Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 21 novembre 2006 - Ricorso n. 10427/02 - Roda e Bonfatti c/Italia

CAUSA RODA E BONFATTI c. ITALIA
(Ricorso n. 10427/02)

SENTENZA

STRASBURGO
21 novembre 2006


La presente sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrà subire delle modifiche nella forma.

Nella causa Roda e Bonfatti c. Italia,

La Corte europea dei Diritti dell'Uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:

J.-P. COSTA, presidente,

A.B. BAKA,
I. CABRAL BARRETO,
A. MULARONI, nominata a titolo dell'Italia,
E. FURA-SANDSTRÖM,
D. JOCIENE,
D. POPOVIC, giudici,

e da S. NAISMITH, cancelliere aggiunto di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 7 novembre 2006,

Pronuncia la seguente sentenza, adottata in quest'ultima data:

PROCEDURA

  1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 10427/02) presentato contro la Repubblica italiana e con cui due cittadini di tale Stato, la Sig.ra Daniela Roda e il Sig. Matteo Bonfatti ("i primi due ricorrenti"), che agiscono anche in nome di S.B., loro figlia e sorella, hanno adito la Corte rispettivamente il 21 e il 23 gennaio 2002, ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali ("la Convenzione").
  2. I ricorrenti sono rappresentati dall'avv. D. Paltrinieri del foro di Mirandola (Modena). Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, I.M. Braguglia, e dal suo co-agente, F. Crisafulli.
  3. Il 13 dicembre 2004 la seconda sezione ha deciso di informare il Governo del ricorso. Avvalendosi delle disposizioni dell'articolo 29 § 3, essa ha deciso che sarebbero state esaminate nel contempo l'ammissibilità e la fondatezza della causa.

    IN FATTO
    Le circostanze della presente causa
  4. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1962, 1979 e 1988. Sono residenti a Finale Emilia, Massa Finalese e Mirandola.

    La presa in carico di S.B.
     
  5. Il 23 ottobre 1998 M., cugina di S.B., confermò dinanzi al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Bologna ("il tribunale per i minorenni), le dichiarazioni fatte ai servizi sociali nell'ambito del programma psicoterapeutico cui era sottoposta dalla primavera dello stesso anno. Essa affermò di avere subito - come il fratello e altri bambini, tra i quali S.B. -, degli abusi sessuali in un'abitazione privata e durante riti satanici in un cimitero, da parte dei suoi genitori e di altri adulti, tra cui la sorella della prima ricorrente e il marito, nonché M.B., marito della sig.ra Roda e padre dei suoi figli.
  6. Il 27 ottobre 1998, tenuto conto della "necessità di procedere ad esami approfonditi" sulla minore, la procura chiese al tribunale per i minorenni, ai sensi dell'articolo 330 del codice civile ("CC"):
    • di ordinare l'allontanamento di S.B. dai genitori, il padre "presunto colpevole di abuso" e la madre "come minimo gravemente complice";
    • di ottenere le informazioni necessarie sui genitori;
    • di ordinare che i bambini, per il tramite dell'azienda sanitaria locale ("AUSL") di Mirandola, fossero affidati ad una struttura di accoglienza "protetta", e di far procedere quanto prima alle visite medico-legali e agli esami psicologici allo scopo di verificare se la minore aveva subito abusi sessuali. Il procuratore pregò infine il tribunale di dichiarare gli atti del fascicolo coperti da segreto a causa dei procedimenti penali pendenti.
  7. Deliberando sulla base dell'articolo 336 CC, il 6 novembre 1998 il tribunale per i minorenni dispose, tra l'altro, la sospensione della potestà dei genitori nei confronti della prima ricorrente e del marito, e nominò la AUSL di Mirandola tutore di S.B., incaricando l'ente di affidare la minore ad una struttura "protetta" e di avviare un'indagine psicologica. Esso autorizzò inoltre la AUSL a ricorrere alla forza pubblica per procedere all'allontanamento della bambina.
    Il tribunale considerò attendibili le dichiarazioni di M., poiché la minore aveva iniziato a farle una volta allontanata dalla famiglia e posta in un luogo "protetto"; i risultati delle visite medico-legali avevano confermato gli abusi sessuali, e le sue dichiarazioni coincidevano con quelle di altri bambini. L'allontanamento di S.B. diventava dunque urgente, dato che il padre, alla luce di dette dichiarazioni, sembrava direttamente implicato nei fatti, e la madre per lo meno incapace di offrire la protezione necessaria alla figlia. Il tribunale per i minorenni rilevò anche che, oltre al padre di S.B., altri membri della famiglia della sig.ra Roda erano implicati: la sorella e il marito, nonché il padre di quest'ultimo.
  8. La decisione fu eseguita il mattino del 12 novembre 1998. I ricorrenti affermano che l'allontanamento ebbe luogo alle 6 del mattino. S.B. e la madre furono accompagnate al commissariato di polizia, dove S.B. fu affidata ai servizi sociali e la sig.ra Roda ricevette la notifica della decisione del tribunale per i minorenni. Lo stesso giorno, il tribunale dichiarò gli atti del fascicolo coperti dal segreto.
  9. Il 21 dicembre 1998 furono effettuate due perizie medico-legali in presenza del perito nominato da M.B. Depositate il 13 febbraio 1999, le relazioni concludevano, per quanto riguarda la visita ginecologica, per "l'esistenza di lesioni legate a rapporti sessuali completi, numerosi e reiterati"; per quanto riguarda l'altra visita, per "una forte corrispondenza con l'ipotesi di atti di abusi sessuali che hanno interessato la regione anale".
  10. Il 3 marzo 1999 il perito nominato da M.B. depositò la sua relazione nella quale criticava sotto alcuni aspetti le due relazioni, ma considerava "molto probabile che vi fossero stati abusi sessuali".
  11. I servizi sociali depositarono due rapporti l'8 e il 9 marzo 1999: nel primo, veniva affermato in particolare che, nel corso degli incontri quasi settimanali con S.B., quest'ultima appariva molto chiusa e si rifiutava di eseguire i test e i disegni proposti. Essa parlava spesso della sua famiglia e dei violenti litigi nel corso dei quali il padre percuoteva la madre. Quanto ai risultati delle visite medico-legali, essa aveva dichiarato all'inizio che il medico si era sbagliato, poi che suo padre era l'autore delle violenze, e poi aveva ritrattato. Il secondo rapporto riferiva la presa in carico di S.B. e l'affidamento della stessa a una struttura di accoglienza. S.B. si era inserita velocemente nel nuovo ambiente; tuttavia, dopo le visite medico-legali, aveva iniziato a manifestare dell'aggressività. Sua madre aveva telefonato regolarmente per avere sue notizie. Essa considerava l'allontanamento della figlia come un grave errore, poiché le dichiarazioni di M. erano secondo lei "il frutto della fantasia di una bambina infelice, con dei genitori incapaci (&)". Pur ammettendo che M.B. non era stato un buon padre, essa non lo credeva capace di "fare del male alla figlia".
  12. Il 31 marzo 1999 il tribunale per i minorenni revocò la misura del segreto. Il rinvio a giudizio dinanzi al tribunale penale di Modena delle diciassette persone imputate degli abusi sessuali denunciati da M. risale a questa stessa data.
  13. Il 2 aprile 1999 la prima ricorrente chiese al tribunale per i minorenni, in via principale, di affidarle la custodia della figlia o, in subordine, il ritorno della bambina a casa sua o, in caso contrario, la possibilità di incontrarla.
  14. All'udienza del 7 aprile 1999 i genitori di S.B. smentirono categoricamente le affermazioni dei servizi sociali; la sig.ra Roda ribadì la sua convinzione secondo la quale le perizie medico-legali erano errate. Il 14 aprile la prima ricorrente chiese di nuovo di poter incontrare la figlia.
  15. Il 14 maggio 1999, ritenendo che i genitori di S.B. non avrebbero potuto fornire a quest'ultima la protezione necessaria in una situazione così grave, in attesa dell'esito dell'inchiesta penale in corso, il tribunale per i minorenni considerò impraticabile il ritorno della bambina presso la madre. Esso ordinò una perizia per "verificare la personalità dei genitori e il rapporto tra questi ultimi e la bambina" e di valutare anche l'opportunità di un ritorno di S.B. in famiglia.
  16. Il 25 maggio 1999 la procura espresse un parere sfavorevole alla possibilità di incontri tra padre e figlia, ma favorevole a quelli tra S.B. e la madre, a condizione che avessero luogo in un luogo protetto e in presenza di assistenti sociali. La procura dichiarò tuttavia di opporsi all'affidamento della bambina alla madre, che non era in grado di fornirle la sua "protezione".
  17. Il perito prestò giuramento il 24 giugno 1999.
  18. Il 28 gennaio 2000 il tribunale per i minorenni ricevette un'altra relazione di controllo della situazione redatta dai servizi sociali. Gli assistenti sociali avevano incontrato gli interessati varie volte: una volta la sig.ra Roda insieme al figlio, dodici volte la sig.ra Roda, sette volte il figlio e quattro volte M.B. (dopo la sua scarcerazione). La conclusione della relazione era la seguente: "Risulta con ogni evidenza da questa prima parte della valutazione della situazione che, pur avendo vissuto anni di conflitti tra loro, con accuse gravi e reciproche riguardo al loro comportamento in famiglia, i genitori concordano nel ritenere ingiustificate le decisioni delle giurisdizioni investite della causa in quanto gli elementi di fatto non basterebbero ad affermare che S.B. ha subito un qualsiasi maltrattamento, ad eccezione di una forte sofferenza derivante dalla situazione famigliare, situazione a cui i genitori hanno del resto già posto rimedio separandosi. Su questo punto, i genitori ricevono il sostegno di Matteo."
  19. Il 31 gennaio 2000 il perito ottenne, "in ragione della complessità e del carattere dell'inchiesta", una proroga di quarantacinque giorni per compiere la perizia.
  20. Il 30 marzo 2000 la prima ricorrente reiterò dinanzi al tribunale per i minorenni la propria domanda volta a ottenere la ripresa dei contatti con la figlia, poiché quest'ultima aveva dichiarato il 22 febbraio 2000 dinanzi al tribunale penale di Modena di voler rientrare a casa.
  21. Il 12 aprile 2000 il giudice delegato dal tribunale per i minorenni accordò al perito una nuova proroga di novanta giorni per permettergli di esaminare la videoregistrazione dell'audizione di S.B. del 22 febbraio nonché il nuovo rapporto dei servizi sociali.
  22. Il 7 giugno 2000 il perito consegnò al tribunale per i minorenni le proprie considerazioni relative all'audizione di S.B.:
    "Credo che S.B. sia stata obbligata a crescere in fretta in un ambiente violento e caratterizzato da una mancanza di affetto, in cui i ruoli dei genitori si sono rapidamente irrigiditi con, da una parte, (il ruolo) di persecutore (il padre) e, dall'altra, (quello) di vittima (la madre). Questa situazione ha facilmente potuto portare una bambina matura e sensibile a diventare protettrice di una madre debole, che ha un bisogno estremo di tenerezza e di riconoscimento narcisistico, come mi è sembrata la sig.ra Roda fino ad oggi. (&)
    Credo pertanto che, allo scopo di valutare meglio (&) la qualità dei rapporti affettivi attuali tra (madre e figlia), potrebbe rivelarsi molto utile programmare degli incontri tra le interessate (anche in mia presenza), organizzare una serie di incontri con esse, da sole o insieme".
  23. Il 10 luglio 2000 i servizi sociali fecero pervenire al tribunale per i minorenni il loro rapporto sulla situazione psicologica di S.B. Secondo tale rapporto, la bambina si era dimostrata più spontanea e aperta solo poco prima dell'estate del 1999. Essa aveva iniziato a raccontare alla psicologa che la seguiva che suo padre l'aveva maltrattata, "che lo temeva molto, che egli le aveva davvero fatto male là dove il ginecologo l'aveva visitata (cosa che aveva in seguito ritrattato affermando di non ricordarsi di averlo detto)".
    S.B. non voleva rientrare a casa almeno finché "tutto non fosse sistemato", ma non spiegava mai per quale motivo poiché non voleva che "sua madre andasse in prigione". Dopo l'audizione del 22 febbraio 2000, S.B. aveva affermato di avere paura di ritornare a casa della madre. La bambina aveva raccontato di aver pianto di rabbia alla notizia della condanna del padre e delle altre persone a causa di ciò che aveva subito da parte loro; essa diceva di "odiare" tutti gli uomini poiché aveva imparato ad avere paura di suo padre.
  24. All'esito dell'incontro con la cugina M., S.B. aveva detto alla psicologa che temeva che M. non l'amasse più perché non riusciva a raccontare ciò che era successo loro quando vivevano a Massa Finalese, e che aveva molta paura.
  25. Il 19 luglio 2000 il perito depositò la sua relazione. Egli riferiva di avere esaminato i documenti pertinenti, incontrato e discusso con gli assistenti sociali competenti, e incontrato varie volte M.B e la sig.ra Roda, assistita da un perito privato. Giudicando questo materiale sufficiente per portare a termine il suo lavoro, egli non aveva ritenuto necessario parlare con S.B., evitando in questo modo "una nuova e gratuita situazione traumatizzante". Le considerazioni fatte dai servizi sociali nel loro rapporto del 10 luglio 2000 l'avevano convinto dell'inutilità di organizzare degli incontri tra la madre e la figlia. Il perito concludeva che nessuno dei due genitori aveva.
    "le attitudini sufficienti e le competenze necessarie per esercitare adeguatamente le funzioni di genitore (&). Pur avendo due personalità diverse, essi dimostra(va)no entrambi di essere troppo presi dai loro bisogni per potere riconoscere e occuparsi validamente di quelli, estremamente dolorosi e delicati, della figlia".
  26. Il tribunale per i minorenni accordò poi venti giorni al perito della prima ricorrente per presentare le sue osservazioni sulla relazione peritale del 19 luglio 2000.
  27. Il 4 ottobre 2000 la sig.ra Roda depositò le osservazioni del suo perito e chiese di essere sentita dal tribunale o dal giudice delegato e di poter ottenere la custodia della figlia o la ripresa dei contatti con la fissazione di un calendario di incontri. Il perito criticava apertamente le conclusioni del perito d'ufficio e la sua decisione di non incontrare S.B., sostenendo, tra l'altro, che la situazione psicologica della bambina era il risultato della separazione.
  28. In un rapporto del 16 ottobre 2000, i servizi sociali affermavano che la situazione di S.B. non aveva subito importanti cambiamenti: la bambina era ben integrata nella sua scuola e i suoi risultati scolastici erano soddisfacenti; essa si dimostrava più attiva di quanto fosse di solito. La madre aveva telefonato regolarmente (ogni due o tre settimane) per avere "notizie riguardanti le condizioni psichiche e fisiche della figlia e aveva portato dei vestiti, dei regali e degli articoli scolastici". A parte l'invio di piccoli regali attraverso la madre, "gli zii e la cugina paterni" non avevano mai contattato i servizi sociali per avere informazioni o per parlare di S.B.
  29. Il 17 e il 18 ottobre 2000 il tribunale per i minorenni sentì i responsabili del centro a cui era stata affidata S.B.; secondo gli stessi, la bambina temeva sempre di "aprirsi", "ha(aveva) bisogno di carezze e di contatto fisico ma non riesce(iva) a dimostrare affetto".
  30. Il 20 novembre 2000 il tribunale per i minorenni sentì la sig.ra Roda, che chiese di poter rivedere la figlia "con l'assistenza di persone idonee ad aiutarla" e affermò di non ricevere fotografie o lettere da parte sua. Essa dichiarò, tra l'altro, che se S.B. "avesse subito delle cose, glielo avrebbe detto, ma che non le era stato permesso di parlare alla figlia". Alla prima ricorrente fu accordato un termine di quindici giorni per il deposito di una memoria e di un attestato che dimostrasse che essa seguiva una psicoterapia. Nella sua memoria del 5 dicembre 2000, la prima ricorrente ribadì la propria convinzione che la situazione di chiusura quasi totale della figlia derivasse solo dall'allontanamento che perdurava da due anni.
  31. Anche M.B era stato sentito dal tribunale per i minorenni il 27 novembre 2000. In una memoria dell'11 dicembre 2000, il suo avvocato suggeriva di affidare la custodia di S.B. alla madre o almeno al fratello.
    Il 17 gennaio 2001 il secondo ricorrente chiese la ripresa dei contatti con la sorella e la possibilità di ottenerne la custodia.
  32. Con sentenza in data 29 gennaio 2001 il tribunale per i minorenni decise che la custodia di S.B. avrebbe continuato ad essere affidata alla AUSL di Mirandola affinché tale ente "la ponga in un ambiente protetto, preferibilmente di tipo famigliare", "organizzi, dopo aver previamente preparato la madre e la figlia, la ripresa dei rapporti tra le stesse, che dovranno aver luogo, fintanto che ciò sia necessario, in un ambiente protetto e in presenza degli (assistenti sociali)".
    Nella sua decisione il tribunale per i minorenni, alla luce degli elementi raccolti sia nel corso dell'inchiesta dallo stesso condotta che nell'ambito del procedimento penale contro il padre di S.B. e altre sedici persone, valutò "che si (poteva) considerare dimostrato che S.B. ha(aveva) effettivamente subito dei gravi abusi". "(&) la condanna del padre (sebbene la sentenza non (fosse) ancora definitiva), ma soprattutto le caratteristiche della personalità di quest'ultimo, evidenziate in particolare dal perito d'ufficio, nonché il vissuto di paura e di incomunicabilità nutrito nei confronti dello stesso da S.B., porta(va)no a ritenere che M.B. non sia(fosse) decisamente in grado di esercitare adeguatamente il ruolo di padre (&)". Ciò giustificò la decadenza dalla potestà dei genitori disposta nei confronti del padre e il mantenimento dell'interruzione dei rapporti tra quest'ultimo e la figlia.
  33. Per quanto riguarda il rapporto madre-figlia, il tribunale si pronunciò in questi termini: "Il vissuto di S.B. verso la madre è più complesso, così come la personalità di quest'ultima. Pur rilevando che l'azione penale non ha dimostrato che la sig.ra Roda fosse implicata negli abusi, S.B. ha tuttavia un vissuto molto ambivalente nei suoi confronti; essa ha dichiarato di voler tornare a vivere con lei, ma ha poi chiesto che ciò avvenga il più tardi possibile; ha manifestato dei sentimenti confusi e, come ha sottolineato il perito d'ufficio, in ogni caso non ha manifestato un affetto profondo (&). Se S.B. non si è mai confidata con la madre a proposito degli abusi, nemmeno dopo la separazione dei genitori (&), ciò è dovuto al fatto che non si è sentita protetta. L'allontanamento della bambina e l'interruzione dei rapporti con la madre risultano dunque giustificati poiché la madre non era e non poteva sembrare vicina all'esperienza della bambina e pronta a tutto per proteggerla. Queste considerazioni portano a ritenere che la madre non è ancora in grado di aiutare S.B. a elaborare le sue esperienze e le sue sofferenze. La situazione personale della bambina è troppo complessa e il percorso di analisi della madre sul suo ruolo di genitore è in fase troppo embrionale". Il tribunale per i minorenni non pronunciò la decadenza dalla potestà dei genitori nei confronti della prima ricorrente.
    La giurisdizione non fissò un limite temporale per l'affidamento di S.B. a causa della necessità di seguire "l'evoluzione della situazione complessa" della bambina.
  34. Infine, il tribunale per i minorenni rigettò la domanda volta a ottenere la ripresa dei rapporti tra il secondo ricorrente e la sorella, "(poiché) Matteo ha sempre condiviso con i genitori l'atteggiamento di negazione di qualsiasi possibile sofferenza di S.B. diversa da quella legata al difficile rapporto tra i genitori.
    Del resto, egli vive con il padre, e pertanto una ripresa dei contatti della bambina con il fratello, anche (sotto la vigilanza dei servizi sociali), potrebbe essere per S.B. ambigua e generare confusione.
    D'altra parte, Matteo non si è più rivolto ai servizi sociali allo scopo di avere notizie della sorella.
    I servizi sociali potranno peraltro convocare Matteo e determinare se sussistono le condizioni che permettano di elaborare, se egli lo desidera, un programma di controllo destinato a fargli comprendere le esigenze e il difficile vissuto della sorella. Se egli è pronto a farlo, i servizi sociali potranno allora valutare, tenuto conto delle esigenze della minore, l'opportunità di organizzare tali incontri."
  35. L'8 marzo 2001 la prima ricorrente impugnò la sentenza dinanzi alla corte d'appello di Bologna affermando, tra l'altro, che vi era stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione a causa dell'allontanamento dalla figlia e che ogni bambino ha il diritto di essere educato nell'ambito della sua famiglia (articolo 1 della legge n. 184/1983 sull'adozione e l'affidamento dei minori).
  36. Il 6 giugno 2001 i servizi sociali depositarono una relazione di controllo della situazione di S.B. Da tale relazione risultava in particolare che il secondo ricorrente aveva chiesto informazioni dopo l'ultima decisione del tribunale per i minorenni e che la madre telefonava ogni quindici giorni e aveva consegnato regali e lettere per la figlia. I servizi sociali segnalavano anche "la loro impotenza a sostenere psicologicamente la minore poiché quest'ultima aveva un rifiuto totale per il mondo esterno."
  37. Il 7 giugno 2001 la corte d'appello rigettò la domanda della prima ricorrente, ritenendo corretta l'analisi della situazione fatta e le conclusioni che il tribunale per i minorenni ne aveva tratto. Tuttavia, tenuto conto della gravità della situazione della bambina, la corte ritenne che fosse necessario "cercare, prima che sia troppo tardi, di percorrere anche la via del riavvicinamento tra madre e figlia (&) non è(era) più possibile lasciare crescere la bambina in uno stato disperato di abbandono e di isolamento. È(era) necessario che i servizi sociali si attivino immediatamente per eseguire in maniera equilibrata le decisioni del tribunale per i minorenni".
  38. Il 18 settembre 2001 la prima ricorrente informò il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni che i servizi sociali non avevano ancora proceduto all'organizzazione degli incontri con la figlia.
  39. Il 5 novembre 2001 i servizi sociali, ritenendo necessario incontrare la prima ricorrente e la sua psicologa prima di eseguire le decisioni giudiziarie pertinenti, ebbero un colloquio con la psicologa della sig.ra Roda.
  40. In una relazione di controllo del 10 gennaio 2002, i servizi sociali affermarono che la situazione di S.B. non aveva subito alcun cambiamento. Essa era stata informata che l'11 luglio 2001 la corte d'appello di Bologna aveva assolto il padre ma condannato le altre persone, riconoscendo che aveva subito violenze sessuali. S.B. aveva allora dichiarato di voler essere data in affidamento a una famiglia di accoglienza. Allo scopo di preparare gli incontri, i servizi sociali avevano ricevuto la prima ricorrente e la sua psicologa. I padre e il fratello di S.B. non avevano più ricontattato i servizi.
  41. L'11 febbraio 2002 la sig.ra Roda chiese al procuratore di autorizzare la videoregistrazione del futuro incontro con la figlia e la presenza del perito che la assisteva dall'inizio della causa. Informati della domanda il 18 febbraio, i servizi sociali si dichiararono perplessi e affermarono che S.B. aveva espresso il proprio rifiuto per quanto riguarda la registrazione e la presenza di altre persone durante l'incontro. Il 9 marzo 2002 il procuratore autorizzò la registrazione ma considerò inopportuna la presenza del perito della sig.ra Roda.
  42. Il 12 marzo 2002, il giorno prima dell'incontro, i servizi sociali informarono la prima ricorrente che sarebbe stato impossibile procedere alla registrazione. Il 13 marzo, la sig.ra Roda comunicò la notizia al procuratore indicando che si rifiutava di partecipare, e poi il 18 e il 22 marzo 2002, essa gli fece pervenire i dati di alcuni centri presso i quali l'incontro poteva essere registrato.
  43. Il 27 marzo 2002 il giudice tutelare, accogliendo la domanda presentata il giorno precedente dalla prima ricorrente, ordinò ai servizi sociali di procedere all'incontro e di registrarlo; egli autorizzò la prima ricorrente a ottenere una copia della registrazione.
  44. Il primo incontro ebbe luogo il 28 marzo 2002, e fu seguito da altri incontri il 28 maggio, il 10 luglio, il 23 settembre e il 18 novembre 2002, e il 14 gennaio, il 29 aprile, il 17 giugno, il 26 luglio, il 7 ottobre e il 25 novembre 2003.
  45. Il 23 aprile 2002, accogliendo la domanda della prima ricorrente, il giudice tutelare ordinò alla AUSL di depositare rapidamente la videocassetta dell'incontro del 28 marzo. Nel luglio 2002, lo stesso giudice fissò un termine di tre giorni per il deposito delle registrazioni degli incontri. Il 31 luglio la sig.ra Roda si rivolse a detto giudice allo scopo di ottenere la fissazione degli incontri in date più ravvicinate, la consegna di un telefono cellulare alla figlia, il mantenimento degli incontri a Modena, nonché la possibilità di restare sola con la figlia per una buona parte degli incontri.
  46. L'11 settembre 2002 il giudice tutelare prese atto che la AUSL avrebbe mantenuto gli incontri a Modena e autorizzava la corrispondenza tra madre e figlia, e rigettò per il resto le domande della sig.ra Roda.
  47. L'11 dicembre 2002 la AUSL comunicò a quest'ultima il calendario degli incontri con scadenze bimestrali, poi il 17 dicembre 2002 informò l'avvocato della sig.ra Roda che S.B. era stata data in affidamento ad una famiglia da circa una settimana.
  48. Il 18 dicembre 2002 la AUSL depositò una relazione di controllo relativa agli incontri registrati e un'altra sull'aiuto psicologico fornito a S.B. e alla madre.
    Secondo il primo documento, "La scena che ci troviamo di fronte è quella di una ragazza chiusa nella sua verità, verità che risulta da espressioni fisiche e non da parole, una ragazza che sembra subire silenziosamente gli incontri con la madre, il che rappresenta un (comportamento) duro ma forse protettivo nei confronti di una madre ancorata nella sua idea di una grande ingiustizia commessa verso sua figlia e verso la sua famiglia".
  49. I servizi sociali ritenevano che l'utilizzo del cellulare non fosse di natura tale da agevolare la comunicazione, tenuto conto delle difficoltà relazionali osservate, e raccomandavano il proseguimento degli incontri "protetti" e il supporto psicologico di preparazione agli incontri.
  50. Il rapporto sull'assistenza psicologica indicava che S.B.
    "ha(aveva) sempre espresso disappunto e disinteresse verso la madre, (che) si è(era) lamentata che la madre le pone(va) con insistenza molte domande, e (che) essa l'ha(aveva) a volte criticata per il suo comportamento in questi momenti".
    Da detto rapporto risulta anche che S.B. seguiva dei corsi di equitazione e che aiutava la sua istruttrice nell'ambito di sedute di ippoterapia destinate a bambini handicappati. Quanto alla sig.ra Roda, la psicologa incaricata di seguirla, che non faceva parte dei servizi sociali, osservava che l'interessata aveva mantenuto un atteggiamento difensivo praticamente nel corso di tutti e cinque gli incontri (dal 7 gennaio al 2 febbraio 2001),
    "un atteggiamento caratterizzato dalla convinzione formale che la figlia non ha subito abusi, pur evidenziando la contraddizione tra le perizie d'ufficio e quelle del suo perito, sottolineando in tal modo l'esistenza di un'altra verità. (La sig.ra Roda) ha affermato nuovamente che la causa principale del malessere di S.B. è l'impossibilità per lei di sostenerla, poiché è convinta che con lei la figlia avrebbe senza dubbio parlato di ciò che era successo (&)".
  51. Il 19 dicembre 2002 il giudice tutelare autorizzò S.B. a utilizzare il cellulare per chiamare la madre in presenza di un assistente sociale, subordinò al consenso di S.B. (da esprimere davanti alla madre) la registrazione dei futuri incontri e invitò la AUSL a tenere costantemente informata la sig.ra Roda sull'affidamento in famiglia di S.B., e a rispettare le date degli incontri senza rinviarle.
  52. Secondo le informazioni fornite dalla ricorrente, i servizi sociali hanno continuato a rinviare gli incontri già previsti e, in particolare, quello fissato per il 10 giugno 2003 si tenne solo il 17 giugno, e quello previsto per il 25 novembre 2003 fu annullato lo stesso giorno in mancanza delle chiavi che permettono di accedere al locale di videoregistrazione.

    Il procedimento penale contro il padre di S.B. e altri 16 imputati
     
  53. Con sentenza in data 5 giugno 2000 M.B. e la sorella e il cognato della prima ricorrente furono condannati dal tribunale di Modena, insieme ad altre persone, per abusi sessuali su minori.
  54. Nella sentenza dell'11 luglio 2001, depositata in cancelleria l'8 ottobre 2001, la corte d'appello di Bologna affermò l'attendibilità generale delle dichiarazioni fatte da tutti i bambini relativamente agli abusi subiti in ambiente domestico. Essa ritenne che le deposizioni dei minori, che confermavano le dichiarazioni di M., dovevano essere considerate attendibili e indipendenti da qualsiasi pressione o influenza da parte dei servizi sociali, dei magistrati coinvolti nella causa o delle famiglie d'accoglienza.
  55. Sulla base di tali considerazioni e delle prove raccolte, la corte d'appello confermò in particolare la condanna dei genitori di M., la madre della quale è la sorella della prima ricorrente, rispetto agli abusi commessi nel loro domicilio su M., suo fratello e altri quattro bambini.
  56. La corte d'appello assolse le stesse persone per quanto riguarda gli abusi presumibilmente commessi in un cimitero in quanto i fatti non erano dimostrati. Su questo punto la corte d'appello affermò che le dichiarazioni riguardanti i riti satanici traevano origine dalle deposizioni alterate di D.G., uno dei bambini implicati, che aveva evocato una tale situazione nel 1997 in seguito ad una ricostruzione artificiale delle esperienze di abusi realmente subiti. Tali dichiarazioni erano state poi riprese, grazie anche al contesto provinciale e alla mediatizzazione della causa, generando così negli altri bambini suggestioni e falsi ricordi collettivi e portandoli ad amplificare le violenze effettivamente subite. La corte d'appello non condivise dunque le conclusioni dei periti relativamente alla credibilità dei bambini al riguardo.
    Anche M.B. fu assolto in quanto le dichiarazioni di M. che lo riguardavano non avevano trovato alcun riscontro valido.
  57. Il 19 novembre 2001 la procura di Bologna presentò ricorso per cassazione. Con sentenza in data 26 novembre 2002 la Corte di cassazione confermò la sentenza della corte d'appello di Bologna per tutti gli imputati ad eccezione di uno solo di essi.

    Il procedimento relativo alla reintegrazione della potestà dei genitori avviato dal padre di S.B.
     
  58. In data non precisata M.B. chiese al tribunale per i minorenni la revoca della decisione del 29 gennaio 2001 con cui gli era stata tolta la potestà dei genitori su S.B.
  59. Con decisione provvisoria in data 13 marzo 2002 il tribunale per i minorenni ordinò che fosse compiuta una perizia allo scopo di stabilire se il richiedente fosse in grado di iniziare un percorso di comprensione e di riflessione sul vissuto e sui bisogni della figlia. Il tribunale osservava che la corte d'appello penale non aveva ritenuto sufficientemente dimostrato che gli abusi erano stati commessi anche dal padre di S.B., che la decisione del 29 giugno 2001 non si basava sulla responsabilità penale di M.B. ma sul pesante vissuto della bambina nei suoi confronti, sulla personalità di M.B. e sul suo comportamento di fronte alla sofferenza della figlia.
  60. Il 12 giugno 2002 il tribunale rigettò la domanda di ricusazione del perito presentata da M.B.
  61. La prima ricorrente depositò una memoria chiedendo l'affidamento di S.B., e l'organizzazione di incontri con lei e con il secondo ricorrente.
  62. Nella sua decisione del 7 luglio 2004, il tribunale per i minorenni osservò che dalla relazione peritale, depositata il 21 gennaio 2003, risultava chiaramente che M.B. "non era ancora capace di comprendere le esperienze profonde della figlia, né quelle (della sua vita attuale) di adolescente, né quelle del suo difficile passato di bambina oggetto di abusi sessuali".
    Stando così le cose, la reintegrazione della potestà dei genitori e l'organizzazione di incontri erano impossibili. Le domande di M.B. avrebbero potuto essere prese nuovamente in considerazione se l'interessato avesse dimostrato di essere riuscito a iniziare il percorso psicoterapeutico e psicopedagogico indicato dal perito.
  63. Quanto alle richieste della prima ricorrente, tenuto conto dei risultati incoraggianti dell'affidamento di S.B. in una famiglia di accoglienza, il tribunale decise di confermarlo per un periodo non inferiore a due anni, poiché S.B. non era ancora "in grado di affrontare un ritorno in famiglia, presso la madre, in quanto i sentimenti relativi al suo passato erano ancora troppo carichi di dolore inesprimibile". Considerati gli innegabili progressi compiuti dalla prima ricorrente nel suo lavoro di riavvicinamento alla figlia, il tribunale optò per il proseguimento degli incontri con cadenza mensile e invitò i servizi sociali a prevedere anche degli incontri in occasione di alcune festività (compleanni, Natale, ecc.) e a valutare la possibilità di organizzare degli incontri con il secondo ricorrente. La prima ricorrente interpose appello il 2 settembre 2004.
  64. In data non precisata, ritenendo che l'interesse di S.B. fosse in conflitto con la domanda della madre, la AUSL chiese al giudice tutelare di nominare un curatore speciale ai fini del procedimento di appello.
  65. Il 4 novembre 2004 il giudice adito rigettò la domanda a causa della sua incompetenza ratione materiae, come la sig.ra Roda aveva rilevato nella sua memoria.
  66. Il 9 novembre 2004 il tribunale di Modena nominò, su richiesta della AUSL, un curatore speciale a S.B. nella persona del direttore della AUSL. Il 22 novembre 2004 la prima ricorrente si oppose alla nomina.
  67. Il 26 novembre 2004 la corte d'appello confermò la decisione del 7 luglio 2004 per quanto riguarda la presa in carico di S.B. da parte della AUSL e invitò i servizi sociali di Mirandola a realizzare per un periodo di prova il ritorno di S.B. presso la madre solo di giorno.
    Lo stesso giorno, la AUSL informò la prima ricorrente che l'incontro con S.B. già fissato per il 21 dicembre 2004 era stato anticipato al giorno prima a causa dell'indisponibilità del locale attrezzato per la videoregistrazione.
  68. Il 16 e il 18 dicembre la prima ricorrente chiese ai servizi sociali di applicare la decisione della corte d'appello, e successivamente, il 22 dicembre, essa si rivolse al giudice tutelare chiedendo in particolare che la figlia fosse accompagnata dai servizi sociali per passare a casa sua il giorno di Natale o un altro giorno prima del 31 dicembre 2004.
  69. Il giudice fissò per il 30 dicembre 2004 l'udienza di comparizione di S.B. e della madre e ordinò ai servizi sociali di fissare un incontro tra le due al fine di discutere e di valutare insieme il programma di ritorno.
  70. Il 28 dicembre 2004 la prima ricorrente chiese al giudice tutelare di fare in modo che gli incontri non fossero così vicini tra loro e che l'incontro previsto per il giorno dopo si svolgesse senza S.B., poiché desiderava conoscere "le vere intenzioni della AUSL circa il ritorno a casa della figlia". Il giudice rigettò la domanda lo stesso giorno.
  71. S.B. non partecipò all'udienza del 30 dicembre 2004 e il giudice fissò per il 16 febbraio 2005 la nuova data dell'audizione della minore.
  72. Nella sua decisione del 28 febbraio 2005 il giudice tutelare approvò il calendario degli incontri proposto dalla AUSL fino al 30 settembre 2005, affermò nuovamente che tali incontri erano destinati a valutare la possibilità del ritorno di S.B. a casa della madre solo di giorno e fissò per il 15 maggio 2005 la data del deposito della relazione di controllo da parte dei servizi sociali.
  73. In precedenza, il 26 gennaio 2005, i servizi sociali avevano segnalato alla procura presso il giudice tutelare le difficoltà incontrate nell'applicazione della decisione della corte d'appello.
  74. Il 18 febbraio 2005 la procura presso il tribunale per i minorenni chiese al tribunale di "sospendere l'esecuzione della decisione della corte d'appello di Bologna del 26 novembre 2004 in attesa di un cambiamento di atteggiamento della minore". S.B. aveva infatti dichiarato di non volere ritornare a casa della madre, e che preferiva continuare a incontrarla una volta ogni due o tre mesi.
  75. Il 14 marzo 2005 il tribunale per i minorenni accolse la domanda della procura, incaricò i servizi sociali di proseguire gli incontri mensili in luogo "protetto" per tre mesi e convocò la sig.ra Roda all'udienza del 27 maggio 2005.
  76. Secondo le informazioni fornite dalle parti nel maggio e nell'agosto 2006, il secondo ricorrente ha incontrato i servizi sociali più volte. Il 13 marzo 2006 egli ha anche chiesto al tribunale per i minorenni l'affidamento della sorella, l'organizzazione di incontri con quest'ultima, da solo o con la madre, nonché l'autorizzazione a telefonare alla sorella. Il 15 maggio 2006 il tribunale per i minorenni rigettò tali domande e incaricò i servizi sociali di valutare se la ripresa dei contatti di S.B. con il secondo ricorrente fosse nell'interesse della minore.
    La sig.ra Roda continua a vedere la figlia in presenza di assistenti sociali. Essa ha presentato almeno tre domande volte a ottenere il deposito della videoregistrazione degli incontri.

    Il diritto interno pertinente
     
  77. Ai sensi dell'articolo 330 CC: "Il giudice può pronunciare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.
    In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza famigliare."
  78. La legge n. 149 del 28 marzo 2001 ha modificato alcune disposizioni del libro I, titolo VIII, del codice civile e della legge n. 184/1983.
    L'articolo 333 del codice civile, come modificato dall'articolo 37 c. 2 della legge n. 149/2001, dispone quanto segue:
    "Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza famigliare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.
    Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento"
    L'articolo 336 CC, come modificato dall'articolo 37 c. 3 della stessa legge, prevede che:
    "I provvedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su ricorso dell'altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato.
    Il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito.
    In caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche d'ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio. Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore, anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge."
    Ai sensi dell'articolo 4 c. 4 della legge n. 149/2001, nei provvedimenti di affidamento famigliare deve essere indicato il periodo di presumibile durata dell'affidamento, che non può superare i due anni. Il tribunale per i minorenni può tuttavia decidere di prorogare il periodo se la sospensione dell'affidamento reca pregiudizio al minore.
    I provvedimenti adottati dai tribunali per i minorenni, ai sensi degli articoli 330 e 333 CC, rientrano nella volontaria giurisdizione. Essi non hanno un carattere definitivo e possono pertanto essere revocati in ogni momento. Inoltre, contro tali provvedimenti non è possibile interporre appello, ma le parti in causa possono presentare un reclamo dinanzi alla corte d'appello.

    IN DIRITTO

    I - SULL'ECCEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO
  79. Il Governo sostiene che, nelle cause concernenti l'allontanamento di un minore dalla sua famiglia d'origine, i genitori di quest'ultimo non possono presentare un ricorso in suo nome, poiché gli interessi degli uni e degli altri sono in questi casi distinti, se non addirittura contraddittori. Se tutte le persone interessate hanno lo stesso diritto al rispetto della loro vita privata e famigliare, tale diritto si concretizzerebbe per i genitori nell'interesse a riprendere con sé il minore, mentre per quest'ultimo l'interesse potrebbe benissimo consistere nel mantenimento della situazione di allontanamento dalla sua famiglia.
    In un simile contesto, non si può accettare l'idea che una sola di queste due posizioni venga portata all'attenzione di un organo giudiziario e che venga impedito all'altra posizione di esprimersi. S.B. ha ultimamente formulato in maniera molto chiara il suo parere sul modo in cui essa concepisce i propri rapporti con la madre e con il fratello.
    Orbene, sarebbe inaccettabile che la Corte prenda una decisione che, direttamente o indirettamente, possa ledere i diritti di S.B., senza avere sentito la sua opinione.
    Il Governo ritiene che sarebbe ragionevole invitare la famiglia di accoglienza di S.B. a intervenire, o che la Corte dovrebbe nominare una persona incaricata di rappresentare S.B. dinanzi ad essa.
    In conclusione, il ricorso presentato in nome di S.B. dalla madre e dal fratello, che difendono il loro interesse e non quello della ragazza, sarebbe , per questa parte, inammissibile.
  80. Quanto al secondo ricorrente, il Governo sostiene che egli non si è mai costituito parte nel procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni di Bologna. L'affermazione contenuta nel riepilogo dei fatti del ricorso (paragrafo 34 supra) secondo la quale tale tribunale, nella sua decisione del 29 gennaio 2001, ha rigettato "in queste circostanze la domanda del secondo ricorrente volta ad ottenere la ripresa dei rapporti di quest'ultimo con la sorella", non sarebbe esatta. Tale domanda in realtà fu presentata dal padre di S.B., che non aveva tuttavia alcun locus standi per presentare domande in nome del figlio. Il secondo ricorrente, da parte sua, non presentò alcuna domanda sul merito della causa e si limitò a sollecitare il deposito della decisione.
    Di conseguenza vi sarebbe, nella fattispecie, un mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
  81. Facendo riferimento alla sentenza Nielsen c. Danimarca del 28 novembre 1988, serie A n. 144, i primi due ricorrenti affermano che la loro qualità di madre e fratello biologici conferiscono loro il diritto di presentare il ricorso in nome di S.B. allo scopo di proteggerla.
    Il secondo ricorrente contesta poi l'eccezione di mancato esaurimento sollevata nei suoi confronti facendo notare che egli si è ben costituito parte al procedimento il 24 gennaio 2001, e che ha chiesto di riprendere i contatti con la sorella. Nella decisione di rigetto, il tribunale non rilevò del resto alcun motivo di inammissibilità legato allo scadere dei termini o alla capacità processuale. Infine, nonostante la sua disponibilità, i servizi sociali non lo avrebbero mai convocato per "l'inizio degli incontri".
  82. La Corte ricorda che, in linea di principio, una persona che non ha, a livello interno, il diritto di rappresentare un'altra persona può comunque, in alcune circostanze, agire dinanzi alla Corte in nome di quest'altra persona (v., mutatis mutandis, le sentenze Nielsen c. Danimarca, già cit., pp. 21-22, §§ 56-57, e Scozzari e Giunta c. Italia (GC), n. 39221/98 e n. 41963/98, § 138, CEDU 2000-VIII). Dei minori possono adire la Corte anche, e a maggior ragione, se sono rappresentati da una madre e da un fratello in conflitto con le autorità, di cui essi criticano le decisioni e la condotta alla luce dei diritti sanciti dalla Convenzione.
    Secondo la Corte in caso di conflitto, riguardante gli interessi di un minore, tra il genitore biologico e la persona investita dalle autorità della tutela dei minori, vi è il rischio che alcuni interessi del minore non vengano mai portati all'attenzione della Corte e che il minore venga privato di una tutela effettiva dei diritti che gli derivano dalla Convenzione.
  83. Di conseguenza, le qualità di madre e fratello biologici di S.B. sono sufficienti per conferire agli stessi il potere di agire dinanzi alla Corte allo scopo di tutelare gli interessi di S.B. La Corte osserva inoltre che nei confronti della sig.ra Roda non è mai stata pronunciata la decadenza dalla potestà dei genitori.
  84. Per quanto riguarda la seconda parte dell'eccezione del Governo, la Corte rileva che il fascicolo del ricorso contiene l'atto di costituzione in giudizio del secondo ricorrente, datato 7 gennaio 2001 e depositato presso la cancelleria del tribunale per i minorenni di Bologna il 24 gennaio 2001. Tale documento reca sulla prima pagina il mandato firmato dal ricorrente in favore dello stesso rappresentante legale del padre.
    Inoltre, anche se, nella sua decisione del 29 gennaio 2001 (paragrafo 34 supra), il tribunale per i minorenni diede ai servizi sociali la possibilità di convocare il secondo ricorrente e di decidere, all'occorrenza, di elaborare con lui un programma di controllo destinato a fargli "capire le esigenze e il difficile vissuto della sorella" e che poteva portare all'organizzazione di incontri con S.B., i servizi sociali non diedero alcun seguito a ciò fino al 2006.
    Nella stessa decisione, il tribunale per i minorenni aveva inoltre motivato il rigetto della domanda del secondo ricorrente sottolineando, da una parte, che quest'ultimo aveva sempre condiviso con i genitori l'atteggiamento di negazione di ogni possibile sofferenza di S.B. diversa da quella legata al rapporto difficile tra i genitori e, dall'altra, che egli viveva con il padre, "e pertanto una ripresa dei contatti della bambina con il fratello (&) potrebbe essere per S.B. ambigua e generare confusione."
  85. In considerazione di quanto sopra esposto, l'eccezione del Governo non può essere accolta.

    II - SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 § 1 E 13 DELLA CONVENZIONE

    Sull'ammissibilità
  86. I ricorrenti si lamentano per l'impossibilità di avere accesso al fascicolo della procedura di presa in carico di S.B., e per l'assenza nel diritto interno di un ricorso effettivo per ottenere una decisione definitiva fino al gennaio 2001.
  87. La Corte ricorda che, ai sensi dell'articolo 35 § 1 della Convenzione, essa può essere adita solo dopo che siano state esaurite le vie di ricorso interne e entro un termine di sei mesi dalla data della decisione interna definitiva. Quando la violazione presunta consiste in una situazione continua, il termine di sei mesi inizia a decorrere solo dal momento in cui questa situazione continua viene a cessare (v., mutatis mutandis, Hornsby c. Grecia, sentenza del 19 marzo 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-II, p. 508, § 35 e Marinakos c. Grecia, (dec.) n. 49282/99, 29 marzo 2000).
  88. Nella fattispecie, i ricorrenti hanno presentato questi due motivi di ricorso nel modulo ufficiale di ricorso pervenuto in cancelleria il 22 gennaio 2003, mentre la situazione di cui essi si lamentano si era conclusa, da una parte, con la revoca, in data 31 marzo 1999, della misura che dichiarava gli atti del fascicolo coperti dal segreto e, dall'altra, con la decisione del tribunale per i minorenni di Bologna del 29 gennaio 2001, che confermava in particolare l'affidamento di S.B. e ordinava la ripresa dei contatti tra la bambina e la madre (paragrafi 12 e 32 supra).
    Di conseguenza questa parte del ricorso è tardiva ai sensi dell'articolo 35 § 1 della Convenzione, e deve dunque essere rigettata conformemente all'articolo 35 § 4 della Convenzione.

    III - SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 4 DELLA CONVENZIONE

    Sull'ammissibilità
  89. I ricorrenti affermano che S.B. segue un programma di ippoterapia in un centro equestre, e che la stessa è anche obbligata a lavorare tutti i pomeriggi, assistendo la sua istruttrice nell'ambito di un altro programma di ippoterapia destinato a persone handicappate. Si tratterebbe di una attività il cui scopo reale e celato sarebbe quello di ottenere manodopera gratuita. Essi sostengono che da ciò deriva una violazione dell'articolo 4 della Convenzione, da solo o combinato con l'articolo 3.
  90. La Corte ritiene necessario esaminare questo motivo di ricorso solo sotto il profilo della prima disposizione. Essa deve determinare se la situazione denunciata dai ricorrenti rientra nell'articolo 4 e, in particolare, se essa può essere definita lavoro "forzato o obbligatorio". Ciò evoca l'idea di una costrizione, fisica o morale. Si deve trattare di un lavoro "richiesto (&) sotto la minaccia di una pena qualsiasi" e, inoltre, contrario alla volontà dell'interessato, per il quale quest'ultimo "non si è offerto spontaneamente" (v. la sentenza Siliadin c. Francia, n. 73316/01, § 117, CEDU 2005-&).
  91. La Corte osserva che, nella fattispecie, nulla permette di affermare che siano state esercitate costrizioni fisiche o morali su S.B., né che l'aiuto prestato all'istruttrice possa passare per un lavoro imposto contro la volontà dell'interessata. Di conseguenza, questo motivo è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    IV - SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 10 DELLA CONVENZIONE

    Sull'ammissibilità
  92. Nelle loro prime lettere alla Corte del 21 e 23 gennaio 2002, i ricorrenti sostenevano che vi era stata violazione dell'articolo 10 della Convenzione in quanto le autorità pubbliche non avrebbero preso in considerazione la volontà, espressa da S.B. durante la sua audizione da parte del giudice penale, di tornare a casa con la madre. Pertanto, sarebbe stata violata la libertà di espressione di S.B.
  93. I ricorrenti non hanno ripreso questo motivo di ricorso nel modulo di ricorso pervenuto alla cancelleria via fax il 15 gennaio 2003, e poi per posta il 22 gennaio 2003. Questa circostanza dispensa la Corte dall'esaminare questo motivo di ricorso.

    V - SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 3 E 8 DELLA CONVENZIONE

    Sull'ammissibilità
  94. Nelle loro lettere del 21 e 23 gennaio 2002, i ricorrenti si lamentavano anche per una violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione a causa dell'allontanamento di S.B. dalla famiglia e dell'assenza di contatti con la bambina per quasi quattro anni, e ciò senza "alcuna necessità giuridicamente fondata". Il 22 gennaio 2003 i ricorrenti hanno sollevato nuovi motivi di ricorso. Invocando l'articolo 3 della Convenzione, essi si lamentavano che la presa in carico e il mantenimento dell'affidamento ai servizi sociali senza alcuna previsione sul ritorno in famiglia esponevano la vita di S.B. a un grave pericolo. Sulla base della stessa disposizione, il secondo ricorrente si lamentava per il fatto che le azioni da lui intraprese al fine di avere contatti con la sorella non erano state minimamente prese in considerazione. Secondo i ricorrenti, i servizi sociali non agirebbero in favore del ritorno di S.B. presso la sua famiglia.
  95. La Corte ritiene che sia opportuno esaminare questi motivi unicamente sotto il profilo dell'articolo 8 della Convenzione. Essa constata che questa parte del ricorso non è manifestamente infondata ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e non si scontra con nessun'altra causa di inammissibilità. È pertanto opportuno dichiararla ammissibile.

    Sul merito
  96. Ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione,
    "1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita (&) familiare (&). 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (&) alla protezione dei diritti e delle libertà altrui."

    Sull'esistenza dell'ingerenza.
  97. Secondo il Governo, vi è stata certamente ingerenza delle autorità nella vita famigliare della sig.ra Roda e di S.B. Invece, vista la situazione concreta della famiglia, non vi è stata ingerenza nella vita privata e famigliare del secondo ricorrente, che non abitava più con la sorella.
  98. La Corte ricorda che la nozione di vita famigliare "comprende per lo meno i rapporti tra parenti, che possono svolgere un ruolo importante nell'ambito della stessa", ad esempio tra nonni e nipoti (Marckx c. Belgio, sentenza del 13 giugno 1974, serie A n. 31, § 45, e Bronda c. Italia, n. 22430/93, sentenza del 9 giugno 1998, Raccolta 1998-IV, § 51). In una causa riguardante il rifiuto di accordare l'accesso del ricorrente al nipote mentre questo era in affidamento presso una famiglia di accoglienza, la Commissione europea dei Diritti dell'Uomo si era posta il problema di stabilire se questo tipo di rapporti potessero essere inclusi nella nozione di "vita famigliare" ai sensi dell'articolo 8 (Boyle c. Regno Unito, n. 16580/90, rapporto della Commissione del 9 febbraio 1993). La Commissione sottolineò anzitutto che la convivenza non era una condizione sine qua non del mantenimento dei legami famigliari e, considerati i frequenti contatti tra il ricorrente e il nipote, nonché il fatto che il minore aveva passato molte volte il fine settimana presso lo zio, essa concluse che il legame fondamentale esistente tra i due rientrava nel campo di applicazione della nozione di "vita famigliare".
  99. Nella fattispecie, la Corte osserva che dal fascicolo risulta che il secondo ricorrente ha vissuto in famiglia con la sorella fino alla separazione dei suoi genitori, quando egli ha deciso di seguire il padre. È vero che, almeno a partire dalla presa in carico di S.B., non vi è stato alcun contatto tra i due, ma questa circostanza non deriva solo dal suo comportamento; gli indugi dei servizi sociali vi hanno notevolmente contribuito. Pertanto, la Corte ritiene che il legame tra il secondo ricorrente e la sorella rientri nella nozione di vita famigliare e che vi sia stata ingerenza nella vita famigliare del primo.
  100. La Corte ricorda che qualsiasi ingerenza nella vita famigliare comporta una violazione dell'articolo 8 della Convenzione, a meno che essa non sia "prevista dalla legge", non persegua uno o più degli scopi legittimi di cui al paragrafo 2 di tale articolo, e non possa risultare "necessaria in una società democratica".

    Sulla giustificazione dell'ingerenza
  101. Secondo il Governo, l'ingerenza in questione era manifestamente prevista dalla legge. Il tribunale per i minorenni ha scrupolosamente rispettato le disposizioni di legge vigenti adottando misure provvisorie urgenti per la tutela della minore, conformemente all'articolo 336 c. 3 del codice civile. Poi il tribunale ha operato per chiarire i diversi aspetti della situazione, estremamente delicata e complessa, limitando per quanto possibile la portata dell'ingerenza. Per fare questo, ha riservato un trattamento diverso a ciascuno dei genitori di S.B. "in funzione delle differenze non solo nel grado di responsabilità per quanto riguarda gli abusi, ma anche e soprattutto in funzione di una valutazione attenta e differenziata delle rispettive attitudini all'esercizio dei doveri dei genitori e delle possibilità che offrivano l'uno e l'altro (&) di poter assolvere un giorno positivamente tali compiti."
  102. I ricorrenti non contestano il fatto che l'intervento delle autorità nazionali fosse conforme al diritto nazionale.
  103. La Corte osserva che l'ingerenza in questione era prevista dalla legge e perseguiva uno scopo legittimo, ossia la tutela dell'interesse del minore ("la tutela dei diritti e delle libertà altrui"). Resta da stabilire se tale ingerenza potesse essere considerata una misura "necessaria in una società democratica".
  104. Secondo il Governo, la necessità di adottare delle misure urgenti per la tutela di S.B. e lo scopo legittimo perseguito da tali misure sono fuori discussione. I fatti eccezionalmente gravi emersi dall'inchiesta penale basterebbero a spiegare la presa in carico della minore.
  105. Il Governo sottolinea che il compito del tribunale per i minorenni non consiste nell'infliggere a dei genitori una sanzione rispetto a dei comportamenti riprovevoli, ma nell'"intervenire nelle situazioni famigliari patologiche allo scopo, da una parte, di assicurare per quanto possibile il benessere fisico e psicologico dei minori, il loro sviluppo armonioso e sereno, la loro educazione corretta, e dall'altra di aiutare gli adulti della famiglia, nella misura in cui questi ultimi sono disposti a collaborare (&), a risolvere i loro problemi (allo scopo di) permettere loro di esercitare i loro diritti di genitori in maniera positiva (&)". Anche un genitore condannato per abusi o che ha mantenuto un comportamento semplicemente negligente potrebbe dimostrare di avere una capacità di riflessione così grande e delle risorse morali e psicologiche tali da poter recuperare un ruolo di genitore positivo. Al contrario, un genitore riconosciuto innocente all'esito di un procedimento penale non è necessariamente idoneo a occuparsi dei figli e potrebbe dimostrarsi a tal punto restio a qualsiasi sostegno psicologico e pedagogico che le speranze di recupero del ruolo di genitore potrebbero essere vane o richiederebbero un lavoro paziente dall'esito incerto. Le autorità nazionali intervengono su due fronti per tutelare l'interesse del bambino. Da una parte, esse affidano quest'ultimo a un ambiente idoneo a proseguire la sua educazione e a offrirgli la protezione e le cure materiali, psicologiche e affettive di cui ha bisogno, per il tempo necessario per permettergli di elaborare positivamente il suo vissuto di sofferenza. D'altra parte, esse svolgono un lavoro di preparazione sia nei confronti del minore che degli adulti della sua famiglia, per ristabilire le relazioni che risultano ancora potenzialmente positive. Difficile e delicato, questo lavoro sarebbe difficilmente realizzabile in maniera precipitosa, tale da comprometterne il risultato finale.
  106. Il Governo fa notare che, nella fattispecie, tenuto conto degli elementi in suo possesso - ossia il risultato dell'istruzione penale, la perizia d'ufficio e l'osservazione quotidiana della personalità di S.B. da parte dei servizi sociali -, il tribunale per i minorenni ha ritenuto che la ragazza avesse bisogno di un periodo di allontanamento dalla madre e dal resto della sua famiglia, durante il quale doveva essere affidata ad una famiglia di accoglienza. Inoltre, vengono tenuti degli incontri regolarmente, in ambiente protetto, per permettere alla figlia di ricostruire una relazione positiva con la madre, considerata dal tribunale come "potenzialmente capace di recuperare il proprio ruolo grazie ad un lavoro psicopedagogico appropriato". Inoltre, gli incontri non protetti al domicilio della prima ricorrente, previsti dalla corte d'appello ma impraticabili per il momento, in particolare a causa del rifiuto di S.B., non sarebbero per questo esclusi.
  107. Quanto al secondo ricorrente, sarebbe inevitabile, secondo il Governo, che in occasione di incontri con la sorella egli possa, anche involontariamente, trasmettere messaggi ispirati dal padre, il che produrrebbe immancabilmente un effetto destabilizzante per S.B. Per questo motivo il tribunale ha interrotto i contatti tra il secondo ricorrente e la sorella, pur non escludendone in alcun modo la ripresa in futuro.
  108. Infine, le autorità giudiziarie avrebbero condotto i vari procedimenti in maniera rapida ed efficace, avendo cura di sentire anche l'opinione di S.B. Inoltre, i servizi sociali avrebbero svolto e continuerebbero a svolgere un lavoro notevole assicurando un controllo costante dell'evoluzione della situazione. In definitiva, le decisioni adottate dalle autorità italiane rientrerebbero nell'ambito del secondo paragrafo dell'articolo 8 e sarebbero conformi ai principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte in materia.
  109. I ricorrenti contestano gli argomenti del Governo. L'assenza di contatti tra essi e S.B. per un lungo periodo e lo svolgimento degli incontri tra i due ricorrenti non avrebbero prodotto altro effetto che quello di rendere difficile qualsiasi tentativo di ricostruzione di relazioni serene. Le autorità italiane non avrebbero dovuto allontanare S.B. dalla madre e dal fratello, che erano in grado di proteggerla e di sostenerla in attesa dell'esito delle indagini. La prima ricorrente afferma di avere sempre collaborato con i servizi sociali e disapprova l'assenza di un vero progetto terapeutico destinato a riavvicinarla alla figlia. Secondo lei, S.B. avrebbe dovuto essere affidata a lei, in particolare, dopo l'insuccesso dell'affidamento al centro di accoglienza, ma le autorità hanno deciso diversamente affidando la bambina a una famiglia. Infine, si sarebbero verificati importanti ritardi nell'esame della causa da parte dei giudici nazionali colpevoli, ad esempio, di avere permesso che il perito d'ufficio depositasse la propria relazione un anno dopo aver accettato il mandato, di non aver saputo controllare più efficacemente i servizi sociali che avrebbero spesso omesso di rendere conto dell'evolversi della situazione di S.B.
  110. La Corte ricorda che, se mira essenzialmente a proteggere l'individuo da ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, l'articolo 8 della Convenzione genera nondimeno degli obblighi positivi inerenti un "rispetto" effettivo della vita famigliare. In questo contesto, la Corte ha dichiarato molte volte che l'articolo 8 implica il diritto di un genitore a misure idonee a riunirlo al figlio e l'obbligo per le autorità nazionali di adottare tali misure (v., ad esempio, Ignaccolo Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 94, CEDU 2000-I, e Nuutinen c. Finlandia, n. 32842/96, § 127, CEDU 2000-VIII). Tuttavia, questo obbligo non è assoluto. La natura e la portata dello stesso dipendono dalle circostanze di ogni singolo caso, ma la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate ne costituiscono sempre un fattore importante. Se le autorità nazionali devono adoperarsi al fine di agevolare una simile collaborazione, un obbligo per le stesse di ricorrere alla coercizione in materia non può che essere limitato: esse devono tenere conto degli interessi e dei diritti e libertà di tali persone, e in particolare degli interessi superiori del minore e dei diritti riconosciuti a quest'ultimo dall'articolo 8 della Convenzione. Nel caso in cui dei contatti con i genitori rischiano di minacciare tali interessi o di pregiudicare tali diritti, le autorità nazionali hanno il compito di garantire un giusto equilibrio tra essi (Ignaccolo-Zenide, già cit., § 94). La linea di demarcazione tra gli obblighi positivi e negativi dello Stato a titolo dell'articolo 8 non si presta ad una definizione precisa; i principi applicabili sono tuttavia equiparabili. In particolare, in entrambi i casi, bisogna avere riguardo al giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti; allo stesso modo, in entrambe le ipotesi, lo Stato gode di un certo margine di valutazione (v., ad esempio, le sentenze W. c. Regno Unito dell'8 luglio 1987, serie A n. 121, p. 27, § 60, B. c. Regno Unito dell'8 luglio 1987, serie A n. 121, p. 72, § 61, R. c. Regno Unito dell'8 luglio 1987, serie A n. 121, p. 117, § 65, Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 52, CEDU 2000 IX, e Couillard Maugery c. Francia, n. 64796/01, § 239, 1° luglio 2004).
  111. La Corte osserva che la questione decisiva, nella fattispecie,è quella di stabilire se le autorità nazionali hanno adottato tutti i provvedimenti che ci si poteva ragionevolmente attendere dalle stesse.
  112. Per quanto riguarda l'allontanamento di S.B. e la sua presa in carico - che i ricorrenti giudicano infondati -, la Corte osserva che il tribunale per i minorenni ha giustificato la sua decisione del 6 novembre 1998 (paragrafo 7 supra) facendo riferimento ai forti sospetti che la bambina avesse subito degli abusi sessuali da parte di membri della famiglia dei ricorrenti e ai dubbi sulla capacità di protezione della prima ricorrente. Considerando attendibili le dichiarazioni di M., il tribunale sospese la potestà di entrambi i genitori, poiché il padre sembrava direttamente implicato nei fatti denunciati e la madre incapace di offrire alla figlia la protezione necessaria. Il ricorso ad una procedura di urgenza per allontanare S.B. rientra perfettamente tra le iniziative che le autorità nazionali hanno il diritto di intraprendere nei casi di sevizie sessuali che rappresentano incontestabilmente un tipo odioso di misfatti che indeboliscono le vittime. I bambini e altre persone vulnerabili hanno diritto alla tutela dello Stato, sotto forma di una prevenzione efficace che li metta al riparo da forme così gravi di ingerenza in aspetti fondamentali della loro vita privata (v. le sentenze Stubbings e altri c. Regno Unito del 24 settembre 1996, Raccolta 1996-IV, § 64, mutatis mutandis, Z. e altri c. Regno Unito (GC), n. 29392/95, § 73, A. c. Regno Unito del 23 settembre 1998, Raccolta 1998 VI, § 22, e Covezzi e Morselli c. Italia, n. 52763/99, § 103, 9 maggio 2003).
  113. In queste condizioni, la Corte è del parere che la presa in carico e l'allontanamento di S.B. possono essere considerate misure proporzionate e "necessarie in una società democratica" per la tutela della salute e dei diritti della minore. Il contesto delittuoso veramente complesso che vedeva tra i protagonisti dei membri dell'ambiente famigliare vicino ai minori vittime di abusi poteva ragionevolmente portare le autorità nazionali a considerare che il mantenimento di S.B. a casa della madre poteva nuocere alla bambina.
  114. Pertanto, la Corte ritiene che non vi sia stata violazione dell'articolo 8 su questo punto.
  115. Quanto all'assenza di contatti tra i primi due ricorrenti e S.B. e all'organizzazione degli incontri, la Corte ricorda anzitutto che qualsiasi presa in carico deve, in linea di principio, essere considerata una misura temporanea, da sospendere non appena le circostanze lo permettono, e che qualsiasi atto di esecuzione deve concordare con un fine ultimo: riunire il genitore e il figlio (v., tra le altre, le sentenze Olsson c. Svezia (n. 1) del 24 marzo 1988, serie A n. 130, § 81, e Covezzi e Morselli c. Italia già cit., § 118). Una interruzione prolungata dei contatti tra genitori e figli o degli incontri troppo distanziati nel tempo rischierebbero di compromettere qualsiasi possibilità seria di aiutare gli interessati a superare le difficoltà sopravvenute nella vita famigliare (v., mutatis mutandis, la sentenza Scozzari e Giunta c. Italia (GC) già cit., § 177). Pertanto, anche se la misura di allontanamento era giustificata, la Corte ha il compito di esaminare se le ulteriori restrizioni fossero conformi all'articolo 8, in applicazione del quale dovevano essere tutelati gli interessi dei ricorrenti. Se le autorità hanno l'obbligo di operare per agevolare il ricongiungimento della famiglia e i contatti tra i suoi membri, qualsiasi ricorso alla coercizione in materia è ovviamente limitato dalla preoccupazione per l'interesse superiore del figlio. Quando dei contatti con i genitori sembrano minacciare questo interesse, sono le autorità nazionali a dover trovare un giusto equilibrio tra gli interessi dei minori e quelli dei genitori (v., tra le altre, la sentenza K. e T. c. Finlandia (GC), n. 25702/94, § 194, CEDU 2001 VII).
  116. La Corte osserva che, nel novembre 1998, il tribunale per i minorenni ordinò l'interruzione dei rapporti tra la sig.ra Roda e la figlia considerando la prima per lo meno incapace di offrire una protezione sufficiente alla bambina. La necessità di mettere quest'ultima al riparo affidandola ad un ambiente protetto si imponeva in maniera evidente. Il 19 maggio 1999, tenuto conto poi del risultato delle due perizie d'ufficio - che avevano concluso per "l'esistenza di lesioni legate a rapporti sessuali completi, numerosi e reiterati" e "una forte corrispondenza con l'ipotesi di atti di abusi sessuali" -, e alla luce delle prime relazioni di controllo depositate dai servizi sociali, il tribunale per i minorenni ritenne necessario non modificare la situazione di affidamento di S.B. I suoi genitori non erano in grado di fornirle la protezione di cui aveva bisogno e il ritorno presso la madre non era possibile in quel momento.
  117. La Corte osserva che le relazioni di controllo dei servizi sociali - depositate all'esito di molteplici incontri con i quattro membri della famiglia Bonfatti-Roda -, nonché le due relazioni del perito nominato il 19 maggio 1999, evidenziarono una grave sofferenza da parte della bambina, che i genitori attribuivano alla situazione famigliare e alla decisione presa nel 1998 di allontanare la bambina.
  118. La Corte osserva che le due proroghe del termine fissato il 19 maggio 1999 accordate dal tribunale al perito (che depositò le sue prime conclusioni su S.B. il 7 giugno 2000 e la sua relazione finale il 19 luglio 2000) hanno causato un ritardo notevole nella procedura (più di un anno e un mese a decorrere dal 24 giugno 1999, data in cui il perito aveva prestato giuramento). Pur riconoscendo che, per la sua delicatezza, questo tipo di inchiesta deve essere condotto in modo rigoroso e senza fretta, la Corte ritiene che fosse necessaria una maggiore diligenza.
  119. Al contrario, la Corte non considera irragionevole la decisione del 29 gennaio 2001, con la quale il tribunale per i minorenni confermò l'affidamento della minore ad un ambiente protetto preferibilmente di tipo famigliare, pronunciò la decadenza del padre dalla potestà dei genitori, considerati in particolare la personalità di quest'ultimo e il vissuto di paura della figlia nei suoi confronti (paragrafo 32 supra), e considerò prematura la ripresa dei contatti tra i ricorrenti, poiché la prima ricorrente non sembrava ancora in grado di venire in aiuto alla figlia e il secondo ricorrente poteva generare dei sentimenti di confusione in S.B. (paragrafi 33 e 34 supra).
  120. La Corte osserva ancora che il 7 giugno 2001, essendo stata informata dai servizi sociali della loro impotenza a sostenere psicologicamente la minore, che rifiutava completamente il mondo esteriore, la corte d'appello di Bologna esortò i servizi ad attivarsi immediatamente allo scopo di far uscire la bambina dalla sua situazione di abbandono e di isolamento e di cercare di avvicinarla alla madre. Tuttavia, il primo incontro tra la madre e la figlia ebbe luogo solo il 28 marzo 2002. Era certamente necessario un lavoro di preparazione adeguato da parte dei servizi sociali, ma tale esigenza non spiega perché siano trascorsi cinque mesi prima che essi incontrassero la psicologa della sig.ra Roda, e poi gli interventi della procura e del giudice tutelare che, su richiesta della prima ricorrente, ordinarono ai servizi sociali di procedere al primo incontro e di registrarlo. In seguito, gli incontri ebbero luogo a intervalli quasi regolari. Il giudice tutelare, tuttavia, dovette essere sollecitato più volte dalla sig.ra Roda per ottenere il deposito rapido della videoregistrazione degli incontri, il diritto di intrattenere una corrispondenza con S.B., la consegna a quest'ultima di un cellulare e una informazione costante sull'affidamento famigliare della bambina (paragrafi 41-46 supra).
  121. Quanto al secondo ricorrente, la Corte osserva che, nonostante la possibilità lasciata ai servizi sociali dal tribunale per i minorenni di valutare l'opportunità di organizzare degli incontri con la sorella dopo un periodo di preparazione adeguata e accettata dall'interessato, non furono intraprese iniziative in tal senso, cosicché il tribunale, il 7 luglio 2004, (paragrafo 63 supra) reiterò il suo invito ai servizi sociali. Secondo le ultime informazioni fornite dall'avvocato dei ricorrenti, il secondo ricorrente avrebbe partecipato a dei colloqui con i servizi sociali.
  122. Nella sua decisione del 7 luglio 2004, alla luce dei risultati incoraggianti dell'affidamento famigliare, il tribunale prorogò di almeno due anni tale affidamento, e optò per il proseguimento degli incontri in luogo protetto anche in occasione di alcune festività. Tale decisione fu confermata in appello il 26 novembre 2004.
  123. La Corte constata che, se tutti questi interventi delle autorità giudiziarie sono stati adottati dopo una matura riflessione e sulla base delle indagini condotte dai periti e dai servizi sociali, non si può trascurare il fatto che il tempo trascorso a partire dalla ripresa dei contatti tra la madre e la figlia non ha agevolato il riavvicinamento tra i ricorrenti. In effetti, S.B. ha manifestato la sua volontà di non piegarsi alle decisioni giudiziarie che prevedevano un contatto più frequente e meno rigido con la madre. Informata dai servizi sociali, la procura chiese nel febbraio 2005 la sospensione dell'esecuzione della decisione della corte d'appello di Bologna del 26 novembre 2004 in attesa di un cambiamento di atteggiamento della minore. Il tribunale accolse la domanda e, nel marzo 2005, ristabilì il principio più severo di incontri mensili in luogo protetto.
  124. Questa situazione non si è evoluta positivamente.
  125. In queste condizioni, e alla luce di quanto precede, anche tenendo conto delle reticenze manifestate da S.B., è opportuno concludere che le misure adottate per trovare un giusto equilibrio tra gli interessi della figlia e i diritti dei primi due ricorrenti ai sensi dell'articolo 8 non sono state completamente sufficienti. Pertanto, vi è stata violazione di questa disposizione a causa del protrarsi dell'interruzione dei rapporti e dell'organizzazione lacunosa degli incontri tra i primi due ricorrenti e S.B.

    VI - SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
     
  126. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione, "Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa."

    Danno
  127. I ricorrenti chiedono, per il danno materiale: 2.910,68 euro (EUR) corrispondenti al costo della psicoterapia seguita dalla sig.ra Roda, 60 EUR relativi alle spese per gli incontri del secondo ricorrente con i servizi sociali e 200 EUR per l'acquisto di un telefono cellulare. Quanto al danno morale, i primi due ricorrenti chiedono che venga loro accordata la somma di 100.000 EUR ciascuno e la somma di 200.000 EUR per S.B.
  128. Secondo il Governo, le somme richieste per il danno materiale non hanno alcun rapporto con le presunte violazioni, ma sono legate a una situazione oggettiva che non è di per sé contraria alla Convenzione. In effetti, le eventuali violazioni che la Corte potrebbe constatare riguardano aspetti particolari della situazione controversa, ma non mettono in discussione la decisione iniziale di allontanamento della minore o la necessità di preparare in maniera adeguata il suo reinserimento nella famiglia di origine, che non può essere negato. In particolare, la psicoterapia seguita dalla sig.ra Roda, opportuna per aiutarla a recuperare il suo ruolo di genitore e superare le difficoltà che le impediscono di avere un rapporto costruttivo con la figlia, non costituirebbe né una violazione della Convenzione né una conseguenza diretta di una tale violazione. Lo stesso varrebbe per gli incontri del secondo ricorrente con gli assistenti sociali. Quanto all'acquisto di un telefono cellulare per S.B., non si comprende bene il legame con la situazione controversa.
  129. Il Governo si affida al giudizio della Corte affinché essa determini equamente il danno morale, precisando che le somme richieste sono eccessive e prive di qualsiasi giustificazione. In particolare, la somma chiesta dal secondo ricorrente non ha alcun rapporto con la vera sofferenza che egli può aver provato. Quanto alla somma richiesta in nome di S.B., si dovrebbe tenere conto del fatto che quest'ultima continua a manifestare il proprio benessere nella situazione attuale di affidamento in famiglia. Sarebbe dunque sorprendente che la Corte le accordasse una somma per compensare una presunta sofferenza che essa evidentemente non prova. In conclusione, il Governo ritiene che una eventuale constatazione di violazione costituirebbe un'equa soddisfazione sufficiente per tutti i ricorrenti e che, in ogni modo, le somme richieste dovrebbero essere contenute entro limiti più ragionevoli.
  130. La Corte non percepisce alcun legame di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale addotto e rigetta tale domanda. In compenso, deliberando equamente, essa ritiene opportuno accordare a ogni ricorrente la somma di 3.000 EUR per il danno morale.

    Spese
  131. La prima ricorrente chiede 8.700 EUR per l'assistenza della sua psicologa durante gli incontri, 18.035 EUR per le spese sostenute dinanzi alle giurisdizioni interne e 21.930 EUR per quelle sostenute dinanzi alla Corte. Il secondo ricorrente chiede 10.965 EUR per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
  132. Il Governo afferma che le spese sostenute nell'ambito dei procedimenti interni non sono dovute, in assenza di qualsiasi rapporto con le presunte violazioni. Secondo lo stesso, tali spese erano necessarie per le esigenze della "difesa" dinanzi alle autorità giudiziarie. Quanto alle spese relative al procedimento ai sensi della Convenzione, esse sarebbero eccessive rispetto alla "natura e alla relativa semplicità della causa, nonché alla consistenza dell'attività di difesa effettivamente svolta e realmente necessaria". Il Governo si affida al giudizio della Corte affinché tali spese siano liquidate in misura ragionevole e conforme alla sua pratica.
  133. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui sono stabilite la realtà, la necessità e la ragionevolezza dell'importo delle stesse. Nella fattispecie, e tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte considera ragionevole la somma di 6.000 EUR per le spese e la accorda ai primi due ricorrenti congiuntamente.

    Interessi moratori
  134. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ammissibile per quanto riguarda il motivo relativo all'articolo 8 della Convenzione e inammissibile per il resto;
  2. Dichiara che non vi è stata violazione dell'articolo 8 per quanto riguarda la presa in carico e l'allontanamento di S.B.;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 8 per quanto riguarda l'assenza di contatti tra i primi due ricorrenti e S.B. e l'organizzazione lacunosa degli incontri;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione,
      1. 3.000 EUR (tremila euro) a ciascun ricorrente per il danno morale,
      2. 6.000 EUR (seimila euro) ai primi due ricorrenti congiuntamente per le spese,
      3. più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;
    2. che a decorrere dallo scadere del termine suddetto e fino al versamento, tali somme dovranno essere maggiorate di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatto in francese, e poi comunicato per iscritto il 21 novembre 2006 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

S. NAISMITH

Cancelliere aggiunto

J.-P. COSTA

Presidente