropriazione indiretta viola il principio di legalità in quanto non in grado di garantire un livello sufficiente di sicurezza giuridica e poiché permette in generale all'amministrazione di eludere le norme fissate in materia di espropriazione, essendo finalizzata a convalidare una situazione di fatto derivante dagli illeciti commessi dall'amministrazione, e disciplinando le conseguenze per il privato e per l'amministrazione a beneficio di quest'ultima. (Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000 VI, e Carbonara e Ventura c. Italia, n. 24638/94, CEDU 2000 VI; tra le sentenze più recenti, v. Acciardi e Campagna c. Italia, n. 41040/98, 19 maggio 2005, Pasculli c. Italia, n. 36818/97, 17 maggio 2005, Scordino c. Italia (n. 3), n. 43662/98, 17 maggio 2005, Serrao c. Italia, n. 67198/01, 13 ottobre 2005, La Rosa e Alba c. Italia (n. 1), n. 58119/00, 11 ottobre 2005, e Chirò c. Italia (n. 4), n. 67196/01, 11 ottobre 2005).
Secondo la Corte per essere compatibile con l'articolo n. 1 del Protocollo n. 1, l'ingerenza delle pubbliche autorità deve mantenere un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e gli obblighi di tutela dei diritti fondamentali dell'individuo. Nella fattispecie la Corte, ritenendo che l'amministrazione aveva potuto appropriarsi del terreno a scapito delle norme che regolano l'espropriazione effettuata in buona e debita forma e, tra l'altro, senza che fosse parallelamente messo a disposizione degli interessati un risarcimento, ha concluso che l'ingerenza in questione non è stata compatibile con il principio di legalità e che pertanto vi è stata violazione del diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti.
Ulteriore motivo di doglianza da parte dei ricorrenti era stato la violazione dell'art. 6, §1, per inosservanza del termine ragionevole del processo e, nel contesto di tale doglianza, altresì l'inadeguatezza del risarcimento accordato loro dal decreto emesso ex legge Pinto.
In merito la Corte ha ritenuto esservi stata violazione dell'art. 6 §1 della Convenzione, per superamento del termine ragionevole del procedimento, in base alla sua precedente giurisprudenza in materia con particolare riferimento ai parametri in proposito enunciati nelle nove sentenze della Grande Camera del 29.3.2006 (Scordino c/Italia e altre 8 sentenze), dal momento che la somma accordata nella fattispecie dalla Corte d'Appello rappresentava circa il 31% di quanto generalmente viene accordato dalla Corte in cause italiane analoghe, allontanandosi notevolmente dallo "scostamento tollerato", come stabilito nei medesimi parametri giurisprudenziali.